Benigno è il sol; de gli uomini al lavoro
Soccorre e allegro l’ama:
Per lui curva la vasta mèsse d’oro
Freme e la falce chiama.
Egli alto ride al vomero che splende 5
In tra le brune zolle
Umido, mentre il bue lento discende
Il risolcato colle.
Sotto il velo de’ pampini i gemmanti
Grappoli infiamma e indora, 10
E a gli ebri de l’autunno ultimi canti
Mesto sorride ancora.
Egli de la città fra i neri tetti
Un suo raggio disvia,
E a la fanciulla va che i giovinetti 15
Dí nel lavoro oblia,
E una canzon di primavera e amore
Le consiglia; a lei balza
Il petto, e ne la luce il canto e il cuore,
Come lodola, inalza. 20
Ma tu, luna, abbellir godi co ’l raggio
Le ruine ed i lutti;
Maturar nel fantastico viaggio
Non sai né fior né frutti.
Dove la fame al buio s’addormenta, 25
Tu per le impòste vane
Entri e la svegli, a ciò che il freddo senta
E pensi a la dimane.
Poi su le guglie gotiche ti adorni
Di lattëi languori, 30
E civetti a’ poeti perdigiorni
E a’ disutili amori.
Poi scendi in camposanto: ivi rinfreschi
Pomposa il lume stanco,
E vieni in gara con le tibie e i teschi 35
Di baglior freddo e bianco.
Odio la faccia tua stupida e tonda,
L’inamidata cotta,
Monacella lasciva ed infeconda,
Celeste päolotta. 40
Settembre 1869.