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Giosuè Carducci
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  • LIBRO VI.
    • LXXIX.       FAIDA DI COMUNE
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LXXIX.       FAIDA DI COMUNE

Manda a Cuosa in val di Serchio,

Pisa manda ambasciatori:

Del comun di santa Zita

Ivi aspettano i signori.

 

Ecco vien Bonturo Dati,                                              5

Mastro in far baratterie:

Ecco Cino ed ecco Pecchio,

Che spazzarono le vie:

 

Ecco il Feccia ed ecco il Truglia,

Detti ancor bocche di luccio:                            10

Il miglior di tutti è Nello,

Merciaiuol popolaruccio.

 

Tutti a nuovo in bell’arnese,

Col mazzocchio e con la spada:

Il fruscío de le lor séte                                     15

Empie tutta la contrada.

 

Il fruscío de le lor séte

Chiama il popolo a raccolta:

Gran dispregio han su le ciglia:

Parlan tutti in una volta.                                               20

 

Ma Banduccio di Buonconte,

Grave d’anni e piú di gloria

(Tre ferite ebbe di punta,

Due di mazza a la Meloria),

 

Stando a capo de i pisani,                                           25

Come vecchio e maggior deve,

Fatto pria cenno d’onore,

Cosí disse onesto e breve.

 

Vincitori , ma stanchi

Di contese e cristïani,                                       30

Noi veniamo a segnar pace

Colucchesi, noi pisani.

 

Render Buti, Avane, Asciano,

Prometteste: or ce li date.

E viviam, fratelli, in pace,                                             35

Se viviamo in libertate. –

 

Qui Bonturo si fa innanzi

Tra i lucchesi ambasciatori

Di tre passi, e parla adorno

Con retorici colori.                                                      40

 

Bel castello è Avane, e corte

Fu de i re d’Italia un giorno.

Vi si sente a mezza notte

Pequerceti un suon di corno.

 

Vi si sente a mezza notte                                             45

La real caccia stormire,

Dietro ad una lepre nera

Un caval nero annitrire.

 

Perché Astolfo longobardo

D’una lepre ebbe contesa                                            50

Con l’abate Sighinulfo,

Qual de’ due l’avesse presa:

 

Onde il re venuto in ira

Trasse in faccia al santo abate

Una mazza, e tutte gli ebbe                                          55

Le mascelle sgretolate.

 

Gran ricordi, e, come a seggio

Di marchese, a Lucca grati.

Pure Avane ed i suoi boschi

Noi vogliam che vi sian dati.                            60

 

Brutto borgo è Buti: a valle

Tra le rocce grige e ignude

Il Riomagno brontolando

Va di Bientina al palude.

 

Ma su alto oh come belli                                             65

D’ubertà ridono i clivi,

Ma su alto oh come lieti

Ne l’april svarian gli ulivi!

 

Bacchian li uomini le rame,

Le fanciulle fan corona,                                               70

E di canti la collina

E di canti il pian risona,

 

Mentre pregni d’abondanza

Ispumeggiano i frantoi

Scricchiolando. Il ricco Buti                                         75

Noi cediam, pisani, a voi.

 

Ma d’Asciano in van pensate:

Quando a voi lo conquistammo,

Su le torri del castello

Quattro specchi ci murammo,                          80

 

A ciò che le vostre donne,

Quando uscite a dameggiare,

Negli specchi dei lucchesi

Le si possan vagheggiare. –

 

E qui surse tra i lucchesi                                              85

Uno sconcio suon di risa.

A i pugnali sotto i panni

Miser mano quei di Pisa.

 

Ma Banduccio di Buonconte

Con un cenno di comando                                           90

Frenò l’ire, e, su i lucchesi

Fieramente riguardando,

 

– Otto giornidisse, e tese

Contro Lucca avea le mani, –

E vedrete quali specchi                                                95

Han le donne de i pisani. –

 

Sette giorni: e a Pisa, in ponte,

Tra gli albor crepuscolari,

Era accesa una candela

Di sol dodici denari.                                                    100

 

Stava presso la candela,

Tremolante nel bagliore,

Copennoni del comune

A cavallo un banditore.

 

E sonava a piú riprese                                     105

De la tromba, e urlava forte:

Viva il popolo di Pisa

A la vita ed a la morte!

 

Cittadini di palagio,

Mercatanti e buoni artieri;                                            110

E voi conti di Maremma

Da i selvatici manieri;

 

Voi di Corsica visconti,

Voi marchesi de’ confini;

Voi che re siete in Sardegna                                        115

Ed in Pisa cittadini;

 

Voi che in volta dal levante

Mainaste or or la vela:

Pria che arrossi la Verruca

E si spenga la candela,                                                120

 

Fuori porta del Parlascio,

Su, correte arditamente!

Su, su, popolo di Pisa,

Cavalieri e buona gente!

 

Fuori porta del Parlascio,                                            125

Con gran cuore, a lancia e spada!

Uguccion de la Faggiola

Messo ha in punto la masnada.

 

Tutto ferro l’ampio busto,

Ed il grande capo ignudo,                                            130

Sta su ’l grande caval bianco

E imbracciato ha il grande scudo,

 

Che ben quattro partigiane

Regge, e, come fosser ceci,

De’ lucchesi i verrettoni                                               135

Regge infitti a dieci a dieci. –

 

Cosí grida il banditore,

E la gente accorre armata.

Va col sole di novembre,

Va la fiera cavalcata.                                                   140

 

Va per grige irsute stoppie

Da la brina inargentate,

Va per languidi oliveti,.

Va per vigne dispogliate.

 

Forte odora per le ville                                                145

La vendemmia già matura:

Ahi, quest’anno san Martino

la mala svinatura!

 

O lucchesi, il vostro santo

Non è piú, mi par, con voi.                                          150

Il pisan cacciasi avanti

Contadini e carri e buoi,

 

E battendo ed uccidendo

Corre il misero paese;

Fugge innanzi a quella furia,                                         155

Fugge il popolo lucchese.

 

Cosí giunge a San Friano

La feroce cavalcata.

Lucca dietro le sue torri

Teme l’ultima giornata.                                                160

 

I pisani oltre le mura

Gittan faci e verrettoni.

Togli su, pantera druda,

Togli su questi bocconi.

 

Tali specchi, o Lucca bella,                                         165

Pisa manda a le tue donne: –

E rizzaron su la porta

Due lunghissime colonne;

 

E due specchi in vetta in vetta,

Grandi e grossi come bótti,                                          170

V’appiccarono: ed intorno

Menan balli e dicon motti.

 

Ma Tigrin de la Sassetta,

Faccia ed anima cattiva,

Trasse a corsa pecapelli                                            175

Un lucchese che fuggiva,

 

E la spada per le reni

Una volta e due gli fisse;

Tinse il dito entro quel sangue,

Su la porta cosí scrisse:                                               180

 

Manda a te, Bonturo Dati,

Che i lucchesi hai consigliati,

Da la porta a San Friano

Questo saluto il popolo pisano.

 

Marzo 1875.

 




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