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Giosuè Carducci
Rime nuove

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  • LIBRO V.
    • LXXII.        DAVANTI SAN GUIDO
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LXXII.        DAVANTI SAN GUIDO

I cipressi che a Bólgheri alti e schietti

Van da San Guido in duplice filar,

Quasi in corsa giganti giovinetti

Mi balzarono incontro e mi guardâr.

 

Mi riconobbero, e – Ben torni omai –              5

Bisbigliaron vèr me co ’l capo chino –

Perché non scendi? perché non ristai?

Fresca è la sera e a te noto il cammino.

 

Oh sièditi a le nostre ombre odorate

Ove soffia dal mare il maestrale:                                  10

Ira non ti serbiam de le sassate

Tue d’una volta: oh, non facean già male!

 

Nidi portiamo ancor di rusignoli:

Deh perché fuggi rapido cosí?

Le passere la sera intreccian voli                                  15

A noi d’intorno ancora. Oh resta qui!

 

– Bei cipressetti, cipressetti miei,

Fedeli amici d’un tempo migliore,

Oh di che cuor con voi mi resterei –

Guardando io rispondeva – oh di che cuore!    20

 

Ma, cipressetti miei, lasciatem’ire:

Or non è piú quel tempo e quell’età.

Se voi sapeste!… via, non fo per dire,

Ma oggi sono una celebrità.

 

E so legger di greco e di latino,                                    25

E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú;

Non son piú, cipressetti, un birichino,

E sassi in specie non ne tiro piú.

 

E massime a le piante. – Un mormorio

Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,                          30

E il dí cadente con un ghigno pio

Tra i verdi cupi rosëo brillò.

 

Intesi allora che i cipressi e il sole

Una gentil pietade avean di me,

E presto il mormorio si fe’ parole:                                35

– Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se’.

 

Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse

Che rapisce de gli uomini i sospir,

Come dentro al tuo petto eterne risse

Ardon che tu né sai né puoi lenir.                                 40

 

A le querce ed a noi qui puoi contare

L’umana tua tristezza e il vostro duol.

Vedi come pacato e azzurro è il mare,

Come ridente a lui discende il sol!

 

E come questo occaso è pien di voli,               45

Com’è allegro de’ passeri il garrire!

A notte canteranno i rusignoli:

Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;

 

I rei fantasmi che da’ fondi neri

De i cuor vostri battuti dal pensier                                50

Guizzan come da i vostri cimiteri

Putride fiamme innanzi al passegger.

 

Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,

Che de le grandi querce a l’ombra stan

Ammusando i cavalli e intorno intorno              55

Tutto è silenzio ne l’ardente pian,

 

Ti canteremo noi cipressi i cori

Che vanno eterni fra la terra e il cielo:

Da quegli olmi le ninfe usciran fuori

Te ventilando co ’l lor bianco velo;                              60

 

E Pan l’eterno che su l’erme alture

A quell’ora e ne i pian solingo va

Il dissidio, o mortal, de le tue cure

Ne la diva armonia sommergerà. –

 

Ed io – Lontano, oltre Apennin, m’aspetta                   65

La Tittí – rispondea –; lasciatem’ire.

È la Tittí come una passeretta,

Ma non ha penne per il suo vestire.

 

E mangia altro che bacche di cipresso;

Né io sono per anche un manzoniano               70

Che tiri quattro paghe per il lesso.

Addio, cipressi! addio, dolce mio piano!

 

– Che vuoi che diciam dunque al cimitero

Dove la nonna tua sepolta sta? –

E fuggíano, e pareano un corteo nero               75

Che brontolando in fretta in fretta va.

 

Di cima al poggio allor, dal cimitero,

Giú de’ cipressi per la verde via,

Alta, solenne, vestita di nero

Parvemi riveder nonna Lucia:                           80

 

La signora Lucia, da la cui bocca,

Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,

La favella toscana, ch’è sí sciocca

Nel manzonismo de gli stenterelli,

 

Canora discendea, co ’l mesto accento                        85

De la Versilia che nel cuor mi sta,

Come da un sirventese del trecento,

Piena di forza e di soavità.

 

O nonna, o nonna! deh com’era bella

Quand’ero bimbo! ditemela ancor,                              90

Ditela a quest’uom savio la novella

Di lei che cerca il suo perduto amor!

 

– Sette paia di scarpe ho consumate

Di tutto ferro per te ritrovare:

Sette verghe di ferro ho logorate                                  95

Per appoggiarmi nel fatale andare:

 

Sette fiasche di lacrime ho colmate,

Sette lunghi anni, di lacrime amare:

Tu dormi a le mie grida disperate,

E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. –                      100

 

Deh come bella, o nonna, e come vera

È la novella ancor! Proprio cosí.

E quello che cercai mattina e sera

Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,

 

Sotto questi cipressi, ove non spero,                            105

Ove non penso di posarmi piú:

Forse, nonna, è nel vostro cimitero

Tra quegli altri cipressi ermo là su.

 

Ansimando fuggía la vaporiera

Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;                    110

E di polledri una leggiadra schiera

Annitrendo correa lieta al rumore.

 

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo

Rosso e turchino, non si scomodò:

Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo    115

E a brucar serio e lento seguitò.

 

23-26 Decembre 1874.

 




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