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Giosuè Carducci
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  • LIBRO VI.
    • LXXVI.       LA LEGGENDA DI TEODORICO
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LXXVI.       LA LEGGENDA DI TEODORICO

Su ’l castello di Verona

Batte il sole a mezzogiorno,

Da la Chiusa al pian rintrona

Solitario un suon di corno,

Mormorando per l’aprico                                            5

Verde il grande Adige va;

Ed il re Tëodorico

Vecchio e triste al bagno sta.

 

Pensa il dí che a Tulna ei venne

Di Crimilde nel conspetto                                            10

E il cozzar di mille antenne

Ne la sala del banchetto,

Quando il ferro d’Ildebrando

Su la donna si calò

E dal funere nefando                                                   15

Egli solo ritornò.

 

Guarda il sole sfolgorante

E il chiaro Adige che corre,

Guarda un falco roteante

Sovra i merli de la torre;                                              20

Guarda i monti da cui scese

La sua forte gioventú,

Ed il bel verde paese

Che da lui conquiso fu.

 

Il gridar d’un damigello                                                25

Risonò fuor de la chiostra:

– Sire, un cervo mai sí bello

Non si vide a l’età nostra.

Egli ha i piè d’acciaro a smalto,

Ha le corna tutte d’òr. –                                              30

Fuor de l’acque diede un salto

Il vegliardo cacciator.

 

– I miei cani, il mio morello,

Il mio spiedo – egli chiedea;

E il lenzuol quasi un mantello                            35

A le membra si avvolgea.

I donzelli ivano. In tanto

Il bel cervo disparí,

E d’un tratto al re da canto

Un corsier nero nitrí.                                                   40

 

Nero come un corbo vecchio,

E ne gli occhi avea carboni.

Era pronto l’apparecchio,

Ed il re balzò in arcioni.

Ma i suoi veltri ebber timore                                        45

E si misero a guair,

E guardarono il signore

E no ’l vollero seguir.

 

In quel mezzo il caval nero

Spiccò via come uno strale,                                         50

E lontan d’ogni sentiero

Ora scende e ora sale:

Via e via e via e via,

Valli e monti esso varcò.

Il re scendere vorria,                                                   55

Ma staccar non se ne può.

 

Il piú vecchio ed il piú fido

Lo seguia de’ suoi scudieri,

E mettea d’angoscia un grido

Per gl’incogniti sentieri:                                                60

– O gentil re de gli Amali,

Ti seguii ne’ tuoi bei dí,

Ti seguii tra lance e strali,

Ma non corsi mai cosí.

 

Teodorico di Verona,                                                  65

Dove vai tanto di fretta?

Tornerem, sacra corona,

A la casa che ci aspetta?

– Mala bestia è questa mia,

Mal cavallo mi toccò:                                      70

Sol la Vergine Maria

Sa quand’io ritornerò. –

 

Altre cure su nel cielo

Ha la Vergine Maria:

Sotto il grande azzurro velo                                         75

Ella i martiri covria,

Ella i martiri accoglieva

De la patria e de la fé;

E terribile scendeva

Dio su ’l capo al goto re.                                             80

 

Via e via su balzi e grotte

Va il cavallo al fren ribelle:

Ei s’immerge ne la notte,

Ei s’aderge in vèr le stelle.

Ecco, il dorso d’Apennino                                           85

Fra le tenebre scompar,

E nel pallido mattino

Mugghia a basso il tósco mar.

 

Ecco Lipari, la reggia

Di Vulcano ardua che fuma                                         90

E tra i bómbiti lampeggia

De l’ardor che la consuma:

Quivi giunto il caval nero

Contro il ciel forte springò

Annitrendo; e il cavaliero                                             95

Nel cratere inabissò.

 

Ma dal calabro confine

Che mai sorge in vetta al monte?

Non è il sole, è un bianco crine;

Non è il sole, è un’ampia fronte                                   100

Sanguinosa, in un sorriso

Di martirio e di splendor:

Di Boezio è il santo viso,

Del romano senator.

 

Marzo 1884.

 




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