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Giosuè Carducci
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  • LIBRO VI.
    • LXXXI.       A VITTORE HUGO
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LXXXI.       A VITTORE HUGO

(XXVII febbraio MDCCCLXXXI).

 

Da i monti sorridenti nel sole mattutino

Scende l’epos d’Omero, che va fiume divino

Popolato di cigni pe ’l verde asiaco pian.

Sorge aspra la tragedia d’Eschilo nel fatale

Orror, fuma e lampeggia, e freme e tuona, quale          5

Sovra il mar di Sicilia per la notte un vulcan.

 

L’ode olimpia di Pindaro, aquila trionfale,

Distende altera e placida il remeggio de l’ale

Nel fulgente meriggio su i fòri e le città.

Tra quei libri di canti, nel mio studio, o Vittore,            10

La tua canuta effige, piegata nel dolore

La profetica testa su la man destra, sta.

 

Pensi i figli o la patria? pensi il dolore umano?

Non so; ma quando, o vate, raccolgo in quell’arcano

Dolore gli occhi e il cuor,                                             15

Scordo i miei danni antichi, scordo il recente danno.

E rammemoro gli anni che fûro e che saranno

E ciò che mai non muor.

 

Colsi per l’Appia via sur un tumulo ignoto

E posi a la tua fronte, segnacol del mio vóto,    20

Un ramuscel d’allòr.

Poeta, a te il trionfo su la forza e su ’l fato!

Poeta, co ’l lucente piede tu hai calcato

Impero e imperator!

 

Chi novera a te gli anni? che cosa è a te la vita?           25

Tu di Gallia e di Francia sei l’anima infinita,

Che al tuo gran cuor s’accolse per i secoli a vol.

In te l’urlo de’ nembi su la britanna duna,

E i sogni de’ normanni piani al lume di luna,

E l’ardor del granito di Pirene erto al sol.                     30

 

In te la vendemmiante sanità borgognona,

Il genio di Provenza che armonie greche suona,

L’estro che Marna e Senna gallico limitò.

Tu vedevi i tettòsagi carri al grand’Ilio intorno,

Udivi in Roncisvalle del franco Orlando il corno,          35

Ragionavi a Goffredo a Baiardo a Marceau.

 

Come quercia druidica sta il tuo fatal lavoro.

Biancovestite muse taglian con falce d’oro

Del sacro visco il fior.

Da’ soleggiati rami pendon l’armi de gli avi,      40

Pendon l’arpe de’ bardi; ma l’usignol ne’ cavi

Scudi canta d’amor.

 

Danzan le figlie a l’ombra, del maggio tra i susurri,

E i fanciulletti guardan con i grandi occhi azzurri,

Sparsi i capelli d’òr;                                                    45

Però ch’ardua la vetta si perde ne la sera,

E vi passa per entro co’ lampi e la bufera

Il dio vendicator.

 

Poeta, su ’l tuo capo sospeso ho il tricolore

Che da le spiaggie d’Istria da l’acqua di Salvore          50

La fedele di Roma, Trieste, mi mandò.

Poeta, la Vittoria di Brescia a te d’avante

Ne la parete dice – Qual nome e qual fiammante

Anno nel sempiterno clipeo descriverò? –

 

Passan le glorie come fiamme di cimiteri,                      55

Come scenari vecchi crollan regni ed imperi:

Sereno e fiero arcangelo move il tuo verso e va.

Canta a la nuova prole, o vegliardo divino,

Il carme secolare del popolo latino;

Canta al mondo aspettante, Giustizia e Libertà.            60

 

27 Febbraio 1881.

 




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