I
IL MIO SCRITTOIO
... c'est
la destinée des portraits. Il ne font battre qu'un seul cœur, et quand ce cœur
bat plus, il faut les effacer.
A. DE VIGNY
Königin Marie,
die vierte Meines Herzens, höre jetze: Manche die vor dir regierte Wurde
schmählich abgesetzt.
H. HEINE
Non oso
scommettere ma giurerei d'esserci più caos, molto più, sul mio tavolino che nell'amministrazione
italiana: carte scritte, da scrivere e geografiche; armi bianche e da fuoco;
oggetti di scrittoio; capi di vestiario; libri e libercoli; occhiali e
cannocchiali; mille cosette stravaganti vi sono confusissimamente
frammischiate: e quantunque volte mi accade di cercare o questo o quello,
travolgo ogni cosa in guisa da far maggiore il disordine, se fosse possibile.
Altrimenti, se tutto fosse ordinato, sistemato e classificato, non saprei
lavorare, non mi verrebbe un pensiero. Quando, dopo un viaggetto, un'assenza,
riprendo il mio solito posto, per due o tre giorni non mi riesce di combinar
nulla, finché a furia di scartabellar libri, di scarabocchiar cartuscelle, di
scaricar le tasche e soprattutto di rimuginare l'accumulato non abbia ristabilito
l'amico scompiglio. Che piacevoli riscontri, quante care sorprese m'apparecchia
quel garbuglio! Un sedicente barone ed effettivo camorrista si trova per la
prima volta lì fra le palle senza sgattaiolarsela: vero è che vi si trova solo
in effigie. Posando una scatola di compassi rompo per isbaglio una bottigliuzza
d'acqua di Colonia sotto alla quale trovo de' quattrini dimenticati, e lo
strano si è che avevano a destra un direttore delle bonifiche, a sinistra un
segretario di dittatura e né l'uno né l'altro me li ha rubati: ma bisogna pur
dire che i loro ritratti sono in medaglione, cioè moncherini, altrimenti, chi
sa! centimani al sacchetto, forse me l'avrebbero fatta anche dipinti.
Prendo il glossario sanscrito per riscontrare se è vero che l'etimologia di
Aleardi sia ali, scorpione ed ardana, seccatore, e scopro una
rosa ora secca, ma che fu fresca, ora disprezzata ma che fu richiesta con
lagrime negli occhi...
Per esempio,
ier l'altro facendo uno spoglio delle carte più inutili, inciampai la versione
della Messiade scombiccherata da un cotal Sebastiano Barozzi. Ero di malumore,
e poi il troppo è troppo; che un messere stampi scempiaggini di propria
fattura, transeat; ma che s'impicci a tradurre dal tedesco quelle che i
tedeschi medesimi non leggono più, è una impertinenza. Che un Quedlimburghese
dello scorso secolo parafrasasse nei più disarmonici esametri che immaginar si
possano le prosaiche menzogne dell'eufemisticamente così detto Evangelio: si
condona all'epoca, alla patria, al pessimo gusto, alla disonesta professione
(era prete), ma che un nostro compaesano e contemporaneo sia tanto da meno o
menno da leggere e volgarizzare queste minchionerie bibliche, affededdio che
meriterebbe una buona sculacciata, perché i lattanti d'ingegno non vogliono esser
puniti altrimenti che i lattanti di età. Dunque stava per buttar quello
scartafaccio nella cesta dei fogli inutili che poi soglio vendere al
pizzicagnolo, quando nello scuoterlo ne caddero cinque fotografiuzze.
Erano cinque
ritrattini, di donna; la medesima in tutti, evidentemente; eppure tutt'altra in
ciascuno. Avresti detto che s'era compiaciuta a farsi riprodurre in
atteggiamenti diversi, con espressione e carattere differente, conscia di non
poter non parere sempre e comunque bella. Povera amica! io la soprannominai
Merope, perché un giorno presentandomi la figlioletta, recitò con un mesto
sorriso quel verso d'Alfieri:
Di
sventurate nozze ultimo pegno.
E se la
Merope alfieriana già provetta con una parola benigna poteva indurre un
usurpatore a risparmiare il sangue dell'erede legittimo, qual meraviglia se
l'immagine della mia Merope m'inducesse a perdonare al Barozzi? Mi posi innanzi
e considerai lungamente quei cinque ricordi, e mi piombò sull'animo un cumulo
di reminiscenze, amare e dolci; e mi allegrai d'antiche letizie e mi rammaricai
d'antichi pianti. Ah! quando si è amato una davvero, ma proprio davvero, non si
può mai guarir per modo che al vedersela d'improvviso davanti non si provi
turbamento alcuno: così una buona ferita, come questa che ho addosso, ancorché
perfettamente risanata, dà sempre fastidio quando vuol piovere, duole
acutamente se la tocchi troppo e da rozzo.
Guardala qui!
Svelta svelta, ma bassina; in abito di seta nera con lo strascico e poi de'
coturnetti guarniti di lacrime di vetro sull'attaccatura delle maniche. Ha due
nastri di velluto ne' capegli e qualche ciocchetta rubella scherza sulle tempia
e sulla fronte. Di profilo, con le braccia intrecciate ed appoggiate alla
spalliera d'un seggiolone, spinge distrattamente l'occhio innanzi e si vede che
guarda senza vedere. La persona riempie così adeguatamente il busto che ti par
quasi di scorgere que' fremiti involontari de' muscoli, tanto frequenti nelle
nervose. La lunga veste increspandosi per terra fa un'ombra fortissima, la maggiore
nel ritrattuzzo, sicché la figurina spicca per chiaro ed allo spettatore che
non si rende conto del dove siano i piedi sembra accampata in aria, qualcosa
d'etereo. Questo ritratto è una poesia.
Nel secondo
ch'è un medaglione. non abbiamo che testa e busto, ma più in grande assai; e si
veggono meglio i particolari dell'acconciatura che è la stessa. I capelli un
po' scompigliati (era un suo vezzo) ed ha di quegli orecchini che chiamano
pompeiani: tre cilindretti d'oro, diversi di lunghezza, saldati fra loro e
disposti orizzontalmente come pure un regoletto quadrangolare tempestato di
turchesi e dal quale pendono tre altri cilindretti uguali. Il colletto
inamidato fa spiccare per tono il collo che invita a' baci e le punte ricamate
a foglie della cravattina sembrano indicare le bellezze nascose, come una
pietra, un palo indica a' viaggiatori nel deserto dov'è nascosto un pozzo che
può dissetarli. S'indovina che è seduta, la persona e soprattutto la testa un
po' sporta ed inclinata, l'occhio intento, una rughetta all'angolo della bocca:
come se ascolti e si compiaccia di udire e sia benigna, ma un non so che, forse
un dubbio, un sospetto, le tolga di consentire.
Chi è mai
codesta contadinotta vestita come la Lucia de' Promessi sposi? È dessa;
con tutti quegli spilloni d'argento in capo, con quella faccia patita, sembra
una delle sante immortalate da' pittori, rozze nelle vesti, gentilissime di
volto, circondate da raggi. La mano s'appoggia su d'una panierina di frutta: il
guarnellino succinto mostra le gambe ignude; al piede non ha che gli zoccoli.
Ah quelle gambette, quei ditini, quella molle curva che gli anatomici con
voluttuosa metafora chiaman collo del piede, farebbero sospirare
chiunque, anche la Statua del Commendatore, figuratevi me! La fotografia non
val nulla, fu eseguita in una povera cittaducola da un fotografo ambulante; ma
quando mi venne donata, ne sognai l'intera notte. E quando il sogno
rappresentandomi troppo vivacemente la vicinanza della diletta, faceva sì ch'io
mi riscuotessi col cuore in tumulto, allora (mi vergogno a dirlo) tratto di
sotto al capezzale questo ritrattino dal quale, proprio come i bimbi fanno per
qualche nuovo balocco, non m'era voluto separar manco dormendo, vi stampavo un
subisso di baci nascondendomi sotto le lenzuola, quasi che qualcuno m'avesse
potuto vedere nella solitudine e nell'oscurità della mia cameretta. Ed era
geloso del fotografo: «Per meno di questo mi mandarono al manicomio.!» soleva
dirmi un amico.
Povera Merope
mia! Eccola qua di prospetto con le braccia al solito incrociate e s'appoggia
sul davanzale d'una balaustra di legno. I capelli ondati si rammucchiano da'
due lati, ma senza grufi, senza imbottiture o trecce false; si vede che non è
stata lungo tempo allo specchio, che l'è bastato ravviarsi un pochino in fretta
in fretta la capigliatura. Agli orecchi sfolgorano due buccolette di diamanti
dalle quali pendono due grosse lacrime nere: quella del sinistro per lieve
inclinazione del capo poggia graziosamente sulla spalla. L'abito poi è
semplicissimo: un ampio camice più che veste di lana nera, ristretto
negligentemente da una cintura di cuoio con fibbia d'acciaio. Si vede che ha da
fare, che non può sciupar le ore a lisciarsi ed azzimarsi; che adesso per una
combinazione strana ha un momento d'ozio e si riposa e fantastica; ma che il
lavoro, le cure che riprenderà subito, subitissimo le son care e gradite più
che i pensieri importuni i quali l'assalgono nella quiete. È affabilmente
seria, dignitosamente paga, come chi conscia di ben fare, ma consapevole che
gliene verrà male, persevera e chiude gli occhi
all'avvenire.
Ed in
quest'ultima immagine diresti sopraggiunto quell'avvenire, e ch'essa
arditamente lo sfida. Eccola non più solo elegante, come non può non esser sempre,
ma sfarzosa; il capo alto, l'orecchio scoperto, lo sguardo freddo, il naso
impercettibilmente raggrinzato, ed il labbro ed anche il mento lieve increspati
da un sogghigno. Gelida, ritta, immobile che pare un ghiaccio, distratta da
pensieri amari forse, ma che pur non vorrebbe discacciare perché trova una
amara compiacenza nel dolore stesso, che la fa sanguinare; essa non mostra più
vestigio dell'antica benevolenza.
Queste cinque
fotografiuzze rappresentano altrettanti episodi di una storia che racconterò,
quantunque possa costarmi. Si direbbe che come alcune celeberrime attrici si
fanno fotografare nelle mosse più spiccate de' cinque atti di una tragedia in
cui maggiormente vennero applaudite, così la mia signora nelle cinque
principali scene del nostro breve dramma, che seguendo l'uso degli autori di
produzioni spettacolose e nuovissime battezzeremo così:
QUADRO PRIMO.
Il supplizio di Tantalo ovvero il primo bacio.
QUADRO
SECONDO. Il tentativo notturno.
QUADRO TERZO.
Lo squillo delle trombe ossia la Dama travestita.
QUADRO
QUARTO. Il ferito delle patrie battaglie.
QUADRO
QUINTO. L'addio senza lacrime.
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