IV
SOGNO
FANTASTICO
... velut aegri somnia, vanae
Fingentur
species, ut nec pes nec caput uni Reddatur formae.
HORAT.
Mi pareva d'essere
barcaiuolo e di starmene sul molo che in Napoli separa il porto militare dal
mercantile ed ha congiunto alla terraferma l'isolotto sul quale prima sorgeva
la lanterna. Io stava lì scalzo e col berretto frigio in capo, noncurante del
traffico che faceva quella solita folla chiassosa, noncurato dagli infiniti che
andavano e venivano, in zucca e in capelli o col capo coverto da nicchi,
berrette, cheppì, cilindri, paglie, cappellini e cocolle. Li seguiva con
l'occhio senz'avvertirli, pensando a tutt'altro, non so più che; stava tanto
soprappensieri che le carrozze, i carriaggi ed i facchini sopraccarichi mi
avrebbero schiacciato le mille volte, se non avessero curato essi di cansar me
che non abbadava ad evitarli. In questa, mi si avvicina una giovinetta; e la
riconobbi rabbrividendo: era un volto ben ricordato, quantunque da lunga pezza
non l'avessi rivisto, dacché la seppellimmo lontana dalla sua cara e
indimenticabile Venezia. Più si approssimava e più cresceva il raccapriccio:
non era una che le somigliasse, era proprio dessa, tale e quale, non
invecchiata punto, fiorente ancora della gioventù, che l'abbelliva quando
soleva recarsi me fanciullo sulle ginocchia, ed io provava que' primi,
soavissimi palpiti in cui suole manifestarsi l'istinto del sesso. Per qual
forza d'incanto tornava lì rediviva innanzi agli occhi miei con lo stesso
sorriso; con quel suo sguardo timido; atteggiando e piegando il corpo come
allora; scuotendo i fioccagli e le belle ciocche ricciute come sempre; portando
le vesti. i gioiellucci di cui l'aveva vista verginalmente insuperbire? Eppure
era trasfigurata da quel lungo sonno dormito nel sepolcro, in esilio: quando
mai era andata così sola, così pallida, così muta? dov'era più l'antica
vivacità della fisonomia, quel brio nel garrire? Mi si appropinquò senza far
motto, e poi ristette e mi guardò fiso in fronte, come fanno quando pretendono
che ti sovvenga ciò che non piace loro di significarti a voce; e mi porse una
canestrina che portava sotto al braccio sinistro riboccante de' fiori più
vaghi. E vedendo ch'io rimaneva immobile cominciò a rivoltolarli con la destra.
Io guardava attento: sotto quelle spoglie d'un intero giardino, in fondo al
cestello, riposavano de' pugnali senza fodero. Quando m'ebbe visto tôrne il più
aguzzo e ripormelo così nudo sotto l'abito, appuntato nella camicia nel modo
che una donna appunterebbe lo spillone nello scialle, si chinò per raccattare
una coppia di rose cadute a terra e se ne partì dileguandosi al pari di tutta
la moltitudine che poco prima ingombrava il molo. Senza ch'io me n'accorgessi
le strade si eran fatte deserte, l'aria oscura, in cielo splendeva una luna
stupenda, ed io sentiva sul cuore la dolce pressione della lama, gelida sì, ma
che pareva riscaldarsi a' miei battiti. Un'arma fedele è come una donna amata.
Io mi credeva
rimasto solo sullo spazzo, ma levando gli occhi vidi pochi passi più in là un
ignoto con tabarro nero e maschera nera, con un cappellaccio nero calato fin
sugli occhi, che stando cortese si appoggiava come me ad un pilastro circondato
da gomene, senza fiatare, senza dar crollo, atteggiandosi ad astratto. Pure io
sentiva che aveva fissi in me gli occhi scintillanti, e quell'attenzione
m'impacciava. Rimpiangeva la luce del giorno e la calca tumultuosa che avrei
dette allontanate per qualche intento secreto da quell'abbrunato, il quale
m'ispirò lì per lì una sformatissima ed inesplicabil ripugnanza. Ed ecco una
donna velata venir passeggiando alla nostra volta, lentamente, posatamente. Era
una persona certo a me nota, ma per stillarmi il capo che io facessi, non
rammentava quando avessi avuto seco domestichezza: se fosse stata la compagna
d'un'epoca della mia vita, se fosse stata una superba intravveduta appena
mentre mi sfolgorava davanti senza ch'io avessi neppur tempo di pensare a
stendere la mano per trattenerla, o se mi fosse solo apparsa com'adesso,
gentile visitatrice de' miei sogni. Giunta che ci fu presso il mascherato le si
trasse familiarmente innanzi, e sottovoce sembrò invitarla ad una gita per
mare: convien dire ch'ella il conoscesse perché gli porse la mano e consentì
accennando col capo. Volevano noleggiarmi ed io mosso da non so che gelosia
nell'osservarla così benevola con l'incognito, indispettito nel vedere che non
dava cenno di riconoscermi in quell'abito dimesso, cercai di dissuaderla
dall'imbarcarsi: pronosticai tempo grosso e forse burrasca, protestai
ripetutamente della fragilità di quel mio schifo, le mormorai più volte
all'orecchio un cave, volli trattenerla pel lembo del vestito mentre
spiccava leggerissima un salto in barca. Non mi diè retta, e raccolte le gonne
fu d'un balzo nel burchiello: lo sconosciuto ammaliava me e lei con que' suoi
occhi fiammeggianti dietro il velluto della maschera.
Salpammo: io
feci invito e preghiera alla donna di sedere accanto a me, che remigava; ma
volle adagiarsi piuttosto presso il mascherato, che seduto al timone aveva
drizzata la navicella fuori del porto con la prua diretta verso l'alto. Io mi
curvava su' remi più del bisogno sforzandomi invano d'afferrare qualche lembo
de' discorsi sommessi che facevano sorridendo e piegandosi l'un verso l'altro
come arboscelli sbattuti dallo scirocco che intrecciano il fogliame: il vento
ne disperdeva ogni vestigio, e solo una volta mi parve d'udirgli dire: tu
sola places. Aveva un bello scervellarmi, almanaccando chi potessero mai
essere que' due lì, di entrambo i quali aveva una mezza idea confusa:
certamente avevo già delle volte parecchie provato sollecitudine per l'una,
avversione per l'altro; e perché avrebbero lei velata la faccia, lui mascherato
il volto, perché si sarebbero guardati dal pronunziare intelligibilmente una
parola, se non avessero temuto ch'io li raffigurassi? Checché arzigogolassi,
risalendo di memoria in memoria, d'epoca in epoca, di fisonomia in fisonomia,
quantunque sempre in sul ricordarmi, sempre lì per lì di spalancare la bocca
gridando: inveni hominem, pure non mi venne mai fatto di mutare in idea
piena e determinata quella mezza idea confusa; e remigava tuttavia, e già
Napoli non era più che una massa nera tempestata di punti scintillanti, simile
ad una chioma bruna ornata di pagliette d'oro; e prendevamo sempre più il
largo.
Uno strido
repentino, della donna, mi scosse: gridava disperatamente protendendomi le
braccia: fer mihi auxilium! ed il velo era caduto ed io la ravvisai, ed
era la Merope mia. Volli mandare indietro i remi, alzarmi e soccorrere: ma non
poteva. I muscoli avevano perduto ogni vigore, quasi colpiti da paralisi, ned
obbedivano più alla volontà; i remi, sembravano saldati sulle palme; un peso
ambascioso m'opprimeva il petto intercettando il respiro; infocato dalla
rabbia, vomitando fiamme dagli occhi intesi, che lacrimavano per la
contenzione, sforzandomi invano di riacquistare la signoria di quelle mie
membra inerti, io doveva somigliare discretamente a' titani schiacciati dal
peso d'una montagna, i quali per puntar che facciano coi gomiti e co' piedi,
stirando la muscolatura, strabuzzando gli occhi, inarcando le spalle,
protendendo il collo, trattenendo il fiato, non avanzano d'un capello. E
guardava, e vedeva la misera dibattersi avvinghiata dallo sconosciuto che
brontolava; moriere, si emiseris vocem. Vedeva ondeggiar la chioma
scapigliata, quella chioma ch'io idolatrava; le vesti scomposte, quelle vesti
che l'avevano sempre pudicamente occultata a' miei sguardi; le frali braccia,
quelle braccia che si provavano male a respingere ed offendere!... Oh quei
gemiti soffocati! il fremer di quelle membra! Io mi struggeva di dar di piglio
nella oscena maschera che faceva scempio della mia diletta, che uccidendo la
mia dolcissima speranza godeva di forza ciò ch'io aveva ambito indarno e mi
disgustava da un'amore dal quale tanto io mi riprometteva. Oh adunghiarlo,
addentarlo, sbranarlo, dilaniarlo! La collera senza sfogo mi soffocava.
Quando fu
quasi sazio e la meschina quasi esanime egli sollevò con un braccio quel bel
corpo penzolante, e come un fanciullaccio suole denudare a penna a penna il
malcapitato uccelletto, le svelse a brano a brano quanto aveva in dosso e
gettava ogni cosa a mano a mano nell'acqua. Ed io riconosceva ad uno ad uno
que' gioielli, ch'ella mi aveva mostrati, quei panni che le aveva visti
indosso, ora guasti come il corpo che avevano adornato, in guisa che appena un
cenciaiuolo li avrebbe raccolti, come essa in quello stato non avrebbe più
potuto far gola che ad un soldataccio ebbro. Povera Merope! e quel barbaro poi
percotendone il seno candidissimo e ficcando fra costola e costola le dita
insanguinate ed adunche, stracciando i muscoli, rompendo l'ossa, le schiantò il
cuore dal petto. La svenuta sollevò il capo, diè un gemito ed irrigidì: così la
bufera risolleva un istante la foglia caduta vizza appiè dell'albero, poi
trascorre e la lascia ricadere nella polvere che la pioggia si accinge a
tramutare in fango. Il crudele, recatosi in pugno quel cuore palpitante, mi
volse il ceffo che la vittima gli aveva smascherato nel parapiglia, e
brontolando con voce lenta: baud obliviscaris, me lo scagliò in faccia.
Riconobbi ad un tratto la voce; era quella ch'io non ho mai udito sonarmi
all'orechio, ma che mi echeggia continuamente nell'animo, sempre, dovunque,
presaga di sciagure, consigliatrice di codardie. Era la voce dell'incubo che
m'incalza sempre senza ch'io possa trovar via da liberarmene, che viene a
sedersi sul mio letto ed a dialogizzar meco nelle tenebre delle lunghe notti
d'insonnio febbrile, ed a ripetermi che tutto sarà indarno, che per consumarmi
ch'io faccia ben potrò rinunziare ad ogni dolcezza della gioventù, ma non mai
conseguire quell'ambiziosa speranza di gloria, primo mio sospiro, ultima mia
brama; ed a dichiararmi che quella sete suscitata in me imprudentemente da'
genitori quando consegnarono Nepote e Plutarco in mano al fanciullino di sette
anni, non sarà spenta mai. E riconobbi anche il ceffo: era il medesimo che
aveva visto ritratto su di una tela d'egregio artista in una delle stanze di
ricevimento della Merope; e che m'aveva spesso inoculati dubbi gelosi senza che
osassi mai arrischiare le domande che avrebbero potuto dissiparli.
Rabbioso più che mai, tentai un conato supremo,
volli immensamente e riebbi quasi per incanto le forze e la libertà. Balzare in
piè, trarmi il pugnale dal petto, scaraventarmi addosso all'omicida,
percuoterlo, ghermirlo, fu tutto un punto. Ned egli mi ricevette mollemente;
m'ebbe avvinghiato e mentre io gli frugava il petto col pugnale, mi sentiva
disarticolar le membra e scricchiolar le ossa per quell'abbracciamento. Nel
divincolarci, la barca prese ad oscillar con violenza; traballammo e non
volendo separarci, non potendo trovar appoggio, si precipitò abbracciati in
mare.
Mi ridestai
tutto ansante, e durai qualche minuto a rientrare in me, a persuadermi che
giaceva sempre nel mio bravo letto e che per ora non c'era pericolo di morir né
soffocato all'Antèo, né annegato all'Icaro. Stesi la mano sotto al guanciale:
v'era il mio portafogli; ne cavai il ritrattino della Merope e gl'impressi un
bacio; poi mi ravvolsi di nuovo nelle coperte e non durai fatica a riappiccar
sonno.
Ed ecco un
nuovo sogno mi venne a tormentare.
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