VII
IL
TENTATIVO NOTTURNO
...Oh quanto, più che il dir mi fora
Grato l'oprar! Ma finché il dì ne giunga
Starommi io dunque
ALFIERI
Quantunque in
primavera, dopo due giornate piovose, la temperatura, co' rapidi movimenti consueti
in paese di montagne, s'era ad un tratto rinfrescata da parer quasi invernale;
il termometro... ma non v'importa, è vero, ch'io registri quanti gradi
appuntino indicava? basti dire ch'eran quanti se ne richiedevano perché non
tornasse punto sgradita una lieta fiammata nel caminetto del solito salottino.
Eravamo insieme, lì, Merope ed io, soli; tutte le visite, dopo un sacco di
pettegolezzi, s'erano ritirate per l'ora tarda, e in casa credo non vegliasse
più alcuno; anche il domestico schiacciava un primo sonnerello sul canapè d'una
lontana anticamera.
Eravamo soli:
ed io amava e chiedeva; ed essa negava. La mia insistenza si fiaccava contro
quella sua caponaggine: la s'ostinava a dirmi no! no! benché convenisse
di amarmi oltre misura (bontà sua!), benché sapesse della prossima nostra
partenza e non mica per un viaggetto di svago! anzi per affrontare quelle
scostumatissime pallottole, le quali senza riguardi, senza distinzione
prostrano valenti e vigliacchi, amati e sgraditi, e non hanno neppur la garbatezza
di fischiare un permette! od uno scusi! prima di romperti il petto, o
storpiarti braccia e gambe. Ed io quasi certo di non tornare illeso perché
deliberato a non fare il prudente, io desiderava (e chi oserebbe chiamar
eccessivo il mio desiderio?) desiderava cogliere in fretta un'ultima voluttà.
Aveva sofferto tanto, che veramente nel congedarmi dalla vita mi sembrava di
poter vantare un mezzo dritto a questo meschino compenso di giacere una
mezz'oretta in braccio alla mia signora. Dubitando per valide ragioni della
possibilità d'una vita postuma pretendeva gustare un'altra volta a larghi sorsi
le dolcezze d'amore; appunto come Leonida ed i suoi trecento vollero
stravizzare insieme la vigilia del combattimento, perché, dicevan essi,
Chi sa se
all'auto munno nce vedimmo?
Chi sa se
all'auto munno nc'è taverna?
E se mai donna fu degno pretesto all'amore, tale affermo
la mia Merope. Miracoloso connubio di belle fattezze e di bella mente, acconcio
ad appagare ogni facoltà dell'amante: il piacere che lo spirito ritrarrebbe da'
suoi colloqui diminuirebbe della brutalità il godimento cavato dal suo corpo
avvenente e la voluttà profferta da quelle membra sarebbe adescamento continuo
e potente a fruire sempre più de' suoi costumi. E queste ed un visibilio d'altre
cose io le ripeteva con le lacrime agli occhi.
Ed ella?
indovinate un po' che m'andava rispondendo! Oh, sfido io ad indovinarlo!
Balbutiva di non so che doveri, di non so quali virtù, di non so quanti
comandamenti umani e divini, d'uno strasecolio di siffatte bubbole! Accidenti!
in quegl'istanti supremi! Prova palpabile d'un'antica mia scoperta, cioè che
quella femmina con tanto ingegno, con tanta avvenenza, celava un difetto: le
mancava il cuore. Ma era troppo tardi oramai per disamarla, troppo tardi! Certe
brame prepotenti non possono guarirsi che dal tempo; ed il tempo appunto ora mi
veniva meno. Alzarsi di tavola con appetito, andarsene dal mondo con un amore
insoddisfatto, è duro.
Non so che
nuovo ticchio di santità le fosse venuto quella sera. Le innocenti familiarità
che ripetute oggi, ripetute domani, lo considerava finalmente come dritti
acquisiti e sperimentava come bisogni, tutte mi dinegava: s'era posta in
sussieguo. Si ritraeva indietro s'io tentava di accoccarle un bacio: nascondeva
la mano, s'io m'ingegnava di stringerla; scostava la poltrona, s'io cominciava
a scherzare con le pieghe dell'abito. Stanco di parlare, e non reggendomi il
cuore di partire, io dispettosamente presi nella pianerina da lavoro un par di
cesoie, e mi posi a trastullarmi con le frange del tappeto verde steso sul
tavolino.
«Badi! non mi
guasti il tappeto: se ha bisogno di tagliuzzar qualcosa se la prenda piuttosto
con questi biglietti di visita» e così dicendo mi porgeva una cestina di carta
intrecciata da lei stessa e piena di biglietti. Ne feci strage per un pezzo,
prescegliendo, già si sa, quelli delle persone che le aveva udito ricordare con
un po' d'amicizia. Essa frattanto, recatosi in mano un bel ventagliuzzo di
legno, con de' fiori da un lato e le iniziali di lei dall'altro, e
nascondendosi la faccia simulava di farsi vento. Una scena muta proprio
incantevole: il caminetto acceso ed il ventaglio!
Non potendone
proprio più (scoppiava) buttai in un cantuccio le forbici ed i ritagliuzzi di
carta; poi le tolsi gentilmente di mano il ventaglio che intascai; e poi le
dissi con un tono flebile. «Fatevi vedere! statemi a sentire! ditemi qualcosa!
Quel maledetto ventaglio mi dà su' nervi. Lo confisco provvisoriamente».
«Confiscatelo
pure, ma rimanete lì, senz'accostarvi, tranquillo».
Questa
freddezza m'inasprì. M'alzai e passeggiando su e giù per la stanza, temo temo
d'averle detto la maggior villania che mai si dicesse a donna. Non presumo
trarne vanto come d'una prodezza, ma l'uomo è così connaturato che quando non
ottiene il desiderato trova opportuno di vituperarlo: «Oh! sissignora, non mi
accosterò: ma parlare posso, o ch'io spero? Permettete?».
«Sapete
quanto mi sia gradita la vostra conversazione».
«Stavolta
forse sarà un po' meno, perché vorrei dirvi quattro verità. È questo il modo di
trattarmi? E dover confessare ch'io non oso piantarvi, come meritereste; ch'io
v'amo sempre e non vi stimo più: stimo più l'ultima femminaccia di trivio, che
si dà senza farsi desiderare; di voi, che vi divertite a farvi desiderare senza
darvi. Veramente, chi pensava ad amarvi? mancavano forse occupazioni e pensieri
in questi momenti supremi? Vi piacque d'essere corteggiata, amata. Benone: ma
bisogna sapere stare al giuoco e pagare lealmente. M'avete sedotto con una
lusinga: ed ora, perché non adempirla? Chi promette, s'obbliga. Questo giuoco
d'amore ha le sue regole anch'esso, bisogna osservarle. Rifiutarsi al pagamento
del debito incorso! Pretendere di sdebitarsi con parolette benigne, con
chiacchiere, con qualche mezza carezza al più al più di tempo in tempo! Altro
vuol essere che questa moneta calante!».
Fortuna ch'io
favellassi così smozzicato e concitato, che la Merope senza dubbio non capiva
il significato d'ogni parola; afferrò bensì il senso del discorso e rispose
pacatamente alla mia furia: «Badate che ora voi m'insultate».
Mi buttai
disteso in una poltrona rispondendo: «Quando crederete ch'io vi offenda, starà
in voi d'indicarmi l'uscio di casa».
Tacemmo
entrambi per qualche minuto, dopo i quali soggiunse: «Se consideraste quanto io
mi son misera, forse avreste rimorso di avermi trattata così».
«Non ho mai
rimorso, io».
«Dirò dunque
rammarico, dispiacenza: è lo stesso. Io soffro».
«Soffro
anch'io, e molto, e pe' vostri rifiuti, per opera vostra».
«Per opera
mia, proprio, Quattr'Asterischi! Osereste affermarlo? Perché non essermi amico
quale io vorrei che foste, come io mi palesai amica a voi? - Ho io colpa ne'
vostri desiderî? Sosterrete ch'io li ho eccitati? Insegnatemi allora in
qual'altra guisa, a me ignota, si possa dimostrare affetto, benevolenza,
amicizia insomma ad un uomo che ci piace in ogni sua parte, tranne quando con
un'insistenza indegna di lui, pretende ciò ch'io non posso accordargli? Potete
rimproverarmi di essere altra in questo punto da quella ch'io sono stata sempre
per voi? Ritratto sillaba delle mie ripetute dichiarazioni? Ho detto prima sì,
e dico ora no? Prima voi m'esaltate a cielo; poi mi precipitate nel
fango: ed io non merito né apoteosi, né contumelie; ma forse un po' di
corrispondenza. Mi sarebbe tanto dolce l'aprirvi l'animo mio, come a fratello;
il non aver più riguardo alla presenza vostra che a quella d'una madre
indulgentissima. S'è detto tanto male de' cavalieri serventi! eppure
rispondevano a un bisogno morale nobilissimo. Facciamo un patto: sarete il mio,
mi avrete tutta, tutta, tranne questo cencio di corpo, che non dovrebbe poi
farvi tanta gola: c'è meglio e s'ha più facilmente. Potrete dire ch'io vi dò
poco, se vi dò tutto, tranne ciò che nessun altro avrà? Vi contentate? Non
m'avvilite fino a questo punto di mostrarmi che di me non v'importa se non in
quanto son buona a procacciarvi qualche minuto secondo di piacere». E diceva
tutta questa roba con voce languida, stanca, non meno commovente delle lacrime
che le tolsero di proseguire.
Io taceva per
non compromettermi, giacché come resistere, domando io? M'era una spina al
cuore il vederla col fazzoletto agli occhi. Vinto da quell'affettuosa dolcezza
le avrei dato ragione, promettendo qualunque cosa; e poi dopo cinque minuti
saremmo stato daccapo. Dunque olio in bocca, ed eseguiva più marce e
contromarce ne' pochi metri quadrati di quel salottino, che non se ne facciano
in un mese al campo di Marte. Parlava graziosamente la mia signora, ma troppi
sofismi. E prima di tutto, capisco bene che la mia fatuità m'aveva potuto
esagerare le promesse della sua civetteria, ma insomma non aveva mica da
trattare con una verginella. Quando io le faceva la corte ell'era in condizione
d'intendere arcichiarissimamente cosa io potessi ripromettermi da lei; e nel
caso strano che ad una donna spiacciano le importunità d'un uomo su questo
capitolo, la dispiacenza non si manifesta co' no, co' mai, anzi
col voltar le spalle al messere e non riceverlo più. Ma dice: amico sì,
amante no; resta a vedere se le due qualità possano scindersi.
Difficilmente, quando la donna è bella: o che canchero d'amicizia sarebbe
quella d'un uomo incapace di desiderare la bellezza che intimamente conosce?
che bischero di amicizia sarebbe quella d'una donna la quale può rifiutare una
preghiera dell'amico che pur le costerebbe tanto poco a far paga? Me ne appello
a Cicerone. La relazione platonica che la Merope voleva fra di noi può aver
luogo tutt'al più con qualche bruttissima, che stomachi, e la cui bellezza
d'ingegno induce a dimenticare la laidezza quando riesci a chiuder gli occhi ed
oppilarti il naso; potrebbe forse avere anche luogo con una fanciulla, giacché
le convenzionì e i pregiudizi sociali fanno sacre per ogni uomo ben educato le
pance delle fanciulle. Ma la maritata non rischia nulla, non c'è paura
d'insegnarle nulla; diamine! un paio di stanze più in là dormiva saporitamente
la prova parlante ch'ella ne sapeva almeno quanto me. E se era stata del
marito, che per confessione sua propria non aveva mai amato, che senza un
briciolo d'affetto, senza ombra di riguardi, l'aveva tanto mal rimunerata della
sua bontà; o perché non dovrebbe essere di chi la stimava e desiderava più che
non può dirsi a parole, insomma di me; quando pure io non destava in lei né
disgusto né antipatia, anzi il contrario com'ella asseriva? Né so perché non
avrei dovuto crederla quando nulla l'obbligava a mentire.
Così
pensando, adocchiai su d'un mobile, la cravattina che la Merope vi avea forse
sbadatamente lasciata; la presi e gliela venni a porre al collo: mi lasciò
fare, ed asciugando una lagrimetta accennò più che non disse un grazie. Ripresi
il mio passeggio, e dopo un altro paio di giri fermandomi nuovamente accanto a
lei, rimisi al posto una ciocca indiscreta che suole caderle sempre sulla
fronte e mi dà sui nervi, non so perché: sorrise come un cielo che si
rasserena. Continuai le mie andate e venute, finché giuntole dinanzi, ristetti;
e gittandomi a terra e stringendole i piedi co' ginocchi, ed abbracciandone la
cintura per ravvicinarmela, mentre la bellissima con le braccia conserte
chinava la testa, quasi avida di accogliere le parole da me mormorate, dissi
presso a poco così: «Perché non esser mia? Credete ch'io possa o voglia
rassegnarmi alla privazione di voi? Ohibò! Né mai, se anche promettessi,
deporrei mai questa speranza, più cara al cuor mio che nol sia al cuore de'
Veneti e de' Tirolesi e degl'Istriani la speranza di congiungersi al Regno
d'Italia. E la speranza, bellezza mia, è una delle tre virtù teologali;
la fede n'è un'altra: ed io ho fede nel vostro ravvedimento. La carità
ossia l'amore sarebbe la terza e maggiore di tutte: voi che siete
cristiana praticatela meco. Dopo avervi goduta m'impegno a rientrare nel grembo
di madama chiesa ed abiurare le mie passate eresie; m'obbligo insomma a far
quante minchionerie vorrete: udir messa, confessarmi, comunicarmi, cresimarmi
ed il canchero. Considerate quanto poco vi ci vorrebbe per salvare un'anima! Si
scherza, eh? un cuore peggio indurato del faraonico. La conversione farebbe
chiasso e probabilmente si discuterebbe di canonizzarvi od almeno beatificarvi.
Allora io assumendo le parti d'avvocato del diavolo, farò una
filippica d'opposizione, mah! tutta scandali, rivelazioni, pettegolezzi,
recriminazioni, personalità; una di quelle diatribe che sconvolgono le
assemble, come i turbini fanno col mare: Beatissimo padre e voi altri
venerabili fratelli, non sarà certamente ch'io neghi, come tutte in costei di
singolar fulgore splendessero le virtù, massime poi fino a quel punto sia stata
caritatevole; ma se sapeste quanto s'era fatta pregare e strapregare! quante
volte diè mortificazioni e ripulse ad un povero mendico d'amore ch'io molto ben
conosco, prima di largirgli qualche elemosinuccia!...».
Debbo
confessare ingenuamente che primeggio fra quanti uomini campano al mondo per la
disadattaggine. Temuto da tutte le padrone di casa, dovunque capito rompo
tazze, travolgo seggiole, straccio vesti, pesto calli, insomma lascio vestigio
del mio passaggio. Debbo sempre avere qualcosa fra le mani ed ogni mio
movimento è una rovina: né Merope era la sola che, seguendo l'esempio degli
antichi i quali sacrificavano diis malis ne noceant, mi offrisse
un diversivo, somministrandomi qualcosa a distruggere, acciò rispettassi il
rimanente. Ma pare che quel tagliuzzamento di carte fosse stato troppo poca
cosa per deprecare maggiori sciagure. Infatti, mentre io giaceva così a' piedi
della signora, nel più bello della perorazione, pensai bene di sollevarmi un
po', tanto da procurare un lieve contatto alle nostre bocche, o di alzare il
braccio per rimettere al posto quella tal ciocca indisciplinatissima che mi dà
sui nervi... basta, non ricordo appuntino, ma poco monta. Qualunque de' due
pensieri sarebbe stato ottimo in sé, ma il guaio fu che nell'esecuzione detti
uno spintone al tavolinetto tondo sul quale era il lume; il tondo barcollò, il
lume oscillò, e prima ch'io giungessi ad alzarmi e trattenerlo, paffete!
ruzzolò sulle ginocchia della Merope, cadde in terra, e si spense. Le vesti
della signora rimasero allagate d'olio, il cartoccio e la campana sfrantumati e
saremmo restati al buio se la lieta fiammata del caminetto non avesse
bizzarramente rischiarato il salottino.
Provai per la
prima volta ciò che addimandano costernazione, perché credetti davvero finita
mediante il più comico de' fiaschi la mia relazione con la Merope. Conosco le
femmine quanto basta per sapere che in fondo in fondo all'animo non hanno altra
religione se non quella dell'acconciatura; la quale poi (voglio dirlo fra
parentesi) non val né più né meno di qualunque altra; toccale dove t'aggrada,
ma non sull'abito. Vuoi che una donna ti divenga irreconciliabil nemica? Non le
uccidere il marito, ché forse te ne sarà riconoscente; non le usar violenza,
ché forse ci avrà gusto; non la malmenare, ché i cani leccano la mano larga di
percosse; anzi guastale un abito, senza rifargliene un altro che valga il
doppio. Per questo peccato non c'è remissione.
Pure, se
dovessi giudicare dall'accaduto fra Merope ed il suo amante, tutta questa mia scienza
sarebbe fallace; giacché, lunge dall'adirarsi, la s'era posta a ridere
convulsamente, proprio da matta, guardandomi: e davvero, pietrificato com'era
io dallo spavento, doveva esser proprio buffo il sentirmi balbettare scuse più
goffe dello sproposito commesso. Finalmente mi ricordai che suggeriscono di
soffregar le macchie recenti di grasso con un pannolino asciutto, per impedir
che si diffondano troppo. Le proposi di lasciarmi tentare questo palliativo; ed
ella alzandosi, spuntò i gangheri della cintura e lasciò cadere per terra la
gonna ch'io raccolsi. Ma sul malacoffo anch'esso v'era olio, e bisognò che se
lo cavasse rimanendo in un succinto gonnellino. La fiamma ci illuminava di
sotto in su, e fregavamo, soffregavamo, rifregavamo a gara co' nostri
moccichini e con non so quanta utilità, essa scherzando e ridendo sempre e più
bella che mai in quel vestire neglettissimo, io sempre goffo e confuso. Ad un
tratto buttando via ogni cosa, si pose a sedere su d'una seggiola e
chiappandomi per l'orecchia in modo ch'io dovetti anche lasciar stare il
lavoro, mi trasse press'a poco nella posizione in cui era momenti prima, quasi
in grembo a lei, come un cagnolino prediletto: «Ma è possibile!» sclamò.
«Possibile che abbiate sempre a farmene qualcuna delle vostre! Si può dar di
peggio? Che sciattoneria! che disadattaggine! Se credete di piacer così alle
signore! Bisognerà ch'io faccia un po' la vostra educazione, come si fa co'
bambini, a suon di ceffatine e di strappate d'orecchi». E così dicendo mi
somministrava con la destra de' gustosi ceffoncini, e mi largiva con la
sinistra delle scampanellate all'orecchio... che non può l'immaginazione! Io
soffriva e ci trovava piacere. «Ecco qua! un bell'abito perduto senza gusto e
senza costrutto. Lo misi la prima volta una sera che aveva tante visite...
Povero abito mio! Già voi non siete proprio buono a nulla!».
Io stava per
interloquire, ed essa appoggiandomi una sonora guanciatina: «Zitto! che,
scommetterei, vi ballonzola una scioccheriuola sulla punta della lingua. Me n'accorgo
ben io. Di che non sareste capace voi in fatto d'indelicatezza? m'aspetterei
finanche, altro che sorprendermi, dal vostro solito finissimo tatto che vi
saltasse in capo d'offrirmi di pagarmi un altr'abito voi. E questa sarebbe poi
troppa impertinenza, dovrei assolutamente risentirmi, le convenienze
m'imporrebbero di far mostra d'offendermi; e non ho punta punta voglia di
prendermi collera con voi, capite messere?». E formolò il punto interrogativo
con un pizzicotto al mio povero naso.
Tentai di frapporre
una paroletta, ed essa scoccandomi un biscottino sul mento: «Zitto! che bisogno
c'è di parlare? che novità m'avreste a dire? Ripetermi di nuovo che m'amate?
Bembè, siamo intesi. Non dir nulla, che ora, non so cosa io m'abbia, ma sarei
troppo disposta a crederti. Ti voglio bene anch'io: oh un bene matto, vedrai! -
Ti lagneresti di nuovo ch'io ti rendo infelice per non esser tua? M'affido alla
tua generosità; non profitterai, neh, di questa momentanea debolezza? Io forse
ora avrei la dabbenaggine di non saperti resistere».
Povera e
buona Merope! come languidamente parlava, or pallida, or vermiglia.
«Chiedimi
poco, poco assai: ti darò quel che chiederai. Ecco, tu non vuoi che un bacio, è
vero? che un solo bacio? non altro? È molto, molto; ed io te lo darò, quale non
hai mai desiderato».
Ed inchinò il
capo e le sue labbra lentamente, lentamente, vennero a congiungersi con le mie;
né mai ve ne furono che più tenacemente combaciassero. Gli occhi mi
s'appannarono, il pensiero mi svanì: un'ebbrezza, un delirio non mai prima
provato con nessun'altra donna mi spingeva a suggere, a morsecchiare que'
labbruzzi, a scoccar baci e baci in quella bocca convulsa al pari della mia.
Stringeva ferocemente quell'esile creatura fra le mie branche, ned ho mai
meglio compreso tutto il compiacimento del biondo imperador della foresta
quando tiene fra gli artigli una taciturna damma. La gentile mi fremeva tra le
braccia come una canna per tepido scirocco. Mi rizzai senza lasciarla ed ella
si abbandonava al pari d'una cosa inerte, scomposta, scapigliata, amorosa,
bellissima d'arrendevolezza e di voluttuosità. La portai di peso, quasi una
bimba addormentata, fin sul molle canapè che mi attraeva dal fondo della stanza
meno infestato di luce. La felicità è tanto conscia di non esistere che per
un'illusione, tanto conscia, che cerca istintivamente le tenebre dove
l'immaginazione lavora più liberamente.
Mi sdrucciolò di mano sulla sponda del sofà, e
postasi a sedere tutta ristretta in sé, scherzando con le dita della mia mano e
formando un sorriso convulso che non può rendersi a parole: «Guardate un po'»
mi disse «a che può condurre un primo mezzo passo falso! Sotto pretesto ch'io
gli ho detto di volergli del bene, mi rovescia un lume d'olio sul vestito; e
per ammenda d'avermi sciupato un abito di trecento lire, ora troverebbe
opportuno di farmi la grazia d'usarmi violenza, se lo lasciassi fare! Fortuna
che ci ho qui il campanello ed una voce bastantemente stridula per metter la
casa a rumore!».
Beh, queste
parole dette così freddamente, quelle insulse minacce, proprio
m'indispettirono. Le donne sono vilmente insolenti perché sicure dell'impunità;
si divertono a trovar proprio l'espressione che equivale alla pugnalata od allo
schiaffo, fidando nella longanimità o dabbenaggine virile che ha notato
d'infamia l'alzar le mani contr'esse. Io divenni di ghiaccio e ritraendo la mia
mano dalle sue: «Certo Signora, non accadrà fra noi altro se non quello che a
voi piacerà, stasera. Io non m'impongo: se mi volete, son qui; non mi volete? A
rivederci. Ma concedete però ch'io vi dica una cosa: sia che mi vogliate o no,
la vostra condotta è turpe. Da voi non pretendeva e non meritava altro che di
non esser trattato come un burattino. Addio, ma avete perduto un amico».
E me ne sarei
partito daddovvero, ma mi trattenne: «Siete in collera?».
«Sì».
«E volete
proprio andarvene?».
Era tutta
mutata, tutta benigna. Io le risposi: «No, Merope, non voglio, ma debbo: e ve
lo giuro me n'andrò per non più vedervi. V'amo troppo; ma non quanto il mio
decoro, né permetterò che mi trasciniate più nel fango. V'auguro poi maggior
fortuna in fatto d'amanti, cioè di trovarne qualcuno che non vi sembri indegno
d'essere amato. Addio».
«E il bacio
dell'addio non me lo date?».
Io tremai
tutto; essa mi saltò al collo, mi morse la guancia e mi disse all'orecchio due
paroline che mi tolsero ogni voglia, ma proprio ogni voglia di partire.
Era nelle sue
braccia, prossimo a cogliere il frutto del lungo amore. In questa udimmo la
voce della figlioletta che dormiva nella stanza precedente alla sua camera di
letto; dissonnatasi ad un tratto chiamava: «Mamma! Mamma!».
Sentii quelle
membra ch'io stringeva tremar tutte e coprirsi d'un sudor gelato; le sfuggì dal
profondo del petto come un sospiro d'angoscia.
«Mamma!»
gridava la bambina quasi piangendo, «Mamma, dove sei? Ho paura qui al buio:
vieni! Il lumino s'è spento».
Si svincolò
tutta travolta dal mio amplesso: «Lasciatemi, per carità! Sentite, lo sentite
che mia figlia mi chiama? Andate via! subito, via. Ma che volete ch'ella balzi
di letto e mi vegga così con voi a quest'ora? Vorreste che metta a rumore la
casa e ci faccia sorprendere?».
«Mamma mia!
mamma» ripeteva la fanciulla.
«Su via,
Silvia; chètati, Silvia! Eccomi, non temere, son teco subito. Zitto bambina!».
E sembrava non aspettare che la mia partenza per correr dalla figliuola.
Io era
amareggiatto acerbamente: questa scena mi figurava un nuovo effetto teatrale
impiegato per isfuggirmi dall'amato mio Proteo; e quindi pronunziai
sommessamente, quasi involontariamente un: «Commediante!».
La Merope mi
guardò fiso co' grandi occhi spaventati ed angosciati, e prendendomi la destra
fra le sue mani in atto di preghiera: «Senti,» mi disse «io son tua. T'amo ed
ho promesso: la mia parola non inganna e tu mi avrai. Se mi vuoi ora, anche
ora; se mi vuoi nel mio letto, accanto al letto di mia figlia, nella mia
stanza, alla quale non puoi giungere che attraversando la sua, ti ci conduco io
stessa, ora; poi vado a riaddormentarla e ti raggiungo. Fa il piacer tuo. Ma se
ti cale d'un mio desiderio, rimetti, procrastina la tua soddisfazione, non
pretendere ch'io mi ti abbandoni dove quell'innocente può sorprenderci; fammi
questo sacrifizio ed aspetta ch'io stessa scelga dove e come dimostrarti un
affetto accresciuto dalla riconoscenza. Fidati; e non ci perderai nulla».
M'alzai,
presi il cappello, le strinsi e le baciai la mano: «Addio».
«Grazie!»
rispose semplicemente.
Giunsi un po' a tentone in anticamera, dopo essermi
quasi rotto il naso contro lo stipite di un usciuolo; svegliai il domestico, che
non ebbe a lagnarsi d'aver rotto il sonno; e m'incamminai pian piano verso
casa. Era una bella serata con un cielo tutto stelle, con istelle tutte luce;
un'auretta profumata da' fiori d'acacia con quella loro fragranza afrodisiaca,
mi faceva raccapricciare di quando in quando, e più ancora il pensiero della
bella donna che avevo avuta in braccio minuti prima e che avevo lasciata andare
intatta. Mi sbottonai l'abito, ché mi pareva di soffocare: ed era tanto il
bisogno in me d'amore o di ciò che più gli somiglia, che se dal più oscuro e
sozzo angolo della via la più lurida e schifosa zingara mi avesse fatto cenno
di seguirla, probabilmente l'avrei seguita.
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