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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • VII   IL TENTATIVO NOTTURNO
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VII

 

IL TENTATIVO NOTTURNO

 

...Oh quanto, più che il dir mi fora

Grato l'oprar! Ma finché il ne giunga

Starommi io dunque

ALFIERI

 

Quantunque in primavera, dopo due giornate piovose, la temperatura, co' rapidi movimenti consueti in paese di montagne, s'era ad un tratto rinfrescata da parer quasi invernale; il termometro... ma non v'importa, è vero, ch'io registri quanti gradi appuntino indicava? basti dire ch'eran quanti se ne richiedevano perché non tornasse punto sgradita una lieta fiammata nel caminetto del solito salottino. Eravamo insieme, , Merope ed io, soli; tutte le visite, dopo un sacco di pettegolezzi, s'erano ritirate per l'ora tarda, e in casa credo non vegliasse più alcuno; anche il domestico schiacciava un primo sonnerello sul canapè d'una lontana anticamera.

Eravamo soli: ed io amava e chiedeva; ed essa negava. La mia insistenza si fiaccava contro quella sua caponaggine: la s'ostinava a dirmi no! no! benché convenisse di amarmi oltre misura (bontà sua!), benché sapesse della prossima nostra partenza e non mica per un viaggetto di svago! anzi per affrontare quelle scostumatissime pallottole, le quali senza riguardi, senza distinzione prostrano valenti e vigliacchi, amati e sgraditi, e non hanno neppur la garbatezza di fischiare un permette! od uno scusi! prima di romperti il petto, o storpiarti braccia e gambe. Ed io quasi certo di non tornare illeso perché deliberato a non fare il prudente, io desiderava (e chi oserebbe chiamar eccessivo il mio desiderio?) desiderava cogliere in fretta un'ultima voluttà. Aveva sofferto tanto, che veramente nel congedarmi dalla vita mi sembrava di poter vantare un mezzo dritto a questo meschino compenso di giacere una mezz'oretta in braccio alla mia signora. Dubitando per valide ragioni della possibilità d'una vita postuma pretendeva gustare un'altra volta a larghi sorsi le dolcezze d'amore; appunto come Leonida ed i suoi trecento vollero stravizzare insieme la vigilia del combattimento, perché, dicevan essi,

 

Chi sa se all'auto munno nce vedimmo?

Chi sa se all'auto munno nctaverna?

 

E se mai donna fu degno pretesto all'amore, tale affermo la mia Merope. Miracoloso connubio di belle fattezze e di bella mente, acconcio ad appagare ogni facoltà dell'amante: il piacere che lo spirito ritrarrebbe da' suoi colloqui diminuirebbe della brutalità il godimento cavato dal suo corpo avvenente e la voluttà profferta da quelle membra sarebbe adescamento continuo e potente a fruire sempre più de' suoi costumi. E queste ed un visibilio d'altre cose io le ripeteva con le lacrime agli occhi.

Ed ella? indovinate un po' che m'andava rispondendo! Oh, sfido io ad indovinarlo! Balbutiva di non so che doveri, di non so quali virtù, di non so quanti comandamenti umani e divini, d'uno strasecolio di siffatte bubbole! Accidenti! in quegl'istanti supremi! Prova palpabile d'un'antica mia scoperta, cioè che quella femmina con tanto ingegno, con tanta avvenenza, celava un difetto: le mancava il cuore. Ma era troppo tardi oramai per disamarla, troppo tardi! Certe brame prepotenti non possono guarirsi che dal tempo; ed il tempo appunto ora mi veniva meno. Alzarsi di tavola con appetito, andarsene dal mondo con un amore insoddisfatto, è duro.

Non so che nuovo ticchio di santità le fosse venuto quella sera. Le innocenti familiarità che ripetute oggi, ripetute domani, lo considerava finalmente come dritti acquisiti e sperimentava come bisogni, tutte mi dinegava: s'era posta in sussieguo. Si ritraeva indietro s'io tentava di accoccarle un bacio: nascondeva la mano, s'io m'ingegnava di stringerla; scostava la poltrona, s'io cominciava a scherzare con le pieghe dell'abito. Stanco di parlare, e non reggendomi il cuore di partire, io dispettosamente presi nella pianerina da lavoro un par di cesoie, e mi posi a trastullarmi con le frange del tappeto verde steso sul tavolino.

«Badi! non mi guasti il tappeto: se ha bisogno di tagliuzzar qualcosa se la prenda piuttosto con questi biglietti di visita» e così dicendo mi porgeva una cestina di carta intrecciata da lei stessa e piena di biglietti. Ne feci strage per un pezzo, prescegliendo, già si sa, quelli delle persone che le aveva udito ricordare con un po' d'amicizia. Essa frattanto, recatosi in mano un bel ventagliuzzo di legno, con de' fiori da un lato e le iniziali di lei dall'altro, e nascondendosi la faccia simulava di farsi vento. Una scena muta proprio incantevole: il caminetto acceso ed il ventaglio!

Non potendone proprio più (scoppiava) buttai in un cantuccio le forbici ed i ritagliuzzi di carta; poi le tolsi gentilmente di mano il ventaglio che intascai; e poi le dissi con un tono flebile. «Fatevi vedere! statemi a sentire! ditemi qualcosa! Quel maledetto ventaglio mi su' nervi. Lo confisco provvisoriamente».

«Confiscatelo pure, ma rimanete , senz'accostarvi, tranquillo».

Questa freddezza m'inasprì. M'alzai e passeggiando su e giù per la stanza, temo temo d'averle detto la maggior villania che mai si dicesse a donna. Non presumo trarne vanto come d'una prodezza, ma l'uomo è così connaturato che quando non ottiene il desiderato trova opportuno di vituperarlo: «Oh! sissignora, non mi accosterò: ma parlare posso, o ch'io spero? Permettete?».

«Sapete quanto mi sia gradita la vostra conversazione».

«Stavolta forse sarà un po' meno, perché vorrei dirvi quattro verità. È questo il modo di trattarmi? E dover confessare ch'io non oso piantarvi, come meritereste; ch'io v'amo sempre e non vi stimo più: stimo più l'ultima femminaccia di trivio, che si senza farsi desiderare; di voi, che vi divertite a farvi desiderare senza darvi. Veramente, chi pensava ad amarvi? mancavano forse occupazioni e pensieri in questi momenti supremi? Vi piacque d'essere corteggiata, amata. Benone: ma bisogna sapere stare al giuoco e pagare lealmente. M'avete sedotto con una lusinga: ed ora, perché non adempirla? Chi promette, s'obbliga. Questo giuoco d'amore ha le sue regole anch'esso, bisogna osservarle. Rifiutarsi al pagamento del debito incorso! Pretendere di sdebitarsi con parolette benigne, con chiacchiere, con qualche mezza carezza al più al più di tempo in tempo! Altro vuol essere che questa moneta calante!».

Fortuna ch'io favellassi così smozzicato e concitato, che la Merope senza dubbio non capiva il significato d'ogni parola; afferrò bensì il senso del discorso e rispose pacatamente alla mia furia: «Badate che ora voi m'insultate».

Mi buttai disteso in una poltrona rispondendo: «Quando crederete ch'io vi offenda, starà in voi d'indicarmi l'uscio di casa».

Tacemmo entrambi per qualche minuto, dopo i quali soggiunse: «Se consideraste quanto io mi son misera, forse avreste rimorso di avermi trattata così».

«Non ho mai rimorso, io».

«Dirò dunque rammarico, dispiacenza: è lo stesso. Io soffro».

«Soffro anch'io, e molto, e pe' vostri rifiuti, per opera vostra».

«Per opera mia, proprio, Quattr'Asterischi! Osereste affermarlo? Perché non essermi amico quale io vorrei che foste, come io mi palesai amica a voi? - Ho io colpa ne' vostri desiderî? Sosterrete ch'io li ho eccitati? Insegnatemi allora in qual'altra guisa, a me ignota, si possa dimostrare affetto, benevolenza, amicizia insomma ad un uomo che ci piace in ogni sua parte, tranne quando con un'insistenza indegna di lui, pretende ciò ch'io non posso accordargli? Potete rimproverarmi di essere altra in questo punto da quella ch'io sono stata sempre per voi? Ritratto sillaba delle mie ripetute dichiarazioni? Ho detto prima , e dico ora no? Prima voi m'esaltate a cielo; poi mi precipitate nel fango: ed io non meritoapoteosi, né contumelie; ma forse un po' di corrispondenza. Mi sarebbe tanto dolce l'aprirvi l'animo mio, come a fratello; il non aver più riguardo alla presenza vostra che a quella d'una madre indulgentissima. S'è detto tanto male de' cavalieri serventi! eppure rispondevano a un bisogno morale nobilissimo. Facciamo un patto: sarete il mio, mi avrete tutta, tutta, tranne questo cencio di corpo, che non dovrebbe poi farvi tanta gola: c'è meglio e s'ha più facilmente. Potrete dire ch'io vi poco, se vi tutto, tranne ciò che nessun altro avrà? Vi contentate? Non m'avvilite fino a questo punto di mostrarmi che di me non v'importa se non in quanto son buona a procacciarvi qualche minuto secondo di piacere». E diceva tutta questa roba con voce languida, stanca, non meno commovente delle lacrime che le tolsero di proseguire.

Io taceva per non compromettermi, giacché come resistere, domando io? M'era una spina al cuore il vederla col fazzoletto agli occhi. Vinto da quell'affettuosa dolcezza le avrei dato ragione, promettendo qualunque cosa; e poi dopo cinque minuti saremmo stato daccapo. Dunque olio in bocca, ed eseguiva più marce e contromarce ne' pochi metri quadrati di quel salottino, che non se ne facciano in un mese al campo di Marte. Parlava graziosamente la mia signora, ma troppi sofismi. E prima di tutto, capisco bene che la mia fatuità m'aveva potuto esagerare le promesse della sua civetteria, ma insomma non aveva mica da trattare con una verginella. Quando io le faceva la corte ell'era in condizione d'intendere arcichiarissimamente cosa io potessi ripromettermi da lei; e nel caso strano che ad una donna spiacciano le importunità d'un uomo su questo capitolo, la dispiacenza non si manifesta co' no, co' mai, anzi col voltar le spalle al messere e non riceverlo più. Ma dice: amico sì, amante no; resta a vedere se le due qualità possano scindersi. Difficilmente, quando la donna è bella: o che canchero d'amicizia sarebbe quella d'un uomo incapace di desiderare la bellezza che intimamente conosce? che bischero di amicizia sarebbe quella d'una donna la quale può rifiutare una preghiera dell'amico che pur le costerebbe tanto poco a far paga? Me ne appello a Cicerone. La relazione platonica che la Merope voleva fra di noi può aver luogo tutt'al più con qualche bruttissima, che stomachi, e la cui bellezza d'ingegno induce a dimenticare la laidezza quando riesci a chiuder gli occhi ed oppilarti il naso; potrebbe forse avere anche luogo con una fanciulla, giacché le convenzionì e i pregiudizi sociali fanno sacre per ogni uomo ben educato le pance delle fanciulle. Ma la maritata non rischia nulla, non c'è paura d'insegnarle nulla; diamine! un paio di stanze più in dormiva saporitamente la prova parlante ch'ella ne sapeva almeno quanto me. E se era stata del marito, che per confessione sua propria non aveva mai amato, che senza un briciolo d'affetto, senza ombra di riguardi, l'aveva tanto mal rimunerata della sua bontà; o perché non dovrebbe essere di chi la stimava e desiderava più che non può dirsi a parole, insomma di me; quando pure io non destava in lei né disgustoantipatia, anzi il contrario com'ella asseriva? Né so perché non avrei dovuto crederla quando nulla l'obbligava a mentire.

Così pensando, adocchiai su d'un mobile, la cravattina che la Merope vi avea forse sbadatamente lasciata; la presi e gliela venni a porre al collo: mi lasciò fare, ed asciugando una lagrimetta accennò più che non disse un grazie. Ripresi il mio passeggio, e dopo un altro paio di giri fermandomi nuovamente accanto a lei, rimisi al posto una ciocca indiscreta che suole caderle sempre sulla fronte e mi sui nervi, non so perché: sorrise come un cielo che si rasserena. Continuai le mie andate e venute, finché giuntole dinanzi, ristetti; e gittandomi a terra e stringendole i piedi co' ginocchi, ed abbracciandone la cintura per ravvicinarmela, mentre la bellissima con le braccia conserte chinava la testa, quasi avida di accogliere le parole da me mormorate, dissi presso a poco così: «Perché non esser mia? Credete ch'io possa o voglia rassegnarmi alla privazione di voi? Ohibò! Né mai, se anche promettessi, deporrei mai questa speranza, più cara al cuor mio che nol sia al cuore de' Veneti e de' Tirolesi e degl'Istriani la speranza di congiungersi al Regno d'Italia. E la speranza, bellezza mia, è una delle tre virtù teologali; la fede n'è un'altra: ed io ho fede nel vostro ravvedimento. La carità ossia l'amore sarebbe la terza e maggiore di tutte: voi che siete cristiana praticatela meco. Dopo avervi goduta m'impegno a rientrare nel grembo di madama chiesa ed abiurare le mie passate eresie; m'obbligo insomma a far quante minchionerie vorrete: udir messa, confessarmi, comunicarmi, cresimarmi ed il canchero. Considerate quanto poco vi ci vorrebbe per salvare un'anima! Si scherza, eh? un cuore peggio indurato del faraonico. La conversione farebbe chiasso e probabilmente si discuterebbe di canonizzarvi od almeno beatificarvi. Allora io assumendo le parti d'avvocato del diavolo, farò una filippica d'opposizione, mah! tutta scandali, rivelazioni, pettegolezzi, recriminazioni, personalità; una di quelle diatribe che sconvolgono le assemble, come i turbini fanno col mare: Beatissimo padre e voi altri venerabili fratelli, non sarà certamente ch'io neghi, come tutte in costei di singolar fulgore splendessero le virtù, massime poi fino a quel punto sia stata caritatevole; ma se sapeste quanto s'era fatta pregare e strapregare! quante volte diè mortificazioni e ripulse ad un povero mendico d'amore ch'io molto ben conosco, prima di largirgli qualche elemosinuccia!...».

Debbo confessare ingenuamente che primeggio fra quanti uomini campano al mondo per la disadattaggine. Temuto da tutte le padrone di casa, dovunque capito rompo tazze, travolgo seggiole, straccio vesti, pesto calli, insomma lascio vestigio del mio passaggio. Debbo sempre avere qualcosa fra le mani ed ogni mio movimento è una rovina: né Merope era la sola che, seguendo l'esempio degli antichi i quali sacrificavano diis malis ne noceant, mi offrisse un diversivo, somministrandomi qualcosa a distruggere, acciò rispettassi il rimanente. Ma pare che quel tagliuzzamento di carte fosse stato troppo poca cosa per deprecare maggiori sciagure. Infatti, mentre io giaceva così a' piedi della signora, nel più bello della perorazione, pensai bene di sollevarmi un po', tanto da procurare un lieve contatto alle nostre bocche, o di alzare il braccio per rimettere al posto quella tal ciocca indisciplinatissima che mi sui nervi... basta, non ricordo appuntino, ma poco monta. Qualunque de' due pensieri sarebbe stato ottimo in sé, ma il guaio fu che nell'esecuzione detti uno spintone al tavolinetto tondo sul quale era il lume; il tondo barcollò, il lume oscillò, e prima ch'io giungessi ad alzarmi e trattenerlo, paffete! ruzzolò sulle ginocchia della Merope, cadde in terra, e si spense. Le vesti della signora rimasero allagate d'olio, il cartoccio e la campana sfrantumati e saremmo restati al buio se la lieta fiammata del caminetto non avesse bizzarramente rischiarato il salottino.

Provai per la prima volta ciò che addimandano costernazione, perché credetti davvero finita mediante il più comico de' fiaschi la mia relazione con la Merope. Conosco le femmine quanto basta per sapere che in fondo in fondo all'animo non hanno altra religione se non quella dell'acconciatura; la quale poi (voglio dirlo fra parentesi) non val né più né meno di qualunque altra; toccale dove t'aggrada, ma non sull'abito. Vuoi che una donna ti divenga irreconciliabil nemica? Non le uccidere il marito, ché forse te ne sarà riconoscente; non le usar violenza, ché forse ci avrà gusto; non la malmenare, ché i cani leccano la mano larga di percosse; anzi guastale un abito, senza rifargliene un altro che valga il doppio. Per questo peccato non c'è remissione.

Pure, se dovessi giudicare dall'accaduto fra Merope ed il suo amante, tutta questa mia scienza sarebbe fallace; giacché, lunge dall'adirarsi, la s'era posta a ridere convulsamente, proprio da matta, guardandomi: e davvero, pietrificato com'era io dallo spavento, doveva esser proprio buffo il sentirmi balbettare scuse più goffe dello sproposito commesso. Finalmente mi ricordai che suggeriscono di soffregar le macchie recenti di grasso con un pannolino asciutto, per impedir che si diffondano troppo. Le proposi di lasciarmi tentare questo palliativo; ed ella alzandosi, spuntò i gangheri della cintura e lasciò cadere per terra la gonna ch'io raccolsi. Ma sul malacoffo anch'esso v'era olio, e bisognò che se lo cavasse rimanendo in un succinto gonnellino. La fiamma ci illuminava di sotto in su, e fregavamo, soffregavamo, rifregavamo a gara co' nostri moccichini e con non so quanta utilità, essa scherzando e ridendo sempre e più bella che mai in quel vestire neglettissimo, io sempre goffo e confuso. Ad un tratto buttando via ogni cosa, si pose a sedere su d'una seggiola e chiappandomi per l'orecchia in modo ch'io dovetti anche lasciar stare il lavoro, mi trasse press'a poco nella posizione in cui era momenti prima, quasi in grembo a lei, come un cagnolino prediletto: «Ma è possibilesclamò. «Possibile che abbiate sempre a farmene qualcuna delle vostre! Si può dar di peggio? Che sciattoneria! che disadattaggine! Se credete di piacer così alle signore! Bisognerà ch'io faccia un po' la vostra educazione, come si fa co' bambini, a suon di ceffatine e di strappate d'orecchi». E così dicendo mi somministrava con la destra de' gustosi ceffoncini, e mi largiva con la sinistra delle scampanellate all'orecchio... che non può l'immaginazione! Io soffriva e ci trovava piacere. «Ecco qua! un bell'abito perduto senza gusto e senza costrutto. Lo misi la prima volta una sera che aveva tante visite... Povero abito mio! Già voi non siete proprio buono a nulla!».

Io stava per interloquire, ed essa appoggiandomi una sonora guanciatina: «Zitto! che, scommetterei, vi ballonzola una scioccheriuola sulla punta della lingua. Me n'accorgo ben io. Di che non sareste capace voi in fatto d'indelicatezza? m'aspetterei finanche, altro che sorprendermi, dal vostro solito finissimo tatto che vi saltasse in capo d'offrirmi di pagarmi un altr'abito voi. E questa sarebbe poi troppa impertinenza, dovrei assolutamente risentirmi, le convenienze m'imporrebbero di far mostra d'offendermi; e non ho punta punta voglia di prendermi collera con voi, capite messere?». E formolò il punto interrogativo con un pizzicotto al mio povero naso.

Tentai di frapporre una paroletta, ed essa scoccandomi un biscottino sul mento: «Zitto! che bisogno c'è di parlare? che novità m'avreste a dire? Ripetermi di nuovo che m'amate? Bembè, siamo intesi. Non dir nulla, che ora, non so cosa io m'abbia, ma sarei troppo disposta a crederti. Ti voglio bene anch'io: oh un bene matto, vedrai! - Ti lagneresti di nuovo ch'io ti rendo infelice per non esser tua? M'affido alla tua generosità; non profitterai, neh, di questa momentanea debolezza? Io forse ora avrei la dabbenaggine di non saperti resistere».

Povera e buona Merope! come languidamente parlava, or pallida, or vermiglia.

«Chiedimi poco, poco assai: ti darò quel che chiederai. Ecco, tu non vuoi che un bacio, è vero? che un solo bacio? non altro? È molto, molto; ed io te lo darò, quale non hai mai desiderato».

Ed inchinò il capo e le sue labbra lentamente, lentamente, vennero a congiungersi con le mie; né mai ve ne furono che più tenacemente combaciassero. Gli occhi mi s'appannarono, il pensiero mi svanì: un'ebbrezza, un delirio non mai prima provato con nessun'altra donna mi spingeva a suggere, a morsecchiare que' labbruzzi, a scoccar baci e baci in quella bocca convulsa al pari della mia. Stringeva ferocemente quell'esile creatura fra le mie branche, ned ho mai meglio compreso tutto il compiacimento del biondo imperador della foresta quando tiene fra gli artigli una taciturna damma. La gentile mi fremeva tra le braccia come una canna per tepido scirocco. Mi rizzai senza lasciarla ed ella si abbandonava al pari d'una cosa inerte, scomposta, scapigliata, amorosa, bellissima d'arrendevolezza e di voluttuosità. La portai di peso, quasi una bimba addormentata, fin sul molle canapè che mi attraeva dal fondo della stanza meno infestato di luce. La felicità è tanto conscia di non esistere che per un'illusione, tanto conscia, che cerca istintivamente le tenebre dove l'immaginazione lavora più liberamente.

Mi sdrucciolò di mano sulla sponda del sofà, e postasi a sedere tutta ristretta in sé, scherzando con le dita della mia mano e formando un sorriso convulso che non può rendersi a parole: «Guardate un po'» mi disse «a che può condurre un primo mezzo passo falso! Sotto pretesto ch'io gli ho detto di volergli del bene, mi rovescia un lume d'olio sul vestito; e per ammenda d'avermi sciupato un abito di trecento lire, ora troverebbe opportuno di farmi la grazia d'usarmi violenza, se lo lasciassi fare! Fortuna che ci ho qui il campanello ed una voce bastantemente stridula per metter la casa a rumore!».

Beh, queste parole dette così freddamente, quelle insulse minacce, proprio m'indispettirono. Le donne sono vilmente insolenti perché sicure dell'impunità; si divertono a trovar proprio l'espressione che equivale alla pugnalata od allo schiaffo, fidando nella longanimità o dabbenaggine virile che ha notato d'infamia l'alzar le mani contr'esse. Io divenni di ghiaccio e ritraendo la mia mano dalle sue: «Certo Signora, non accadrà fra noi altro se non quello che a voi piacerà, stasera. Io non m'impongo: se mi volete, son qui; non mi volete? A rivederci. Ma concedete però ch'io vi dica una cosa: sia che mi vogliate o no, la vostra condotta è turpe. Da voi non pretendeva e non meritava altro che di non esser trattato come un burattino. Addio, ma avete perduto un amico».

E me ne sarei partito daddovvero, ma mi trattenne: «Siete in collera?».

«Sì».

«E volete proprio andarvene?».

Era tutta mutata, tutta benigna. Io le risposi: «No, Merope, non voglio, ma debbo: e ve lo giuro me n'andrò per non più vedervi. V'amo troppo; ma non quanto il mio decoro, né permetterò che mi trasciniate più nel fango. V'auguro poi maggior fortuna in fatto d'amanti, cioè di trovarne qualcuno che non vi sembri indegno d'essere amato. Addio».

«E il bacio dell'addio non me lo date?».

Io tremai tutto; essa mi saltò al collo, mi morse la guancia e mi disse all'orecchio due paroline che mi tolsero ogni voglia, ma proprio ogni voglia di partire.

Era nelle sue braccia, prossimo a cogliere il frutto del lungo amore. In questa udimmo la voce della figlioletta che dormiva nella stanza precedente alla sua camera di letto; dissonnatasi ad un tratto chiamava: «Mamma! Mamma!».

Sentii quelle membra ch'io stringeva tremar tutte e coprirsi d'un sudor gelato; le sfuggì dal profondo del petto come un sospiro d'angoscia.

«Mammagridava la bambina quasi piangendo, «Mamma, dove sei? Ho paura qui al buio: vieni! Il lumino s'è spento».

Si svincolò tutta travolta dal mio amplesso: «Lasciatemi, per carità! Sentite, lo sentite che mia figlia mi chiama? Andate via! subito, via. Ma che volete ch'ella balzi di letto e mi vegga così con voi a quest'ora? Vorreste che metta a rumore la casa e ci faccia sorprendere?».

«Mamma mia! mamma» ripeteva la fanciulla.

«Su via, Silvia; chètati, Silvia! Eccomi, non temere, son teco subito. Zitto bambina!». E sembrava non aspettare che la mia partenza per correr dalla figliuola.

Io era amareggiatto acerbamente: questa scena mi figurava un nuovo effetto teatrale impiegato per isfuggirmi dall'amato mio Proteo; e quindi pronunziai sommessamente, quasi involontariamente un: «Commediante!».

La Merope mi guardò fiso co' grandi occhi spaventati ed angosciati, e prendendomi la destra fra le sue mani in atto di preghiera: «Senti,» mi disse «io son tua. T'amo ed ho promesso: la mia parola non inganna e tu mi avrai. Se mi vuoi ora, anche ora; se mi vuoi nel mio letto, accanto al letto di mia figlia, nella mia stanza, alla quale non puoi giungere che attraversando la sua, ti ci conduco io stessa, ora; poi vado a riaddormentarla e ti raggiungo. Fa il piacer tuo. Ma se ti cale d'un mio desiderio, rimetti, procrastina la tua soddisfazione, non pretendere ch'io mi ti abbandoni dove quell'innocente può sorprenderci; fammi questo sacrifizio ed aspetta ch'io stessa scelga dove e come dimostrarti un affetto accresciuto dalla riconoscenza. Fidati; e non ci perderai nulla».

M'alzai, presi il cappello, le strinsi e le baciai la mano: «Addio».

«Grazierispose semplicemente.

Giunsi un po' a tentone in anticamera, dopo essermi quasi rotto il naso contro lo stipite di un usciuolo; svegliai il domestico, che non ebbe a lagnarsi d'aver rotto il sonno; e m'incamminai pian piano verso casa. Era una bella serata con un cielo tutto stelle, con istelle tutte luce; un'auretta profumata da' fiori d'acacia con quella loro fragranza afrodisiaca, mi faceva raccapricciare di quando in quando, e più ancora il pensiero della bella donna che avevo avuta in braccio minuti prima e che avevo lasciata andare intatta. Mi sbottonai l'abito, ché mi pareva di soffocare: ed era tanto il bisogno in me d'amore o di ciò che più gli somiglia, che se dal più oscuro e sozzo angolo della via la più lurida e schifosa zingara mi avesse fatto cenno di seguirla, probabilmente l'avrei seguita.

 

 

 




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