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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • VIII   CHIACCHIERATA AL CAFFÈ
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VIII

 

CHIACCHIERATA AL CAFFÈ

 

Les cafès sont les lazarets de l'amitié: c'est qu'on soumet ses amis à la première épreuve. Le cafè a remplacé le vestibule classique Oreste tend les bras a Pylade. Aujourd'hui les confidences se font en brûlant un cigare et en éteignant un grog.

L. U.

 

Altro che queste baie! passando innanzi al quartiere vidi lumi dappertutto e gente in moto. Che c'è? Pietro De Mulieribus, altro tenente della mia compagnia, si trovava opportunamente per informarmi ch'era venuto ordine di marciare la dimane: notizia che non mi diede il piacere che me ne sarei aspettato. «Oh! Oh!» dissi fra me e me «mi son pure lasciata sfuggire la bella occasione! Ben mi sta, asinaccio, se la non mi si presenta più!». Mi feci vivo dal capitano in foreria; egli mi strinse la mano sclamando: «Dunque ci siamo ragazzi! spero condurvi al fuoco non più tardi di dopo domani! Allegramente!». E poi rivolto a me in particolare soggiunse: «Qua non c'è bisogno di te per ora; va' dormi un paio d'orette, se vuoi; ma fa di non mancar qui alle cinque. Si parte, intendi?».

Me ne andai dunque a casa, e trovai quel bravo ma pedante coinquilino che fumava in veste da camera alla finestra: io l'aveva un po' trascurato negli ultimi giorni dopo averlo ne' precedenti infastidito con le solite fantasticherie degli innamorati. Al vedermi, cavato il sigaro di bocca, e spremendolo con le dita; brontolò: «Felice sera, Quattr'Asterischi; entra qui e sii il benvenuto! Ma patti chiari: parleremo di qualunque cosa fuori che della tua Merope. Io ne ho piene le tasche di te e di lei e della vostra Arcadia. Quel tale che s'impegnò ad insegnar di lettere al somarello di messer lo principe, ragionava così: Ne' dieci anni di tempo che prendo, o crepa l'asino, o schiatta il principe, o vo ad ingrassare i petronciani io. Ti dirò similmente: o manda lei al diavolo, o vatti a far benedire, o ch'io me ne ve' fuori delle scatole. Non ne posso più, capisci tu?».

Risi della sua disperazione: «È ben giusto che tocchi a me di sgombrare il posto; e fra due o tre ore sarò difatti via col Reggimento».

Il coinquilino cambiò tono perché in fondo in fondo gli dispiaceva la mia partenza che lo frodava dello spasso innocente di cuculiarmi e poi mi voleva del bene: eccolo rabbonito issofatto e scendemmo insieme a prendere un poncino al caffè. C'era un Dalmata, conoscente comune, a dondolarsi sulla porta, ma che volle entrar con noi sicché sedemmo al medesimo deschetto. Questo Dalmata sembrava decrepito e pure aveva viaggiato più anni che non gliene avresti dato e non v'era parte del mondo barbaro o civile dove non avesse fatto soggiorno ed anche militato. Uffiziale austriaco, nel quarantotto era passato per diserzione all'esercito sardo: dimissionario dopo Novara, visse a Torino in gran dimestichezza con l'emigrazione, fece parecchi lunghi viaggi, e non imitò il grosso degli amici quando questi ripresero servizio attivo nel cinquantanove o nel sessanta; ned ora, ma gli valeva per iscusa la vecchiaia. «Son repubblicano e non voglio servire alcun Re: sottosopra, più o meno, son tutti d'una pasta». Ed in altri tempi aveva servito l'Imperatore d'Austria! Io mi permetteva di mettere a fascio il suo repubblicanismo con quello di molti, di considerarlo quale un mero pretesto per coonestare l'inescusabile inerzia o prudenza dalla quale era stato trattenuto lontano dalle armi in quegli anni memorandi. Al fondo, m'era antipatico; ma l'incontrarlo spesso o in casa del General Chioggia, amico mio, o al passeggio dove accompagnava da fido cavalier servente la signora Generala e l'esser egli uomo istruito e di spirito, ci ravvicinò in qualche modo. Una volta ch'io m'era imbattuto in lui a caso, venne meco sino alla porta di non so più qual tempio gotico dove io voleva esaminare de' monumenti che fanno epoca nella storia dell'arte; ma non ci fu verso ch'egli inoltrasse il passo sotto le volte della chiesa, e la ripugnanza dimostrata fu tanta che involontariamente io scappai a guardargli il piede, né seppi trattenermi dal sorriso osservando come nell'allontanarsi zoppicasse un pochino.

Rivedendolo poi dal Generale, non volli coprir di silenzio il fatterello; e la Chioggia: «Oh! neppur io ho potuto indur mai questo signore ad entrare in chiesa; tutt'al più mi conduce fin sulla soglia ed aspetta di fuori passeggiando che la messa sia finita».

«Voi non mi vedrete in chiesa mai, che quando mi ci porteranno fra non molto, ed io non mi ci potrò vedere» soggiunse il Dalmata.

«Pretenderebbe forse esser più ateo di me?» gli diss'io. «Eppure c'entro qualche volta e se non isbaglio m'è anche avvenuto d'udire un paio di messe in vita mia».

Ned era questa l'unica bizzarria del vecchio; eccone un'altra maggiore: e' non soffriva mai un bacio, non ne dava mai uno, neppure ad un amico dopo anni di separazione, neppure ad una bambinella. Una volta che la Chioggia disse alla figlioletta capitata in salotto ad augurarle la buona notte: «Saluta anche questi signori, e un bacio loro», il Dalmata ebbe il coraggio di respingere le dolci labbra della piccolina; corrugò la fronte, quasi ricordasse dolori, e mormorò a bassa voce:

 

«Il n'est don que de Roi, ni baiser que de Reine».

 

«Come!» diss'io che sedutogli d'appresso l'aveva inteso «malgrado tutto il suo repubblicanismo conviene che i Re e le Regine possono servire a qualcosa, non foss'altro ad aggiunger poesia ad un dono, ad un bacio?».

«Io non convengo di nulla: era un verso che m'è venuto alla memoria».

«Cara bimbacontinuai abbracciando la fanciulletta «io non ho i fremiti di questo signore, e sarò lietissimo d'un tuo bacio, ancorché non di labbra regali».

Questo era l'uomo col quale il mio coinquilino ed io sedevamo a prendere il poncio nel caffè: l'amico continuò a motteggiarmi pe' miei amori che gli piaceva di chiamar sentimentali. finché io gli dissi: «Ma che diamine, non hai amato mai, tu, sentimentalmente?».

«Io?» rispos'egli. «Sì, ho fatta anche questa sciocchezza, ma una volta sola e per soli cinque minuti».

«Fosti spiccio. E Lei, che lo approva, Lei, mio signore dalle Bocche di Cattaro, Lei che non ammette i sospiri, le lagrimette, eccetera; Lei neppure ha mai amato proprio con tutto l'animo, in giovinezza?».

«Io!» rispose il Dalmata. «Neri voglio farmi migliore di quel che sono. Dirò dunque che sì, ma aggiungerò come il tenente: una volta e per mezz'ora, non più mai».

«Voi siete bestie rare: ma raccontatemi un po' codesti vostri amori. Voglio rendervi pan per focaccia e scherno per motteggio e sette e cinque per dieci».

«Voi chiedete ch'io narri» disse il Dalmata «ciò che non ho potuto dimenticare. Sia pure. Racconterò quel che m'accadde

 

Come e quando dir non vo',

 

or son molti anni in paesi lontani e che mi fa raccapricciare al solo aspetto d'una chiesa, al solo squillo d'una campana, al solo pensiero di toccare con le mani o con le labbra le membra d'una donna. Racconterò; ma, badiamo veh! ad un patto: che vi contentiate di quel ch'io sarò per dirvi, senza pretender chiose e addizioni, senza importunarmi d'una domanda».

Noi promettemmo. Il Dalmata ordinò tre altri ponci; poi rivoltosi al mio inquilino:

«Cominci Lei a raccontare i suoi amori: parlerò dopo io. Sono come que' cavalli cui vien voglia di fermarsi solo dove sentono l'odore delle pisciate d'altri cavalli».

L'amico non si fece pregare e cominciò la sua narrazione.

 

 

 




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