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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • XIV   LO SQUILLO DI TROMBA OSSIA LA DAMA TRAVESTITA
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XIV

 

LO SQUILLO DI TROMBA OSSIA LA DAMA TRAVESTITA

 

Interdum tunica duxir operta moram.

PROPERT. II. I5.

 

Nel congedarsi, Pietro mi disse: «A proposito, Quattr'Asterischi, ho incontrato poco discosto e poco fa un contadino il quale andava in cerca di te e mi ha fatto non so che discorsi di una persona che ti avea data una posta. Io non gli ho saputo dir altro se non che stamane avevi mancato al rapporto, perché distaccato agli avamposti».

«Grazierisposi «so di che si tratta». Io non sapeva niente, ma pensai: «Andiamo all'appuntamento: se non trovo nessuno, so almeno chi mi ha fatta la burla, e giacché dobbiamo aspettare la battaglia a stomaco vuoto, ci faremo passare l'appetito dandoci quattro sciabolate con questo buffone di De Mulieribus, tanto per vedere se le armi sono affilate per bene. Così almeno avrò un buon pretesto per vendicare la noia che m'hai data, caro! Come dice il biglietto? La strada che parte dalla piazza rimpetto all'orologio solare; sì, quel goffo gnomone con la scritta:

 

L'ombra dimostra l'ora tua fugace,

Se l'ombra perdi, perdi eterna pace.

 

E poi? La seconda straducola a sinistra; beh, dev'esser questa. Ed ora? la terza casa a destra col portone dipinto verde, numero ventidue. Buon augurio, proprio il numero mio: i pazzi. Numero ventidue, eccolo qua. Ohi di casa, c'è nessuno? Ehi! Ahi! Uhi! Ihi! che il diavolo si porti questa porta! Finalmente!». Durante questo soliloquio, m'era alzato, m'aveva affibbiato il cinturino, m'era incamminato seguendo le indicazioni del biglietto anonimo, era giunto al luogo, aveva picchiato, ripicchiato e strapicchiato e dopo un pezzo s'erano degnati aprirmi.

Chiesi al contadino che mi vidi ritto innanzi col berretto in mano ciò che credetti opportuno per giustificare la mia invasione ed acquistare la desiderata certezza della celia ch'io riteneva ordita a mio danno; ma quel galantuomo (se tant'è che meritasse l'epiteto) mi rispose in pretto lombardo: ora il lombardo è un linguaggio che capisco alquanto meno del zendico del quale non ho mai saputo verbo, appunto come qualche professore che spaccia d'insegnarlo ad un uditorio negativo; vero però ch'è un linguaggio armonioso press'a poco come l'ottentoto il quale surroga le vocali con dieci diversi modi di far scoppiettar la lingua. Da' gesti però mi parve che quel furfante (se tant'è che il titolo gli spetti) indicasse un primo piano praticabile per mezzo d'una scalinata esterna, e vista l'impossibilità di raccoglierne informazioni, deliberai di spingermi avanti in ricognizione. «Purché non cada in un'imboscata! E quand'anche?». Giunto appiè della scala, scôrsi in cima una contadinotta seduta sul poggiuolo; le diedi una voce, ma si scosse e non rispose: «Saliamo dunque, e se mi trattano da nemico, giurabbacco! useremo degl'imprescrittibili dritti della guerra». Ascesi dunque gli scalini a quattro a quattro, accarezzandomi i baffi e strascinando romorosamente lo squadrone, e giunto su, marciai difilato sull'imboscata, dicendo: «Ohè, bella figliuola, fossi sorda?».

Ma la bella figliuola alzò il capo ed io rimasi di sasso ravvisando, oh dio santo! sì, proprio lei! La mia signora che sorrideva in quella cara maschera. Come cadde ad un tratto la mia baldanza! Era Merope mia, travestita, ma stavolta non dal sogno!

«Tu non se' sorda, no, son cieco io, cieco mille volte! Ma chi poteva immaginarti qua, in questi abiti?» le dicevo entrando nella meschina stanzuccia; e quando fummo entrati non dissi più nulla, ma cercai d'abbracciarla; e la cattivella mi lasciò fare. Poi svincolandosi corse allo specchio e si ravviò i capelli con un pettinino, poi venne a sedermisi accanto sul rozzo canapè e mi pose le mani in mano. Come qui? com'è che sei venuta?».

«Come? Parte in ferrovia, parte in carrozza».

«Capisco: ma perché?».

«Oh, oh! un interrogatorio? Vediamo, che c'è. Perché son venuta? Per procacciarmi il bene di rivedervi: affetto. Perché in questi abiti? Per procacciarmi il bene di piacervi: civetteria. Non son forse bella così? Come mi trovi?».

«Bellissima sempre. Ma tuo marito?».

«Che t'importa?».

«E tua figlia, la Silvia?».

«Parliamo d'altro, sai?».

«Cara Merope, che dolce sorpresa!».

«Sorpresa? Dunque non m'aspettavi?».

«Che? m'hai scritto che verresti? Non ho ricevuta lettera tua, anzi te ne faceva secreto rimprovero. Che vuoi? questo servizio della posta militare si crederebbe disonorato se non emulasse gli allori delle altre amministrazioni italiane: disordine da non credersi».

«Non ti ho scritto, no; ma giacché avevi dovuto partire senza potermi vedere, e sapevi che io ti amava e ti avea promesso che mi avresti riveduta; dovevi pensare ch'io verrei. Non ho mai mancato ad una parola, ancorché avventata, checché dovesse costarmi, io».

Il vero è che per quanto uno sia pazzamente innamorato, quando si passano le giornate senza mangiare, le nottate senza dormire, sempre esposto alle intemperie, sempre con la prospettiva di morir forse fra un'ora, quando insomma si fa la vita del soldato come va fatta, allora non si ama meno, ma si pensa un po' meno alle persone amate; non c'è tempo da vagheggiare le donne. Altro e peggio che le macerazioni degli anacoreti! Questa spiegazione che il discreto lettore capisce senza che oltre io mi diffonda, non poteva darla alla mia Merope per buone ragioni in buon dato; quindi risposi: «Ed acciò qualche palla austriaca non ti facesse mancare mal tuo grado di parola, portandomi via, ti sei affrettata a venire, è vero? Perché turbarti? Ho indovinato e ti ringrazio. Diamine, si sa che qua non siamo per ballar contraddanze! E del resto anche ballando si può sdrucciolare, rompersi una gamba malamente; suppurazione, cancrena e morte!».

«Eh, come corri!».

«Pochi momenti sono un cacciatore austriaco mi aveva preso di mira, mentre mi faceva vento agli avamposti col tuo ventaglio. Fra pochi momenti sonerà forse la tromba, allora; avanti, marsc'! e chi sa se si ritorna! Concludo che in amore come in ogni altra faccenda, prima condizione del far bene è il far presto». E aggiungendo a mezza voce:

 

«Se l'ombra perdi, perdi eterna pace»,

 

mi feci sotto per riabbracciarla. Come tanto ardire in me? Che volete! la vita del soldato! Ebbene l'indegna mi sgusciò dalle braccia ed invece di toccar le sue labbra con le mie, ricevetti una solennissima capata che mi sconquassò i denti, e mi trasse un involontario: «Ahi!». Credete che la mi compatisse? Ohibò, le scappò da ridere.

«Cara Meropesclamai un po' stizzito «davvero, se sei venuta sin qua solo per appoggiarmi di queste capatacce, francamente, sai...».

«Avrei potuto risparmiare il viaggio?».

«Non dico mica questo, io».

«Ma lo pensi bene, tu».

«Nòe, mi conosci. Accetto sempre con riconoscenza quel che la donna amata si degna accordarmi: dammi poco o molto, in somma delle somme poi, chi è padrona della tua persona? La padrona se' tu, come delle tue sostanze. E non posso pretenderne altra parte che quella la quale a te piacerà concedermi, appunto come il mendico cui fai la limosina, non ha dritto che a quanti centesimi è tuo beneplacito di largirgli. So che gli arroganti in amore vogliono che la donna faccia per forza, spinte o sponte, a modo loro; e che per lo più, come tutti gli sfrontati, conseguono l'intento; o quando per caso fanno fiasco, si ritirano in buon ordine come il soldato che sa d'essere stato sopraffatto dal numero, malmenato dalla fortuna, ma non già vinto per pusillanimità o codardia. L'esser vinto non è turpe, dimani potremmo essere sgarati anche noi. Ma nessuno cambia a capriccio la propria natura: in amore io son pusillanime, non oso arrischiare il poco per rosicare il molto. In quanto a desideri, bramo tutto e più del tutto s'esser può: non mi concederesti mai tanto ch'io non agognassi ancora qualche piccioletta cosa; comprendo, t'assicuro, quegl'imperadori romani, che appagati in ogni capriccio, s'innalzavano fino ad ambire il mostruoso, l'impossibile. Ma quand'amo, amo tanto, che attribuendo un valore immenso ad ogni ineziuccia, non m'avventuro a perderla neppure con una mezza certezza di ottenere l'arrosto di quel fumo. Quindi non ti farò un delitto del non essere meco arrendevole. Ma pure, se ti piacesse, Merope mia, ora di darmi un bacio? Ma un bel bacio ha da essere con tutta l'effusione dell'amore! Perché restia? Lo sai tu se ci rivedremo? Sai ben tu se questa non è l'ultima volta che stiamo insieme così, io a chiedere, tu a negare; io soffrendo, tu afflitta? Sempre la dimane è malsicura e quindi l'avveduto si affretta a cogliere la poca voluttà che l'arida vita può recargli; ma ora per noi è più che malsicura; miracolo è il campare. Io certo non ti farò forza più qua che altrove, ma rifletti un po! Perché sei venuta? Per isnervarmi, per farmi andare svogliatamente incontro alle palle, pensando quante dolcezze son pure al mondo, disperato di non averle godute? Oppure, dimmi, volevi aggiunger fiamma alla fiamma ch'è in me? Quest'ultimo, certo. Sii dunque mia; e domani, posdomani, quandochessia ch'entreremo in ballo, io mi spingerò più innanzi di tutti, dove si trovano le morti eroiche e le medaglie d'oro al valor militare. Perché la bocca ancor piena del sapore della massima voluttà, esaurite le dolcezze che può somministrar la vita, io non la curerò».

Merope mi ascoltava a capo basso; ma qui alzò la fronte, sembrò un momento cercar le parole, poi arrossendo tutta come brace, mi disse così: «E questa tua aspettazione appunto mi trattiene, caro, caro! Esaurire in me la voluttà! Speri troppo, e guai a me se non rispondo poi alle tue stolte speranze! Come vuoi giudicare l'armonia di questo ignoto strumento? Stimi davvero che queste mie povere carni, dico? che queste mie scarne membra t'abbiano ad appagare in tutto e per tutto? Io temo i confronti. Tu forse e senza forse erri; e s'io cedessi, e quando avrà ceduto, dopo un istante sorgeresti rimpiangendo il tempo sprecato a desiderare così meschina cosa: mi disprezzereste, sissignore; raccontereste sghignazzando agli amici di aver corteggiata la Merope un pezzo immaginandola un boccone prelibato, e di non aver poi trovato... già con quest'abito mi vedi tutta qual sono, non ci è impostura. Che ho di bello? Gli occhi, non c'è male; le mani, transeat; e poi? tutta ossa, un mucchio d'ossa. Queste gambe? due bastoncini. Queste braccia? due stecchi. Un così magro pasto ti avrà subito tediato. Supponi forse ch'io sia tutta fuoco, tutto impeto, e che supplisca con la sfrontatezza, con la lubricità a quel che mi manca? Ed in questo t'inganni, caro. Io sono un ghiaccio, fredda fredda. Non solo io non provo ebbrezza per la voluttà, ma una certa ripugnanza, che mi costa a vincere, t'assicuro; che rende per me un vero sacrifizio il contentarti di ciò che tu avidamente e con tanta ressa desideri. Da che proviene questo? Una mia amica voleva che fosse effetto d'un'imperfezione fisica...».

«Tu che dici, Merope mia stolta e cara? Gli è che non hai mai amato. Non hai mai condisceso ad alcuno che ti suscitasse amore: e la tua natura troppo schiva non ti concedeva di goder voluttà corporale, mentre l'intelletto era contristato e dolente. Fa di amare e godrai, non temere, e la ripugnanza diverrà mite pudore, e il pudore stesso sfumerà dinanzi al desiderio concentrato e retto. Fa di amarmi; meno per me, quantunque altro io non brami, che per te stessa: l'amore è bello per sé, non per l'oggetto sul quale si posa. Altrimenti chi potrebbe fantasticarsi degno del tuo affetto? Io forse? io, commuovere per virtù mia te, che tanti migliori non hanno potuto toccare? No, certo, l'aspettarselo sarebbe follia: io non ti merito».

«Credi proprio?».

«Così nol credessi! E sappi che solo per questo oso sperare di ottenerti: non avendo mai ottenuto, mai, nulla di ciò ch'io meritava, che dirittamente mi apparteneva, tanto una dura necessità mi fece contrari gli uomini e le cose; io non dubito di potere ottener te che non merito. Ma riflettendoci veggo che anche questa è una stolta lusinga: io non sarò amato mai da te».

«Davvero! e perché?».

«Perché in parte pure meriterei che tu mi amassi per lo amore mio immenso, schietto, purissimo. Se fingessi d'amarti, oh allora sì potrei viver certo di averti o prima o poi».

«Eppure!...» diss'ella tutta impensierita ad un tratto.

«Perché t'interrompi?».

«Niente, quel che tu dici è vero, ne convengo, eppure! Quando una donna in questi tempi arrischia la fama, la vita, l'onore; lascia la casa propria, abbandona la figliuola, viene in mezzo agli eserciti, fin dove forse accadrà una battaglia; e questo unicamente per trovare un uomo, un uomo che ha smessa ogni speranza di rivederla; e dirgli: - Tu mi desideravi, io ho promesso: eccomi e fa di me quel che t'aggrada; - va, spiegami tu Quattr'Asterischi come questo signorino possa ripetere ancora la vecchia querela: io non sono amato.

«Merope mia, mia, mia!».

E Merope non mi contese più le sue labbra; ma ritraendosi lentamente dalle mie braccia col candore della sposa che soprappesa da quella verecondia che dovrà pure imparare a lasciar con la gonnella (secondo che dice quel gran brav'uomo del Montagna), vorrebbe indugiare ancora per pochi, pochi minuti quel punto da lei pure desiderato ed affrettato tanto, tanto; tutt'a un tratto mi bacia e si fa libera, e corre come una matta a spingere innanzi un tavolino ed imbandirvi su una frugalissima mensa, filai sguaiati provincialoni non fecero più ressa per riempirti lo stomaco fino all'estremità dell'esofago: «Mangia! Bevi!» e non c'era scampo. Io certo aveva sempre fame, ma non aveva più appetito, con quel tumulto in core, prossimo com'era a conseguire tanta ed inattesa fortuna. Ci guardavamo a vicenda supplicando; essa, perché io le accordassi un altro po' di rispetto; io, perché la non mi sforzasse ad ingozzar quella robaccia che mi faceva nodo in gola. Finalmente, non reggendoci più, un poco per amore, molto per non rimaner soffocato, osai! Balzato in piè l'afferrai e senza curarmi più che tanto d'un suo piccolo strido, me la recai in braccio, come il nibbio toglie negli artigli la sua preda.

Quell'abito di contadinotta avea del buono e del cattivo: del buono perché piuttosto succinto e scollacciato dimostrava molta parte di bellezze, del cattivo perché, santiddio, per islacciare quel busto rosso tanto elegante ci vorrebbe mezz'ora al più destro! figurarsi dunque ad un povero disadatto par mio. Io mi c'imbrogliava e l'impazienza mi faceva raddoppiare le lungaggini dell'operazione. La povera Merope, rassegnata al suo destino, se n'accorse; e non volendo forse che bestemmiando, sacramentando e sospettando mi dannassi l'anima, sempre con gli occhi bassi, tolse per la lama un coltello d'in sul tavolo e me l'ebbe porto. Non chiesi altro; ah! ci siamo! Con un buon taglio recisi tutti i nastri che legavano busto, gonnella, sottana; in un voltar di mano quegl'importuni involucri furono sparpagliati per la stanza e m'incamminai portando la seminuda verso il letto.

Lettor mio bello, lettrice mia cara, quanto sarei contento di dovervi ora pregare d'andarvene pe' fatti vostri, stando ché il pudore mi obbligasse a calare il sipario. Ma nient'affatto, sventuratamente pur troppo potete rimanere. Anzi se qualche mamma, vedendo la piega che pigliava il capitolo, ha fatto uscir la figliuola, come fecero le abbonate al Teatro del Fondo quando vi si rappresentava un dramma intitolato: la Concubina; adesso la può far tornare, come al Fondo, finito il dramma, le fanciulle rioccuparono i palchi per sentire la burletta.

Stavo a mezza strada dal letto, quand'ecco ad un tratto squillar le trombe; io mi fermo ed intendo l'orecchio: suonano l'assemblea, suonano il passo di carica, poi un lungo squillo, un secondo, ed un altro ed un altro ed un altro: cinque in tutto. Chiamano a raccolta il quinto, il mio reggimento, a passo di corsa. Ecco ripetersi la chiamata una ed un'altra volta: oh! è giunto il momento di marciare innanzi, e quando si chiama il soldato con tanta premura, gli è ch'egli è atteso per cominciar la danza. Andiamo, andiamo! fra una, fra due ore il fuoco sarà attaccato. Andiamo, andiamo! interrompete ogni cosa incominciata, via dall'animo ogni altra cura; non più facce melancoliche, o che non sapete che si va incontro alla morte? Questo è il momento in cui si scorge chi ha il cuore ben temprato; chi disprezza questo cencio di vita; chi ama davvero que' gingilli, que' trastulli de' petti virili che sono i combattimenti, gli attacchi, le palle in corpo ed i nastri azzurri. E chi non li ama in Italia?

Mi erano cadute le braccia, l'animo mio si sentiva attirato da calamite assai più potenti che nol sarà mai l'amor di donna, dall'amore del pericolo e della patria. Ma quando gli occhi miei incontrarono nuovamente gli occhi trepidi suoi, eh allora!.. Lasciarla! e chi sa?... per sempre? Ed averla in poter mio, ed abbandonarla come un misero impotente che fugge scornato dal letticciuolo ove rimane incontaminata la femmina cui volle usar forza! No, no, mi fermerò qui pochi altri minuti; oh bella vita che forse io godo per poche altre ore, tu mi devi un altro sorso di voluttà! Ma il desiderio stesso è spento: ma ecco, la chiamata echeggia di nuovo per le vie, per ogni angolo del paese; passi concitati battono il lastrico; i comandi cominciano a risuonare; i fasci d'armi rumorosamente si sciolgono; la letizia delle torme prorompe e si sfoga in fragorosi canti:

 

Addio, mia bella, addio!

 

Strinsi convulsamente al seno la semisvenuta, la coprii di baciuzzi affoltati... E sotto alle finestrette della stanzuccia, passava un milite canterellando:

 

Non pianger mio tesoro,

Forse ritornerò!

Ma se in battaglia io moro...

 

Per me non formava senso quell'ultimo verso che deturpa con un'insulsaggine la stupenda canzone: In ciel ti rivedrò. No, mia cara, no; sarebb'egli un sacrificio il lasciar la vita per ritrovarne una migliore? sarebbe sacrificio lo svellersi da' suoi cari, quando l'addio non fusse eterno, sempiterno? Io non ti tratterò come i bimbi a' quali si cerca di darla ad intendere; ti stimo troppo per non giudicarti degnissima della sconsolata disperazione, del vero!

Merope mia! non cercò di trattenermi, non disse una parola, non si strinse a me con tenaci amplessi: non si ritenne offesa da quel disprezzo de' suoi vezzi, del suo corpo. Capiva quell'imperativo del dovere, quell'appello di fedeltà alla bandiera che non ammette scusa, replica, indugio. Rimase fredda, noncurante, estatica: solo quand'ebbi rinnovato per l'ultima volta l'estremo addio, mi strinse la mano e prima ch'io potessi ritrarla, l'ebbe baciata; ed io trovai la mia mano bagnata da una lacrima.

Ho visto molti vivere beati di censo, di ventura, di amori; molti riuscire dove io aveva fatto fiasco, non perché fossero da più di me per alcuna parte, ma per una certa benignità meretricia della fortuna, che incapricciatasi di loro sembrava non aver cuore di dispiacerli in checchessia; e francamente non senza invidia; perché insomma, dobbiamo persuadercene, ell'è impossibil cosa, che chi o giusta od erroneamente si tiene superiore a molti sciocchi, tolleri con equo animo la grandezza di costoro e la propria miseria.

Ma in quel momento mi ritenni felice e compensato, e più degli amplessi profusi da mille e mille volgarissime principesse o crestaie, mi sembrò valere quella lacrima silenziosa d'una donna ch'era venuta per me sin , e che mi vedeva partire senza spendere una parola per distormi.

 

 

 




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