XV
SOGNO POSTUMO
C'est à
vous de rêver et de faire ds songes
Puisqu'en
vous il est faus que songes sont mensonges,
MOLIÈRE
Neque
sepulcrum, quo recipiatur, habeat, portum corporis
Ubi,
remisa humana vita, corpus requiescat a malis.
ENNIUS
I had a
dream that was not all a dream
Dopo un paio d'ore di marcia, a notte fatta, si
ordinò l'alto e di formare i fasci d'armi: io mi ravvolsi nel mantello, mi buttai
per terra, m'addormentai e sognai. Va, dubita che i miei sogni non
profetizzino, quando in questo mi parve d'esser morto; il che pure dovrà
verificarsi! E se quest'una circostanza s'ha da realizzare o perché non
accadrebbe il medesimo delle rimanenti, eh? Se dovrò. come ho sognato li
dormendo a ciel sereno in quel breve alto, sentirmi palpare dalle invereconde
mani de' seppellitori e ravvolgere nel sudario e inchiodare nel cataletto;
sentire le mentite lacrime ed i falsi baci d'addio de' miei superstiti, e le
bugiarde preghiere de' signori preti al loro domineddio menzognero, doh! perché
non mi aspetterei all'avveramento delle meravigliose cose che mi parvero
succedere alla morte?
Debbo
testimoniarmi che, visto com'io morissi la prima volta, non m'era poi condotto
male: aveva sopportate tutte quelle scenate con la massima equanimità: né un
muscolo del corpo, ned una fibra dell'animo s'era commossa: non c'è
indifferenza filosofica la quale possa paragonarsi a quella che s'acquista con
la ceremonia detta volgarmente crepare. Degli amici si disputarono
l'onore di sottopor gli omeri alla mia cassa; e m'accôrsi che si scendeva in
istrada attraversando una moltitudine fragorosa ed affaccendata. Il morto non
avendo assolutamente nulla da fare, io pensai bene di ascoltare quel che si
facessero i vivi i quali mi portavano a sotterrare: udiva il calpestìo della
folla, lo scalpitìo de' cavalli, il convocio de' mercantuzzi, il bestemmiar de'
cocchieri; voci confuse chiedere cos'è? chi è? e finanche lo scoppiettìo de'
cerei. I venditori di ciriege urlavano: vi' che sciorta de palle,!
so tuoste cchiù de a faccia de li femmene! i pescatori: mmo eva
p'ù mmare chisto! i paludani spingendo gli asinelli carichi di erbaggi: vruoccole
ca so bone anca dint'a lu letto! i peperonai: chi tene u mmarito
biecchio! ed i bimbi che vendevano i giornali annunziavano la mia
necrologia: «Bone,» diceva io tra me e me «pare che la mia morte faccia un po'
più chiasso della vita». Ma da morto che sa il suo dovere, non me ne sentiva solleticato.
Giunti in
cimitero, deposero il feretro sul margine d'una fossa e fecero silenzio. Allora
sentii qualcuno curvarsi sul mio cataletto e chiacchierare, chiacchierare,
chiacchierare con una parlantina unica. Di tempo in tempo un plauso, un mormorio
d'approvazione, interrompendolo, mi facevano presumere lo sterminato novero de'
convenuti, come dal fremere prolungato del vento nel fogliame s'indovina
l'immensità della foresta. Era la mia orazion funebre, l'ultimo vale, come
suol dirsi, l'estreme parole che mai mi sarebbero rivolte, giacché non aveva
poi tanto fatto da meritare apostrofi poetiche, né lasciava una vedova
qualunque che rimaritandosi dovesse commemorarmi ogni tanto per tormentare il
mio successere; il quale potrebbe anch'essere il mio secretario od il mio
lacchè od altrettale veramente.
Chi diavolo
era l'oratore? che mai l'orazione? M'ingegnavo d'afferrar qualche frasuccia, di
riconoscere almeno l'organo del facondo uomo; se non che la spessezza delle
tavole, il vento che sperdeva le parole pronunziate con tanta enfasi, e quel
rumorio che si disviluppa da ogni moltitudine ancorché raccolta e
silenziosissima, non mi lasciarono cavar questo gusto. Non per questo
m'indispettii. come tante volte in vita quando nelle società, accorgendomi che
la tale o tal'altra parlava della mia riverita persona al vicino, non m'era
riuscito d'indovinar neppure il senso generale del dialogo, per quanto
intendessi con le orecchie.
Mi
encomiavano? mi riprovavano? Chi sa quali fiumi di rettorica quel valentuomo avrà
prodigati sul conto del meno rettorico fra gli uomini spiegando con volgarità,
azioni, e pensieri: tutte cose che io medesimo, assai meglio informato de'
particolari, non aveva mai potuto apprezzar con giustizia? E dopo questo
giudizio pubblico forse falso, ma indubbiamente encomiastico, che direbb'egli
di me in privato quel parolaio declamatore del mio panegirico tornando a casa a
braccetto con la moglie e la druda co' fanciulli per mano? che direbbero di me
quegli uomini, cessando di esser folla e ripigliando quel criterio individuale
e quel buon senso che gli uomini rinunziano quando si agglomerano? Oh bella, e
che m'importava? Un fico. Che riguardava me cadavere se la mia memoria fosse
esecrata o benedetta? L'amor di gloria, già così potente sull'animo mio, s'era
spento oramai, spento affatto. Il biasimo e la lode de' contemporanei e de'
posteri, della città e della storia mi tornava indifferentissimo.
Non v'era
ambizione, non errore, non sacrifizio, non colpa della mia vita passata, non
giorno che non mi sfilasse dinanzi; come non v'è bacca del rosario che non
passi sotto le dita della bizzoca. Ma tanta era la mia apatia che ricordava
senza giudicare punto. Le memorie che altre volte valevano a strapparmi lacrime
di sangue, che poche ore prima mi facevano soffrire peggio delle pugnalate; non
mi turbavano più. Così le più dolci e tenere ricordanze di amori goduti, di
speranze giovanili, di lode meritata, non mi lusingavano ormai l'animo. Credi
tu che un marmo si affligga perché un Sansone traditore se n'è servito ad
ammazzare la sacra ed inviolabil persona di un Re filisteo; o che sorrida per
aver servito di letto agli amori della moglie di Ferondo col suo confessore?
No, neh? Fate conto ch'io mi fossi un marmo e non corbello.
Che
m'importava oramai più che non si fossero avverati gli ambiziosi sogni di
gloria, ch'io mi aveva foggiati fanciullo ad immagine e similitudine degli eroi
di Plutarco da Cheronea e di Vittorio Alfieri da Asti? Ah que' libracci lì sono
un vino poderoso che inebbria e fa girare il capo! Guai, chi ci si abitua!
diventa incapace di sentirsi titillare il palato dall'acquetta appena tinta che
forma la bevanda più solita nella vita. Dopo che avete riempiuto il cervello
d'un ragazzo di tutte le agitazioni della vita pubblica, di tutto lo scompiglio
della vita poetica; dopo ch'egli s'è aggirato per anni con la fantasia fra
rivendicazioni a libertà, tirannicidi, congiure, guerre d'indipendenza e
civili, ambiziosi che giungono all'impero, trionfatori che vincono il nemico
decuplo, uomini e donne che sanno tranquillamente uccidere ed uccidersi; come
ragionevolmente pretendere ch'egli si rassegni alle umili sorti della vita
contemporanea, che ponga interesse ne' pettegolezzi quotidiani, che abbracci
una professione ingloriosa ma fruttifera? specialmente poi quando ha sortito i
natali in un'epoca ed in una terra sconvolte e turbolenti al pari di que' be'
secoli di Roma e di Grecia; quando ha visto amici, parenti combattere per
acquistare una cosa pubblica; quando è stato travolto in una di quelle emigrazioni
nelle quali si espatria l'eletta d'un popolo. Mangerà pane come un anacoreta,
ma dovrà aver la sua parte ancorché minima in ogni vicenda della patria; e la
miseria gli sembrerà più che compensata dal pensiero clie cinquecento carogne
ch'egli non conosce, ne sanno il nome.
Che
m'importava che i desideri dell'adolescente fossero rimasti insoddisfatti,
que' potenti desideri stillati, concentrati dall'astensione e dalla fantasia,
di una bellezza perfetta. nella quale io m'imbatteva ad ogni piè sospinto
nell'Arte, e della quale vaneggiava di aver trovata un'incarnazione immacolata
nella vita. Oh quel primo amore che non sa distinguere ancora fra l'idea
sublime, ch'è parto della nostra mente, e la femminetta più o men fango, più o
men venalità, in cui c'illudiamo di vederla pienamente, totalmente,
integralmente emanata, come que' Cristiani si figurano che il loro dio fosse
tutto intero nelle povere membra del galileo crucifisso! Il verbo dell'adolescenza
è la bellezza: ed io le aveva consacrato un tal culto ideale, che ogni altra
cosa disparve a' miei occhi, che la gloria stessa non m'innamorava più se non
in quanto era bella ed in quanto poteva ottenersi proseguendo la bellezza.
Ahimè, stolto colui che richiede ad una donna, ad un'arte quel che non è in poter
loro il fornire! Simile allo scrittorello che s'ostini ad anfanar sempre la
medesima idea od al gretto pittorucolo che non sa più ritrarre null'altro
tranne un tipo, l'amante che si chiude in una femmina, s'isterilisce.
Quell'idea sublime che è la bellezza non può esaurirsi nelle fattezze, nella
mente, ne' costumi d'una persona, anzi solo nell'infinita serie di fattezze, di
menti, di costumi di quante donne sono, furono e saranno. Che un momentaneo
errore sia fatale; che l'uomo possa in un delirio più o men breve, cattivato da
qualche bella parte, reputare onninamente incarnato quel suo tipo; è un fatto:
ma pover'a lui, se presso la miglior donna non prova a lungo andare nausea e
sfatamento, se non s'accorge subito ch'ella è una maschera dietro la quale si
nasconde imbruttita la divina ed incorporea amante; una Pulcheria cortigiana
che presta le sue membra agli amori puri della schiva Lelia.
Che
m'importava finalmente che fossero tornate vane anche le speranze dell'adulto,
quando sorto ad autonomia caratteristica di pensiero non ebbe più altra brama
che di vivere e di affermarsi nella pienezza del suo istinto e delle sue
passioni? Sconsolati tempi, ma belli ancor essi, ne' quali aveva imparato a
stimare il valore delle azioni umane, unicamente dall'impressione che
producevano sull'animo mio; in cui aveva accettato con indifferenza il dolore e
la voluttà, l'atto abietto ed il generoso, la riuscita ed il fiasco, purché il
cuore palpitasse un istante, fosse per un attimo sottratto al tedio della vita.
Tempi, quando godeva d'imbrogliare stranamente le mie azioni ed i miei affetti,
come l'alchimista operava co' suoi ingredienti, nella inconsulta speranza di
veder uscir l'oro da quella miscea.
Già prima
d'esser nel sepolcro più volte mi era travagliato a sviscerare e notomizzare la
mia coscienza, senza che mi riuscisse di decifrar mai, il movente vero di
parecchi operati miei: la coscienza ci mente per istinto, involontariamente; e
noi s'usa forse più reticenze e restrizioni mentali ne' monologhi che ne'
sproloqui al pubblico. Ebbene ora finalmente leggeva chiaro in me stesso:
d'alcuni fatti elogiati dall'universale e mio secreto orgoglio, scopriva ora
de' perché reconditi nelle ultime latebre, ne' più oscuri angiporti del cuore;
perché tanto abietti e schifosi, ch'io mi farei disprezzato ed odiato, quando
pur fossi stato ancora capace di odio e di sprezzo.
Oh di quanto
erra l'uomo nell'immaginarsi che tutto sia rose in quell'Eden ch'egli si figura
essere il sepolcro! I signori vivi si formano un'idea radicalmente falsa della
morte: so di parecchi i quali non veggono l'ora di rincantucciarsi nella tomba,
sperandovi riposo dopo i travagli del vivere, quasi una Tebaide vuota,
silenziosa, lontana da ogni consorzio, dove s'abbia pace dall'esercizio de'
cinque sensi. Fanno i conti senza l'oste: una vita orribile si agita là entro
nelle fosse delle sepolture, sotto gli sterili marmi; vita di putredine e di
dissoluzione. Quella materia tanto travagliata sotto la forma umana, non è
stanca di sentire e di soffrire, e si sobarca a nuove ed oscene e minori forme
di vita, come allo sciogliersi di un grande impero sorgono mille autonomie di
repubblichette. Dalle zolle che i becchini ti precipitano addosso, fino a
quella ipotetica tromba che secondo la mitologia cristiana dovrà bandire il
favoloso giudizio universale, sembra di udire laggiù, sotto il coperchio della
bara, mille rimbombi spaventevoli... cioè che spaventerebbero se la morte non
avesse fatto inaccessibile alla paura anche il più codardo.
Gl'insetti
succhiellavano gli assi del feretro per giungere a quella che per loro era
dolce preda del mio cadavere, com'io appunto con un po' d'astuzia ed un po' di
violenza m'era pazientemente sgombrata la via ed aperto l'uscio a più d'un
soave amore; la terra sfranava dopo le pioggie che mi avevano allagato; i
cagnacci famelici raspavano nottetempo il terreno sovrappostomi; i passi de'
beccamorti o dei curiosi soffermati per leggere il mio epitaffio mi
s'aggravavano sulla fronte; e giungevano fino a me le grasse loro risate nel
compilare ciò che probabilmente era il mio elogio. Giacchè ci casca opportuno,
lasciate ch'io vel dica: nel visitare i campisanti siate raccolti e taciturni:
come non insultereste gli affamati banchettando a porte spalancate in tempo di
carestia, così non vogliate insultare i morti esultando e rallegrandovi tra di
loro; astenetevi soprattutto dal vituperare chi v'ascolta e non può risentirsi,
ha peggio che la sbarra in bocca, peggio che catene al pugno ed è chiuso in una
cassa chiusa sotterra... Ma giova sperare che non tutti i morti siano così mal
morti come era io, da conservare ancora l'abitudine di percepire e di
ragionare.
Anche
talvolta i passi leggerissimi d'una qualsiasi pia fanciulla che sola soletta si
recava presso a qualche tumulo ignorato o dimenticato da ogn'altra anima viva;
il frusci-frusci delle sue prolisse vestimenta urtate alle pietre ed alle
siepi; le vanissime preghiere mormorate dalla bocca di lei; giungevano fino in
fondo al mio cataletto osceno, come un lontano saluto della vita fuggiticcia,
come un ultimo sventolar di pezzuola dell'amica che viene rapidamente involata
dal piroscafo.
Un giorno,
sentite cosa accadde: il mio vicino, cioè quel quondam galantuomo o quondam
furfante che occupava la fossa attigua alla mia, non aveva avuto l'accorgimento
di comperarsela, come avevan fatto per me, a perpetuità. Il suolo gli era stato
conceduto temporaneamente, per un numero di anni ora compito, sicché bisognò
ch'egli si rassegnasse a sfrattare e tramutarsi nella fossa comune. Del resto
l'incomodo fu maggiore pe' beccamorti ed anche per me mal morto. Ogni vangata
che quei messeri vibravano, mi scrollava e sconquassava il cataletto già
infracidito dall'umidità. Ed ecco una voce gentilina chieder loro soavemente
chi fosse la persona che venisse fatta sloggiare di lì: «Vattel' a pesca!»
risposero gli zappatori «avremmo un bel da fare se volessimo sapere a mente i
nomi di tutti quelli che ci passan fra le mani. Quel che affermiamo e
giureremmo senza saperlo si è ch'egli fu adorno di tutte le virtù e lasciò molti
inconsolabili... sulla iscrizione mortuaria. Del resto non sappiamo più di lui
che di chi lo surrogherà qui in breve».
«E questa
gran tomba qui, tutta recente, di chi è mai?» riprese la donna toccando la mia
lapide con l'ombrellino.
«Non sappiamo
noi mica, ma leggete la scritta; vi sarà detto qualcosa. Sapete leggere, neh
vero?». Oh sì, sapeva leggere, ne avrei potuto far fede io dal fondo della
fossa, io, che in altri tempi aveva bagnate di lagrime e di baci mille sue
letterine; io, che aveva riconosciuta quella voce immantinente. Sì, l'avete
indovinato, quella solitaria passeggiatrice era la donna da me tanto amata,
Merope appunto; Merope, che come accade a' migliori amici nella vita, aveva
finito per allontanarsi da me e pormi in dimenticanza; Merope che ora, raccolte
le vesti, s'inchinava sul mio giaciglio, come una madre sulla cuna del
figliuoletto, come Psiche sull'Amore addormentato.
Lesse, ma non
tutta l"epigrafe; dopo poche parole il pianto le tolse di proseguire,
quando fu ben certa che il sepolto era l'uomo dell'amor suo. Si fece forza e
trangugiando le lacrime volle andare fino in fondo alla iscrizione, all'ultima
linea: DA TUTTI COMPIANTO: «E la tua diletta ignorava il luogo del tuo
giaciglio, e non una ghirlanda che infiori, non un salice che adorni la tua
lapide abbandonata allo squallore. Hanno accumulato i marmi sulla tua fossa, ma
perché non ti fosse possibile il fuggirne, ma per dimostrazione di partito.
Ricordano quotidianamente il tuo nome nelle aule e nelle piazze, ma come si
brandirebbe un'arma, or depresso dal vitupero, ora esaltato dall'apoteosi; ma
non uno che serbi pia memoria di te. Rimpianto? no, non sei: la tua morte è
stata un discapito per alcuni, sì, ma un cordoglio? ohibò! Ned occorre imputar
loro questo a colpa. Ti han pagato della moneta pattuita: i vincoli delle
consorterie non sono legami d'affetto. Quel che ogni parte è in obbligo di
tributare a' suoi defunti dalla necrologia encomiastica fino al mausoleo per
sottoscrizione, veramente hai tutto avuto, anzi han fatto le cose senza
grettezza: le parole costan fiato, ed i gonzi che la fan da sottoscrittori
ammontano allo stesso numero delle stelle. Ma chi ti era debitrice di pianto
sincero ed inesausto, era io quella! Tu mi amasti pervicacemente e non per
ozio. Oh quelle nostre serate di voluttuoso strazio, quand'io dava repulse,
come si getta olio nel fuoco, per veder meglio divampare il tuo affetto! E
quella tua bocca, tanto dotta nelle lusinghe, è muta! E non ti levi per
istringere e baciare la mia mano, per querelarti ch'io te l'abbia porta col
guanto! E non m'ami, non ami più la tua Merope, la tua desideratissima, come
solevi chiamarmi! Non chiedi, non desideri più nulla da quella, io che per
riaverti non ti sarei più restia in nulla? Ebbene, povero amico, io non posso dirti
di sorgere e camminare; né tu, stanco della vita, forse il gradiresti: io non
posso richiamare que' tempi che furono, ed accondiscendere a' tuoi capricci: oh
se fossi stata presaga allora della tua prossima dipartita, se un indovino mi
avesse diagnosticato quel male che doveva involarti, mi sarei mostrata teco
come si è col moribondo pel quale, sia pure strana quanto si voglia la sua
brama, non sanno trovare alcuna ripulsa. Una cosa posso: ricordarti, onorar la
tua tomba, pianger qui spesso. E voglio esser la tua sempre amica, ed illudermi
che ti sia grata la mia vicinanza».
Depose un
mazzolino sulla pietra gelida, quasi offerta propiziatoria, quella cara Merope,
e credo che pregasse ancora. Dipoi, mi visitó assiduamente; vogliam dire che
dimorasse nel vicinato e che il cimitero fosse per lei passeggiata comoda e
prossima. Conobbi tutte quelle inutili cure che i vivi non s'affannerebbero a
prodigare alle tombe, se conoscessero quanto gli abitatori di queste vi sono
indifferenti; preghiere che nessun dio ascolta, fiori che il morto non vede e
non annusa, so io di molto? La mia signora sedeva ore ed ore sugli scaglioni
del mausoleo, o con qualche eterno lavoro femminile (forse, chi sa, quelli
stessi ch'io aveva visto incominciare?) o con qualche romanzuccio (perché no -?
di quelli che io le aveva lodati) o fantasticando (possibilmente anche dei
nostri amori); e poi si ritirava lentamente.
Ed io ben
aveva imparato a distinguere le sue pedate fra tutte, ma mentirei asserendo di
aspettarle, o desiderarle; mentirei se affermassi d'esser anche solo
compiaciuto di quell'affetto postumo, di quel lutto sincero almeno secondo ogni
apparenza. Che volete? i morti sono apatisti e non mica per baia come Agostino
Coltellini a quei suoi Accademici Meglio così: figurarsi che e quanto avrei
sofferto, se per caso si fosse potuto riaccendere in me l'antica fiamma, ora
ch'io non poteva neppure trovarle sfogo nelle chiacchiere! Quante commedie
sugli amanti vecchi! ma che sarebbe la loro ridicola impotenza a fronte a
quella di un amante morto e sotterrato per giunta, ad un pizzicor d'amore nelle
membra che cadono in isfacelo? Oh quella inesorabil civettuola della Merope
avrebbe forse avuto caro di suscitare questa nuova razza di abominosa passione
e di turbarmi la requie della tomba come aveva turbata la pace della vita! Ma
per quanto una bella donna sia onnipotente, diamine, il suo impero è limitato
da alcune leggi di natura: non nego che sia tale
Da
far vedere un morto, andare un cieco,
da serenar come Laura il cielo con uno sguardo o da placar
come Semiramide la soldatesca con una treccia scomposta... ma sulla morte non
ha presa, no.
Merope non
veniva sempre sola. Si capisce, aveva trovato da surrogarmi, e come un
convitato che dato fondo alla prima bottiglia, ne attacchi un'altra; così poi
che non aveva più l'amor mio e durava in vita, aveva tolto a ripeter con altri
le stesse scene, le stesse civetterie. Pare che il mio sepolcro fosse il loro
convegno: qui non sorvegliati, non osservati, fra il cielo azzurro ed i tumuli
verdeggianti, osavano accomunar le anime: speranze, brame, fedi, travagli;
osavano divertirsi nelle guerricciuole amorose, che figurano un giuoco presso a
poco come il gladiatorio, nel quale spesso si muore, elegantemente è vero, ma
crudelmente appunto perché bisogna costringersi a spirare con grazia,
motteggiando, sorridendo. Povero mio successore! non eri avversario da tener
fronte a quella dotta signora più che nol fossi stato io: mettevi troppa parte
di te in quello che per lei era pur sempre uno scherzo; facevi come que' pazzi
scaccheggiatori pe' quali tutto non è finito quando una delle parti ha ricevuto
il matto, anzi se ne accorano e ci riflettono tutto il giorno, e la notte non
sanno appiccar sonno, ed appiccato sonno riveggono mille visioni di cavalli, d'alfieri,
di pedoni, di torri, di re, di regine, di gambitti, di scacchi doppi e matti e
di scoperta, d'arrocchi, e poi si espergefanno di subito urlando: «Eureca! l'ho
trovata la mossa che mi salva!», L'è un prender troppo sul serio cose di minima
importanza; ed a me che sono cascato nella stessissima trappola si conviene
l'avvertirne i pericolanti. Amoreggiare sta bene: è un ozio come un altro; un
ozio affaccendato per iscacciar la noia come le scienze, le lettere, le arti;
ma contiene stare attenti a non innamorarsi per daddovero: schermidori, badate
che non caschi il bottone dalla punta del fioretto!
Non ch'io
m'ingelosissi; intendiamoci veh! Un morto geloso, non mancherebbe altro, gua'! Finché
aveva vissuto ed aveva potuto desiderarla e possederla, oh mi sarebbe stato
amaro strazio l'udire una di quelle parole, il vedere uno di que' gesti; il
pensiero anche, sissignori, che morto io avrebbe potuto far ciò; ma ora, che
m'importava? Talvolta mi venne un sospetto, che per procacciarsi una strana
illusione, per degustare e risuscitare il passato, ella desse quelle poste
sulla mia tomba, come giacendo colla domestica nel letto della padrona uno
s'acceca e crede di aver che fare appunto con questa. Sì, amava me in quel
messere, lo amava in quanto le sue idee arieggiavano le mie. Ma che volete,
morta in me la vanità come ogni altra passione, neppur di questa sostituzione
io mi sentiva lusingato.
Non crediate
però che il mio sepolcro fosse solo confidente di occulti amorazzi di donne,
ritrovo solo di amanti impacciati più o men platonici. Uomini che sdegnavano di
locare gli affetti in forma di corruttibil carne; caratteri indomiti incocciati
nell'apostolato assunto, i quali sdegnando le fischiate e le imprecazioni e gli
anatemi del volgo «cieco» come dicevan'essi, si accanivano dietro all'idea
eletta dalla lor mente, quasi bracchi dietro alla fiera; che sentivano scorrere
caldo nelle vene il sangue giovanile, ebbri di scienza e d'entusiasmo; gente di
questa fatta si assembrava in conciliaboli notturni circa la pietra che
m'avevano eretta e pronunziava di que' giuramenti e risolveva di quei partiti
che la storia registra e non giudica. Io di sotto a' marmi ed alle zolle ed
alle assicelle udiva le parole cader loro di bocca ad una ad una nel silenzio e
nelle tenebre, come appunto lo stillicidio in una grotta di stalattiti; e mi
raffigurava que' volti e mi interpretava quegli animi; e voci e volti ed animi
avrebbero esterrefatto ogni vivente. Giacché si trattava d'uomini implacabili
come forze naturali, che avevano escogitata l'utopia d'Archimede e prendendo
per ipomoclie e fulcro il loro sistema si accingevano a spostare il mondo.
Ebbene, quel
sistema era stato mio; ed ora se avessi avuto il moto avrei alzato le spalle
quando me ne avesser fatto parola. O falso o giusto che si fosse che montava,
ditemi? Il vero non ha pregio che per la mente umana, la quale sola può
svincolarlo dalla scoria delle apparenze in cui è combinato; come è solo in
poter del chimico l'ottenere allo stato libero e puro alcuni corpi primi, che
appena restituiti alle condizioni naturali trovan subito modo di combinarsi con
altri e trafugarsi. E la virtù della mente umana non sopravvive alla vita.
Laggiù m'era indifferente tutto e guardavo quelle idee, come un ebete selvaggio
guarderebbe una scatola di reattivi.
Di giorno in
giorno la putrefazione progrediva nel mio corpo, come suole accadere che un
poderoso nimico invada lentamente una contrada: ogni giorno cominciava la
dissoluzione d'un altro membro, d'un altra parte, e quell'edificio organico in
apparenza così saldo sembrava disfarsi quasi neve al sole. Se allora si fosse
scoperchiato l'atauto, nessuno de' più intimi avrebbe potuto riconoscermi in
quella materia informe. Io non era più una disposizione ordinata di polpe,
ossa, nervi, sangue, peli; io non era più un cadavere; anzi una
poltiglia, un pattume, non rappresentato da suoni in alcuna lingua umana,
perché nessuna fantasia può raffigurarselo senza schifo ed orrore, tanto n'è raccapriccevole
l'aspetto, pestifera l'esalazione da costringere a chiudere gli occhi ed
oppilarsi il naso e volgere altrove la testa. Gli occhi purulenti sprofondavano
a catafascio nelle orbite; la pelle nerastra e tumefatta si spaccava e
screpolava come un suolo volcanico trasudando e spandendo sanie, marcia ed
umori viziati ed ogni sorta di liquidi nauseabondi: le carni decomposte si
staccavano dall'arcame cariato e formicolavano di falangi d'insettucoli alati
rettili che vi trovavano lieto pascolo.
Ed io? sempre
indifferente! Si sa che per questo si crepa! e sarebbe strano che un defunto
volesse continuare in quelle cure affettuose per le proprie membra che si
condonano appena ad una civettuolucciaccia: ad un zerbinettellino. Che una
signora si allarmi per un lividore, perr una graffiatura, per una lentiggine,
per un furuncoletto, e si tappi in casa finché non ne venga eroso ogni
vestigio, finché la cicatrice non sia rimarginata e l'ultima traccia sparita, è
ben giusto. Essa ha pregio in quanto è bella, ed ha in pregio l'esser pregiata.
Ma un povero morto, l'è un altro par di maniche! anzi s'egli fosse capace di
provar consolazione dovrebbe rallegrarsi d'essere ridotto in questo stato, ch'è
per lui quasi una guarentigia dell'unica cosa la quale potrebbe ancor
desiderare, ove tuttavia possedesse facoltà di formolare un desiderio, vale a
dire d'esser lasciato marcire in santa pace!
Cosa che
molti vivi desiderano indarno, perché non hanno la ventura di esser così
fetidi. Tutto è privilegio al mondo, anche l'orridezza.
Un giorno la
Merope non venne, mi mancò. Strani e funesti fragori empivano l'aria, scotevano
il suolo ed echeggiando fin sotto la vôlta funebre penetravano al mio orecchio.
Le campane squillavano a stormo, i tamburi battevano la generale, le trombe de'
cacciatori formolavano conciso conciso i comandi: alto, avanti, passo di
carica, cominciate il fuoco, attacco alla baionetta; e mille e mille bocche
umane confondevano vociferazioni; ed il cannone rombava di tratto in tratto con
quella vociaccia che uscendo da' suoi polmoni di bronzo fa ammutolire finanche
gli eserciti, che si sbandano; finanche i rètori, che allibiscono.
Io riconobbi
subito cosa volesse indicare questo frastuono
Per
la pratica grande che n'avea;
io cittadino cospiratore, soldato, tribuneggiatore, mi era
trovato non una volta in simil ballo; e comprendeva arcibenone che le sorti
della patria si giuocavano di nuovo in una partita sanguinolenta, che per
ottenere un assetto vero di libertà, per distruggere le camorre democratiche,
per mettere il potere in mano de' forti, de' sapienti, degli onesti, i miei
amici tentavano una di quelle imprese come il Diciotto Brumaio ed il Due
Dicembre, gloriose e lodate... purché si vinca ed il futuro dia campo agli
autori di mostrare i nobili intenti loro. Si trattava di ciò che può chiamarsi
o rivoluzione o colpo di stato.
Ebbene, ho a
dirla? io non provava ansietà, non curiosità. Cosa volete che significhi patria
ad un morto, dato e non concesso che significhi pe' vivi qualcos'altro che un
pretesto all'ambizione, alla cupidigia? Libertà? che importa al cadavere
affunato nel sudario, inchiodato nella bara, incatenacciato nell'ipogeo?
Giustizia è parola vuota a chi sta fuori la società, a chi non ha più interesse
a menomar gli altri dei loro dritti, a frodarli del debito. Accada quel che
vuole accadere il morto non può uscire dall'apatia del non essere. Vinca chi sa
vincere, in che sarebbero mutate le mie condizioni?
Io porgeva
l'orecchio: uccidevano, singhiozzavano, voci di pianto imploravano
misericordia. Il camposanto era divenuto campo di sangue: una fortezza che
veniva espugnata d'assalto, una trincea che veniva disputata a passo a passo,
conquistata a tomba a tomba. Sul mio sepolcro, nella mia cappella funebre era
lo Stato Maggiore degl'insorti a' quali il mio nome era grido di battaglia.
Udiva gli ordini che discutevano, le minacce che venivan loro intimate, i
rantoli de' moribondi, l'esultare della canaglia vittoriosa; ed incatenato
nella tomba io pur troppo non poteva sorgere, indifferente alla rovina del mio
concetto, ai danni della patria, al macello de' concittadini; e non deplorava
di non esser con loro, di non potere od affrettare il trionfo o seppellirmi
nella catastrofe d'un'impresa, di principi tanto amati e sostenuti col braccio
e con la parola. Proprio così! il mio cuore ghiaccio non palpitava più né per
l'onore, né per l'amor patrio: io l'aveva dimenticata quest'Italia mia, m'era
caduta dall'animo, dopo tanto affetto. È ciò possibile anche in sogno? anche
nel nulla della morte?
Per parecchi giorni
consecutivi non udii più che i beccamorti occupati ad isfossar nuove sepolture.
Erano tanti i caduti della guerra civile che quantunque venissero pel maggior
numero scavate alcune voragini in cui si accatastarono a catafascio uomini e
donne senza impicciarsi a verificarne l'identità, pure quel cimitero dovette
essere ampliato che si riteneva dover bastare per un intero mezzo secolo a
tutti i defunti della città. Non un cantuccio che rimanesse vuoto. Il becchino
aveva avuto ragione nel predire alla Merope ch'io non avrei atteso a lungo un
nuovo vicino: quella fossa contigua al mio sepolcro fu ingombra di un altro
cadavere.
Nelle nostre
città quando uno viene ad alloggio rimpetto od accanto la casa vostra, nella
strada, nel palazzo stesso, sul medesimo piano, ebbene, voi scambierete
imbasciate, carte, visite, stringerete relazioni più o men bugiarde di
amicizia, v'incurioserete di acclarare ogni minimo pettegolezzo che lo
riguardi, v'arbitrerete ad almanaccare una litania di supposizioni, a prendere
informi sul conto suo, che so! Insomma gli farete un posto nella vita vostra:
ed in breve ci saranno interessi, legami, aspirazioni comuni; e se non altro lo
canserete od odierete, ed è già molto.
Non così
nelle necropoli. Là nessuno s'impaccia d'investigare chi gli giacerà d'accanto
per l'eternità, donde ci venga, cosa fosse, che facesse, quali cure e
sofferenze gli abbiano rotto lo spirito ed il corpo obbligandolo a ricoverarsi
nel grembo materno e pietoso del nulla. Vi putrefà poco discosto senza che
permutiate o pensiate a permutare una parola, una stretta di mano, un'occhiata.
Non ci ha rapporti di buon vicinato fra' morti; né si dà luogo a pettegolezzi,
né ci sono fastidi e noie reciproche; ognuno basta a sé.
Il tumulto di
que' lavori straordinari era pur terminato, e regnavano i silenzi della notte:
i becchini se n'erano iti a gozzovigliare con le loro bagasce, ed. i morti
rimanevano immoti nei posti loro assegnati; una capinera cantava sulla siepe
fiorente in quel luogo triste sempre ed ora vieppiù contristato dalle ire
cittadine; ed ecco io riconobbi quel passo leggiero della donna che mi fu
benigna in vita, che mi era amica in morte. Povera Merope, se un morto potesse
attendere checchessia, direi d'averti aspettata.
Era ben dessa
e sola; ma non venne come al solito sulla mia tomba, anzi andò difilata a
quella che un giorno aveva vista escavare, e che avevano ricolma testè: senza
marmo ancora, senza nome. Ed abbandonandosi ginocchioni su quelle zolle che le
nascondevano l'ultima amicizia degli anni suoi provetti diè in pianto dirotto,
assinghiozzato; quel povero petto dovea balzare sul terreno come una cassa male
affunata balzella sulla carretta.
Povera,
povera donna! Perder dunque tutto: ogni amore, ogni gioia, ogni felicità! Chi
si sarebbe più dedicato a lei, ora che i suoi capelli cominciavano ad
incanutire! e le venivan meno coloro che avvinti da una cara consuetudine,
vedevan sempre l'animo perfetto sotto alle fattezze che toglievano a scomporsi
alquanto. Povera donna amorosa, come vivrai senz'amore? Chi glielo avesse detto
quando dava posta al suo giovane nel cemeterio, per passarvi lietamente qualche
ora del giorno, chi glielo avesse detto che vi sarebbe tornata di notte, ella
timidissima, sola, derelitta, e che il suo vago giacerebbe lì sotterra insanguinato,
esangue; il nuovo affetto accanto all'antico!
E quel
gagliardo generoso non s'era lasciato distogliere dal dover suo; né il pensiero
del cordoglio di lei, né le salde braccia che la sua Merope gli aveva buttate
al collo, lo avevan fatto esitare un attimo ad incontrare il pericolo mortale:
oh non era indegno di succedermi nel cuore e ne' baci della nostra donna. Né
certo Merope, più che nol facesse meco, s'era adoperata per trattener lui da
ciò ch'entrambo reputavan giusto e nobile. Que' begli occhi turgidi di pianto
oh! non erano stati consigliatori di viltà, no, mai. Ed eccola ora fuor di casa
a mezzanotte, in una città abbandonata alla soldatesca avvinazzata, al
popolazzo sguinzagliato, eccola in un luogo di spavento a lacrimare sulla muta
fossa del suo diletto! Oh gioie rapidamente fuggite! Men che nulla era bastato
per far cenere l'uno e sconsolata l'altra. E forse mai non avevan goduto un
lampo di piena, intera voluttà, mai! Quanto dovea rimorderle d'avere sciupato
in civetterie il tempo che avrebbe potuto esser consacrato assai meglio al
piacere!
Tutt'a un
tratto sentii un fragor d'armi e di sghignazzamenti, e canti osceni, ed un
grido di sbigottimento e d'angoscia della Merope. Fu come se mi animasse un
nuovo alito di vita, come se un'eco lontana delle abitudini e delle passioni
antiche si facesse ancor sentire in me. Non udii più solo, anzi cominciai ad
ascoltare; non rimasi più apata, anzi mi commossi e fremeva pensando alla mia
donna minacciata e pericolante, alla turpe violenza che gli eroi della giornata
volevan farle. Io non so come accadesse: ma lo spirito mio, non più trattenuto
da vincoli corporei, emerse lentamente dalla tomba, tanto ch'io cominciai a
dubitare che potesse esser vero quel che ci raccontano dell'immortalità
dell'anima. Cosa che a chiunque non è cretino può accader soltanto in sogno.
La luna
splendeva nel firmamento immacolato da nuvole: non un'aura e tutto sarebbe
stato cheto tranne pe' gemiti del mare, per le strida dell'assiuolo e per le
disperate armonie della capinera.
Merope si
provava di svinghiarsi dalle braccia d'un par di soldati che la costringevano
saldamente e cercavano di chiuderle con la mano la bocca alle grida. Nella
colluttazione giunse a liberarsi la sinistra e puntandola in volto ad uno degli
sciagurati, tentò di allontanarlo: quel briccone alzando gli occhi mi scorse.
Allibì, la voce gli morì nella strozza, gli traballarono le ginocchia, gli
caddero le braccia, lasciò andare la donna e fatti sei passi indietro stramazzò
come corpo morto. Il compagno spaventato, si rivolse abbandonando la vittima, e
visto che m'ebbe, sguainata la sciabola mi fu sopra: ma quando s'accorse ch'io
non offriva più resistenza d'un groppo di nebbia a' suoi colpi, si diede a
precipitosa fuga. Merope rimase non meno esterrefatta della impensata salvezza
che nol fosse dell'impreveduto pericolo. Anche a lei si disciolsero le
ginocchia ed impallidirono le tempie: che infatti di più terribile per una
femmina che il vedersi a quattro passi un antico amante redivivo?
Ebbene, era
morto io, non era più che uno spettro impalpabile: pure, al riveder nuovamente
quell'amor mio potentissimo, al veder la Merope pallida e tremante come una
sposa colta in flagrante adulterio dal marito, io sentii divampare di nuovo in
me l'antico affetto, mi sentii porre un'altra volta sul collo quel giogo del
suo amore. E non potei non seguirla quando riavutasi, si strinse tutta nelle
vesti e fuggì con rapido passo verso la città.
La seguiva e
rimisi il piede nelle strade della metropoli ch'io credeva di aver percorse
l'ultima volta quando mi fecero l'esequie. Ell'era più mutata di me: quando la
rividi dopo tredici anni di esiglio vi trovai meno trasformazioni che ora dopo
la mia breve relegazione a domicilio coatto nel sepolcro. Misera patria! qua e
là un divampar d'incendi, tumulti di folla avvinazzata, saccheggi e stupri ne'
casamenti espugnati! Ad ogni dieci passi la strada mi mostrava qualche frantume
di barricata, o qualche pozzanghera insanguinata, o qualche affusto spezzato,
come un pitocco mostra le piaghe che ha indosso per muovere a pietà. Giunsi
fino all'antica reggia, quella reggia cui pel bene pubblico avevamo voluto
ridar forza e prestigio, e che ora fatta stanza di osceni bagordi raccettava
l'idolo, il feticcio, il bue Api che la buassigine plebea investiva di potere
dittatoriale. Ogni ingresso era custodito da scolte cenciose che dovevano
respingere chiunque non si documentasse amico del loro nuovo padrone: ma gli
spettri ed il rimorso forzano qualunque consegna. Chi vidi in soglio! cose da
rinnegar dio se mai ci avessi creduto! Un codardo venuto in fama per atti di
spacconeria e di camorra; un demagogo volgare, solenne cansator di pericoli,
impudente fino ad arrogarsi i titoli che non competevano alla sua bastardigia,
il quale senza un soldo di beni ereditari, senza un'onesta professione che gli
desse il pane, aveva vissuto da vizioso epulone! Oh plebi, questi sono gli
uomini che voi esaltate! oh immaginazione egiziana: tu non sai adorare che i
coccodrilli, non sai antropomorfizzare i tuoi numi!
Ahimè! veder
queste cose, e non essere che uno spettro! E per più ludibrio accogliere
rinvigorite dal lungo sopore tutte le passioni umane, senza aver come sfogarne
una sola! Oh io non ho mai lodato il pugnale, ma quando si vede la patria in
balia di siffatta geldra come far rimprovero di averlo adoperato a chi non può
disporre d'altro mezzo per diminuire l'ignominia, per documentare che almeno
c'è uno che dissente, uno che non è complice? Oh la bella vita, che ti dà modo
di piangere l'amico, d'abbracciare l'amante, di uccidere un nemico! Oh che
inferno sarebbe la morte se non fosse davvero il nulla!
Smarrita la
traccia di Merope nel laberinto delle strade oscure e vuote, errai lunga pezza
rivisitando luoghi per me ricchi di memorie, finché il primo barlume foriero del
nuovo giorno non apparve in Oriente. Lo spettro che si arrischia nelle città
de' vivi è come il ladro che s'insinua in una casa: fugge gli uomini e la luce;
non bazzica dov'è frequenza di viventi. L'ora delle fantasime era passata, mi
fu forza tornare alla mia fossa. E vi tornai contento perché quel che aveva
visto mi facea comprendere quanto fosse migliore l'esser morto e libero che
vivo e schiavo della nuova gente esaltata. Ma la tirannide plebea non dà pace
nemmeno a' sepolcri; somiglia quelle belve per le quali son cibo prelibato le
carogne. Se lo sanno gli antichi Reali di Francia sepolti a San Dionigi e
dovetti sperimentarlo anch'io.
Sentii
rimbombar la cerchia del cimitero di imprecazioni e delle strida forsennate
d'una turba demente, arringata da facinorosi i quali incitavano a devastare e
manomettere. Venivano dopo premeditato un sacrilegio; intendevano di
disseppellire un cadavere, d'abbruciarlo e di spargerne le ceneri al vento.
Quel cadavere da incenerirsi era il mio. Al più prode de' viventi sarebbe
venuto meno l'animo, se gli fosse venuta sopra quella furia. Io non dirò come
udissi storpiare e vituperare quel mio povero nome dal popolazzo ebbro ed
assoldato; né come sollecitamente co' mazzapicchi, co' badili, con le leve, con
ogni sorta ingegni travolgessero il mio monumento, demolissero la cappella,
infrangessero la lapide, disserrassero l'ipogeo, dissotterrassero il feretro.
Che differenza dal giorno dell'esequie!
Quest'era la
ricompensa che mi decretava la maestà del popolo sovrano! questa la vendetta
perché mi era sempre diniegato ad incensare il moderno Moloc! Chi potrebbe
mantenere che io meritassi questo trattamento da' miei conterranei? Io non
m'illudeva né su' miei meriti né su' demeriti: forse e senza forse non mi si
confacevano tante lodi e ricompense: la tomba a pubbliche spese, la statua,
l'apoteosi erano state un soprappiù. Ned io le avea chieste, ned era mia colpa
se una parte avea preso il mio nome per grido di guerra. Ma quella immeritata
esaltazione giustificava, legittimava forse l'inaudito vitupero? Ma
l'intrusione di Giovanna Grey nel trono d'Inghilterra legittima la scure di
Maria Tudor? Ma era proprio indispensabilmente richiesto dalla coscienza
nazionale ch'io fossi strappato dal recondito giaciglio, che alle chiazze della
putrescenza si aggiungessero i lividori delle percosse, che venissi trascinato
pel fango, che le mie membra disfatte spazzassero il lastrico della intera
città, e venissero poi sovrimposte ad un rogo improvvisato con le fascine e la
legna accattata di porta in porta, con gli avanzi delle barricate, con le porte
e le suppellettili delle case devastate? Non era una logica reazione contro un
idolo vano, un rimettermi al posto che mi spettava e dal quale mi aveva fatto
uscire l'altrui cecità, anzi una semplice vendetta di mascalzoni invidiosi.
Detter fuoco
alla pira e la fiamma crepitando, scrosciando, cominciò a lambirmi con le sue
lingue di foco; la dea Democrazia si beava le nari col fumo che a vortici
tramandava quell'olocausto e si deliziava l'orecchio col selvaggio plaudire ed
acclamare della ribaldaglia luridissima. E repentinamente levossi un gran
turbine che sparpagliò scintille e tizzoni co' suoi vortici sulle tettoie delle
case prossimane; e ben tosto le grida trionfali si tramutarono in ululato di terrore
e di rabbia: maledizioni non prima udite mi flagellarono le orecchie
abbrustolate. Gl'incendi si destavano qua e là sicché in breve l'intera città
fu in fiamme.
Da ogni
finestra prorompevano vampe e sgorgavano globi di vapori densi e neri; i tetti
s'accasciavano scrosciando; il vento ingolfandosi in quella fornace e
rinfocolando l'incendio frammischiava le mie ceneri vendicate a quelle di
migliaia d'altre vittime; la popolazione impazzata, non osando più contrastare
alla furia dell'elemento vorace, scappava per poi voltarsi a considerare
stupidamente quella bolgia che annichilava il suo ed i suoi.
Frattanto il
mio spirito impassibile e muto contemplava questo immenso ardore innanzi a cui
impallidivano le stelle e notava mille strani casi compassionevolissimi, de'
quali uno lo commosse a grave pietà. Da un alto balcone si sporgeva la mia
Merope adorata, così com'era balzata di letto, scamiciata e scapigliata, e
supplicava aiuto dalla folla con le mani protese quasi per respingere gli
amplessi delle fiamme. Ma nessuno di quella plebe aveva il pudore di tentare la
disperata impresa, ché già la casa stava per crollare tarlata internamente
dallo incendio. Ond'ella sgomenta: «Aiuto.» gridava «aiuto! Il pavimento mi
scotta le punte: i cortinaggi del letto ardono. Oh non mi lasciate perire
barbaramente così! Salvatemi, od almeno uccidetemi con una palla, abbreviatemi
quest'agonia senza scampo e senza modo. Ma come! s'io andava per le strade, non
uno che non mi volgesse sguardi cupidi, non uno che rasentandomi non mormorasse
smozzicatamente una parola d'ammirazione e di desiderio; ne' balli s'implorava
come una grazia di fare un giro meco; ho respinto offerte di moneta che
avrebber fatto esitare non dico Emilia, anzi Desdemona; ed ora ch'io sto qui
seminuda e chieggo uno per prendermi in braccio e portarmi via, nessuno che si
faccia innanzi? Oh signori, signori! le suppellettili ardono tutte: signori,
scampatemi da questo vivicomburio e fate di me quel che crederete meglio. Io
non ho preso parte alle battaglie di questi giorni; ho soccorso
indiscriminatamente i feriti senza chieder loro il partito al quale
appartenevano... Oh ma ch'io debba dire che tutti gli uomini di coraggio sono
morti ormai? Oh ma sarete tanto vili da non portarmi soccorso? Oh mi vergogno
d'avervi implorati, vili! Una cosa soprattutto mi dole: il darmi in ispettacolo
morendo a voialtri vili, vilissimi, vili!». E la casa crollò; e tra quel
fragore e quelle rovine fumanti risuonavano ancora sulla stupida folla l'ultime
sue parole: «Vili, vilissimi, vili».
Domando io se
un sonno agitato da simili visioni non isfinisca invece di riposare. Mi
riscossi, i compagni eran lì, presso a' fasci d'arme, quale sonnecchiando,
quale fumando: il capitano aveva accesa la pipa. Pietro De Mulieribus
fortunatamente dormiva, sennò m'avrebbe declamati altri versi. Io non fumo e
m'era passato il sonno: cominciai a fantasticare su quelle strane immagini che
mi s'erano involontariamente accalcate innanzi alla mente, e ad evocarle ad una
ad una nella memoria ed a sviscerarle. «Per bacco, sarei curioso di sapere cosa
poteva essere la mia orazione funebre! Peccato ch'io non abbia afferrato le
parole di quel mio panegirista! Bah vediamo di supplire alle lacune del mio
sogno come Freinsheimo ha supplite quelle di Tito Livio, e giacché non ho da
far nulla di meglio, improvviserò qua, su due piedi, la mia orazion funebre.
Imparzialità, soprattutto, mi raccomando, Quattr'Asterischi! Vediamo un po', se
io non fossi io, cosa sbraiterei sulla mia tomba? Quell'egregio uomo del barone
Taylor diceva: io non chiederei più d'una cosa alla provvidenza; e sarebbe
di poter pronunziare alcune parole ben sentite sulla mia propria tomba. Chi
ha tempo non aspetti tempo: anticipiamo. Chi sa, se morto una volta avrò
più agio o voglia d'occuparmene?». E passeggiando su e giù lungo il fronte
della compagnia, mi combinai le seguenti parole commemorative.
|