XVII
SONATA A GRAND'ORCHESTRA
Né
perché d'armi e di minacce ei senta Fremito d'ogni intorno il passo allenta.
TASSO
Ci rimettemmo in rango, partimmo, marciammo;
avanzando, procedendo per tutta quella breve notte estiva. Oltrepassammo tutte
le sentinelle degli avamposti e c'inoltrammo per cogliere l'inimico di fianco
in una strada angusta, monti boscosi da qua, giogaie selvose di là. Verso
l'alba l'avanguardia attaccò il fuoco; il colonnello fece sonare l'avanti a
passo di carica, e procedevamo sempre. Ben presto cominciarono a fischiare le
palle al nostro orecchio; venivano di lato e di quando in quando stramazzavano
uno; ma che importa? avanzavamo sempre. Un aiutante mi recò l'ordine di
buttarmi con la compagnia nella boscaglia a destra e di ridurre al silenzio
quel fuoco nimico micidiale; fermai i miei, li disposi in quadriglie e
c'inoltrammo nel bosco alla cacciatora, facendo fuoco e sempre avanti. Si
camminava male perché il terreno era ingombro di cespugli; ma quantunque il
battersi si addimandi metaforicamente entrare in ballo, tutti sanno che
le metafore zoppican sempre un pochino e non bisogna mica supporre a' campi di
battaglia i pavimenti incerati de' salotti.
D'improvviso mi sentii percuotere il petto
violentemente, e barcollai come per un gran pugno. Era niente, una palla che mi
rovesciò supino. Caddi, gli altri avanzavano; ed io mal mio grado rimasi
indietro: spero che non me lo addebitino a viltà! Udiva le grida, i comandi,
gli spari; la moschetteria ingrossava sempre più, e cominciò a farsi udire la
simpatica voce del cannone. Oh non potersi muovere! non poter fare il proprio
dovere! non aver neppure fiato da incoraggiar gli altri! Nuove schiere de'
nostri si precipitavano nel bosco dietro le prime; ad un tratto sentii un
dolore acutissimo; era un soldato che senza dubbio reputandomi morto, giudicava
opportuno di calpestarmi. Diedi un grido gemebondo ed isvenni. Spero che non mi
chiamino femminetta per questo!
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