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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • XVIII   IL FERITO DELLE PATRIE BATTAGLIE
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XVIII

 

IL FERITO DELLE PATRIE BATTAGLIE

 

O me felicem! o nox mihi candida! et o tu Lectule, deliciis facte beate meis!

PROPERT.

 

Quando rinvenni era quasi notte e la mano d'un chirurgo mi medicava e fasciava la piaga un po' arrandellatamente; poi mi sollevarono e deposero su d'un carro cosperso di poca paglia con due altri gravemente feriti. Il carro si mosse; era una macchina sconquassata che ci scuoteva dolorosissimamente; ad ogni trabalzo mi pareva di morire; a mala pena reggeva ad aprir gli occhi, ma non iscorgevo le cose che in confuso, quasi una fantasmagoria; e provava uno sfinimento da non dirsi. Si può esser quanto uomo volete, ma è brutta cosa il soffrire. Mi sfuggì di lamentarmi supplicando un sorso di acqua; ed un'ombra nera che non si partiva dal fianco della carrettella, mi porse il refrigerio d'una fiaschetta con acqua e rumme. Così andammo un pezzo; ed io era ricaduto in uno stato d'assopimento che mi rendeva insensibile a tutto, tranne al dolore acuto, quando ci fermammo in mezzo ad un gran convocio ed a molte fiaccole. Mi pare di udire il mio nome, rialzo a stento le palpebre e discerno ritto, con un ridicolo sussieguo, il signor medico capo; colonnello De'-Miei-Stivali, valente in medicina meno assai che nel sottrar mezzimilioni; giro gli occhi intorno e scorgo un visibilio di facce: tra l'altre il chirurgo pseudomilitare che mi avea raccolto nel bosco e che parlava, parlava, e sembrava render conto della mia condizione. L'umanissimo colonnello De'-Miei-Stivali quando ebbe udito, veduto, toccato, sputò in terra, si soffiò il naso e pronunziò questo effato: «Peuh! Male, male. Auguro male! Il meglio sarebbe di consegnargli un buon colpo di questo revolve nel cranio: tanto non può salvarsi e gli si risparmierebbe dolore».

«Ma pure, colonnello...» insisteva quel buon diavolaccio del chirurgo, che vedeva scombussolati tutti gli studi suoi da questo nuovo metodo curativo.

«Non può salvarsi, tenente, le affermo io. La palla è entrata di qua, è uscita di : probabilmente ha leso un polmone. Deve morire, non c'è rimedio, ve lo garentisco. Ammazzarlo sarebbe carità».

«Colonnelloscappò fuori un borghese, medico condotto del villaggio, che non aveva le ragioni disciplinari del chirurgo pseudomilitare per ammutolire al quos ego ed agli ipse dixi del medico capo, «colonnello, io certamente non posso rispondere del ferito, perché le guarigioni dipendono da mille circostanze e il corso delle malattie è pieno di impreveduti; ma pure... non per oppormi ai suoi decreti... tenterei e veggo probabilità di salvare quest'infelice. La palla non è dentro; il polmone, se pure qualche lobo è tocco, è lievemente leso. Può morire, ma può campare. Ne ho visti riaversi di molto più malconci. È da tentarsi»,

«Se volete fare un esperimento in anima vili...».

«Signor colonnello,» l'interruppe una voce femminile tremante «se qui vi sono anime vili, non son certo quelle de' caduti sul campo. Voi date il ferito per ispacciato; il dottore qua promette di salvarlo probabilmente; ed io, al quale il ferito appartiene lo affido alle cure di lui. Vi prego d'impartire gli ordini acciocchè non mi s'impedisca di farlo trasportare dove io crederò opportuno e dove se non altro potrà morire fra volti amici ed onesti».

Il colonnello De'-Miei-Stivali si guardò dal rispondere, anzi voltò le spalle e fece come gli era stato detto. Ah! se l'impunità che i costumi concedono alle femmine per ogni loro parola, spesso serve a procacciare momenti amari a cuori affettuosi e gentili, talvolta però le si deve di far suonare alle orecchie degli abietti quelle verità che la codardia virile non osa spiattellar loro; e le donne son per questo appunto le più pertinaci ribelli; e ti mettono inesorabilmente al posto che ti spetta.

Due pappini diretti dal chirurgo borghese mi presero per sotto le ginocchia e per sotto le ascelle, ma come e dove mi trasportassero non saprei dire, perché non me ne ricordo: io svenni di nuovo, e dopo un lungo letargo durai anche più tempo in faticoso delirio. Comunque sia, c'è una lunga soluzione di continuità nella mia memoria, ripiena di fantasmi stranissimi, indistinti e da un confuso senso di dolore.

Quando libero da ogni vaneggiamento, riacquistai la coscienza de' miei mali e riapersi gli occhi; mi parve di riconoscere la stanzuccia rustica dov'era il gran letto in cui giaceva io; ed il rozzo canapè, e quel tavolinetto... ma fui certo di ravvisare una donnina che agucchiava silenziosamente su d'uno sgabello, né mi sorprese ch'ella sedesse . Ed era? Null'altra che la Merope.

La Merope sì, ma patita, dimagrata, con gli occhi cerchiati, in semplice vesticciuola di lana nera; bella però sempre e forse quanto non era stata mai. Le sue ditina lavoravano spedite spedite, ma l'indovinavi più intenta a' suoi pensieri che a' punti del cucito. Io me la guardava fiso fiso, quand'essa alzando il capo, mi sorrise. Chi sa quante notti e quanti giorni la mi aveva diligentemente vegliato, senza ch'io mai rispondessi ad un suo sorriso, mai la ringraziassi con una parola assennata di riconoscenza! Ma ora finalmente sì, e quando m'ebbe porta una medela e ch'io rinfrancato potei raccozzare due frasi stentate, le feci un regalo maggiore (come potetti accorgermi da un suo quasi infantile batter palma a palma) che se le avessi annunziata la morte del marito. Ell'era tanto felice di veder l'effetto della sua bontà, delle sue cure assidue! Io era cosa sua, doveva a lei la vita: quell'occhio suo aveva un non so che di benigno, di quasi materno.

Per opera sua m'avevano raccolto: saputo da un lievemente ferito ch'io era caduto, ricorse prima al signor colonnello De'-Miei-Stivali, e non potendo questi occuparsi di futilità simili, s'avviò su d'una carrettella lei col primo chirurgo che si profferse d'accompagnarla, e con due pappini di buona voglia, pel luogo dello scontro; dove raccattò me e due altri. Essa aveva aiutato a spogliarmi; essa aveva porte le sfilacce e le bende al chirurgo; essa aveva fatte otto miglia a piedi sempre allato alla carrettella; essa aveva dato a bere acqua e rumme al ferito assetato che non ebbe neppure forza di raffigurarla e di mormorare un grazie. Poveretta! quanto fastidio si dava per salvarmi la vita, essa che meco consentiva nello stimare la vita per la meno desiderabil cosa del mondo. Contraddizioni umane! e quel colonnello De'-Miei-Stivali che notoriamente ama soprammodo questo pellegrinaggio terreno ed i suoi cosiddetti piaceri; quel colonnello mi voleva fraternamente consegnare una pistolettata, a maggior gloria del sommo Architetto dell'Universo; e duro a dirsi, forse, anzi senza forse, meglio sarebbe stato per me che si fosse fatto non come desiderava l'amica, ma come pretendeva l'esoso. La morte è meglio del vivere sotto ogni aspetto.

Merope, come ho già detto, Merope mi aveva accudito parecchi giorni, senza pensar mai a sé: aveva negletta ogni altra cura della sua persona tranne di lavarsi il volto e le mani: essa vegliatrice dell'infermo, essa fasciatrice della ferita. E quando una donna giunge a sacrificarti la sua ambizione di figurare, d'abbellirsi, quando abbrevia o sopprime per amor tuo il tempo sacro all'azzimatura, all'acconciatura, alla pettinatura, all'abbigliamento; quando dimentica il suo belletto e la sua polvere di riso e la sua cipria e i suoi cosmetici e le acque di odore; quando smette per accudir te le vesti eleganti; fa più, più assai, che non uno di noi quando per procacciare del lusso ad una sgualdrina baratta tutto il suo, o quando perduto in un cosiddetto puro affetto, trascura ogni dovere di cittadino, d'uomo onorato.

E quel che vidi, ora ch'era in istato di vedere, mi commuove fino alle lacrime sol ch'io ne pensi: una madre appena avrebbe fatto tanto! Ci ha sacrifizi, ci ha dimostrazioni d'affetto possibili solo fra l'adultera ed il drudo, in quell'amore combattuto e condannato dal volgo che più d'ogni altro offre campo alla virtù. Merope aveva derelitta la figliuola, comprometteva la fama e l'avvenir suo, non per abbandonarsi a tumultuosi piaceri, non per godere secrete voluttà, anzi per consumare melancolicamente le sue giornate al capezzale d'un moribondo: e di tanto eroismo non doveva sperare che alcuno le tenesse conto. Ed i moralisti, di quattro al soldo, che pullulano in Italia, se occorresse parlar di lei, la chiamerebbero una donna perduta, una svergognata. Ce ne abbiamo tanti omicciattoli, che portano in fronte quel che non sanno di averci, che han fatto in gioventù spropositi senza scusa, perché gli obietti eran turpi e gli animi loro spassionati, ed i quali oserebbero vituperare il santo affetto che avvinceva la Merope pel suo Quattr'Asterischi, la potente passione che Quattr'Asterischi nutriva per la sua Merope. Quando alla signora accadeva parlare di questa genìa turpe, ella tremava e sogghignava ad un tempo, come al vedere un rospo schifoso per la sua bava, ridicolo per la sua laidezza: quand'io penso a questi codardi mi sento una rabbia in corpo, quale sente ogni onesto al veder ossequiata l'adiposa sciocchezza e l'impotenza; e penso che la natura come ha destinato il marmo allo scalpello dell'artista, come ha destinato il fango a' calpestamenti de' viandanti e le schiene d'asino alle vergate de' ciucciari, così pure ha destinate quelle facce da' nasi rincagnati a' sonorissimi schiaffi. Ebbene, sì, l'affetto che ci legava era illegittimo, adultero. E che poi? non ci burliamo, amici, l'adulterio è una istituzione sociale né più né meno antica o rispettabile del matrimonio, e del pari necessaria; essi s'implicano a vicenda; e se uccidi l'uno, nuoci all'altro, Come la malattia segue gli eccessi, come la pena si atterga alla colpa, così pure dovunque e sempre che il matrimonio non è giusto ed equo, segue necessariamente l'adulterio. Occupa la medesima parte nella vita di famiglia che le vacanze universitarie tengono nella vita della scienza: se il dotto studiasse e lavorasse sempre sempre per molti anni e per tutti i mesi di tutti quegli anni sul medesimo argomento, in verità finirebbe per divenire o cretino o matto; appunto come la caldaia d'una macchina continuamente scaldata e non ripulita mai, finisce per iscoppiare. Le distrazioni delle vacanze svagando la mente, la ritemprano e le danno nuova virtù per sobarcarsi a nuove fatiche. E così appunto l'adulterio ritempra e svaga gli animi e li rende capaci di tollerare più coraggiosamente le noie ed i sacrifizi della vita coniugale, che altrimenti finirebbe per istupidirli, per renderli inetti ad ogni passione. Quindi si ricava di quanto errino coloro che lo chiamano delitto e che lo proscrivono: mi ricordano que' bravi inglesi che vollero sterminare i passeri, ed ottenero l'intento; ma ora poi li rimpiangono senza schermo da mille generazioni d'insetti che quelli efficacemente combattevano. Del resto, lo ripetiamo, i fatti parlano; e dacché c'è matrimonio, coesiste l'adulterio: punito spesso dalla legge con mortali supplizi; biasimato, condannato, perseguitato da vuoti declamatori con quanta enfasi potevano; i costumi e quella poesia che li rappresenta non hanno mai cessato dall'affermarne la necessità, la giustizia. Ma v'ha di più. La mancanza d'un contratto, l'impossibilità di ricorrere alla coercizione giuridica costituiscono gl'impegni d'onore, i soli davvero santi. Un debito di giuoco è sacro, appunto perché nessun tribunale lo riconosce; la mercede della meretrice e del ruffiano sono inviolabili, appunto perché il servigio prestato non è titolo per pretendere legalmente il salario: e non ammette scusa il falsare uno di questi obblighi, mentre in molti casi si perdona l'avere abusato del denaro del migliore amico ed il frodare un onesto negoziante del legittimo pagamento. E così pure il patto degli adulteri è un patto d'onore, e non gli si può venir meno senza infamia, quando il fallire alla fedeltà coniugale è mille volte perdonato da' più severi ed austeri. Non dico che sia bene così, ma solo che i costumi italiani son questi e che quanto è conforme a' costumi, non può dirsi immorale. Ma lasciamo questa digressione e torniamo a quella che ora, sì, potevo chiamar davvero: Medica mia pietosa.

Mi accarezzava come si fa pe' fanciulli bizzosi e prediletti. Io già proprio era con lei quasi come un bimbo con la mammina. Non so come, ma naturalmente era accaduto, che mentre la s'era avvezza a darmi sempre del tu careggiativo; nel parlare a me non voleva venire sulle labbra che il rispettoso voi. Del lei poi, di quel goffo spagnolismo, non c'eravamo serviti mai; è una delle mie antipatie; ho un bel fare, ma quando anche voglio non riesco a chiacchierare per un quarto d'ora in terza persona con chicchessia; le sconnessioni ancorchè consacrate dall'uso e dalla grammatica mi ripugnano però sempre.

Tutto era comune fra di noi. Per un irragionevol vezzo d'amore s'era messa alla dieta medesima del povero malato, lei sana; e non ci fu verso di ottenere che mangiasse un po' più concludentemente, per pregarla ch'io facessi.

Non lasciava mai la mia cameretta, non si allontanava mai da me né giornonotte: se per caso io non me la vedevo d'intorno, m'assaliva una inquietudine, un'irrequietezza, le quali non cessavano che al suo riapparire. I docilissimi ammalando divengono indocili, ed io non m'era mai piccato d'arrendevolezza; ma ad una parola sua obbedivo come se non fosse stato possibile di replicare. Ad ogni mia bizza ella mi faceva un bel ragionamento con vocina risoluta e poi mi appoggiava un bel bacio in fronte e conchiudeva: «È vero che lo farai? Sì? come ho detto io? Sì? Bravo!». Sfido io ad opporsi, a ricalcitrare!

Non soffriva di esser medicato da altre mani, io: ed ella aveva vinte tutte le ripugnanze della donna elegante, mondana, per le piaghe; tutte le timidezze nel trattare i rimedii. Il dottore consigliava e prescriveva; ma chi mi fasciava e sfasciava e medicava, chi applicava le sfilacce e toccava con la pietra infernale era lei, lei sola. Né mai le mani di vecchio chirurgo che da quarantanni si travagli a sparar cadaveri ed operar vivi, mai non seppe avere la delicatezza di quella manina inesperta di donna; di quella manina piccola in guisa che bisognava ordinarle i guanti apposta, perché i guantai non hanno prevista co' loro numeri tanta eleganza; di quella manina che fino allora non aveva saputo che agitare i tasti d'un pianoforte o ricamare borsellini o manovrare col ventaglio o tutt'al più guidare una penna forse bugiarda su carte profumate; e che ora per la prima volta trattava tutte quelle rozze e brutte cose.

La sera Merope si coricava allato a me, nello stesso letto, perché ned io avrei trovato pace lontano dalla sua assistenza, ned ella avrebbe avuto cuore di starsi tante ore divisa da me. Io ero tanto e tanto infiacchito dalla ferita, tanto spossato e ridotto a larva del mio essere precedente; e la gentile era divenuta per me qualcosa di così materno e sacro, che non pensava neppure a desiderarla. Ma non avrei potuto addormirmi senza darle la mano: così riposavamo costantemente vicini sul medesimo guanciale. Talvolta mi destavo di notte soffrendo e non poteva più richiuder palpebra: allora si riscuoteva anch'essa, m'accarezzava, mi calmava e mi riaddormentava raccontandomi un sacco di pettegolezzi e d'inezie: e non si può credere quanto m'interessassero quelle chiacchiere, quelle ciance in bocca sua. Sera e mattina io la vedeva spogliarsi, vestirsi, lavarsi, acconciarsi, senza mai perderla d'occhio, perché avrei sofferto a non averla presente; ma nel mio sguardo non c'era nulla della lasciva ingordigia dell'amante: avevo assolutamente dimenticato che la Merope era una donna e che la donna è un soavissimo strumento di voluttà.

Tanto che quando col proceder della guarigione e col ripigliar delle forze, l'immaginazione rientrando in possesso de' suoi dritti; come chi dopo lungo esilio torni alle sue case, cominciò a scuotermi da quel letargo de' sensi, a pormi di nuovo qualche desiderio in cervello, durai fatica a riaddomesticarmi col pensiero ch'io poteva amar la Merope con ben altro costrutto che non ne ricavassi da quell'affetto tra il filiale ed il fraterno. Come appunto le carezze di quelle donne che i costumi ci hanno rese inviolabili e sacre; così quelle della mia medica pietosa, mi accendevano il sangue bensì, ma dapprima non m'inspiravano che un desiderio indeterminato d'amore, e non già il desiderio dell'amore di lei. Poi, quando ebbi cominciato a ridesiderarla, quando già la guardavo con occhio di concupiscenza, uno strano pudore mi allacciava la lingua: io provava un occulto rimorso di quelle mie brame, quasi mi fossi impaniato in una passione incestuosa: mi era tanto assuefatto a star con lei in una stanzuccia, in un letto, giorno e notte, senza idea, senza conseguenze, che ora mi figurava un delitto il valicare quella linea stabilita dalla consuetudine. Tanto gli abiti sono potenti e l'uomo li cambia facilmente per legge di natura, per dettami divini! E certamente se non mi avesse profondamente mortificato il ridicolo di quella parte di casto Giuseppe ch'io sosteneva, certamente non avrei osato mai chiedere.

Pure un mattino (la cosa andò co' suoi piedi, io non saprei dir come) osai, chiesi. La Merope arrossì, sorrise, si strinse tutta in sé, balbettò non so che parole di: «poi! poi!» e ch'io era troppo debole ancora per pensare a certe cose, e ch'ella non voleva esporsi a vedermi peggiorare, a perdermi per imprudenze intempestive; e tant'altre chiacchiere che una donna snocciola, spiffera, infilza quando vuol negare. Io mi era afflitto, aveva messo il muso e stavo di malumore; allora prese quel suo accento fra il persuasivo ed il rimbrottoso, mi sgridò, mi ammonì che non voleva vedermi così, che non voleva assolutamente, che penserebbe e provvederebbe e ch'io frattanto aveva da far quel che mi si diceva; e poi mi carezzò; e poi mi diede un bacio; e sfido io di resistere alle stregonerie di quella fatucchiera, di persistere nell'ingrugnamento, d'insistere nelle richieste più o meno indiscrete! Si sa, l'uomo è il balocco della donna, ed o consentire o ribellarsi alla fin fine fa quel che s'è proposto la sua padrona.

Ma quando fu verso sera, madama ebbe l'infelice ispirazione di farsi preparare un letticciuolo separato su del canapè e d'alquante seggiole. Io non espressi nulla, ma m'indispettii tanto che mi venne una febbre da cavallo ed abbandonatomi sul letto mi diedi a piangere disperatamente. La Merope se n'accorse rientrando in camera, mi costrinse ad alzare la fronte, a guardarla in faccia e mi pose il quesito: che c'è? Risposi che non c'era nulla. Ed ella replicò ch'io non gliel'avrei data ad intendere. Allora io convenni che c'era qualcosa. Ed essa finì per cavarmi di bocca tutto, tutto. Bisogna avere arrendevolezza pei malati: il letticciuolo fu disfatto, le materazza e le lenzuola sparirono, le sedie tornarono al loro posto e quando venne l'ora che ci soleva ritrovare coricati, la mia Signora era al suo solito luogo ed aveva la mia mano in mano e come si addormentano i bambini favoleggiando loro dell'orco e delle fate, così essa mi conciliava il sonno con una lunga storia di certi pettegolezzi; pettegolezzi orditi a suo danno, da una brutta signora e da un orribile signore che per amor di lei io detesto cordialmente quantunque non li conosca e ne abbia finanche dimenticato il nome.

Grazie alle prescrizioni del buon medico, grazie alla mia robustezza, grazie soprattutto alle cure dell'ottima donnetta, io andava sempre di bene in meglio; e col rinvigorire del corpo, ringagliardiva ad un tempo il bisogno d'espansione, di amore; ed infiacchivano tutte quelle vane immaginazioni che si erano momentaneamente frapposte fra la Merope e me. Io l'amava più che mai ora che io era certo del suo amore, certo di non essermi avventurato in uno di quei mortificantissimi a solo ne' quali sdrucciola tante volte malavvedutamente anche un uomo di spirito, e che Pier delle Vigne chiamava giocare a faglia. Poi quell'amare così dopo essere stato quasi morto, dopo che s'era uscito presso ch'io non dissi dalla tomba, aveva molto degl'impeti, della spontaneità d'un primo amore; una lunga castità ritempra, rinvergina quasi e mente e corpo. Io provavo molte di quelle ingenue curiosità. di que' pudori, di quelle esitazioni, di que' palpiti che non sogliono provarsi che una volta, una sola, quando s'ignora ciò che si agogna, quando uno può illudersi: ma io avevo quasi dimenticata l'antica mia sperienza, tutto il passato era come una lavagna sulla quale la mia ferita aveva passata la spugna.

Ed ella mi amava davvero ed io n'era convinto. Innanzi agli occhi di lei era sparita ogni cosa tranne me: un giorno trovai sul tavolino una lettera di casa sua che dal bollo postale riconobbi esser giunta da una settimana e che pure essa non si era curata di aprire. Pregiudizi sociali e religiosi, scrupoli, affetto materno, tutto mi offriva in olocausto e senza farmelo sentire, come cosa dovuta, epperò voluta. Povera donna! ed io accettava. Sicuro, esser amato da una giovanetta, da una fanciulla che non ha ancor levato gli occhi in fronte ad uomo vivente, aver la certezza che siete il primo a mormorarle quelle parole inebbrianti, a toccarne quelle pure labbra; è dolce. Ma più nobile, più degno, più glorioso è il conquistare un cuore in poter d'altri, strappare col vostro amore una donna dalle braccia di affetto diverso per natura o per iscopo. Non comprendo che gusto abbia a regnare, chi non ha usurpato il trono. E bello è soprattutto il ridestare nuovo incendio d'amore in quell'animo che n'era già stanco e che s'era alzato nauseato dal convito che c'imbandisce la gioventù; il fargli riprendere fede alle illusioni gentili dell'adolescenza, come un arguto novellatore può di nuovo indurti ad ascoltare i racconti di fate che dilettarono la tua infanzia.

S'ella ora non consentiva al mio impaziente desiderio, ciò non accadeva perché volesse più negarmi cosa alcuna: era mia, ben mia, tutta mia, e scommetterei che si sarebbe risentita come d'un insulto se alcuno (ma non vedevamo anima viva) avesse supposto ch'essa non era la mia druda. Si considerava come debitrice a me del suo corpo, come impegnata dalla parola data; e per quel senso virile d'onore che la sublimava tanto al di sopra delle pettegole le quali si figurano virtuose perché non sono state godute che posteriormente ad alcune formalità, per quel senso virile di onore mi riconosceva tacitamente il dritto di disporre a mio modo di lei. Ma un certo ineffabile pudore, una ritrosia radicata nell'aver tanto poco goduto e tanto sofferto per le sue condiscendenze verso altri, fors'anche il timore che l'appagarmi interamente potesse aver per effetto di allontanarmi da lei, non altri motivi, l'inducevano a procrastinare.

Debole resistenza, breve indugio. Venne finalmente una notte, una notte proprio felicissima come ce l'aveva augurata la contadina deponendo sul tavolino quel gran lume d'ottone a tre becchi. Io non so, se in quella serata trovai più persuasive parole; se le lagrime mie ebbero virtù di commuoverla; o se quel bisogno che mi spingeva verso di lei potesse egualmente su d'essa in favor mio - ma qual che ne sia il perché, l'amore ci congiunse ed ottenni il guiderdone di tanto desiderio,

Se fossi morto allora in braccio a lei, se la mia ferita riaprendosi per quegli sforzi m'avesse condotto a sputare il polmone e la vita; ci sarebbe un terzo nome da aggiungere a quelli dei due felici ricordati da Solone a Creso.

 

 

 




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