XX
SOGNO
GIUDIZIARIO
Mens immota manet, lacrimae volvuntur
inanes
VIRG.
…Ma quella via
Su cui ci pose il ciel, correrla tutta,
Convien, qual ch'ella sia, fino allo
stremo.
MANZONI
Nessuna creatura umana può sfuggire al proprio
destino. E che non ho fatto io per cansare gli studi legali, per non accogliere
in me la scienza che forma il giureconsulto? Eppure una notte sognai d'essere a
giudicare: o vogliamo dire che nell'Italia odierna non c'è ormai bisogno di più
che un'infarinatura di legge per avvocateggiare o magistrateggiare. Io era
giurato, ed il sorteggio aveva infuso a me, agli undici colleghi ed a que' due
supplenti la scienza tutta, tutto l'acume e la perspicacia che non avevamo un
quarto d'ora prima, che non avremmo più avuto una mezz'oretta dopo, che in
altre epoche men fortunate si sudava anni ed anni ad acquistare. Oh potere
delle così dette libere istituzioni! in un batter d'occhio trasformano popoli
ed individui, insegnano agli ignoranti, illuminano gli sciocchi, moralizzano i
furfanti... Ma l'istituzione del giurì è suscettibile ancora di miglioramento:
logica vuol'essere! Non s'ha da venir giudicati che da' propri pari, ed è
quindi scandaloso che si ammettano per membri del giurì persone che non hanno
la fede di perquisizione maculata da cinque o sei misfatti, delitti o
contravvenzioni. Questo ben inteso aspettando che ammessa l'abolizione della
pena capitale si addivenga alla legittima sua conseguenza che è l'abolizione
pura e semplice d'ogni penalità.
Dunque io
sedeva nella mia poltrona e verdetteggiava secondo coscienza. La causa era
grave: veneficio del marito; la sala era piena di signore, di avvocati; sul
tavolo stavano un subisso di apparecchi chimici, storte, fiale, ed in una cassa
di piombo, circondata da disinfettanti, ciò che del morto sopravvanzava alla
putrefazione ed agli sperimenti. Sullo sgabello de' rei sedeva l'imputata
senz'alcun complice, sola nella sua sciagura, in piena gramaglia, col capo
chino e velato. Ed io la riconobbi subito, alla leggadria dell'atteggiamento,
al furtivo lampeggiar degli occhi, prima ancora che ella rispondendo alle
interrogazioni del presidente declinasse nome, cognome e qualità: era la mia
Merope. Ahimè non più mia, ma della legge!
E questa
legge s'incarnava temporaneamente in me! Ned io poteva farmi esentare dal
giudicarla, perché non avrei potuto enunciare il vero motivo; sarebbe parsa
prova della reità di lei a molti se io sorgendo avessi dichiarato di non poter
essere imparziale perché... perché quella donna era stata meco adultera. No,
l'amicizia stessa mi faceva un obbligo di tacere e di rimaner lì; ma una voce
più potente ancora e più alta, la voce dell'onore, rammentandomi il giuramento
prestato, mi faceva un obbligo di porre in obblivione finché durerebbe quel
giudizio ogni nostro antico legame, di non veder nella Merope che un'accusata
come qualunque altra. Mi raccolsi, chinai la testa, appoggiai le braccia a'
bracciuoli della poltrona, ed ascoltai.
Ed il
Pubblico Ministero lesse l'accusa: i fatti raccolti erano mirabilmente
concatenati; e finanche de' sospiri venivano a formar prova. Io m'accorsi con
ispavento che accoglieva nell'animo la possibilità della colpabilità di Merope.
Un solo punto rimaneva indefinito dall'accusa: il motivo efficiente del reato.
Ma l'eloquente magistrato che non aveva trovato elementi da determinarlo, aveva
però accumulato ipotesi e supposizioni quante bastavano per far presentire che
l'accusata aveva voluto sbrigarsi d'un impaccio legittimo a' suoi amori
clandestini. Era io od altri dunque che l'aveva spinta all'assassinio? Dubbio
atroce comunque lo risolvessi.
Il Presidente
la interrogò. Veramente il suo sistema di difesa era semplice: negar tutto, con
pacatezza, con pertinacia; alle deposizioni concordi de' testimoni opporre un: sono
d'accordo nel mentire; accennare così di volo che ragioni
d'interesse congiuravano a suo danno i parenti del marito, eccetera. Era uno di
quei sistemi che dalla prima parola si scorgono non poter durare, e che tolgono
gran parte del piacere al pubblico dibattimento, piacere che consiste appunto
nell'incertezza: sarà assoluta? sarà condannata., Quando invece la
condanna si annuncia quasi inevitabile fin dal principio tu non trovi che un
diletto più materiale e meno intellettuale, quel diletto che si prova pure nel
veder tirare al bersaglio con le pietre su d'una povera gallina legata per
terra che sarà di chi l'ammazza e non può non soccombere. Si tratta di vedere
qual colpo sarà mortale.
Ahimè ogni
deposizione era mortale, ogni testimonianza faceva uno squarcio al fragile
tessuto della difesa. Vennero i chimici e mostrarono le macchie arsenicali, e
poi ne ottennero altre e più accusatrici per numero e grandezza in presenza
nostra stessa con que' residui del cadavere. Vennero i familiari e
testimoniarono di discordie, di minacce, di amori occulti... erano i miei, o
quelli d'altri? Nessuna scusa, nessuna provocazione, nessuna attenuante! Invano
Merope dopo ogni deposizione ripeteva: «costui o costei mente; so perché mi sono
nemici», e raccontava una pretesa cagione della supposta animosità; gli
addebiti erano troppi e troppo unanimi per non convincere le menti più restie.
Non v'era campo per l'avvocato; il quale oppresso dal tema poté mostrarsi
arguto, facondo, dotto, commovente, ma non inforsare un'accusa, non infermare
un gravame. Indarno io mi afferrava alle sue parole per trovarvi un pretesto di
assolverla, per coonestare agli occhi miei stessi una di quelle tergiversazioni
che potevano salvarla. L'innocenza di Merope non mi fu dimostrata.
E ci
ritirammo per deliberare. I giurati erano tutti miei amici, miei aderenti; io
primeggiava e se avessi detto salviamola! ne son certo, mi avrebbero
assecondato. Povera donna! io, io che le doveva la vita e quel ch'è più tanta
voluttà nella vita, io dovrei come capogiurato pronunziare sul mio onore quel sì
che le metterebbe il capestro alla gola? Una volta per uno a salvarci e poi
saremo patti. Innocente o colpevole, ebbene, che monta? Quel suo reato era di
quelli che non ispaventano la società; essendo occasionati da un
determinatissimo perché, non c'è paura di ripetizione, di recidiva. E poi, se
n'è abbastanza puniti dal solo sospetto; ed i verdetti assolutivi de' giurati
hanno questo di buono che immotivati ed irragionati quali sono lasciano sempre
dubbia l'innocenza: sempre il non costa, mai il costa che non. Dunque...
piano! e potrò asserire sul mio onore il contrario del mio convincimento? Si fa
ogni giorno!... Lo so; e chi nol sa; ma per questo lo farò io? È un impossibile
che la mia bocca si pieghi alla menzogna; e se anche potessi... non voglio, no.
Se ho tante volte posta a repentaglio la mia vita per l'onore, o perché dovrei
aver ritegno di sacrificargli quella d'un'altra? Ma Merope è un'altra
qualunque, Merope? Ma non ha posta la sua fama a repentaglio per te? non hai un
debito con lei, debito anch'esso di onore? Sì, ma ella mi ha sacrificato
l'onore apparente, la convenienza umana; ed io dovrei operare contro i dettami
della coscienza. E che ne sai che la coscienza non la rimordesse di quel che ha
fatto per te? E che è questa coscienza, questo concetto della tua mente, che ti
spaura? - Ebbene, sarà ch'ella m'abbia amato più ch'io non l'ami; ma davvero
non posso, non voglio.
Tornammo
nella sala d'udienza. Io m'alzai e tutti tacevano; Merope mi fissò gli occhi in
fronte e mi fece tremar tutto e compresi quanto le tornerebbe più orribile la
condanna di bocca mia. Pallido raccolsi le mie forze e stava per pronunziare
quel sì che la condannava senza attenuanti, quando mi destai...
L'amica mi
riposava mollemente accanto, in braccio ad un placido sonno e stringeva la mia
mano fra le sue. Al mio riscuotermi la strinse più forte e mormorò di quelle
parole smozzicate che sogliono uscir di bocca a' dormienti. Ahimè di più belle
han fatto peggio, di più ree han dormito placidamente. Che importano le azioni?
Cosa sono questi fenomeni accidentali di fronte alla vera vita ch'è quella
della mente e della bellezza? Merope mia, ti avrei perdonato nonché
l'avvelenamento del marito, ma d'aver mesciuto tossico a me stesso! E ripresi
sonno ed eccomi ingolfato nuovamente fra sconce visioni.
Sognai di
stare in pubblica piazza, su d'un palco; ma stavolta non come ho giovenilmente
sospirato tante volte, da condannato per causa di libertà; anzi come carnefice.
Ed aspettava lì che mi portassero la persona alla quale avrei posto il capestro
alla gola e sulle spalle della quale sarei salito senza più palpito al cuore
che non se ne senta aspettando l'avversario per recarsi sul terreno del duello.
Esercitava il mio mestiere, e perché io l'esercitassi bisognava ch'io l'avessi
scelto nella piena coscienza di far cosa buona e santa. Io stava lì vindice
della legge oltraggiata; io infliggeva quella sanzione che la rende santa:
anche il boia è maestro. Il volgo poteva insultarmi e maledirmi come il ferro
della mia mannaia; ma in faccia al vero la mia coscienza brillava, come
l'acciaio della scure a' raggi del sole. Nessun uffizio che torni utile alla
società può esser vile per sé; l'abiezione non può trovarsi che in chi lo
disimpegna: abbiamo visto dei Re comprender così male il loro ufficio da
divenir ludibrio dell'universo mondo. L'ammiraglio codardo, il condottiere
venale, il giudice timido, ecco gl'indegni: non il boia no, quando sa quel che
fa, quando incarna nel suo ultimo stadio quella coscienza universale stessa che
s'è incarnata nel legislatore per comminare, nel giudice per applicare. Io era
un manigoldo compenetrato dell'altezza del mio ufficio, e non ne arrossiva, e
sopportava l'esecrazione e le contumelie della plebaglia con lo stesso
sprezzante sogghigno col quale tutt'i generosi da che il mondo è mondo le hanno
tollerate. Vi ha certi pregiudizi radicati che solo il tempo e la esperienza
distruggono: abolite i giustizieri e tosto vedrete una seconda edizione di quel
deliberato veneto col quale i senatori richiamavano dallo sbandeggiamento le
benemerite cortigiane.
Un
ondeggiamento nella folla mi annunziò che la carretta con la condannata si
avvicinava; la scorsi di lontano e diedi gli ordini ai tirapiedi perché
acconciassero ogni cosa in modo da far presto: frattanto il carro si fermava
tra' soldati appiè del patibolo; e ne scendeva una donna tutta velata di nero,
vestita d'una camicia nera. Fu un levarsi di mille voci di pianto; mille amici
volevano precipitarsi e stringerle un'altra volta la mano: ma quei pochi
carabinieri li respinsero; mille voci gridavano singhiozzando: «L'hanno
calunniata! è innocente!»; ma un rullo di tamburi le fece ammutolire. Quella
gente raccolta non assisteva ad uno spettacolo; era venuta fin lì per
contemplare la morte della donna, come intorno al letto d'un moribondo si
raccolgono tutti quelli che l'ebbero caro. La coscienza pubblica era scissa ed
infraddue: il giurì condannava, la piazza assolveva; e la disputata frattanto
saliva lentamente la scala del patibolo respingendo col gesto il confessore che
importuno anche allora voleva farle baciare non so che feticcio d'un
crocifisso: «Nossignore, io non fingerò più ora, sul limitare della morte; non
darò il cattivo esempio della codardia. Il vostro dio è una menzogna come la
vostra giustizia. Né veggo che l'eterno ricordare che fate di questo favoloso
errore giudiziario vi renda più guardinghi dal commetterne de' veri e saldi a
danno e nocumento di... mio per esempio, stavolta. Non ho bisogno de' vostri
conforti per non temere la morte, non ho bisogno di nessuna lusinga sul dopo:
sono donna, e pretenderesti tu, prete, insegnar coraggio a colei che non ha mai
potuto godere una voluttà, senza correr pericolo di gravidanza, cioè di morte?
T'assicuro che tremerò meno io del manigoldo».
E dicea vero:
che quella voce m'era piombata al core, ed io riconosceva quelle fattezze e non
osava più avvicinarmi per distruggerle; non aveva cuore di risolvermi a legar
le mani della mia Merope, ad incapestrar la mia Merope a sottrarle la scala e
mentre il tirapiede farebbe forza di giù a salirle sugli omeri e far forza di
su, io. No! Merope non poteva morire per opera mia: innocente o rea che la si
fusse, era troppo bella ed io l'aveva amata tanto! In un momento di gelosia,
d'iracondia, lo so, avrei potuto lasciarmi trasportare ad alzar la mano contro
di lei... forse! Ma ucciderla a sangue freddo, come si fa per le bestie da
macello, per conto d'altri, per offese e colpe che non toccavan me, per un reato
(se tant'è che fosse rea) del quale io forse era stato cagione se non
complice!... Ebbene io poteva rifiutarmi a fare il mio dovere da carnefice: e
senza di me la festa non poteva poi compiersi, senza violino non si balla e non
s'impicca senza boia. Sarà salva almeno per oggi, sarà intatta dalle mani mie;
sarà forse salva per sempre, intatta da ogni mano, se non si troverà alcuno che
volontariamente osi proporsi all'empio ufficio. Oppure e sarà meglio, senza
fidarsi al rispetto umano per la virtù ch'è più che dubbio, - qui sono tanti
amici suoi, carabinieri pochissimi; forza non può sopraggiungere tanto presto:
perché non le sciolgo i suoi vincoli, non la fo libera, non chiamo in aiuto la
plebe? In un battibaleno sarà arrovesciato il patibolo, trafugheranno la mia
donna, e s'io succombo che importa? E la cosa è fattibile, agevole: basta
volere ed osare. Sì? ed il mio dovere da carnefice? ed il giuramento
nell'assumer l'impiego? e l'obbligo di onore incontrato? Ah sì? ed io esecutore
della legge, io diventerei parziale? Di mia propria autorità rivedrei le bucce
alle sentenze de' magistrati, assolverei questa, condannerei quello. Assolverei
o procrastinerei l'esecuzione di costei non perché mi risulti o consti men rea
d'altri, illegalmente condannata, oh no! ma perché una volta le ero giaciuto in
braccia, perché le sue membra mi erano state dolci ministre di piacere! E poi
chiamerei infame quel giudice che rimandasse per innocente un'imputata od
accusata solo perché la gli dicesse: io mi ti prostituirò: oppure: ti
darò quanto è d'uopo perché altra ti si prostituisca! No, no: la via che
s'è impresa bisogna correrla tutta, qual ch'ella sia, senza lasciarsi
menomamente sbigottire dalle cose orribili che occorre presenziare od eseguire.
Merope mia, tu sei pur bella, tu sei pure amata! ma come altra volta le tue
ignude bellezze non potevano trattenermi dal precipitarmi nella mischia, così
pure ora né i tuoi vezzi. né la tua voce, né l'affetto che mi dilacera, né la
riconoscenza della tua amorosa larghezza, medica mia, non potranno farmi non
che astenere, indugiare un istante dal legarti, come fo, i bei polsi bianchi
tante volte baciati dietro le spalle. Riconoscimi! ma non muterai quel ch'è
fato per entrambi e per me giunta dovere, onore, contratto, giuramento, ufficio.
Per te sarà più grave la morte inflitta dal tuo drudo: per me l'ultima
illusione è spenta, è spento quell'entusiasmo ponderato che mi fece vagheggiare
questo supremo incarico. e la mia ganza sarà l'ultima che verrà immessa nel
nulla dalle mie mani. Oh Merope mia: nulla mi ti può sottrarre: non isperare in
un impeto di questo volgo Italiano, inerte, molle, che simpatizza in parole ed
in pianto, ma che è più lento a muoversi nei fatti, che non siano lenti i
torrenti delle nostre Alpi a diruparle nella pianura, a trascinarle al mare! E
se anche insorgesse, son qui, io, boia compunto del mio dovere e non mi ti
rapiranno viva dall'artiglio. No, adorata mia, questo bacio ch'io ti chieggo in
segno di perdono, il primo che tu mi conceda senza alcun'ombra o simulazione di
ritrosia, non può sedurmi! E che non avrei fatto altra volta per un bacio tuo,
cara! Nessun tuo supplice sguardo potrà impedirmi ch'io non metta questa fune
insaponata a quel collo che ho coverto di tanti baciuzzi, di tanti morsetti
nelle beate notti in cui tu mi vegliavi infermo! E quando sarà dato il segno,
io trabalzerò la scala, e mi accovaccerò sulle tue spalle, ed è invano che mi
stringi così supplice le mani e che mi chiami con cari nomi... hai da morire...
No, non avea
da morire; mi ridestai ed era ben dessa che mi tirava il braccio e mi chiamava
a nome con dolci epiteti, supplicando, non che le risparmiassi la vita, ma che
mi alzassi per far colezione. E nella camera attigua la contadina andava su e
giù facendo un dolce suono di piatteria e di posate e di tazze... Come non
vestirsi in un batter d'occhio, anche quando avessi sospettato (ed era ben
lungi dal farlo) che mi avrebbe posto un grano d'arsenico nel caffè?
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