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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • XXIV   UN AUGURIO E DUE DEDICATORIE
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XXIV

 

UN AUGURIO E DUE DEDICATORIE

 

…Es sind

Nicht alle frei, die ihrer Ketten spotten.

LESSING

 

Di Merope basti; del Dalmata vi dirò che è morto; col mio Coinquilino siamo rimasti amici ed ho saputo ch'egli s'è dato a corteggiare la Generala Chioggia: buon pro' gli faccia, io non gliela invidio, e chi sa che questi suoi amorazzi non mi diano argomento ad un altro racconto? Auguro a lei un confessore indulgente che non le imponga troppe penitenze pel nuovo scappuccio; ed a lui che il Generale non s'accorga di nulla, giacché di maneggiar la sciabola e la pistola se ne intende come pochi in Italia.

E Pietro De Mulieribus che fa? Che faccia al presente nol so; ma se avrete ancora pazienza d'ascoltarmi eccomi dispostissimo a narrarvi l'ultimo nostro abboccamento, il quale ebbe luogo ad Ancona, nobilissima città posta sull'Adriatico dove mi trattenni una giornata mentre tornava a Napoli, lasciata la Merope. Ecco alcuni brani d'una mia letterina a costei che chiariranno quali fossero le condizioni dell'animo mio quando m'imbattei in quell'amico carissimo e pittima cordiale.

«Appena giunto, volli rivedere e risalutare il mare. I nostri maggiori, come sapete, gl'innalzavano templi e gli sacrificavano destrieri ed ecatombe di buoi: l'amico vostro, sappiatelo, non gli rende onori divini, anzi fa più, l'ama quasi quanto ama voi, sebbene altrimenti. Mi sembra uno di que' vecchioni, intrinseci di famiglia ab antico, che ci hanno fatto saltar bimbi sulle loro ginocchia, e che ci raccontano mille nostre inezie infantili, da noi scordate. Nato e cresciuto in riva al mare, scherzai fanciullo sulla sua spiaggia interrogandolo da superstizioso intorno al futuro. I giovanetti si ripromettono ventura e gloria dall'avvenire,

 

Con l'avida speme precorron l'evento,

 

non possono ancora afferrarlo e pretenderebbero almeno legger chiaro in esso: ma con gli anni. conosciuto a prova che abbia la vita in serbo per noi, e quanto valga una promessa d'oracolo, smettiamo di chiedere responsi che o favorevoli, mentono, o sinceri, sconsolano. Il filosofo ginevrino, prima che desse opera alla filosofia, per appurare se l'anima sua sarebbe andata in Paradiso o in Inferno scagliava sassolini negli alberi; e se coglieva il tronco, si riteneva salvo, se lo sbagliava, dannato. Ed io, scriveva parole sulla sabbia, e dal cancellato o dal rimaso intatto argomentava. Tal altra volta, fatta una dimanda a voce alta, m'ingegnavo a spiegar come un o come un no il suono più o men cupo dell'ondata seguente. E divinavo e traevo augurî dalle alghe, e dalle onde, e da rimbalzelli de' sassi ch'io scagliavo nell'acque. Quante bugiarde risposte non ebbero le mie scapestrate dimande, onde rinvigorirono lusinghe che dovevano tornarmi vane! Eppure ho sempre caro il sospirar monotono del fiotto, e la schiuma rotta sugli scogli, e le verdi alghe, e le sabbie del lido, e mi vien da piangere al rivederle, per la dolce memoria del passato. Auguri non gli chieggo più, ché non credendoci, li temo e li canso.

«Giunto dunque, ordino due bistecche per colezione, e mentre le cuocevano, m'incammino verso la marina, sospingendo di lato col bastone quanti ciottoli inciampava. E sappiate che per bastone ho sempre la goffissima mazza d'agrospino con la punta ferrata e con quel corno di camoscio per pomo, ch'io comperai sul San Gottardo e che mi fa guardare da quanti gonzi inciampo: ma io passo e non curosassolinigonzi.

«Ecco mi percuote l'orecchio il sonito dei marosi; svolto e scorgo il mare; ed era vista da agghiacciare il sangue nelle vene, quantunque avesse già rimesso della furia e cominciasse a calmarsi. Livido, bavoso, agitato pareva qualche mostruosa belva in gabbia, che stizzita, affamata, chiede carni da divorare, e rugghia, e si percote i fianchi e scuote le giubbe. E quella furia appariva più orribile, e meglio si dimostrava in essa la potenza dell'elemento scatenato, grazie al contrasto che regnava dappertutto: il cielo era azzurro, l'aura tranquilla, i colli intorno verdeggiavano. Insomma, d'ingrugnato non c'era che il mare, e non degnò d'un saluto me, che avevo posticipata la mia colezione, e prolungato d'un quarto d'ora i tormenti dell'ingordo ventre per procacciarmi l'onore di ossequiarlo.

«La nottata era stata orribile: parlavano di più naufragi. Sul greto vedevi (non so se m'abbia a dire sparsi o raccolti) capannelli di marinari e famiglie di pescatori, donne, bimbi, aspettando con pallida guancia che o gli attesi tornassero o il pelago vomitasse qualche marame, acciò finissero comunque le smanie dell'incertezza. O perché l'uomo debbe invidiarsi non che ogni bene, ogni sosta nell'angoscia? Perché maledire il dubbio quando sappiamo non poter esser rotto che da una luce dolorosa? Eppure ha un che di grande ed incute rispetto per la natura umana l'istinto che spinge anche gli enti più volgari, più ignoranti, a preferire il vero amarissimo alle lusinghe della speranza.

«Tutt'a un tratto levossi un grido, e quanti stavano , concorsero in un punto: ché i cavalloni travolgevano legname e tavole informi verso il lido, ed alcuni arditi tanto fecero da trarli all'asciutto fuori del piglio delle onde. Era la prua mezza rotta d'una piccola nave; e si leggeva ancor dipinto vividamente in rosso d'ambo i lati, sulle tavole nere il nome della nave: MEROPE.

«Tutti gli astanti volevano farsi innanzi, toccare, vedere, accertarsi, dir la loro: e mirato quel documento certo di un disastro si rasserenavano, che la MEROPE non apparteneva a quel porto; né le erano affidate o gli averi o i cari loro. Ad altri spettava il versar lacrime, se pur lacrime erano dovute a quella iattura. La sventura indura il cuore quando impende a' capi di tutti; uno diventa avaro di pietà, di pianto, e lo serba per sé, come in una città assediata chiunque ha viveri li nasconde per uso proprio. Esaminato quel frantume, almanaccato sulla sua provenienza, sul destino e sulla rotta, e sulla sorte della ciurma, e sull'ora del naufragio, e su tant'altre cose, il crocchio andò diradandosi a poco a poco, e ciascuno si rimise od a spiar l'orizzonte od a camminar lunghesso il greto in busca d'altri indizî; tranne un avido vecchio che tolse a portar via quel legname, e che forse ringraziava in cuor suo, il suo dio d'aver benedetta la spiaggia, per dirla come dicono in Pomerania.

«Ma io me ne rimasi commosso e quasi mi spuntavano le lacrime sugli occhi per quell'incognito bastimento. Eppure io non pensava agli infelici sommersi, quando forse più fidavano di trovar scampo; non alle famigliuole che li aspettavano e li aspetterebbero a lungo, affamate e pallide, indarno. Io non vedeva che quella scritta, pensando solo che il legno aveva portato il nome vostro. Non richiesto, il mare mi salutava con un augurio, mestissimo: mi offriva il nome vostro sulla prua d'un legno sdrucito e sommerso.

«Non badai più ned alle onde, ned a quella gente misera, ned al vecchio avido, ned alle bistecche che incarbonivano all'albergo, e pensai di voi: abito vecchio che durerò fatica a smettere.

«Pensai che vi credevate sicura in porto: ma oh quante volte quella nave non avrà toccata la sponda fra gli scherzi degli amici, fra i saluti delle donne? quante volte i marinai combattuti non avranno appesi splendidi ex voto pe' santuari? E se la procella dovesse sorprendervi e sommergervi incompianta o voi cara adorata donna! Oh sento che il cuor mio si spezzerebbe come il cuore di queste misere quando il mare avrà loro rivomitato i loro naufraghi. Vi ho lasciata e mi ci rassegno, perché vi so felice - se non vi sapessi più tale, come rassegnarmi, dove trovar conforto?».

Reduce all'albergo trovai la colezione imbandita per due: e chi mi aspettava sorbillando un bicchierino di vermutte era quel bravuomo del De Mulieribus. Asciolvemmo pacchiando e pecchiando, e secondo gli usi e costumi prevalsi in Italia sparlammo e maledicemmo, corna, di tutti i nostri commilitoni, tranne una serqua di morti. Dopo il caffè mi propose di scaccheggiare ed in meno di tre quarti d'ora gli consegnai due terribili matti: stava infelice il me' Pietro. Allora, suppongo per vendicarsi, mi raccontò che intendeva finalmente pubblicare una piccola scelta de' suoi prodotti poetici, e seppe tanto destreggiarsi ch'io dovetti proferirmi pronto, prontissimo ad ascoltarne lettura, ed a dare la mia opinione imparziale sulla convenienza del criterio adoperato nella scelta. Il mariuolo mi condusse in camera sua, mi offrì una bella sedia a bracciuoli, aprì un valigiotto, ne cavò un voluminoso rotolo di quaderni, cercò un pezzo, disse: Ecco! tossì, sputò, si soffiò il naso, starnutì, si alzò gli occhiali sulla fronte e cominciò a leggere, leggere... era notte fatta e non ismetteva, e se avessi dovuto aspettare che finisse, sarei venuto meno d'inanizione, esauriendo più del debito. L'interruppi e facendomi animo, determinato a togliermelo una volta per sempre d'intorno co' suoi versi, gliene dissi francamente e se volete cinicamente la mia opinione: opinione che consentiva in tutto e per tutto con quella che voi lettori avete senza dubbio portata sulle sue poesie che ebbi cura di trascrivervi. Ebbe spirito abbastanza per non prendersene collera, anzi per consentir meco su parecchi punti. Ma que' pochi altri giorni che rimanemmo insieme si guardò bene dal propormi di rinnovarne o sentirne la lettura: vero è che riuscì più felice agli scacchi.

 

 

 




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