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Vittorio Imbriani Merope IV IntraText CT - Lettura del testo |
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BACIO DI REGINA
Il n'est don que de roi, ni baiser que de reine. VICTOR HUGO
Morte bella parca nel suo bel viso, PETRARCA
A che servirebbe il descriver minutamente l'aspetto d'una città che s'agita per soffio foriero della bufera rivoluzionaria, parlando a voialtri Italiani e Napoletani del decimonono secolo, i quali troppo bene sapete la maniera di quei vortici che abbattono i governi e travolgono le dinastie? A voi dei quali potrei dire su per giù quel che Torquato dice del suo Argillano:
...pronti di man, di lingua arditi. Impetuosi e fervidi d'ingegno; Nati in riva al Sebeto e lì nutriti Nelle risse civil d'odio e di sdegno; Poscia in esilio spinti...
Si descrive e particolareggia l'ignoto: il noto è richiamato sufficientemente alla fantasia dal nome solo. Ed ecco una ragione probabile, quantunque sinora inavvertita, della scarsezza ne' buoni scrittori italiani di quelle descrizioni della bella natura che s'incontrano ad ogni piè sospinto negli stranieri, e che il lettore italiano salta a piè giunti, mentre il barbaro vi si delizia. Per esempio le parole mare, aurora, sponda, richiamando nelle memorie italiane le sponde, le aurore, i mari della patria nostra, contengono implicitamente quella bellezza che non è nelle aurore, ne' mari, nelle sponde inglesi o teutoniche, e che quindi gli scrittori d'Inghilterra o di Lamagna si studiano di azzeccarvi con una mantissa descrittiva che par tolta alle tavole di Gauss. Dirò dunque solo in due parole che alle stazioni delle ferrovie, come ad ogni porta della capitale, era una congestione di folla; ché i forestieri accorsi in busca di spassi ora s'affrettavano a sgombrarne mentre ogni convoglio dalle provincie sbarcava truppa e truppa e truppa. Pattuglie frequenti ed il passaggio de' cannoni facevano rimbombar cupamente il lastrico delle strade e tremare le mura doppie de' palazzi. Le femminette affacciavano il capo tra le impannate socchiuse, intendevano alquanto se scorgessero tornare i loro e richiudendole in fretta si facevan la santa croce. Gli omaccioni trasognati per le vie in frotte, in capannelli, interrogavano, si rimescolavano, consigliavano, promettevano. Nello scuoramento universale, perduta la testa, le donnicciuole s'accomandavano a domeneddio, i cittadini a' concittadini, appoggi del pari fiacchi ed ingannevoli. Ma perché? Per un avvenimento che suole invece dappertutto rialzar lo spirito de' popoli e suscitarli a grandi speranze. La sovrana era morta d'improvviso. Sì, morta! Un fulmine a ciel sereno. Morta quando appunto la fortuna, per non saper che farsi, cominciava a sorriderle. Fin da' più giovani anni aveva dovuto sperimentare quantunque di amaro può contener la vita; ed allora spesso la sua morte sarebbe sembrata agli occhi di lei ed agli occhi di tutti un benefizio. Insidiata da' congiunti durante la minorennità; costretta a campar di provincia in provincia mendicando quasi favor da' sudditi che non si infamassero trascurando il sacrosanto dovere di mantenere i dritti della corona; nelle battaglie, negli agguati, sempre illesa, il volgo si era persuaso alla fin fine ch'ella fosse invulnerabile. Ed ora che a guerra civile fornita, a straniero respinto, dopo le amnistie pei ribelli e le premiazioni pe' fedeli, stanca di far l'eroina, avrebbe potuto esser donna finalmente e godere, moriva nel fior degli anni e dell'avvenenza! Moriva ignara d'ogni affetto muliebre, d'ogni voluttà, come per subito incendio verrebbero ridotti in cenere gli strumenti temperati per le più soavi armonie! Sprofondava nel sepolcro dove si putrefà e sul quale rifulgevano del pari la ghirlanda verginale ed il diadema regale. Ahimè! per cavar qualche gioia dalla vita conviene affrettarsi a perdere quella quanto prima si può, custodir questo quanto più riesce intatto! Ma, insomma, era morta: per lei, conti chiusi: nulla da sperare, nulla da paventare. Rimaneva lo stato: che diverrebbe quell'ente immortale perduta lei ultimo rampollo diretto e legittimo della dinastia? Quale visibilio di pretendenti e di pretese! Gli antichi ribelli d'ogni setta e provincia rialzavano la cresta, riaccampavano le autonomie de' loro campanili; i ministri, che s'erano costituiti su due piedi in reggenza, sognavano d'imbastire un Monarca il quale li rimpannucciasse; il baronaggio almanaccava non so che sovrapposizioni di consigli aristocratici alla Veneta; la plebe delirava per quarantott'ore di saccheggio; e frattanto più d'un ambizioso o si scalmanava impaziente pe' trivi o piegate le braccia, taciturno, osservando i sintomi dell'effervescenza, aspettava. Desideroso di veder tutto, di essere presente dappertutto, io gironzava taciturno osservando pe' quartieri della città. Una cosa mi commosse: l'universalità del cordoglio, del rimpianto, giacché quello dell'uno avvalorava quello degli altri. Pur troppo il volgo (e chi non ha parti del volgo?) è proclive a compiangere il compianto, ad ammirare l'ammirato: mai non si diniega al ricco, nulla; ed il più odiato dei prìncipi raccoglie e (bisogna pur convenirne) merita sempre più lacrime del più diletto privato. Scorsi una femminetta piangere disperatamente stringendosi al seno due suoi bimbi; e come io la guardava fiso, mi disse: «Io li amo questi figliuoli; non so, più dell'anima mia. Quando la ragazzotta qui mi si ammalò, feci voto alla Madonna di portar le trecce corte per un anno; e quando il maschietto mi fu mezzo arrotato da un carro, feci voto a' santi di non portar mai più né orecchini ned altri oggetti d'oro; questo, purché mi guarissero. Eppure io li avrei visti morire l'una e l'altro volentieri per salvar la vita alla nostra brava padrona». Qual potere aveva esercitato colei sugli animi se alla sua morte invece di esultare come uno stallone indomito che scuote da sé il cavaliere, la minutaglia la deplorava come una cagnuola fa della padroncina partita? La bella defunta mi stava innanzi alla mente quale io l'aveva intravveduta balenarmi innanzi non più che un due sere prima, mentre si recava pomposamente in teatro, al ritorno d'una caccia, più rigogliosa, più avvenente che mai, biancovestita al solito sul suo morello, in mezzo alle uniformi scure ed a' cavalli bianchi del seguito, fra lo scalpitio delle unghie ferrate e gli evviva ed i battimani. Ed ora mi volgeva ad ogni scalpito, ad ogni tumulto, ad ogni attruppamento, quasi certo ch'ella dovesse ancor passare di là ed esserne la cagione. Ned era il solo, io, a sentir così: non parea vero a nessuno che la fosse defunta; certe cose sembrano impossibili a chi non s'è addomesticato un po' per volta a pensarle. Altri s'inteneriva sulla beltà della valorosa, altri sulla virtù della bellissima, e tutti o per un verso o per un altro a meravigliare della fine immatura, inattesa. Da ogni bocca io raccoglieva strane parole di sospetto: perché quella morte giovava troppo alle malcelate ambizioni di taluni potenti che avvezzi a soddisfare ogni lor ghiribizzo in tempi di anarchia, a sopraffare e sperperare ed usurpare, mal si rassegnavano al regno delle leggi in tempo di pace. Quella morte veniva troppo appuntino a troncare l'esecuzione di disegni risoluti, ad impedir limitazioni ne' dritti che i Bracci s'erano impudentemente arrogati; e non tornava fulmine a tutti. Anzi parecchi vi si mostravano preparati; provvedimenti inesplicabili acquistavano un senso; certi andirivieni ed abboccamenti dimostravano uno scopo. Il popolo corrivo a auspicare, perché si rende giustizia e si conosce solo ed insidiato, razzolava, raccozzava, commentava de' gesti avvertiti, delle parole notate, degli aneddoti divenuti patrimonio pubblico, il viaggio del tale all'estero, i fremiti attribuiti al tal altro e marchiava più d'un nome con l'infamia d'un indelebile sospetto. Ci ha dubbi che una volta enunciati, rimangono: il pro ed il contra si bilanciano esattissimamente e se in quel caso la prova positiva è monca, tutti senno che non si dà mai prova negativa. Va, persuadi alla storia che non c'è delitto, dove logicamente dovrebb'essere: studiati di convincerla che il misfatto non è stato perpetrato da chi per necessità psicologiche o d'interesse n'è indiziato autore! Essa registrerà imparzialmente le discolpe... ma non pronunzierà verdetto assolutivo; dirà: le prove mancano, come disse molt'anni fa un tribunale sul conto d'un tale accusato di furto e che ora è deputato al Parlamento italiano. Pare che l'ingrossar del tempo avesse impensierito que' signori della Reggenza i quali per durare al timone dello stato si sarebbero attaccati a' rasoi, ned ignoravano che dalla disperazione all'esasperazione, per quanto immensamente distino, il popolo, come Nettuno, non mette che tre allargamenti di seste. Non credettero di sprezzare le accuse; anzi, quasi per risecar loro ogni fondamento, ogni pretesto e purgar la propria fama da ogni taccia; avevan deciso che la salma della Regina rimarrebbe esposta ventiquattr'ore nell'archeologica cattedrale murata da un antenato di lei, e collegata da secoli con tutte le glorie e tutte le memorie della dinastia. Tempo da parar la chiesa regalmente, non se n'era avuto: avresti detto la solita stanca commemorazione del venerdì cosiddetto santo, che non commove ormai più l'umanità infastidita che le si parli ancora dopo diciannove secoli di quel preteso errore giudiziario commesso, dicono, in Galilea. Le navate eran tutte buie; buio era il coro, buia la cupola; buio dovunque, tranne in una cappella rischiarata da pochi cerei maiuscoli in fondo a destra dell'altar maggiore. Lì, su ricchissimo letto ingiuncato di fiori, giaceva immobile la giovanetta Regina abbandonando un braccio sopra le coltri. La canaglia concorsa nella chiesa, trattenuta da una debole balaustrata, le brulicava intorno, spesseggiava, si piegava per ispiarla, ahimè! senza rendersi importuna, senza che tanti occhi la impacciassero! Il volto terreo di lei, traspariva appena da quell'aer torbo, pregno di nugoli d'incenso prodigati quasi per iscacciare qualche esalazione ammorbante. E quel fumo che sorgeva da turiboli alla volta, sarebbe sembrato chieder vendetta al cielo, per chi avesse creduto in un cielo che s'occupi delle cose nostre. La morte suol deturpare le belle cose: è il ribellarsi della materia contro la tirannide della forma che l'ha costretta più o men tempo a muoversi, a pensare, ad operare, ad esser bella; è un'anarchia che succede ad un governo da leggi salde. Rammento quante volte ho trattenuto madri ed amanti dal dare un'ultima occhiata a' cadaveri di fanciulle care, acciò quell'ultima occhiata non ne deturpasse in loro la memoria. Eppure all'occhio di tutti come al mio la Regina sotto quelle volte, in quella nube, su quel letto, tra quel gentame, così cadavere, appariva ancor bella. Quel braccio immoto, quel labbro muto, quegli occhi non chiusi solo anzi spenti, quel volto esangue e senza riso, ammaliavano, imperavano tuttora a' sudditi che altra volta l'avevan soccorsa e vendicata. Soccorsa non poteva esser più, oramai. L'intera cittadinanza accalcata in chiesa, come nel giorno dell'incoronazione, voleva contemplare, certificarsi: simile a chi voglia attingere nel mirare cose raccapriccevoli il coraggio di compier fatti orribili. Ma qual differenza fra que' due giorni poco lontani per tempo, lontanissimi per gli eventi! fra que' lieti tumulti e questi minacciosi silenzi! L'orecchio non percepiva il più lieve bisbiglio, eppure anche un cieco nel silenzio religioso di quel recesso avrebbe indovinato l'intervento della moltitudine. Né scricchiolio, né lampeggiar d'armi, eppure chi non si sarebbe accorto che né la plebaglia era inerme, né il duomo sguernito di soldatesca pronta ad ogni emergenza? ché l'effervescenza cresceva sempre più e più nella piazza e trovava armi e minacce le quali echeggiavano lugubremente; e quella baraonda si fermava, s'aggruppava in ischiere, improvvisava de' capi, ignoti oggi, domani forse famosi quanto i maggiori tribuni che noti la storia. Più d'un vecchio scrollava il capo e diceva: non so come la finirà. Pratico de' tempi burrascosi, io che dall'infanzia non ho visto che risse civili e combattimenti nelle strade, io poteva ben prevedere quale sarebbe il principio della fine: poco poteva starsi senza venire alle mani ed utilizzar le armi. Ma chi vincerebbe? La ciurmaglia dei trivî o la canaglia al potere? Quel lutto d'un popolo era lutto privato per alcuni. Chi più mi diè nell'occhio fu un gentiluomo impolverato ed impillaccherato le vesti elegantissime, arruffato la nitida zazzera. Arringava la cittadinanza sulla piazza del Duomo, e più che con le parole, commoveva col pianto, co' singhiozzi. Parlava dell'estinta e quantunque affermasse cose impossibili a sapersi da chicchessia, pure nessuno osava opporgli un che ne sai? Ora io non mi son tale che si lasci commuovere da facondia nel chiacchierare, da sfarzo d'eloquenza: ben sapete che mi hanno soprannominato il sogghigno umanato, e che lo spettacolo delle passioni scatenate in altri puol destare in me curiosità, ma difficilmente compassione o simpatia; ebbene, parola d'onore, quel povero giovane mi conturba tutto, sol che io ne pensi. Egli diceva: «Io vi veggo muti come un branco di pecore che passan dal pastore al beccaio, come una caterva di prigioni esposti in vendita dai corsari, come è muta ora colei che avete lasciata uccidere. Perché mo? animo, figliuoli! Tempi nuovi, tempi nuovi, ed io vi consiglio di esultare. Su via dunque, annotta; illuminate in fretta le case, acclamate il nuovo principe che vi sarà dato da chi può ciò che vuole, perché sa che si voglia. Preparate le ghirlande e la fiorita per colui che ha debellata una donna col veleno. Edificate archi trionfali che serbino memoria del glorioso fatto ai posteri; altrimenti chi crederebbe che un popol d'uomini abbia accettato questo nuovo modo di farsi strada al trono. Qual Sovrana hanno perduta, quale! e nol sanno! Al successore v'aspetto: allora spiccheranno i suoi meriti. Le avrebbero dovuto innalzar templi: mah! non c'è nazione che non crocefiggesse la divinità mandata a rigenerarla». E proseguiva: «Oh! perché mai fu uccisa? Il misfatto, eccolo; ma qual n'è la cagione? dove si nasconde il reo? È forse un amante nauseato o tradito che ha voluto sbrigarsene? Ella non amava che il suo popolo, che voi immemori! È forse un Bruto redivivo che ha voluto salvare la libertà in pericolo? Dov'era la libertà prima della sua esaltazione? dove sarà dimani? Io non posso determinarvi la mano che ha stillato il veleno nel suo cibo, contando le gocce ch'eran d'uopo, o che l'ha soffocata in braccio al sonno, al sonno che solo ne aveva diviso il letto sin qui. Ignoro l'ignobile strumento del misfatto. Ma questo vi dico: che chiunque venne da Lei diminuito d'un'autorità usurpata; che tutti quei baroni oppressori del popolo i quali tentarono adoperarla pe' loro fini e le si erano ribellati e ne furono sconfitti e perdonati e pretendevano farle impalmare un oscuro della lor setta e de' quali essa Regina volle e seppe comprimere i privilegi ed avrebbe annullato il Braccio; io vi dico che tutti tutti i nobili sono complici e rei di questo assassinio. E vi dico che io gentiluomo arrossirò di esserlo, finché dieci altri gentiluomini rimarranno nel Regno; e che. vedete, rompo la mia spada, e quindi innanzi non porterò che il pugnale e la mannaia del plebeo; e vi dico di non credere alcuno che balbutisca: io non c'era, io non seppi! perché tutti i gentiluomini mentono; a tutti giova che questa gentildonna sia sparita. E non voglio che crediate innocente neppure me, se prima non testimonio di saperla vendicare. Ed io vi dico che chiunque non fa altrettanto, chiunque non trascura ogni sua cosa fino al giorno della vendetta, è correo del misfatto. Io vi dico che voi tutti siete complici, se non sorgete come un solo uomo, se non giurate farla finita una volta con questo patriziato che scialacqua co' sudori delle plebi e si disseta col sangue delle regine!». E continuava trovando per la sovrana parole degne d'un figliuolo orfano, d'un patriota esule, d'un amante orbo. I tumultuanti s'eran tutti ristretti a lui che infiammava con gli sguardi, co' gesti, con la voce. Ne ignoravano il nome; lo chiamavano: lui. Aveva detto: seguitemi! e lo seguivano. Si era tacitamente instituito capitano e tacitamente lo riconoscevano per duce senza che alcuno sognasse di soppiantarlo o di piantarlo; avevano scorto in lui un petto capace di sentire per tutti, una fronte degna di guidare l'universale. In vece di seguire le vicende del tumulto, io, scrollando il capo, volli tornare in chiesa e riveder la morta. Lunga pezza rimasi appoggiato alla cancellata che ci separava, rapito in lei, dimentico d'ogni umana cosa. Ora io popolano, uom da nulla, osava alzar gli occhi sino a quella Maestà, osava compiangerla, e ne provava una malnata voluttà. Ella era un passato, io aveva un presente ed un avvenire. Ella era stata signora e sovrana, assoluta e bellissima; e pure io uomo dalla vita oscura, dalle speranze insensate, mi reggeva mentr'ella era caduta; sentiva, pensava, viveva, la contemplava sul cataletto. Poi bisognava pur ch'io l'invidiassi. A petto a lei, quanto era mai piccolo! il mio vivere cos'era stato in confronto del suo! Da tanti anni penava e strisciava ed a che era giunto? La morte stessa gravida di tante conseguenze imperscrutabili, di tanto mistero, che nuovo prestigio non le conferiva! l'aureola delle martiri aggiunto al serto regio. «Forse,» io pensava «dopo lungo correr d'anni e di eventi, malgrado ch'io difetti d'antenati e di clienti, potrò anch'io acquistarmi una nicchiolina nella storia, un piedestalluccio nella vita, ma dopo quanti e quali sforzi! ma salendo su che trampoli! Essa invece nacque alla gloria, al potere; di persona e fattezze monumentale basta ricavarne la maschera e non fa d'uopo idealizzarla, perché la statua sia perfetta; di mente titanica, ritraete i suoi pensieri, le sue vicende e il poema è fatto! Non ha mai strisciato per l'oscurità; da che nacque, fu grande; l'atto della sua più meschino ed indifferente basterebbe a far chiara ogni altra vita». Pure io non la compativa proprio come gli altri i quali deploravano precipuamente che avesse perduto un trono; io deplorava soprattutto che avesse perdute tante gioie prima di delibarle; se ne sentivano vindici, me ne scopersi amante. «Povera fanciulla! Non era abbastanza invidiarle ed insidiarle la corona? Perché torle la vita anch'essa? Non parve sufficiente lo strapparla al grado al quale e pel quale era nata, a cui era abituata quanto alla luce del sole? il privarla d'un popolo obbediente, d'un parlamento ossequioso, d'un esercito devoto? Qual maggior soddisfazione del travolgerla in una vita aduggiosa sempre, quand'anche fosse stata lauta? Perché defraudarla degli anni giovanili, delle parole mormorate alla sfuggita, delle notti vegliate accanto chi si ama, della consolazione di far grande quell'uno o que' più che avrebbe giudicati degni? Povera donna! Precipitar da tant'alto! ieri ed oggi! una regina, un cadavere». Qual rapida e miracolosa successione d'avvenimenti che faranno sembrare a posteri una specie di romanzo la sua biografia! Una volta era capitata in poter de' ribelli: e le cittadinanze levate a stormo, armate in furia, accorse a rompicollo, pugnando a più non posso l'avevano liberata. Un'altra volta la capitale era insorta: ed ella seppe trovar generali da contrapporre a' tribuni. Quando l'esercito s'era ammutinato la vedemmo accorsa sul suo morello, come la si trovò, mezzo spettinata e mezzo scinta; e così sola ed inerme fu da tanto da sedare e domare gl'inconsulti. Ma chi ora, aveva virtù da salvarla? Quegli esaltati potevano vendicarla, lei sempre misericordiosa e perdonevole, non giovarle, non ritôrla alla morte, non ridarle una gioia, un giorno perduto. Ma forse, io, chi sa?... forse sarebbe stato in me stringendo petto a petto, incollando bocca a bocca, sarebbe stato in me forse di infonderle il mio alito, la mia vita, sciogliendo quel ghiaccio, colorando quelle labbra, scoperchiando quegli occhi spenti prima che scintillassero d'amore, prima che s'appannassero di voluttà. La chiesa cominciava a svacantarsi: or questo or quegli usciva senza ch'altri entrasse. Volli alzarmi per andarmene; ma alzatomi e postergatomi quel talamo funebre, sembrommi esser diviso da me stesso. Giunsi alla soglia, ma non ebbi forza di varcarla; ritornai e dal cantuccio più buio guardava ora verso quel barlume che rompeva le tenebre, ora nelle tenebre vieppiù profonde del cuor mio; e mi si rizzavano i bordoni. Un picchetto irruppe fragorosamente in chiesa, e questa, dopo qualche parola scambiata dall'ufficiale de' sopravvenuti coi soldati appiattati di guardia e co' sagrestani, fu fatta evacuare dalle poche donnicciuole che sole vi rimanevano giacché la gente era andata diramandosi sempre più e sempre più rapidamente. Fu ricercato in fretta s'altri vi si nascondesse, ma passai inavvertito. Poi sentii sortire ed allontanarsi a passo accelerato i militari; sentii chiuder gli usci, e tornarsene bisbigliando i sagrestani: furono sbarrate le porte, smorzati i moccoli; il vaso della chiesa rimase buio affatto; un raggio di luna sgorgando dalle nuvole penetrava per la lanterna e perdevasi inutilmente sotto la cupola. Che succedeva frattanto fuori all'aria libera? Credetti distinguere moschetteria e cannoneggiamento, ma secondo ogni probabilità in qualche quartiere lontano. Di tempo in tempo uno schiamazzio clamoroso e cupo, una marcia rapida, parole di rampogne, gemiti, singulti, maledizioni echeggiavano momentaneamente in confuso per quelle navate e poi dileguavansi... cose lontanissime, oltre quelle pareti. Io era divenuto estraneo a tutto il mondo esterno; la vita mia era murata là entro, la sentivo svolgersi come il filo sull'arcolaio. Mentre le estremità eran di ghiaccio, la fronte mi scottava; io l'appoggiai ad una lapide incastrata nel mio pilastro: e quella frescura mi procacciò un po' di refrigerio. E più e più m'ingolfava nel farnetico. «Oh felice chi l'ha conosciuta viva e regina, chi non ne rinserra un'idea vaga com'io, chi vide avvampar l'occhio della tradita, sorrider la bocca della pia. Ma quel che prima mi fu negato, ora almanco potrò: considerarla, accostarmele, accostarmi al suo letto. Cadavere, non mi desta ribrezzo: fra i tanti che ingiuncano adesso la città, codesto è di certo il meno orribile. Combattono per vendicarla, muoiono per lei! Questo è il suo mortorio, mortorio da sovrana, sanguinoso, regale invero. Così dicono di quei principi d'Affrica sul rogo de' quali vengono vivicombuste le mogli e le concubine e gli amici e la servitù; e che sogliono esser seguiti da quanti amarono. Pure è transfigurata e detronizzata: ha le braccia inerti, le labbra immobili, non promette, non può più prometter nulla; non hanno più da sperarne il minimo che: non un titolo, non un quattrino, non un'applauso, non una occhiata! - E di questa antichissima dinastia tanto intraprendente, tanto ardimentosa, spavento dell'universo, che ne resta? Eccone l'ultimo rampollo. La dinastia è caduta, la monarchia pericola. Ora è il tempo dei miei pari. Io, l'uomo noto ieri al solo mio specchio, roso dal fiele e dall'impotenza, unico apostolo del mio credo noncurato, adesso potrei volendo. La mia voce s'ascolterebbe, i miei passi si seguirebbero; si trovano orecchi e seguaci, oggi, per chicchessia. E dimani, chi sa? dimani potrei starmi nella reggia abbandonata ieri da costei, più potente che costei nol fosse, ieri». E così delirando, avanzandomi a tastoni, aperta la balaustrata, m'era accostato al catafalco, mi curvava sul cataletto. «Oh se ti destassi, vedendoti addosso, curvo sul tuo giaciglio un uomo, con quanto sdegno, corruccio e sbigottimento non sorgeresti chiamando, comandando, minacciando! Su! chiama, comanda, minaccia! Il servidorame tuo non ti circonda più; nella reggia tua, non soggiorni più; il carnefice tuo non decapita più per te. No! no! qui stai sola, ignuda, al buio, in forza del suddito, dell'amante. Regina, dacché lo scettro n'è caduto, il tuo braccio è portentosamente infiacchito. Comprendi adesso quanto male uno di voi, Re, possa contrastare ad uno di noi, popolo? Voialtri vivete nella schietta luce: azioni ed intenzioni vistose, palesi all'universale; nulla d'oscuro e segreto; siete la franchezza; ogni proceder vostro è pubblico; chicchessia può esaminarvi e giudicarvi. Noi, siamo la moltitudine, gl'inermi, gl'innominati, gl'ignoti; ci conculcate nelle tenebre e le tenebre ci divengono scudo. Stolti! nella vostra grandezza obliate e sprezzate le minaccie dell'impotente, gli sguardi dell'umile; e noi, quando un'idea d'odio e d'amore ci ha compresi, propostoci una volta uno scopo, ricordiamo sempre, scaviamo sotterra, rasentiamo il muro nell'ombra, finché un giorno, un giorno, non si sorga co' denti stretti, col pugnale in pugno in qualche andito recondito, in qualche angiporto solitario dietro voi! o come qui, col volto trascolorato, col pensiero travolto, in una chiesa deserta e buia sull'ultimo vostro giaciglio! Regina, io t'amo, t'amo, t'amo! Sì t'amo, e non mi froderai d'una gioia ch'io mi sia ripromessa; non puoi negarmi una voluttà. Che m'importa se le tue membra divennero frigide e rigide, se non puoi rendermi bacio per bacio, amplesso per amplesso? Né sei tu men bella? né son io più gelido? Non son demente, fronteggio il mio pensiero, valgo a sostenerne l'aspetto. Non mi diranno né il primo né l'ultimo che abbia valicati i limiti imposti da natura all'amore: che abbia contrastato alla morte. Oh se chiamano appena delitto lo stupro d'una viva! È morta, nulla può contaminarla. Son venuto fin qui: non potrebbe essere, non sarà indarno. Altri voleva la tua corona; eccoti detronizzata; altri la tua vita, eccoti esanime; altri vuole l'amor tuo... avrai tutto perduto in un giorno, e sarà molto, se in questo perturbamento universale acquisterai una tomba». Qui cominciarono a bussare con gran fracasso e gran frastuono alla porta maggiore. Curvo sull'atauto quasi ferinamente sulla preda, immobile, attento, udiva picchiare e ripicchiare con più e più forza; gridare e rigridare: aprite! Era un globo d'insorgenti deliberato di suonare a stormo con le campane, e di far barricate con le panche. Non rispondendo né i preti, ned io, cominciarono a travagliarsi intorno all'uscio con leve, scuri, e stanghe. Ad ogni percossa, ad ogni scossa, le porte ferrate gemevano, la chiesa rimbombava cupamente ed io sbigottiva in cuor mio. Già mi figurava l'uscio sfondato ed isfuggirmi la donna che afferrava pel braccio: mi vedeva colto in quell'ora, in quel luogo, in quell'atto. Oh! La trassi a me con impeto, caddi sul letto. Ma non appena l'ebbi ghermita, mi si disfce tra le braccia; il capo ricadde, le carni si sciolsero in putridume; e rimasi muto, scerpelloni, a bocca aperta, più cadavere che colei nol fosse sembrato poco prima; mentre l'uscio si spalancava per gli sforzi replicati ed un fragore ed un chiarore straordinario irrompevano nelle tenebre e nel silenzio del tempio.
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