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Vittorio Imbriani Merope IV IntraText CT - Lettura del testo |
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XVII
SONATA A GRAND'ORCHESTRA
Né perché d'armi e di minacce ei senta Fremito d'ogni intorno il passo allenta. TASSO
Ci rimettemmo in rango, partimmo, marciammo; avanzando, procedendo per tutta quella breve notte estiva. Oltrepassammo tutte le sentinelle degli avamposti e c'inoltrammo per cogliere l'inimico di fianco in una strada angusta, monti boscosi da qua, giogaie selvose di là. Verso l'alba l'avanguardia attaccò il fuoco; il colonnello fece sonare l'avanti a passo di carica, e procedevamo sempre. Ben presto cominciarono a fischiare le palle al nostro orecchio; venivano di lato e di quando in quando stramazzavano uno; ma che importa? avanzavamo sempre. Un aiutante mi recò l'ordine di buttarmi con la compagnia nella boscaglia a destra e di ridurre al silenzio quel fuoco nimico micidiale; fermai i miei, li disposi in quadriglie e c'inoltrammo nel bosco alla cacciatora, facendo fuoco e sempre avanti. Si camminava male perché il terreno era ingombro di cespugli; ma quantunque il battersi si addimandi metaforicamente entrare in ballo, tutti sanno che le metafore zoppican sempre un pochino e non bisogna mica supporre a' campi di battaglia i pavimenti incerati de' salotti. D'improvviso mi sentii percuotere il petto violentemente, e barcollai come per un gran pugno. Era niente, una palla che mi rovesciò supino. Caddi, gli altri avanzavano; ed io mal mio grado rimasi indietro: spero che non me lo addebitino a viltà! Udiva le grida, i comandi, gli spari; la moschetteria ingrossava sempre più, e cominciò a farsi udire la simpatica voce del cannone. Oh non potersi muovere! non poter fare il proprio dovere! non aver neppure fiato da incoraggiar gli altri! Nuove schiere de' nostri si precipitavano nel bosco dietro le prime; ad un tratto sentii un dolore acutissimo; era un soldato che senza dubbio reputandomi morto, giudicava opportuno di calpestarmi. Diedi un grido gemebondo ed isvenni. Spero che non mi chiamino femminetta per questo!
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