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Vittorio Imbriani
Merope IV

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  • XXIII   L'ADDIO SENZA LACRIME
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XXIII

 

L'ADDIO SENZA LACRIME

 

…Questo, se all'intelletto

Appar felice, invade

D'alta pietade a' più costanti il petto.

LEOPARDI

 

Crabbed age and youth

Cannot live together

Youth is full of pleasure

Age is full of care!

SHAKESPEARE

 

Il tempo passava frattanto, ed al tepido anelito estivo succedevano i malfermi rigori autunnali, all'operosità bellica l'inerzia della pace. Le uve maturavano e sciami di foglie ingiallite lasciavano gemendo le rame degli alberi, appunto come le torme de' nostri sgombravano rammaricate da que' pochi palmi di suolo tirolese conquistati con tanto sangue. Povere speranze umane! discendere in campo con tanta fiducia della vittoria, ed ahimè!... che m'importano le scusande e le attenuanti! che m'importa che a' nostri fiaschi ci colpì non il soldato che ha saputo morire, ma il comandante che non ha saputo guidare? Forse che siamo stati men vinti per questo? forse che il torto dei capi compromette meno l'onor nazionale della colpa de' gregari? forse che abbiamo meno ottenuto senz'aver meritato, e che la coscienza di non averlo acquistato con aperta violenza ci amareggia meno il possesso del Veneto? Siamo scontenti di noi stessi e questa è la peggio condizione tanto per un individuo quanto per una nazione. E poi, ho a dirla? Io la dirò e mi scomunichino pure. Io credo che quando il soldato fa bene e pienamente il suo dovere, i maggiori spropositi de' capi non possono nuocere: quando si marcia sempre innanzi, quando tutti sanno morire e non arrendersi e non retrocedere, come può accadere che si perda una giornata? S'io vedessi morti tutti e la battaglia perduta, direi: n'è colpa l'insipienza del generale; ma quando molti de' combattenti mangian pane ancora non posso non dubitare un po' che fossero tutti della pasta de' trecento Fabi.

Merope ed io avevamo più volte mutata stanza, come portarono le vicende della guerra e della pace: ed eravamo finalmente di nuovo reduci nella città dov'ella soleva dimorare. Essa aveva ripreso il posto che prima la superstizione di voler mantenere ad ogni costo una promessa, e poi l'affetto per un moribondo, le avevano fatto disertare alcun tempo: viveva come antecedentemente, tranne le sue relazioni meco. Io era del tutto risanato ed ormai libero da ogni obbligo, viveva come per lo passato, tranne la maggior libertà procacciatami dallo scioglimento definitivo del Corpo Volontari. Il mondo non credo che si occupasse gran fatto delle nostre faccende: si riteneva che durante quei due, tre mesi di assenza la mia signora fosse stata in villeggiatura presso un'amica in quel di Brescia; e come io non aveva scacciato dall'intimità di lei nessun'amante, ned aveva abbandonato alcuna per lei, non c'era anima viva che avesse qualche ragione di malignare sul conto nostro. Del resto usavamo prudenza, come agevolmente fanno i felici; e nessuno abbadava a me, forestiero in quel paese, senza relazioni, senza voglia di stringerne ed in procinto di partirne per sempre. Il signor marito ignorava tutto, avendo da scusarsi di troppi scappucci per badare alla moglie; e poi, aveva troppo bisogno d'indulgenza e (ne converrò) troppo buon gusto, perché gli venisse la tentazione di farle mai de' rimproveri.

Ma non soltanto la natura muta e la storia d'un popolo, anche il costantissimo cuore umano e gli affetti che sembravano ed erano eterni, soggiacciono a ciò che Orazio chiamava danni (damna tamen celeres reparant caelestia lunae) e che noi moderni con parola viemmeno elegante addimandiamo rivoluzioni. Gli affetti sono come l'acqua del mare, come la superficie terrestre; mutano faccia ogni giorno, si alterano, si modificano, si trasformano e transustanziano: di veramente immobile non c'è che la sterilità, il vuoto, il nulla. Anche l'amore è sottoposto a questa legge fatale d'esplicazione e di cambiamento: perché non dovrebb'essere? perché deplorarlo? Talvolta e' vien meno, sembra estinguersi del tutto, e non lascia altro vestigio che una dolorosa esperienza, come d'uno splendido spettacolo pirotecnico, sparata che sia la macchina, non sopravvanza che un pochetto di carta semicombusta e qualche stecca carbonizzata. Talvolta finita la passione rimangono due indifferenti che si odiano e si fuggono, mutilati in fondo al cuore, con due piaghe sopravvissute all'affetto che le aperse, come il veleno sopravvive alla bestia. Ma io non parlo di queste e di simiglianti catastrofi, non parlo di amori che muoiono; quello che mi allacciava alla Merope era di salda tempra, e non sarà forza di tempo o d'avvenimenti che valga a soffocarlo; né amori nuovi per quanto numerosi e profondi, potranno diminuirlo o cancellarlo! Eppure io provava un bisogno, proprio, di allontanarmi da lei; e vedevo come non men che a me sarebbe stata gradita a lei una separazione.

Perché? Ah sì, perché? Vattel'a pesca in quell'abisso oscuro che s'è battezzato per cuore umano! Era accidente preveduto, come al vedere Tizio o Sempronio prevedi che morrà di apoplessia, come al vedere Tal-di-Tale e Come-si-chiama prevedi che finiranno con l'emottisi; non potevamo pretendere che il nostro amore fosse l'unico il quale andasse arcadicamente scevro di peripezie e di conclusione, ed eravamo abbastanza saggi e sperimentati per non desiderarlo. La decadenza d'un affetto è inclusa nella sua natura, come la maniera di morte d'un individuo è implicata dal suo temperamento, salvo le perturbazioni che portano le vicende della loro vita. Sentivamo oramai la necessità di andar lontani, di non vederci più per un pezzo, forse anche per sempre, di rompere insomma. Eppure non era tedio, né disaffezione, né indifferenza, né odio. Che dunque?

È difficile a ben dirsi, proviamoci a spiegarci con qualche paragone. Il carbone era consumato e la macchina per continuare a muoversi, richiedeva nuovo alimento. L'affetto reciproco non era mica svanito senz'altro; anzi s'era trasformato in carne ed in sangue, era divenuto parte integrale dell'esser nostro; appunto per questo che l'avevamo compiutamente assimilato non aveva più virtù d'occuparci, e le anime provavano fame di nuova imbandigione. È chiaro, evidente che il cibo il quale già scorre come sangue nelle nostre vene, già si muove come muscolo ne' nostri arti, già sente come nervo in ogni punto del corpo, non può sostentarci, appunto perché è immedesimato con noi; anzi aumenta il bisogno di nuovo pasto, quando abbia non solo riparate le perdite quotidiane, sibbene pure accresciuta la nostra mole.

Vedete nel matrimonio; per lo più, cosa accade? Dopo un certo periodo d'intimità i due coniugi vanno uno a destra e l'altro a sinistra. l'uno verso Gerusalemme, l'altro verso l'Egitto; e se non materialmente, apertamente; questo accade moralmente, occultamente. Forse che questo è frutto di reciproco disgusto, che s'odiano? Ohibò! talvolta, è vero, può accadere anche ciò, ma più raramente assai che non si creda, e spesso anche dove tutti suppongono che così sia, non è vero, non ce n'è nulla. Per lo più i due s'amano sempre, si stimano, che non farebbero lui per lei, lei per lui! Qualunque sacrifizio! eppure Messere sente il bisogno d'una druda, d'una mantenuta; Madonna non può fare a meno d'un cavalier servente, d'un confessore. Sarà forse un istinto brutale che li porta a ficcare il muso in altro truogolo? Non mi pare ammessibile, perché appunto le parti bestiali sono contentabilissime; ed a chi non vede e non cerca nella moglie che una femmina tanto è poi la moglie quanto qualunque altra, sicuro! E poi, non vediamo che appunto nelle classi sociali dove il senso fisico è più potente e le voluttà intellettuali meno gustate appunto lì si reputa esservi maggior fedeltà nel matrimonio, ed anche fuor di matrimonio nelle relazioni amorose? quella gente lì sperimenta l'amore come fame, e sfama quello e questa con pane casalingo. Invece più mente, più spirito c'è o nel marito o nella moglie, e tanto meno sicuri si vive ch'egli od ella si dedichi esclusivamente al compagno. Da che dunque dipende? Ecco un fatto che ci metterà sulla via della spiegazione: forse che quand'uno si allontana dal consorte ha sempre luogo per tresca amorosa? Sarebbe falso l'affermarlo. Infatti vediamo spesso mariti alienarsi dalla moglie o per donne le quali stante particolari riguardi non sono sospettabili di accondiscendere a proposte cosiddette disoneste, o soltanto per vivere in domestichezza maggiore con amici, od anche per occupazioni intellettuali o corporali, per lo studio o la caccia od altro. Mi ricordo che una volta mentr'io compiangeva sinceramente mia cugina la quale aveva un marito di fama molto poco invidiabile, noto per passare serate intiere in case dove non s'entra per biascicar paternostri, essa cugina mi susurrò a mezza voce: «Stai zitto; e quando saremo soli ricordami quest'argomento, che ho da dirti qualcosa». Difatti quando fummo soli e ch'io le rammentai l'argomento, essa cugina facendosi scarlatta: «senti» mi disse «io non amo le ingiustizie, e voi altri siete ingiusti col mio povero marito». «Come! non è forse vero ch'egli va ogni sera a far conversazione dove non voglio dire per tuo riguardo?». «Sarà!» «Come sarà? anzi è certo, certissimo...». «E sì! che vuoi insegnarmi? lo so anch'io!». «Dunque?». «Caro cugino, posso assicurarti di una cosa della quale io sola sono giudice competente». «Cioè?». «Non vi ha mai fatto cosa, della quale io avessi dritto di lagnarmi!». «Oh! oh' l'è grossa». «Eppure ell'è come io dico, e mi pare che ho tutti i requisiti...». «Bembè! ed allora che ci va a fare?». «Dice che ci trova svago». Le mogli anch'esse non si distaccan sempre dal marito per raccapezzarsi un amante: anzi assai più di frequente o per dedicarsi a' figliuoli; o per rivoltolarsi in que' pettegolezzi femminili nei quali sogliono goder più che un porco in brago; o semplicemente per far le eleganti ed isfoggiare. Così è.

Dunque perché questo scindersi de' coniugi? Perché c'è bisogno pure di attività affettiva ed immaginativa come di attività digestiva per condurre una vita che sia vita davvero, davvero; e perché quest'attività affettiva ed immaginativa non trova più campo ad esercitarsi sul coniuge. E dì pure che non è vero! Quell'anima, quel corpo ti sono troppo intimamente note, nelle più riposte loro parti e pliche; sai tutto, prevedi tutto, non hai più peripezie, incertezze; l'immaginazione non sa che farsi e scappa altrove in busca di quel pascolo che fin'allora aveva cercato e rinvenuto a casa. La faccenda riguarda non i sensi, i quali sanno arcibenone che difficilmente troveranno non dico meglio, anzi solo altro altrove; perché sottosopra più o men fresca, più o men dotta che sia la persona, gran diversità non ci puol essere; la faccenda riguarda lo spirito che risolutamente pretende d'arrabattarsi intorno ad un'altra incognita umana, d'avere un nuovo problema a risolvere, nuove idiosincrasie a studiare.

C'è di più: non si perdona mai ad una cosa, ad una persona di essere com'ell'è, mai. Fin dalle prime volte e spesso dalla sola primissima volta ci facciamo un'idea del Tale, della Tale, e pretenderemmo che l'individuo rispondesse a capello al concetto nostro. Non accade, né può accadere: che bel mondo sarebbe quello popolato da tanti Quattr'Asterischi o da tante Meropi, tutti animati dagli stessi intenti, da' pensieri medesimi! Invece nel mondo vi sono tanti Quattr'Asterischi l'uno più strano dell'altro e tutti diversissimi, de' quali ciascuno pretenderebbe a sua volta che i rimanenti tutti pensassero ed operassero a suo modo. Quando comincia un affetto noi vaneggiamo di scoprire nel suo scopo una piena rispondenza col nostro ideale; e l'inganno dura un pezzo, in parte anche volontariamente, ché ci stilliamo il cervello per convincerci come le azioni e le parole del vagheggiato concordino sempre con l'idolo nostro anche quando in effetti maggiormente ne discrepano. Poi, tardamente, more solito, il vero si apre una strada nel nostro intelletto, come l'uomo nelle montagne, facendo saltar le rupi a furia di mine, ed alla cognizione fantastica dell'individuo amato surroghiamo la cognizione ragionata, effettiva. Ed allora cominciano nuovi guai; ogni suo dissentire dalla nostra immagine interna ci offende, ci spiace; a poco a poco ci troviamo proprio l'un contro l'altro armati, in conflitto aperto e palese; e ce ne alieniamo.

Tutte codeste vicissitudini sono comuni all'amicizia ed all'amore, come a quegli affetti che hanno radice comuna, che poggiano su' medesimi scherzi ed errori della immaginativa. Quando mi affeziono ad uno, comincio per precipitarmi su di lui come su d'una preda, vorrei star con lui tutta la santa giornata, conoscerlo a fondo, sviscerarne la coscienza. Poi, raggiunto questo illustre scopo, addio! se non fuggo l'amico, cesso però dal ricercarlo. E perché non offre più pabolo alcuno alla curiosità, all'immaginazione, noto come oramai mi è in ogni sua parte, in ogni sua traversia, in guisa ch'io ne preveggo i moti i sentimenti, fin le parole in qualunque situazione; e perché le differenze dapprima inavvertite od espressamente noncurate, ora mi offendono. Questo periodo ulteriore non diminuisce punto l'amicizia, male toglie quel non so che di poetico, dal quale ripete tanta dolcezza.

Ebbene, la Merope ed io n'eravamo appunto qui. Ch'ella mi avesse amato, sarebbe stoltezza il negarlo, per chi sa cosa aveva fatto per me; che ella mi amasse tuttavia, non poteva dubitarne; altrimenti perché mi sarebbe stata larga di sé? chi l'obbligava? perché vincere la sincera ripugnanza che la sua freddezza le ispirava per quell'atto? perché avrebbe preferito lo starsene meco sola per lunghissime serate alle brillanti ragunate dove le facevan ressa d'intervenire? perché tante cure, tanta devozione? Eppure anche nelle sue più esplicite dimostrazioni d'affetto io scorgeva qualcosa del rincrescimento col quale uno che ama il vino, ma che ne ha già quietato il desiderio, è costretto da un brindisi clamoroso a rivuotare il calice colmo di sciampagna: lo sciampagna è ottimo e gli piace assai e non sa resistere alla tentazione; ma teme di eccedere la misura, e di dover poi scontare con un po' d'ebbrezza stasera e con la spranghetta in capo domattina, quel godimento troppo prolungato.

Non vogliate esaurire alcuna voluttà; temete il disgusto!

Ed io l'aveva amata; e se quest'amore non s'era manifestato che con un desiderio il quale non si lasciava avvilir da nessuna ripulsa, se non era stato splendido di sacrifici come il suo, forse per questo era da giudicarsi men potente? E l'amavo tuttora, e per appagarla d'un capriccio, per isdebitarmi in parte da quel peso di riconoscenza, sarei stato prontissimo ad arrischiare non dico la vita - ohimè! che pregio ha la vita per uno di noi il quale è sempre lì lì per giocarla indifferentemente senza bisogno d'un perché qualunque? - anzi la fama, anzi ogni lusinga di gloria. Eppure! ho a dirla? Come va che mi pesava ora in certo modo il doverle tanto? E talvolta io mi sentiva stanco di lei e di amarla, come il pittore che s'è travagliato per ore ed ore intorno ad un dipinto, lascia poi cadere spossato i pennelli, la tavolozza, le mani ed il capo, e rimane con un grande indolenzimento a' polsi e con una fiera cefalalgia, e sente proprio il bisogno di stare un secolo senza vedere alcuna pittura od almeno quella pittura.

Guai, guai se non fosse così! buono, queste impazienze, questo bisogno di mutare non lo scoglio come le serpi, anzi i pensieri! Ecco la vera, legittima forma della metempsicosi! Misero l'individuo che non sa rinnovellarsi e che marcisce in un affetto, in un'occupazione, in un indirizzo esaurito! Quando l'uomo ha percorsa tutta la curva di una passione, non deve come l'asino che attinge l'acqua al pozzo ostinarsi a ricalcare e ricalcare mille volte le proprie pedate, anzi allontanarsi coraggiosamente, checché possa costargli lo infrangere dolci abitudini, in cerca d'altro.

Venne dunque il momento dell'addio, e quell'addio non fu doloroso: andò scevro ed immune di pianto e di rimpianto. Ci separammo senza rimorsi del passato, senza speranza dell'avvenire. Io fui trascinato dalla locomotiva verso mezzogiorno, ed ella si sdraiò con un romanzetto in mano sul canapè di quel salottino dove io non le sederò più accanto.

Ameremo di nuovo? - Perché no? Siamo giovani ancora d'animo e di corpo: perché dunque non dovremmo incontrare un'altra volta io una donna, essa un uomo siffatti da illuderci di veder pienamente incarnati in essi i nostri ideali, quegl'ideali ne' quali la nostra fede pei ripetuti disinganni non è spenta? Io spero che la cosa accada. Possa l'illusione durar molto tempo! e noi giunger tardi al convincimento che il nostro nuovo amore discrepa dal concetto che del bello abbiamo in mente! e possa ogni nostro nuovo affetto esser degno come quello che ci ha ravvicinati.

Ci ritroveremo? Chi sa. Forse quando accadrà di rivederci il tempo ci avrà siffattamente mutati, che ci stuzzicheremo reciprocamente la curiosità e l'immagine; ed allora non potrebbe avverarsi che da questa brace male spenta che c'è rimasta in cuore, divampasse un'altra fiamma? e forse maggiore della precedente? Nihil obstat! Ma se non ha da esser così, se dovessimo incontrarci per ripensare con istupore al tempo in cui fummo tutto l'un per l'altro, e per sorridere de' trascorsi errori giovanili, magari non ci rivedessimo mai!

Frattanto di quelle tante memorie che mi fanno una vita, questa è a me carissima, e sacra più d'ogni altra qualunque. E se il pensare involontariamente e spesso ad una lontana, l'esser pronto per ricordarsele graditamente a qualsiasi follia, il sognarne anche dormendo allato ad altra; il rammentare con compiacenza le voluttà seco godute; se questo è amore (e se non è, cosa dunque sarebbe? e cosa diremo amore?) io perduro e persevero ad amarla. E se debbo prestar fede alle parole che Merope mi scrive (e perché non crederle? quando mai mi ha mentito? od a quale oggetto mi mentirebbe adesso?), bisogna dire che ella provi altrettanto per me.

Frattanto certo è ch'io, ora, non avendo in che occupare né la mente, né il cuore, né i sensi, tanto ben occupati pur dianzi con Merope, mi noio; e per istrapparmi a questa noia son pronto a fare le maggiori pazzie. L'altrieri capitai in cerca d'un mio amicissimo all'uffizio d'un giornale, dove si trovavano raccolti parecchi conoscenti i quali al solito giudicarono opportuno quel ch'era soltanto importuno, di farmi una lunga lezione, di dirmi: che significa questo? e che bisogna farsi coraggio e sopportare animosamente le miserie della vita; e ch'era ormai tempo che intraprendessi non so che di grande e di utile e tante altre sonore chiacchiere. Li lasciai favellare un bel pezzo, non dando loro retta, ammaliato dalla terza pagina di non so qual gazzetta, in cui si leggevano notizie strepitose, e che le avene si mostravano avvilite, e le, fave molto sostenute, e che ne' cereali si osservava la più viva agitazione, mentre gli oli ed i zolfi giacevano in profonda calma; poi, accortomi che non si trattava di generali e di imperi, anzi del mercato e della borsa porsi orecchio a quei signori e stomacato dalle loro coglio... scusa Lettrice, voleva dir: corbellerie, improvvisai un discorsetto.

- Chi v'ha detto ch'io rifugga dal dolore? Anzi! Una sola cosa io tollero mal volentieri, ed è la noia, l'uggia, il tedio, il fastidio... poco importa il nome.

Ho sofferto molto nella breve vita: ebbene, parola d'onore, quando più il dolore m'attanagliava, mentre vegghiava le nottate piangendo, mi sentiva nell'animo una specie di soddisfazione, di pace: pace e soddisfazione non raccolta mai da nessuna maggior voluttà. Io non mi tediava: sfido a tediarsi quando il cuore sanguina! E se ora mi vedete abbattuto; non è pel troppo soffrire, anzi è per non soffrire.

Dunque la sperienza m'insegna e la riflessione mi conferma che a liberarsi dalla noia basterebbe procacciarsi una fonte continua, incessante di dolori, d'inquietudini, d'emozioni; sicché nessuna nostra facoltà resti oziosa. Quando l'Italia è in guerra, si fa il soldato; ma in pace, che? La Politica? Sì, ha palpiti ma non manca di sbadigli, no. Le scienze, la Filosofia, le lettere? Sì, occupano la mente; ma il cuore il senso rimangon vuoti, sbadigliano frattanto. L'uomo non è tutto mente, come non è tutto anima, come non è tutto corpo. Dunque s'ha da escogitare qualcosa che lo occupi tutto e continuamente, senza accordargli il menomo respitto mai: perché se rimane disoccupato un momento, addio, sovrabbonda appunto la noia ch'era da fuggirsi. Io molto tempo mi sono travagliato arzigogolando questo qualcosa, cercandolo lontano assai, mentre, come ho dovuto accorgermi, è la cosa del mondo più agevole a trovarsi, l'abbiamo proprio a mano:

 

Le bonheur était là sur le même rocher

D'où nous sommes partis tous deux pour le chercher.

 

Ma la sola felicità possibile è l'assenza della noia, che può aversi solo mercè la presenza del dolore. Si tratta dunque di trovare una condizione in cui sia necessario il dolore ed abbia un crescendo regolare, perché a lungo andar si fa il callo, non si soffre più; uno ci si abitua e s'annoia.

Quesito: Qual'è la condizione che ammetta anzi implichi più vicende dolorose, e quindi mantenga desta l'anima e la mente e quindi allontani, escluda la noia micidialissima? quale?

Risposta: Se togliessi moglie? Una moglieruzza giovinetta, bellina, mezza scaltrita e mezza ingenua; senz'amarla, ci s'intende: guàrdati dallo sposare donna amata se non vuoi diventare schiavo; ma come non affezionarsi ad una creaturina tanto buonina? Ecco già una bella prospettiva d'emozioncelle: il corteggiarla, gl'interessi, la simulazione dell'affetto, la prima notte co' suoi dubbî... perdio! con un po' di criterio economico c'è da occuparsi qualche mesetto con queste inezie. E poi, beninteso, non rinunzierei mica a qualunque altra relazione con qualunque altra femmina, dando a questa così il dolce sapore del frutto vietato. E quanto soffrirei per tema di vedere smascherata la mia ipocrisia! quanto per paura di essere disprezzate! quanto per gelosia retrospettiva! quanto pel contratto e per gli attriti con la famiglia di lei! quanto finalmente per que' sospetti che nulla può dileguare nella prima notte! Tanta sofferenza di più, tanta noia di meno.

Finalmente l'avrei impalmata. Oh che bell'inferno anche a supporla ottima! Quanti pettegolezzi domestici, incomportabili pel mio carattere! Quante cure e quanti impicci di famiglia! Cercherei compensi fuori casa: quanta oculatezza sarà necessaria per serbare occulte le mie pratiche, acciò la signora non si accorga di nulla! Che palpiti ogni lettera che ella riceverebbe, dubitando che sia un'anonima accusatrice! e dovergliela consegnare indissuggellata, perché l'onore e la creanza voglion così; e rimaner lì come un accusato che aspetti la condanna, finché alzando il capo ella mi dicesse: «Sai è la Tal di Tale che mi manda ad invitare nel suo palco a San Carlo per istasera!...». Quante astuziuole per coonestare la mia indifferenza! quanta rovinosa arrendevolezza a' suoi capricci d'altra parte! E gl'imbarazzi finanziari che ne risulterebbero, dove li lascio! Oh che vita d'inferno allora! dove trovar tempo da tediarsi, domando io?

Avrei degli amici intimi, ottimi e bravi uomini ne' quali io scettico avrei quella stessissima cieca fiducia che altri scettici hanno avuta in me; come pure, al pari d'ogni vero e legittimo marito avrei illimitata fede in mia moglie. E gli amici e mia moglie si condurrebbero come tutti gli amici e tutte le mogli di tutti i mariti si sono sempre condotti da che il mondo è mondo. Qualche amico, mosso dalla pia intenzione d'imparentarsi meco, e trovando nella mia degna consorte una salda resistenza, penserà bene per ammansarla di farle conoscere qualche mia magagnuzza. Mia moglie mi terrà gli occhi addosso e malgrado ogni mia accortezza non tarderà molto ad acquistar certezza de' miei scappucci. Figuriamoci che scenate penose ed interminabili, che supplizio di ogni istante, sia ch'ella s'ingrugni sotto pretesto di dignità, o che tempesti sotto velo di tenerezza! Quel che ci vuole appunto per discacciare ogni uggia, per mantener desto e vispo!

Ma per quanto mia moglie fosse quel che dicono virtuosissima (ed io sono l'ultimo al quale potesse venire in capo di disputare questa qualità!), pure non potrebbe esser altra da tutte l'altre; non potrebbe, riconosciutomi incorreggibile, persuasa che io disprezzassi le sue bellezze, astenersi dal... insomma dall'esaudire le preghiere, dal ricompensare lo zelo dell'ottimo amico mio. Intendiamoci bene, io non biasimo né lei, né lui: anzi dico ora che sono a mente fredda, spassionato, dico ch'ella opererebbe giustamente a rendermi pan per focaccia, e che chi la disprezzerà non la meriterà; quanto a lui... chi è senza macchia, chi non s'è mai avvalso della fiducia e de' segreti del marito per piegare la moglie ritrosa al suo volere, quegli osi scagliargli la prima pietra, non io. Ogni donna però contentando anche uno o più scontenta parecchi o moltissimi; e quindi dovrà accadere che qualchedun altro ottimo amico mio, trovandosi fra questi parecchi o moltissimi, indispettito di far fiasco là dove altri o tanti conseguirebbero, assumerà la pietosa missione di aprirmi gli occhi, sul conto della signora Quattr'Asterischi, protestando: di non poter sopportare più a lungo che un uomo da lui amato e stimato venga indegnamente tradito, eccetera. Io dapprima rifiuterò cavallerescamente di prestargli fede, e sarò forse anche tanto cavalleresco, cioè dabbene, da battermi con lui per insegnargli a parlar con rispetto delle mogli a' mariti. Ma o ch'io mi disputi a parole o ch'io venga seco alle mani, o ferito o feritore nel duello, quella pulce ch'ei mi avrà posta all'orecchio vi rimarrà. Mi spiegherò lealmente con la carissima compagna, la quale negherà tutto, mi rinfaccerà le mie colpe, cadrà in deliquio per finirla e se non mi persuaderà mi forzerà però a chiederle scusa. Dopo le scuse, essa raddoppiando di precauzioni, io raddoppierò di vigilanza, finché mi sarò accertato indubitabilmente dell'esattezza degli addebiti a suo carico. Oh! come soffrirò in quei momenti, io! Che strazio, vedermi i figliuoli d'intorno e dubitare della mia paternità! che crepacuore e mortificazione di confessarmi burlato, e da chi! da quell'amico impareggiabile, da quella donna tanto cara! che orrore il ricordare le vicende passate! Ah non ci sarà pericolo, no, che io mi annoi, veh! Oh le belle giornate di rabbia disperata!

Che fare allora? Ammazzare l'uno e l'altra e que' figliuoli sospetti ed accettare tutti gli spasimi del rimorso, le vicende clamorose d'un giudizio, i tormenti della pena in caso di condanna? Battermi in duello con l'uomo, cacciar di casa la femmina, provvedere a' fanciulli e non voler più veder alcuno di tutti costoro? Oppure intentare a' due adulteri un buon processo criminale, tanto per soffrire ferocemente nel provare e documentare fra le risa del pubblico l'oltraggio a me fatto, tante per crepare di rabbia pel tripudio de' miei nemici? È inutile ch'io particolareggi tutto l'avvenire d'infelicità che mi offre ciascuna di queste tre vie: ma con l'animo così dilacerato, con la mente così prossima a smarrirsi, il fastidio non saprebbe per dove agguantarmi.

Ecco il progetto che medito, ecco le sole mie speranze, non altro è il mio avvenire, non ho lusinga di alleviare altrimenti questo gravosissimo incarico della vita. Voialtri che ne dite? Penso bene? Si può far meglio? Come amici miei intimi e quindi interessati nell'affare, vi si accorda voce in capitolo; dunque, che mi consigliate? D'una cosa io vivo sicuro, però: checché avvenga, dato che queste ipotesi si avverino, oh! troverò sempre aperte le braccia di Merope mia, come i due moli d'un porto che si sporgono incontro alla nave combattuta. Quella lì non mi verrà mai meno, io lo giurerei.

 

 

 




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