Non so se sia in lui il
giornalismo nuovo. So che è giovine e che il giornalismo lo ha stregato. Anche
dopo che la professione gli ha fatto rasentare la porta del reclusorio, non sa
staccarsene. Con la penna del giornalista gli pare di essere più uomo.
Dal processo è uscito di
carattere piuttosto timido. È buono come un marzapane e ricco al di là delle
cento mila lire, ma gli manca l’audacia giacobina. Tutti i testi, compreso il
sindaco di Lecco, ce lo profilarono con parole che andavano al cuore. Lo stesso
Plutarco di S. Fedele non seppe o non volle adagiarlo nei colori foschi delle
altre biografie.
Sul banco degli accusati lo
consideravamo un problema professionale. Dalla sua condanna o dalla sua
assoluzione si doveva sapere se un giornale potesse inviare sul teatro di una
sommossa i suoi redattori, senza che la legge dei tribunali militari li considerasse
dei partecipanti côlti con le armi
alla mano.
- Dopo l’assoluzione, gli
domandai un giorno che facevamo colazione al Savini con un amico, che cosa ti è
avvenuto?
- Nulla. Io, Seneci, Zavattari, del Vecchio, socialista,
e Invernizzi, anarchico, fummo accompagnati a San Fedele da due agenti di P. S.
in borghese, in due carrozze a nostre spese. Nella prima erano del Vecchio e
Zavattari, nella seconda io e gli altri due. Alla porta della questura c’era la
signora Seneci, colorata dalla morte, che aspettava il marito con la paura di
perderlo un’altra volta.
L’lnvernizzi e il del Vecchio
vennero rinchiusi in un camerotto per ordine del viceispettore Prina.
Zavattari e Seneci vennero rilasciati dopo le solite formalità. Zavattari,
quando l’ispettore Latini gli fece un’interrogazione, divenne un po’ agitato.
Non voleva sentire più niente. Voleva andarsene sui monti e non pensare al
brutto sogno attraverso il quale era passato. Io fui sfrattato dalla
provincia di Milano, entro le ventiquattro ore.
All’uscita trovai l’ing. Ongania,
sindaco di Lecco, e l’avv. Ignazio Dell’Oro che mi aspettavano. Stavamo per
andarcene, quando il vetturale che mi aveva condotto alla questura mi ricordò
la corsa.
- Dica, e la corsa?
Non mi si avevano ancora
restituiti i denari. Il mio amico sindaco tirò fuori subito il portafogli.
Vetturale: Scusi, lei è
forse uno del processo dei giornalisti?
-
Sissignore.
Diede una frustata al cavallo e
via senza la corsa.
- Ho anch’io un cuore, diss’egli
scappando.
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