Li riassumo in una ventina di
morti e una quarantina di feriti. Non posso darne il numero esatto perché tutte
le volte che ripasso sul terreno della mia inchiesta trovo dei cadaveri e dei
feriti che avevo lasciato per la strada. Il dottor Sigismondo Arkel, il quale
era in giro con la truppa a soccorrere i feriti, contò, dal convento
all’Acquabella, sette morti e diciotto feriti. Egli mi diceva che i
morti erano quasi tutti colpiti nella regione del petto. Nessuno all’addome.
- Questo vuol dire, o signore,
che si tirava sui passanti a poca distanza.
Tra i disgraziati che caddero
fulminati dai proiettili militari non uno fece nascere il sospetto di essere
stato un rivoltoso. Erano operai, come il falegname Antonelli di via Nino
Bixio, o dei buoni borghesi, come il salsamentario Giuseppe Colombo di via
Sottocorno 17, il quale perdette la vita stando alla finestra a chiacchierare
con la figlia che perdette un occhio.
Non uno dei soldati che presero
parte a questa sedicente battaglia coi rivoltosi è ritornato in caserma ferito o
contuso.
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