Se il direttore dell’Osservatore
Cattolico fosse stato ministro della chiesa anglicana, a quest’ora egli
sarebbe padre di una nidiata di figli. Perché le misses non gli
avrebbero permesso di consumare la gioventù nel celibato, in un paese ove il
servo di Dio prende moglie come qualunque altro mortale.
Fisicamente è più corazziere che
sacerdote. È un bell’uomo alto, spalluto, con un petto che traduce la sua
salute di ferro, piantato su due gambe poderose, che fanno tremare le pareti
della quinta camerata di Finalborgo quand’egli passeggia conciato o disperato
di sapersi un leone in gabbia. La dieta della fame non è riuscita a smagrarlo,
o a chiazzargli di lividure le guance voluminose, o a fargli nascere delle
rughe sulla fronte. I suoi 52 anni sembrano 38. Ha la carnagione di un prelato
in fiore, gli occhioni luminosi che rivelano la bontà del suo animo ed è dotato
di una forza che mi piegava in due non appena mi mettevo a lottare con lui.
La sua attività cerebrale è
prodigiosa. Non appena gli furono concessi gli strumenti di lavoro, la sua mano
non è stata più quieta. Con una corrispondenza che avrebbe tenuto occupati tre
segretari, egli trovò modo, in due mesi, di riempire 587 fogli di protocollo,
che rappresentano l’opera sua di prete, di giornalista, di predicatore e di
recluso. Senza essersi completamente sbottonato, come in una autobiografia, i
lettori - se i manoscritti verranno pubblicati - vi troveranno il polemista che
si ferma dove incomincia l’invettiva, il letterato che si sdraia con
compiacimento nel suo letto intellettuale, l’oratore che ripassa pieno di
letizia attraverso le sue orazioni trionfali, il sacerdote che sta ritto sulla
tolda della sua nave cattolica, agitando il suo programma che si riassume nella
formola «col papa e per il papa».
È nato nella provincia di Pavia,
studiò all’Università gregoriana - frequentata dagli stranieri che si avviano
alla carriera ecclesiastica. Si laureò in sacra teologia nel 1868, in diritto
canonico nel 1869 e a 23 anni venne consacrato sacerdote dall’arcivescovo di
Milano, mons. Calabiana, unitamente al suo compagno di infanzia, il padre
Zocchi, il noto scrittore della Civiltà Cattolica e uno dei più insigni
oratori della predicazione sacra.
L’Osservatore Cattolico si
può dire sia stato il suo bimbo adottivo. Incominciò a volergli bene nel 1869 e
continuò ad amarlo e a nutrirlo col suo ingegno fino al giorno in cui Bava
Beccaris mandò i carabinieri e i soldati ad arrestarlo come un malandrino
qualunque nella casa paterna.
Io non posso dire di essere un
lettore costante di fogli religiosi. Ma credo che non ci sia in Italia un
giornale del partito che possa essere paragonato al quotidiano di don Davide. È
un giornale che sente tutta la modernità professionale senza perdere del suo
concetto fondamentale, che è la necessità della chiesa cattolica. È redatto
bene, redatto da giovani che lo seminano di idee col ventilabro e che riempiono
le sue colonne di uno stile spigliato, nervoso, che non lascia mai giù le ali
sui guazzi sociali per paura di sporcare chi legge. È interessante per ogni
lettore. Vi trovate l’appendice drammatica, l’appendice letteraria, l’articolo
politico, il trafiletto, la cronaca, gli avvenimenti internazionali e una larga
piattaforma per i servizi municipali - per le questioni operaie - per i
problemi dell’avvenire.
L’Osservatore Cattolico è
stato condannato nella persona del suo direttore per queste motivazioni: 1°
perché ha con fine ironia combattuta la monarchia; 2° perché si è unito ai
repubblicani e ai socialisti e agli anarchici per demolire le istituzioni dello
Stato; 3° perché ha eccitato all’odio i contadini contro i signori e contro
altre classi sociali; 4° perché ha educato il clero alla vita battagliera
invece che alla missione di pace alla quale è destinato da Cristo.
- Che c’è di vero, don Davide, in
tutto questo?
- Per capire la portata della motivazione
della sentenza che mi ha relegato per tre anni in questo reclusorio, bisogna
conoscere la natura del mio giornale. L’Osservatore Cattolico è
anzitutto un giornale che si dedica alla propaganda e alla difesa della chiesa
cattolica e del papa. Siccome l’Italia è aderente a questa chiesa, così si deve
ritenere necessaria la religione al bene sociale, per la vita presente e per la
vita futura, come si deve ritenere necessario che essa sia tenuta in onore e
non perda influenza. Questo è il caposaldo del programma del mio giornale nel
rapporto religioso.
«Nel rapporto politico io,
direttore dell’Osservatore Cattolico, sono indifferente alla
forma monarchica o repubblicana di governo. Do la preferenza a quella forma in
cui i governanti sono col mio programma religioso, al quale subordino tutto il
resto. Quindi è una bugia dire che io combatta la monarchia, come è una brutta
invenzione quella di accusarmi di complicità coi repubblicani e socialisti e
anarchici. In un ambiente monarchico io lavoro in mezzo al popolo, perché il
governo abbia a cessare dall’opposizione contro il papa e contro la religione e
abbia a promuovere la pace religiosa nel paese.
«Il mio programma sociale è ampio
e generoso. Io accetto tutto ciò che nei postulati del socialismo è compatibile
colle dottrine della chiesa cattolica e mi adopero per attuarlo formando
l’opinione in questo senso. Deploro il concetto fondamentale materialista del
socialismo, deploro che non ammetta le verità cattoliche, perché il
materialismo e la negazione delle verità cattoliche scavano un abisso tra il
cattolicismo e il socialismo. L’Osservatore Cattolico combatte la
speculazione che impoverisce, combatte l’usura, invoca provvedimenti di Stato
che salvaguardino i diritti e gli interessi delle classi inferiori e ne
migliorino le condizioni. Esso però rifugge dallo Stato collettivista. Tutto
questo vogliamo ottenere con la persuasione della propaganda pacifica, con la
carità generosa, col mezzo delle autorità e delle leggi. Credetelo, è una
calunnia dire che io ecciti all’odio o alla discordia.
«Da questo potete argomentare del valore delle
motivazioni della sentenza del Tribunale militare. No, non sussiste la fine
ironia contro la monarchia, non sussiste la congiura con altri partiti contro
le istituzioni, non sussiste l’eccitazione di odio tra le varie classi sociali,
non sussiste l’educazione del clero in senso opposto alla missione assegnatagli
da Cristo. Non sussiste nulla di nulla. Di vero non c’è che questo: che si è
mandato in galera un innocente.
«Volete una prova che il
direttore dell’Osservatore Cattolico non ha tentato di sviare dal retto
sentiero il clero italiano? Da che sono nella casacca del galeotto, sua santità
il papa mi ha mandato la benedizione più di una volta, e una medaglia d’oro che
tengo carissima, centinaia di vescovi, da ogni parte d’Italia, scrissero a me e
a mia sorella lettere affettuosissime, sacerdoti e vescovi - come quello di
Savona - sono venuti a trovarmi e a ogni distribuzione postale ricevo, come
avete veduto, un mucchio di lettere e di telegrammi. Se non ci fossero di mezzo
i patimenti di questa vitaccia, che sopprime il sacerdote e distrugge l’uomo,
direi che il Tribunale di guerra mi ha reso un segnalato servigio».
L’affezione per sua sorella è
nota a tutti coloro che leggono le sue lettere datate da Finalborgo e
indirizzate alla «cara Teresa». Sono lettere castrate e scritte nella
condizione di un uomo che non può dire quello che sente e che vuole. Ma in esse
è il pathos di un’anima addolorata. C’è la tenerezza di chi soffre della
separazione e della lontananza. E la sorella lo ricambia di pari affetto. La
sua assenza è il suo strazio. Per liberarlo, ha messo sossopra mezzo mondo. Ha
mandato una lunga epistola all’episcopato italiano - ha scritto al presidente
dei ministri e ha fatto bussare, a insaputa del fratello, fino alle porte
reali.
In mezzo a noi, don Davide, non
ha mai fatto sentire il prete. Egli era un compagno che prendeva parte alla
discussione. che si adattava in un modo mirabile alla vita comune, e che rideva
delle nostre risate come un giovialone che non si ricorda della condanna.
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