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Paolo Valera I Cannoni di bava Beccaris IntraText CT - Lettura del testo |
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ULISSE CERMENATI
Non so se sia in lui il giornalismo nuovo. So che è giovine e che il giornalismo lo ha stregato. Anche dopo che la professione gli ha fatto rasentare la porta del reclusorio, non sa staccarsene. Con la penna del giornalista gli pare di essere più uomo. Dal processo è uscito di carattere piuttosto timido. È buono come un marzapane e ricco al di là delle cento mila lire, ma gli manca l’audacia giacobina. Tutti i testi, compreso il sindaco di Lecco, ce lo profilarono con parole che andavano al cuore. Lo stesso Plutarco di S. Fedele non seppe o non volle adagiarlo nei colori foschi delle altre biografie. Sul banco degli accusati lo consideravamo un problema professionale. Dalla sua condanna o dalla sua assoluzione si doveva sapere se un giornale potesse inviare sul teatro di una sommossa i suoi redattori, senza che la legge dei tribunali militari li considerasse dei partecipanti côlti con le armi alla mano. - Dopo l’assoluzione, gli domandai un giorno che facevamo colazione al Savini con un amico, che cosa ti è avvenuto? - Nulla. Io, Seneci, Zavattari, del Vecchio, socialista, e Invernizzi, anarchico, fummo accompagnati a San Fedele da due agenti di P. S. in borghese, in due carrozze a nostre spese. Nella prima erano del Vecchio e Zavattari, nella seconda io e gli altri due. Alla porta della questura c’era la signora Seneci, colorata dalla morte, che aspettava il marito con la paura di perderlo un’altra volta. L’lnvernizzi e il del Vecchio vennero rinchiusi in un camerotto per ordine del viceispettore Prina. Zavattari e Seneci vennero rilasciati dopo le solite formalità. Zavattari, quando l’ispettore Latini gli fece un’interrogazione, divenne un po’ agitato. Non voleva sentire più niente. Voleva andarsene sui monti e non pensare al brutto sogno attraverso il quale era passato. Io fui sfrattato dalla provincia di Milano, entro le ventiquattro ore. All’uscita trovai l’ing. Ongania, sindaco di Lecco, e l’avv. Ignazio Dell’Oro che mi aspettavano. Stavamo per andarcene, quando il vetturale che mi aveva condotto alla questura mi ricordò la corsa. - Dica, e la corsa? Non mi si avevano ancora restituiti i denari. Il mio amico sindaco tirò fuori subito il portafogli. Vetturale: Scusi, lei è forse uno del processo dei giornalisti? - Sissignore. Diede una frustata al cavallo e via senza la corsa. - Ho anch’io un cuore, diss’egli scappando.
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