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Paolo Valera I Cannoni di bava Beccaris IntraText CT - Lettura del testo |
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L’APPELLO DEI SOLDATI
Dieci maggio. Sono in piedi di buon mattino. Ho buttato giù alcune note inaffiate di sangue e sono uscito. Il sole è rutilante. Questi fasci di luce calda mi fanno male. Vorrei che lo stesso cielo fosse annuvolato come il mio cervello. Io sono tetro, sono triste, sono un funerale. Darei dieci anni di vita per dimenticare di aver vissuto ieri. A ogni passo il lunedì mi risorge nella testa affollata di cadaveri e dilagata di sangue. Le muraglie sono tappezzate di
decreti di Bava Beccaris. I «Vogliamo» di Napoleone I sentono del genio
dell’autore. I suoi proclami sono modelli di stile vigoroso. È tutta una prosa,
la prosa napoleonica, che si legge con ammirazione anche a tanti anni di
distanza. La prosa di Bava Beccaris è piena di solecismi volgari. È prosa
piatta e amanuense. Quando mi parla di provvedere alla «confezione del rancio
giornaliero», mi pare di essere a tu per tu con uno speziale di campagna
abituato a «confezionare» il lattovario, o alla presenza di una sarta Il merito di aver suscitato direi quasi del fanatismo per soccorrere i soldati non è tutto del commissario che ci ha ingiunto di andare a dormire alle undici precise. Ma è anche del tenente generale Genova di Revel, presidente del circolo militare, che ha pubblicato il seguente «appello»: «Una lunga esperienza di servizio militare mi rende consapevole di quanto debbono soffrire i militari comandati alla tutela dell’ordine ed a reprimere il saccheggio. «Mancanza di riposo, di rancio regolare e l’ansietà di vedersi attaccati dai rivoluzionari affrangono il fisico di quei bravi giovani sostenuti unicamente dal sentimento del dovere. «Devo quindi fare appello a
coloro che vorranno associarsi ad una sottoscrizione per alleggerire le loro
dolorose fatiche» L’esperienza militare del
generale è nei suoi ricordi e io non ho punto voglia di metterla in
dubbio. Sarà stata lunga e lunghissima. Ma volerci far credere che in Milano, con
un generale che abbia la testa sulle spalle, non si sappia mica come dare il
rancio quotidiano a ventimila soldati, è semplicemente ridicolo. Non è
necessario di avere studiato l’organizzazione militare attraverso i libri di
Moltke per sapere che con dei denari in saccoccia, dei magazzini pieni, dei
fornai ad ogni angolo, e degli alberghi e delle osterie e dei macellai a ogni
due passi di ciascuna via, si può mangiare dappertutto - anche in piazza del
Duomo - e bene. Generale, godetevi il riposo se ve lo siete meritato, ma non
venite fuori a dirci sciocchezze. Se Bava Beccaris, che la storia giudicherà
come un sanguinario, non aveva tempo di occuparsene, doveva dirlo al buon
Consonni dell’Orologio - un restaurant frequentato anche dai gros
bonnets dell’esercito -. Bastava dirgli che voleva ventimila ranci al
giorno per essere sicuro che non uno dei suoi soldati avrebbe patito la fame. E
poi vorreste dirmi che la cittadinanza che ha il superfluo, non ha già fatto
spontaneamente quello che voialtri due generali la incitate a fare? Leggete la Perseveranza
di stamane: «Dobbiamo aggiungere che già molto fece la cittadinanza per
i soldati. Dovunque un drappello, una compagnia, un battaglione faceva sosta
esausto, assonnato, assetato, esercenti e famiglie distribuivano pane, cibi e
bibite». Che cosa vi aspettavate di più? La dimostrazione? Ecco, la «Unione
popolare milanese» di piazza San Pietro e Lino 4 che vi compiace. Essa con
altri due circoli monarchici ha aperto due sottoscrizioni: «l’una per un voto
di plauso e di ringraziamento all’esercito che con tanta abnegazione lotta per
ristabilire l’ordine pubblico» - l’altra «per sussidiare le famiglie dei
soldati vittime del loro dovere» I due mattoidi dell’esercito vorrebbero farci credere che l’assedio di Milano non differisce dall’assedio parigino quando si misuravano le razioni di asini, di cani, di ratti, di topi, quando il pane era un miscuglio di patate, di piselli secchi, di fagiuoli avariati, di avena, di segala spolverata, di farina di frumento, quando la carne di cavallo era divenuta una leccornia dell’ambiente, quando i gatti erano le lepri di tutti i grandi restaurant, quando un coniglio costava 60 franchi, un’oca 140, un tacchino 180, l’ultimo montone 1164! Ah, burloni! generali burloni! Qualche giorno dopo sono passato dalla via Tre Alberghi, dove la Perseveranza ha i suoi uffici. Indovinate chi ho veduto salirvi. Il generale Bava Beccaris in persona. Egli è il padrone di andare dove vuole. Io registro semplicemente ch’egli faceva visite alla Perseveranza. Ecco tutto. Gli arresti notturni sono infiniti. I cittadini che si dimenticano che Bava Beccaris non scherza, perdono il tempo a ciaramellare per le vie e si trovano alle undici nella rete delle pattuglie. Soldati e questurini vi domandano nome e cognome, chi siete, dove andate evi conducono a San Fedele. Per questa semplice infrazione si passano delle notti nei cameroni polizieschi e si arrischia di andare al Castello o al cellulare come rivoltosi. Ho assistito a scene strazianti. Un povero garzone di osteria che aveva travasato il vino nella cantina del padrone venne agguantato cinque minuti dopo le undici con lo sparato della camicia inaffiato di rosso. L’ho trovato nel camerotto della sezione di questura di S. Simpliciano che si disperava e diceva ad alta voce che lui non poteva stare in prigione perché aveva a casa moglie e figli che lo aspettavano! Il suo caso era così crudele che faceva pietà anche ai questurini. Uno di essi a mezzogiorno gli portò una tazzina di pasta condita con del pane e un quinto di vino. È stata una gentilezza di cuore e la registro. I borghesi che applaudiscono Bava Beccaris possono invece girellare a tutte le ore. Per loro non c’è coprifuoco. Col passe-partout vanno dove vogliono e quando vogliono. Copio quello che era stato rilasciato, per ragioni professionali, al signor Romolo Agosti - l’ex segretario dell’Associazione Lombarda dei giornalisti. È un documento che completa la giornata. È sormontato dallo stemma reale, ha il bollo del «Comando del III Corpo d’armata» e vi si legge:
REGIO COMMISSARIO STRAORDINARIO Si autorizza il libero transito al signor Romolo Agosti per recarsi dall’interno all’esterno della città e viceversa anche nelle ore di notte. Milano 12 maggio 1898 D’ordinedel tenente generale R. Commissario Straordinario BATTILANI
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