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Paolo Valera
I Cannoni di bava Beccaris

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  • PARTE SECONDA
    • GUSTAVO CHIESI
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GUSTAVO CHIESI

 

 

 

Gustavo Chiesi è uscito dalle pagine di Mazzini. Tutto ciò che è regio non entra nei suoi ideali. Tutto ciò che è frivolo non partecipa della sua esistenza. Le sue alte aspirazioni sono per una Repubblica di repubblicani ammodernati dalla vita pubblica.

In un periodo di specialisti, egli è rimasto l’uomo di una coltura straordinaria. Volgendosi verso la montagna della sua produzione, si può credere che egli abbia dato fondo all’universo. Si è occupato, con competenza, di tutto lo scibile umano. Di storia, di scienza, di letteratura, di invenzioni, di geografia, di arte, di navigazione, di questioni agrarie, di strategia militare, di industria, di drammatica, di legislazione. Egli ha biografato mezzo mondo. Da Dante a Cimarosa, da Leonardo da Vinci a Cavour, a Cantù, a Crispi. Non c’è uomo illustre nella storia e nel rinascimento patrio che non sia entrato nella sua collezione illustrata.

Self-made man del giornalismo italiano, egli si è scelto un motto inglese adatto alla sua pertinacia di lavoratore: time is money - il tempo è danaro. Con una testa costantemente in eruzione e convinto che «la volontà è l’anima dell’ingegno e la vittoria del progresso», egli resiste al tavolo fino ai crampi nella mano. Passa indifferentemente da un soggetto all’altro, senza bisogno di sosta. Smette l’articolo politico e riprende la continuazione dell’appendice, consegna al proto la pagina critica e si riversa sull’Italia irredenta - una pubblicazione che deve «tener vivo nelle masse il sentimento della loro nazionalità, il retaggio sacro della lingua, la speranza di una rivendicazione avvenire».

È difficile trascinarlo in una conversazione che gli faccia perdere il tempo e il danaro, ma una volta ch’egli si decida per il riposo, vi trovate con un causeur nel vero senso della parola, con un uomo il quale sembra non abbia fatto altro nella vita che occuparsi di salotti aristocratici o di aneddoti politici o di musica wagneriana. Verso sera, quando si aspettava la luce elettrica o si flanellava, gli abitatori della quinta camerata lo ascoltavano tra una meraviglia e l’altra.

Pareva Villemesant o Rochefort che stesse dettando le sue memorie. Si andava dall’Africa - ove era stato due volte come corrispondente del Secolo - al palcoscenico di una prima donna che ha fatto storia - nel dietroscena di Caprera quando donna Francesca rimase col generale - alla redazione di un giornale che si ricorda ancora - a un periodo tumultuoso che egli sapeva rimettere in piedi tale e quale, colla data, cogli incidenti, cogli attori principali, sceneggiando il disastro o il trionfo coi colori di una tavolozza arciricca. Un semplice paesucolo sconosciuto diventava nella sua bocca di un interesse sommo. Ce lo circondava delle industrie e degli uomini della regione e ci diceva l’avvenimento che lo aveva reso celebre.

Pur pensando a Cavallotti quasi balbuziente, dubito che il Chiesi abbia qualità oratorie. Gli mancano i mezzi vocali e l’inconsapevolezza di Castelar che sa stare sulla piattaforma con la tranquillità di uno scrittore a tavolino.

Il processo del tribunale di guerra è riuscito a propalare assai più il suo carattere, la sua produzione letteraria, la sua attività giornalistica.

Prima, quantunque avesse scritto una ventina di romanzi, descritta l’Italia da un capo all’altro, il suo nome non era nelle moltitudini come oggi. Giornalista che aveva nutrito una legione di giornali, gli mancava la simpatia nazionale che gli ha data una condanna la quale ha fatto fremere anche coloro che sono agli antipodi de’ suoi ideali politici.

In Gustavo Chiesi è l’imperturbabilità grandiosa di Danton che dice al carnefice di mostrare la sua testa al popolo. È rimasto sul banco degli accusati di un tribunale militare come uno stoico. Se ha aperto bocca, non è stato per proteggere la sua prosa giornalistica, ma per salvare i suoi cooperatori e adempiere al dovere di direttore.

- Io non ho da dire che due brevi cose.

«Primo, ringrazio i miei difensori per la grande dottrina colla quale mi hanno difeso. (Era stato difeso dai tenenti Giglio e Corselli). Secondo, dichiaro sulla mia parola d’onore che il Cermenati si recò a Pavia e a Piacenza soltanto in qualità di redattore del giornale, e per nessun’altra ragione».

E quando Bacci, il sostituto avvocato generale in missione, escluse dal numero dei colpevoli Ulisse Cermenati e Arnaldo Seneci, amministratore dell’Italia del popolo, sulla faccia del direttore si diffuse la consolazione. Egli respirava più liberamente. La reclusione degli amici gli sarebbe pesata sul cuore come un martirio.

In galera nessuno lo ha mai sentito lamentarsi. Egli lavorava dalla mattina alla sera e non sostava che per pensare alla vecchia madre che lo piangeva disperatamente.

Pochi idolatrano la famiglia dei genitori e contribuiscono al suo benessere come Gustavo Chiesi.

Egli è stato eletto deputato mentre era nel reclusorio di Finalborgo e Forlì continuerà ad eleggerlo per un pezzo, perché Gustavo Chiesi non è di coloro che si abbandonano subito dopo che la giustizia delle masse ha stravinto la giustizia delle classi.

Conosciuto, lo si ama per la sua intelligenza; per la sua bontà e per la saldezza dei suoi principii.

In questi tempi di uomini di carta pesta, un uomo di bronzo, come Gustavo Chiesi, diventa, in un ambiente legislativo come il nostro, un tesoro nazionale. Tiene in piedi anche i legislatori di pasta frolla.

È dotto, è una biblioteca ambulante ed è una penna incorruttibile che perseguita i corrotti.


 




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