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Nicola Francesco Haym
Giulio Cesare

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  • Atto Secondo
    • Scena sesta
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Scena sesta

I detti, Nireno

 

NIRENO

(entra)

Cornelia, infauste nove. Il re m'impone,

che tra le sue dilette io ti conduca.

 

CORNELIA

Oh dio!

 

SESTO

Numi, che sento?

 

NIRENO

Non vi turbate, no: unqua sospetto

a Tolomeo non fui; ambi verrete

là dove il re tiranno

è in preda alle lascivie;

colà Sesto nascoso

in suo potere avrà l'alta vendetta;

egli solo ed inerme

far non potrà difesa.

 

SESTO

Molto, molto ti devo.

 

CORNELIA

Assista il cielo una sì giusta impresa!

Cessa omai di sospirare!

Non è sempre irato il cielo

contro i miseri; suol fare

benché tardi, le vendette.

Il nocchier, s'irato  è il mare,

mai non perde la speranza,

onde avvien che la costanza

la salute a lui promette.

(parte con Nireno)

 

SESTO

(solo)

Figlio non è, chi vendicar non cura

del genitor lo scempio.

Su dunque alla vendetta

ti prepara, alma forte,

e prima di morir altrui dà la morte!

L'angue offeso mai riposa,

se il veleno pria non spande

dentro il sangue all'offensor.

Così l'alma mia non osa

di mostrarsi altera e grande,

se non svelle l'empio cor.

(parte)

 

 

Cambiamento

Luogo di delizie




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