VII.
Durante il
concerto, in casa Dionisy.
Nel
salone del concerto: la folla degli invitati: il maestro Arnaldi, del
Conservatorio, eseguisce mirabilmente le Trascrizioni di Liszt
sull’Aida: mormorii di approvazione: il cavalier Vinceslao,
— la cui bella testa italiana ha maggior risalto col frak
e la cravatta bianca — ritto in piedi, accanto al pianoforte,
volta le pagine della musica, ringrazia sorridendo, con dignitosa
affabilità, il pubblico plaudente, o lancia occhiate terribili
se appena uno si muove o dice una parola.
In
fondo al salone, nascosti dalla portiera dell’uscio a destra:
Guido Bardi e donna Fanny: scena di gelosia, sottovoce, ma
vivacissima: quella stessa mattina donna Fanny è stata veduta
sul Corso, dopo la messa in Duomo delle dieci e mezzo, con Giordano
Mari.
Accanto
alla portiera dell’uscio a sinistra: Nino Sebastiani, colla
faccia stralunata e l’occhio sempre attento con inquietudine
ansiosa verso il grande finestrone che mette sul terrazzo: si lascia
fare una gran corte dalla contessina D’Arborio: una nanerottola
napoletana, pertinacemente signorina dopo i trent’anni, che ha
perduta una riputazione e sta formandosene un’altra, tutto ciò
con un volumetto di Note e frammenti — versi e prose —
assai fisiologicamente psicologici.
Nella
sala da giuoco: la marchesa Gonzales, più gonfia per le
strettoie del busto, più che mai abbarbagliante per i vividi
colori dello sfarzoso abbigliamento, più che mai bisbetica e
più che mai rabbiosa, per la smania che la rode di un bicchier
d’acqua gelata, si sfoga colle sue conoscenze — tutti
uomini e tutti bei giovinotti! — contro quel genio
inconcludente di Guido Bardi, che non è corso ancora a
complimentarla, e per conseguenza anche contro donna Fanny, che
scappa via in furia dalla messa, per trovarsi sul corso con quel
luterano... che nessuno sa chi sia!
Nel
salottino verde e quasi buio della biblioteca: la signora Letizia,
quella sera più che mai sofferente, e perciò lontana
dalla luce, lontana dal caldo, lontana dalla folla. Mollemente
sdraiata sulla lunga e morbida poltrona, come in un lettuccio,
scintillante di gemme e ancora affascinante, in quel mistero della
fida penombra per l’incerto bagliore delle spalle e delle
braccia ignude, essa sospira e langue, co’ suoi più
intimi, per il caldo che l’opprime, per i suoi nervi, per
Venceslao che ne fa strazio a suon di musica, per Emma ingrata e
disobbediente che non si cura di lei, che non si fa mai vedere, che
non le vuol bene affatto... E di tanto in tanto interrompe il lamento
e manda il dottore sulle tracce della figliuola, per tenerla
d’occhio, per sapere almeno con chi parla. Ma anche il dottore
sembra molto preoccupato, sfiduciato, e se ne va in punta di piedi
alla ricerca di quella tosa senza giudizio, scrollando il capo
e sospirando.
Sul
terrazzo: Emma e Giordano Mari. Ci si vede appena, perchè la
notte è bella, ma senza luna e il salone di faccia,
illuminato, lascia il terrazzo ancor più nell’ombra.
Le
Trascrizioni di Liszt sull’Aida stanno
per finire.
Emma.
No! No! Adesso no! Mi
lasci andare dalla mamma! Chissà che cosa dirà la
mamma!
Giordano
Mari. Resti
ancora!... Tacerò!.., Non ho sempre taciuto tutti questi
giorni?... Tacerò! Per me, sarebbe una colpa parlare! Per
questo l’ho sempre sfuggita! (con
una amarezza che mostra i bei denti candidi fra la barba bionda)
All’uomo consacrato alla ragione, non è concessa la
follia del sentimento!... Eppure... questo le dicevo, questo le
voglio dire, questo solo. Era il misterioso fascino della simpatia o
la suggestione eterna della bellezza? Era la visione di un’anima
o l’incontro fatale del destino? Tutto; la folla, il fragore
delle approvazioni, l’ansia del successo, il momento presente,
l’evocazione immaginosa del passato, tutto si allontanava,
illanguidiva, spariva!... I suoi occhi soltanto; non vedevo altro che
i suoi occhi dolci e buoni; i suoi occhi lucenti e fissi, che si
erano impadroniti di me, coll’intimo, profondo turbamento di
una nuova commozione, che si eran fatti oramai i visibili e magici
conduttori della mia parola e del mio pensiero... Signorina!
(trattenendola
perchè il maestro Arnaldi ha finito, scoppiano gli applausi,
ed Emma rossa, confusa, intimidita, tremante e fremente, vuole
scappar via)
Ancora!... Ancora! Vederla soltanto! (Le
afferra la mano colla quale Emma tiene il ventaglio, gliela stringe
forte, le fa male, molto male).
Emma
(non
si oppone, non dà il più piccolo grido. È lui;
essa è contenta che la faccia soffrire; è contenta di
quel dolore: essa sola lo sente; essa sola lo sa!)
Giordano
Mari (continuando
a stringere la povera manina)
Vederla così!... Così bella!... Tacerò... o
parlerò, ma come parlerebbe un babbo colla sua figliuola.
Emma
(interrompendolo,
urtata, offesa da quel confronto nella poesia del suo cuore)
No! No! (ed
alza l’altra mano rimasta libera per chiudergli la bocca... ed
anche per nascondere quei denti bianchi di cui sente istintiva la
vicinanza e l’insidia)
No! No! Così no! ... Così no! Non dica così!
Giordano
Mari (lasciandole
la mano rimasta tutta rossa, tutta livida)
Eppure, signorina, è la verità: la verità che io
non devo mai dimenticare; che domando alla vita, al passato, che
cerco di evocare dalla storia e di concretare colla filosofia e colla
scienza: la verità; l’inesorabile e spietata verità
che mi nega Dio... e mi toglie lei.
Emma
(alza
gli occhi sbigottita, poi rimane a guardarlo maravigliata: il cielo
profondo, immenso, è pieno di stelle, e il pensiero di
quell’uomo vi spazia solo, libero, sicuro. Egli impone un nome
e una legge ad ognuna di quelle stelle e ne diventa il padrone. E
inconsapevolmente, la giovinetta superstiziosa e pia, la signorina
cattolica
e aristocratica, pensa che doveva essere così, così
biondo, così bello e così forte — e pure in frak
collo sparato bianco — l’angelo ribelle, il Lucifero di
Milton. Essa ritrae da quell’uomo l’immagine della
grandezza, e si sente umile al suo confronto, si sente debole,
piccina. China il capo confusa; rimane intimidita, ma non lo fugge,
gli si avvicina invece con un moto irresistibile, pieno di grazia, di
verecondia e di abbandono... gli si avvicina palpitante, attratta da
un misterioso e nuovo sgomento, attratta, commossa dall’irresistibile
poesia dell’amore).
Giordano
Mari (guardandola,
trovando maravigliosi quei capelli, i contorni di quel collo sottile,
di quelle spalle candide e delicate, sboccianti colla fragranza d’un
fiore dal modesto
decolleté) Dunque?... papà...
no?
— No.
— Eppure...
è così. È perchè sono oramai un giovine
vecchio, che lei deve avere in me tutta la fiducia, ed io devo
impormi la calma e il ragionamento. Per questo ho aspettato che il
Barbarani me lo dicesse tre volte, in tre occasioni diverse, prima di
farmi presentare a sua madre, prima di venire in casa sua. Per questo
è la prima volta che oso parlarle da solo a sola... (si
avvicina di più, quasi a toccarla).
Emma
(trasalendo:
allontanandosi)
È finito! (infatti
il pianoforte tace)
Mi lasci andare.
Giordano
Mari (senza
muoversi: rimanendo appoggiato alla ringhiera del terrazzo)
Ricominciano. Chi è quel signore calvo e pingue che si accinge
a cantare?
— Il
maggiore Costamagna.
— Che
cosa viene adesso?
— Il
Credo
di Jago.
— Ecco,
incomincia. Suo padre volta le pagine lanciando occhiate terribili:
chi oserebbe muoversi adesso? Entrare in sala?
Emma
(sorride
e resta).
Giordano
Mari (ritornando
a guardarla molto e riprendendo il discorso di prima per ispirarle
sicurezza e far combattere da lei stessa l’ostacolo dell’età,
che egli capisce sarebbe stato il primo sollevato dalla gente contro
di lui)
Se non come suo padre... pensi, signorina, io avrò peraltro...
quasi l’età del ministro Albertoni!... Di suo zio!
Emma
(subito).
Ma lo zio è molto più giovine del babbo!... È
fratello della mamma! (mettendosi,
sorridendo con una cert’aria maliziosa, l’indice sulla
bocca per raccomandare il segreto di quella sua gran confidenza)
Ha due anni meno della mamma!
Giordano
Mari (trovandola
ancora più graziosa e piacente in quel passaggio dal candore
sentimentale alla furberia biricchina)
Lei, vuol bene a Sua Eccellenza?
Emma.
... Sì; è molto simpatico.
Giordano
Mari (con
aria disinvolta, senza parere: ma ha parecchie domande da fare che
gli premono assai: fissando, ammirando la fanciulla tutta bianca e
vaporosa, come l’evocazione fantastica di quella notte calda di
giugno, egli non le dà, per sfondo al bel quadro, il cielo
immenso e stellato; ma invece tutte le finestre illuminate dello
splendido e ricco palazzo, in cui si raccoglie il
superchic della
nobiltà e dello sfarzo milanese. Quel fiore candido e
profumato, quella fanciulla soave deve essere l’apportatrice di
pace nelle preoccupazioni finanziarie che lo turbano, che lo agitano,
che diventano di giorno in giorno più gravi e più
minacciose: e nello stesso tempo la nipotina prediletta di Sua
Eccellenza il ministro Albertoni deve essere pure l’araldo
gentile della sua gloria: ed anche sotto questo rispetto la sua
fortuna: e guardandola pensa con compiacenza).
Non una fortuna cieca, ma con due occhi maravigliosi. (Forte).
E Sua Eccellenza, vedendola così bella, vedendola così
buona, le vorrà molto bene?
— ...
Sì; credo.
— Peraltro...
non vivono insieme?
— Lo
zio è quasi sempre a Roma.
Giordano
Mari (con
voce timida, commossa, profonda — un capolavoro — anche
perchè sta perdendo sinceramente la testa).
Voglia un po’ di bene anche a me, signorina!
Emma
(diventa
rossa, poi pallidissima).
— Giordano
Mari
(supplichevole,
umile, implorandola, domandandole scusa).
Non ho detto niente! Non ho detto niente! Non mi risponda! Non mi
risponda! Non mi mandi via!... Stiamo a sentire. Non parlo più!
Che maraviglia di musica!
La
voce baritonale del maggiore Costamagna è un po’ aspra,
un po’ sforzata, ma la signorina Emma e Giordano Mari non se ne
accorgono e la trovano davvero deliziosa. Emma sente che comincia
allora un’altra vita per lei: che non è più la
fanciulla di poco prima: sente che essa ormai appartiene a
quell’uomo, il quale fino dal primo momento che le è
apparso l’ha subito dominata, si è impadronito della sua
immaginazione e dei suoi sensi… e Giordano Mari, in quel
punto, è vinto a sua volta da un desiderio solo, quello di
abbracciarla; dal desiderio ardentissimo di quei capelli odorosi, di
quel bel corpo flessuoso e candido come giglio. Non fosse la ricca
ereditieria; non fosse la nipote di un’Eccellenza, non la
bacerebbe ugualmente molto volentieri?... E per questo egli
sente che il suo amore è spontaneo e disinteressato, e che
egli dunque ha tutto il diritto di amarla.
Costamagna
finisce il Credo: Venceslao ringrazia il pubblico: il buon
dottore approfitta del movimento della folla e capita nel terrazzo in
punta di piedi.
Il
dottore (ad
Emma: Giordano Mari si è allontanato a tempo)
Ma con l’umidità del giardino, la mia tosa,
vuoi anche buscarti un po’ di febbre?... Qui! Da brava! (le
prende il braccio e lo mette sotto il suo).
Andiamo — vero? — dalla mamma! ... È un po’
nervosina stasera (sospiro,
pausa)
non bisogna tenerla agitata. E Sebastiani? (pausa)
Hai veduto Sebastiani?
Emma
(assai
distratta, tenendo dietro coll'occhio a Giordano Mari, che entra nel
salone e si avvicina a donna Fanny)
No!
Il
dottore (osservandola)
Non hai la cerina
solita... hai le labbra pallide (toccandole
la mano e tastandole il braccio)
sei fredda... fredda. Sei stata troppo sul terrazzo senza niente
sulle spalle. (Pausa:
torna a fissarla, a studiarla:)
Hai preso — vero? — le cartine di fosfato?
Emma.
Sì; le ho prese.
Il
dottore.
Allora — vuoi? — anderemo dopo dalla mamma. (Pausa,
fa due o tre passi, conducendo Emma verso Nino Sebastiani, il quale,
appena vede il conferenziere entrare nel salone, fa un sospiro di
sollievo e voltando le spalle alla finestra del terrazzo per
mostrarsi affatto indifferente con Emma, parla forte e gestisce molto
animatamente colla contessina D’Arborio. — Il dottore ad
Emma con una strizzatina d’occhi assai intelligenti)
Dobbiamo sentire anche noi che cosa dice il nostro Nino Sebastiani?
Emma
(che
ha visto Giordano Mari allontanarsi dal salone con donna Fanny:
nervosissima).
No. Non seccarmi sempre con quel tuo antipatico Sebastiani! Andiamo
dalla mamma!
Il
dottore (scrolla
il capo, diventa sempre più tenebroso: con un sospiro)
Mah!... (Poi,
mentre
passano
vicino al cavalier Venceslao)
La signora Letizia... ti raccomanda di non stancarti troppo. Prendi
un bicchierino di bordeaux, con due dita di Vichy.
Il
cavalier Venceslao (calmo, affabile, sorridente). Adesso
daremo le Trascrizioni di Liszt sul Don Carlos.
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