X.
Due
Amici.
Nella
sala del buffet:
Giordano
Mari (prendendo
il sorbetto: la sola cosa che in quel momento gli possa passar dalla
gola: fra sè)
Consigliarmi col Barbarani?... Mi par di sentirlo, quel piccolo
guerriero da club! — Felicissim!
Una questione d’onore? Benissim!
— E intanto, se io piglio una sciabolata?... E pazienza la
sciabolata; ma se mi toccasse di restare a letto?... Di non potermi
muovere per una decina di giorni?... Allora gli affari? Chi potrei
mandare a Padova da quel vecchiaccio esoso di mio fratello colla
lusinga del gran matrimonio?... E l’armistizio da concludere
col Finardi e compagnia? — Benissim!
Felicissim!
— ma, intanto, se sono a letto e non mi posso muovere?... Io
devo restare sulla breccia: cambiali e signorina Dionisy. (Dopo
due o tre cucchiaini di sorbetto: con un sospiro)
Ma se anche mi lascio insultare senza chiederne ragione, addio
poesia, e addio matrimonio, per un altro verso! (Con
stizza sempre crescente: le contrarietà, le incertezze i
«pasticci»
lo urtano,
gli seccano, lo fanno andare in bestia)
Questi borghesi arricchiti colle macchine e coi traffici e diventati
nobili coi quattrini... che piccola e brutta gente! Hanno nel sangue
tutti i pregiudizi della stirpe bottegaia, compresa la fissazione che
si debbano pagare i debiti sino all’ultimo soldo, non un minuto
dopo della scadenza. E insieme si sono caricati anche dell’altra
zavorra, i pregiudizi aristocratici. Vi parlano di correttezza e di
diritto divino, di economia domestica e di splendore del casato; sono
forti sul terreno e nell’aritmetica, hanno la vanità del
loro stemma e del loro bilancio: fanno da maggiordomo o da
gentiluomo, da fattore o da principe, secondo le ore della giornata e
come tutti gli ibridi hanno, per atavismo, tutte le avidità
del mercante e, per innesto, tutti i fumi del patrizio! (Il
sorbetto ingollato in fretta e in furia gli dà un dolore
nevralgico acutissimo alle tempie: si ferma, chiude gli occhi: quando
il dolore gli passa e li riapre, rimane distratto, guardando fisso il
resto del sorbetto, e facendo scorrere fra le dita il cucchiaino)
Ed Emma?... Carina, lei, a dispetto della razza! Carina in tutti i
modi! Colla freschezza sana e soda di una bella figliuola del popolo,
e i piedini da marchesa. Con un’affettuosità
sentimentale, docile remissiva e credenzona; coll’onestà
profonda della donna borghese nel sangue e nell’anima, invece,
le raffinatezze romantiche. Facile ad esaltarsi, ad entusiasmarsi e
facile anche ad accontentarsi. Un amore di moglietta, sempre in
adorazione dinanzi a suo marito... e che suo marito potrà
educare in tutto e per tutto all’osservanza delle leggi ed alla
moderazione. (Cercandola
cogli occhi lustri).
Ma dov’è? Dove s’è cacciata quella...
marmottina? Il colpo mi è riuscito, stasera, ma non bisogna
perderla d’occhio. (Finisce
in fretta il gelato; si asciuga i baffi col fazzoletto: gli viene una
idea) Se,
invece, andassi a consigliarmi direttamente da lei, riguardo a
quell’«oltracotante» di suo cugino?... Mi
ascolterebbe tremando, a bocca aperta — che bocchina deliziosa!
— ed io mi farei consigliare di non prendere la cosa sul serio
per amor suo, di lei. Già, nessuno mi toglie dalla testa che
quel bisbetico architetto è un altro Sebastiani, ed anzi, con
più gradi di bollore! È innamorato della fanciulla.
(Con un
sorrisetto di compiacenza).
E... il poeta?... È gelosissimo del professore! La gran
simpaticona quella Fanny! E poi suo marito è deputato: un voto
di più per la mia cattedra (Rannuvolandosi)
E Borghetti! È il Borghetti che mi manca sul più bello!
(Tornando
all’idea di prima)
Emma! Emma! (La
cerca cogli occhi, in mezzo a tutta quella gente, — le signore
sedute, gli uomini in piedi —, che si affolla rumorosamente
mangiando e bevendo attorno alla tavola del buffet).
Dov’è andata? Forse da sua madre? Anche quella suocera,
un ideale! Per farla scappare basterà aprir le finestre!
(Guarda
ancora tra la folla, alzandosi in punta di piedi)
No, non c’è. E nemmeno suo cugino!... E nemmeno il
commediografo! Che io abbia preso un gambaro, e che la marmottina non
sia invece altro che una famosa civetta? E che si diverta a tener in
gioco l’architetto, il commediografo, e magari anche il
professore? (Va
a spiare fra le tende dell’uscio a destra, che mette nel
salottino dove si fuma).
Niente.
Emma non si vede.
C’è
un generale che si sfoga col prefetto contro i socialisti, e c’è
Venceslao col sindaco di Milano: il cavalier Venceslao, le belle mani
bianche da pianista incrociate dietro le reni, la bella testa un po’
china, approva, umile in tanta gloria, una idea del sindaco il quale,
vorrebbe intitolare col nome di Verdi una delle principali piazze di
Milano.
Ad
un tratto, Giordano Mari, sempre spiando fra le tende dell’uscio
a destra, sente la voce di Sebastiani e caccia fuori la testa:
Sebastiani non è con Emma. È invece colla d’Arborio.
Giordano
Mari (si
nasconde di nuovo, ma in modo da poter osservar bene la D’Arborio
da vicino: fra sè, con stupore ammirativo)
Un milioncino, mi ha detto il Barbarani! (dopo
aver calcolata la grossa dote accanto alla grossa contessina)
Sarebbe guadagnato!... Ma sarebbe sempre un milioncino!
La
D’Arborio (strillando
forte perchè ha «un
gran segreto»,
una confidenza da fare al Sebastiani)
Sì! Sì! Voi mi avete conquistata! Io vi voglio aprire
tutto il cuor mio! Ma solo a voi! Più vicino!... Solo a voi!
(Nino
Sebastiani non si muove: la D’Arborio gli va sopra, quasi
addosso)
Ditemi la verità: la verità del pensiero, del
sentimento vostro: avete voi pure tutta questa grande ammirazione
settentrionale (sottovoce)
per i Promessi
Sposi?
Nino
Sebastiani (soffoca)
... No.
La
D’Arborio (strillando)
Ed io nemmeno! Solo a voi lo dico! Ed io nemmeno! Propriamente no!
Giordano
Mari (guardando
dall’uscio a sinistra)
Finalmente! (Emma
esce dallo studio del Maestro: è seguita da Carlo Borghetti)
Tò, tò, tò! Era coll’architetto! (Giordano
Mari pensa che l’architetto, per vantarsi avrà
raccontato alla signorina la scena successa fra di loro: un sogghigno
cattivo gli fa diventare la faccia lunga e verdognola).
Emma
(appena
lo vede, gli corre subito appresso: un po’ più timida,
arrossendo, combattuta dalla verecondia e dall’amore)
Carlo, mio cugino, vuole parlarle: vuole scusarsi con lei per alcune
parole di poco fa. (Supplichevole,
fissandolo con gli occhi belli, illuminati)
Mi promette, non è vero, di essere generoso, di essere buono?
Giordano
Mari (dignitoso,
diplomatico).
Ma... che cosa le ha detto il signor Carlo Borghetti?
Emma.
Ha timore di averle risposto male; di averla offesa.
Giordano
Mari (interrompendola:
eroico)
Appunto; volevo rivolgermi al Barbarani ed al maggiore Costamagna per
avere una spiegazione.
Emma
(trasalendo,
con un grido represso)
No! No! È sofferente! Sta proprio male! Le domanda scusa! Le
vuol domandare scusa! (Avvicinandosi
palpitante, tremante, con uno sguardo che è tutto una
preghiera, una carezza, una promessa)
Per me! Per me! Lo faccia per me! (congiungendo
le palme, timidamente, con un’ondata di rossore che le corre
dalle spalle alla fronte)
Voglio così!
Giordano
Mari (cavalleresco,
inchinandosi, offrendole il braccio)
Allora, sia. Mi conduca da suo cugino.
Emma
(lo
avvolge con uno sguardo amoroso: i suoi occhi hanno un lampo, le sue
labbra un tremito: passa leggermente la manina morbida e bianca sotto
il braccio di Giordano Mari, e gli risponde appoggiandosi tutta,
coll’aria quasi di abbandonarsi, di farsi portare)
Grazie.
Giordano
Mari (inebriato).
Dov’è?
Emma
(indicando
il Borghetti colla punta del ventaglio)
Là!
Succede
un gran movimento nella sala del buffet: le signore che hanno
finito di cenare si alzano per cedere il loro posto alle altre
signore, rimaste in piedi. Carlo Borghetti in quella pressa è
ricacciato indietro. Emma e Giordano Mari non possono più
andare avanti.
Giordano
Mari (chinando
il viso verso quello di Emma, che irresistibilmente sporge il suo)
Devo perdonargli dunque? E devo volergli bene anch’io, perchè
gliene vuol lei?
Emma
(trasportata
fra gli angioli).
Sì; per questo.
Giordano
Mari (dopo
un momento: con un risolino maliziosetto, indicandole Nino
Sebastiani).
E... dovrei voler bene anche a quello là?
Emma
(scotendosi
con dispetto).
Oh, a quello poi no! (Senza
rifletterci)
È vero, sa? Prima mi era indifferente; adesso mi è
antipatico.
Giordano
Mari (che
invece riflette molto, riprende prudentemente l’affabilità
paterna).
Bambina! Sempre... una cara bambina!
Sono,
interrotti: Emma rimane appoggiata al braccio di Giordano, ma, presa
in mezzo da tutta quella gente, deve rivolgere e ricambiare
complimenti, ringraziamenti e saluti. Finalmente la calca si dirada e
possono avvicinarsi a Carlo Borghetti, che intanto, per rinfrescarsi,
ha continuato ad inghiottire champagne frappè.
Carlo
Borghetti (molto
sudato: stranamente pallido: si avvicina, vuol parlare, vuol
sorridere, ma non sa fare che una smorfia).
Emma
(arrossendo
a sua volta per l’imbarazzo del cugino e sforzandosi per essere
disinvolta e per aiutarlo)
Il signor Mari non è in collera; anzi, ha per te moltissima
simpatia.
Carlo
Borghetti (a
Giordano Mari: colla voce troppo alta e fuori di tono)
Le devo domandar scusa!
Emma
(vivamente:
si mette il ventaglio sulle labbra, facendogli segno di tacere)
Piano! Parla piano!
Borghetti
(rauco)
Le voglio domandare scusa.
Giordano
Mari (compitissimo)
Scuse? Fra di noi? Fra due buoni amici?
Borghetti
(borbottando
a guisa d’eco le ultime parole)
Buoni amici. Ho detto anche alla signorina Emma... (la
guarda e i suoi occhi si riempiono di lacrime)
buoni amici.
Giordano
Mari (osservandolo
con qualche inquietudine).
Il torto è mio: lo scherzo a proposito della sua piccola
ferita è stato inopportuno.
Borghetti
(rintontito).
Scherzo? Io non ischerzo mai. Ho detto amici, ripeto amici.
Giordano
Mari (dà
un’occhiata espressiva alla signorina Emma, quasi imponendole
di allontanarsi. Sarebbe rimasto lui con suo cugino Carlo: non lo
avrebbe lasciato).
Emma
(docilmente,
felice di mostrarsi ubbidientissima a quel primo comando, rientra
nella sala del buffet,
e sparisce in mezzo ad un gruppo di signore).
Giordano
Mari (prendendo
confidenzialmente sotto braccio Carlo Borghetti, e facendo un po’
di violenza per condurlo via)
E adesso non è vero? — ce ne andiamo via anche noi?... E
alla romana; ringrazieremo domani, portando un biglietto di visita.
Carlo
Borghetti (lasciandosi
trascinare)
Sì; domani: basta un biglietto di visita.
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