XIII.
I fiaschi
di Nino Sebastiani.
Salotto
da pranzo in casa Dionisy: la mattina dopo il concerto: le dieci:
l’ora della prima colazione.
Il
cavalier Venceslao seduto alla tavola bianca elegantemente imbandita:
il collo avvolto nell’ampio foulard, il naso un po’
gonfio, un po’ rosso e un po’ intasato per la veglia e la
fatica delle emozioni artistiche, fa colazione con discreto appetito:
caffè e latte, panini arrosto e miele.
La
signora Letizia. In fondo alla sala da pranzo: nel suo angolo
prediletto della mattina; con accanto il piccolo tavolino,
apparecchiato soltanto per lei: vestaglia vaporosa, veli, mezzi
guanti di filo, sotto i quali luccicano le gemme degli anelli:
melanconica, di cattiva voglia, tuffa nella sua tazza di cioccolato
sospiri, lamenti e chiffelli.
La
signorina Emma: non c’è. Il suo posto a tavola, in
faccia al cavalier Venceslao, è ancora vuoto.
Venceslao
(al
cameriere)
La signorina è stata avvertita?
Cameriere.
Sissignore.
Venceslao.
Avvertitela ancora.
La
signora Letizia (a Venceslao: uscito il cameriere) Emma, ieri
sera, si è condotta malissimo: non vuol capire che è
ancora ragazza; è stata un’ora sul terrazzino, sola, con
quel Mari. Anche il dottore, capirai, è rimasto molto
contrariato. Dopo tante raccomandazioni, tante prediche, ha tenuto
col Sebastiani un contegno... ancora più impossibile.
Venceslao
(sussultando
colla vocina inviperita)
Per questo ti dirò che il vostro Sebastiani è stato
lui, a sua volta, molto scorretto. Ha chiacchierato, ha parlato tutta
la santissima sera. Anche durante il quartetto!... È
pochissimo gentile codesto vostro Sebastiani!... Dirò, anzi,
pochissimo educato; e per parte mia dichiaro a te e anche al dottore:
se ad Emma non accomoda, io me ne lavo le mani.
La
signora Letizia (con calma: lentamente) Tu farai e dirai ciò
che sarà necessario di dire e di fare. Intanto, ricordati, le
farai le tue osservazioni per ieri sera. (Un gran sospiro) Io
sono troppo stanca di sentirmi poco bene, per dovermi sempre
inquietare.
Un
fruscio di vesti e un ritmico tic-tac, risonante sui parquets.
La
signora Letizia. Eccola. Mi raccomando. (Premendosi la fronte con
una mano, perché teme un principio dell’emicrania) E
parlate sottovoce.
Emma.
(tutta
rorida, tutta fragrante nell’abitino tutto rosa)
Buon giorno!... Buon giorno!... Dio, Dio, come ho dormito tardi! Buon
giorno, mamma! (Leggera
leggera, quasi di volo, corre ad abbracciare la signora Letizia, che
si lascia toccare appena per timore di spettinarsi. Saltando sulle
ginocchia del cavaliere Venceslao)
Buon giorno, papà!
Venceslao
(si
asciuga prima i baffi e la barba, poi le offre gravemente le due
guance: allontanandola da sè)
Adesso va; siediti al tuo posto e fa colazione; dopo, io avrò
da parlarti.
Emma
(interrompendolo:
sapendo di fargli piacere)
E la Perseveranza?
Dice qualche cosa? Parla del concerto?
Venceslao
(dandole
il giornale: sempre assai gravemente)
Un articolo fatto bene. Non ha dimenticato nessuno. (Riprendendo,
mentre sceglie un altro panino arrosto, il discorso di prima)
Poi verrai con me nel mio studio: discorreremo a lungo.
Emma
(mentre
il cameriere, che è rientrato, le prepara la colazione, apre e
scorre il giornale).
Venceslao.
Ho da farti le mie osservazioni per ieri sera.
Emma
(d’un
tratto: vivamente)
Fiasco!... La commedia di Nino Sebastiani ha fatto un gran fiasco
(Leggendo
forte) «I
cavalli del sole»
dramma in tre atti di Stefano Sebastiani al Costanzi di Roma: —
primo atto, silenzio: secondo, interruzioni, mormorii: terzo,
disapprovazioni insistenti. Il dramma, ibseniano nel concetto, sembrò
troppo ingenuo e prolisso nello svolgimento». Oh, povero
Sebastiani!
La
signora Letizia (alzandosi sulla poltrona: a Venceslao:
marcatamente) Ma... ma tu non avevi letta la Perseveranza?
Venceslao
(stupito)
Io, no... cioè, sì. (Dopo
un momento, sentendo gli occhi di sua moglie sopra di sè, e
volendo rimediare alla propria inavvertenza, riprende con calma tutta
la maestà dell’uomo superiore)
Fischiato?... Che cosa vuol dire? (Stringendosi
un po’ nelle spalle)
E la prima del Nabucco?
E la Traviata
a Venezia? Fischiato? Il dramma, come si chiama?
Emma.
I cavalli
del sole.
Venceslao
(con
un sorriso amabile: compiacendosi del titolo)
I cavalli
del sole.
Mi piace. Io già mi son sempre detto: — consoliamoci! —
non si fischiano molto, altro che i capolavori.
Una
lunga sonata elettrica dalla portineria.
Emma
(contenta
della diversione)
Il dottore! Quel caro dottore!
Rientra
il cameriere: apre l’uscio aspettando il dottore, e aspetta un
pezzo.
Il
dottore (finalmente,
entra, soffiando, sospirando: guarda tutti in giro con occhio fosco:
la barba spettinata gli fa il viso storto e la cera ancora più
truce).
Il
cameriere (adagio,
gli versa la sua tazza di caffè, poi se ne va, in punta di
piedi).
Emma
(allegramente)
Che brutta faccia, dottore! Sembri il re Erode, dopo la strage degli
innocenti!
Il
dottore (la
fissa serio, accigliato, scrollando il capo per tutta risposta: passo
passo, attraversa la stanza e si ferma dinanzi alla poltrona della
signora Letizia. La guarda lungamente, strizzando gli occhi per
raccogliere la luce)
... Sicchè?
La
signora Letizia (battendo le palpebre: con una vocina flebile,
come fosse lì lì per piangere o per svenire) Ha
sentito, non è vero, del nostro povero Sebastiani? Così
buono? Così caro!
Il
dottore (sempre
truce, non risponde: continua a studiarla, a scrutarla, poi le tocca
la fronte, le tasta la mano)
Sicchè? Dopo lo strapazzo di ieri sera? È stata
quietina? Ha potuto dormire?
La
signora Letizia (allungandosi, stendendosi voluttuosamente sotto
lo sguardo fisso del dottore, come una gattina che fa le fusa)
Avrò dormito, forse, qualche mezz’oretta; ma mi sono
risvegliata stanca... stanca... stanca... (Fa uno sforzo per
tirarsi su).
Il
dottore (accorre
per aiutarla, per sorreggerla).
La
signora Letizia (dimenando la testa sulla poltrona; alzando,
stirando le bellissime braccia che escono nude fin sopra i gomiti
dalle maniche larghe, soffici, che le si riversano sulle spalle)
Ma, dica, è proprio vero del Sebastiani? O ci sarà
qualche esagerazione?
Il
dottore.
Vediamo, la mia tosa,
da brava. (Le
fa la solita ispezione alle gengive, alla lingua, alla gola; scrolla
il capo, sospira, le ordina di riposare, di guardar bene di non
inquietarsi; e poi si avvicina passo passo al cavalier Venceslao).
Venceslao
(dopo
avergli mostrato la lingua)
I cavalli
del sole?
Io, per me, non lo ritengo un fiasco. Non ho ragione, dottore?
Il
dottore (con
due dita, delicatamente, gli solleva le palpebre)
Già: le sclerotiche sono ancora un po’ gialline (pausa).
Continueremo colla Vichy. (Sempre
passo passo va a sedersi dove il cameriere gli ha messa la seggiola,
e gli ha versata la tazza di caffè; ma senza passare da Emma,
senza nemmeno guardarla: il che vuol dire che è molto in
collera con lei).
Dunque, Nino Sebastiani... Mah! (Pausa;
poi continuando fra una sorsata e l’altra di caffè)
Del resto, era cosa facilmente prevedibile. Io l’ho sempre
detto anche a sua madre: i giornali, i teatri, le commedie vanno
sempre a finire in dispiaceri! Offelee
fa el to mestee.
(Con
un’alzata di spalle e un’altra sorsata)
Il successo! Il pubblico! Intanto, per cimentarsi col pubblico,
bisogna essere di quel ceto di persone — vero? — che non
hanno niente da perdere; nemmeno la salute. (Pausa:
depone la chicchera vuota: si asciuga la barba).
Il telegramma da Roma è arrivato stanotte. Nino era qui, al
concerto. Sua madre si è spaventata (sospirando)
e stamattina ha avuto uno dei suoi accessi. Quell’altro, il
Nino, è verde come il sacco del fiele. Non mi stupirei se gli
venisse anche la febbre: sicuro, con un seguito di cattive
digestioni, di gastralgie. Ma!... E intanto in ballo ci sono io e
devo correre.
Il
cavalier Venceslao (Rimane meditabondo, le braccia al sen
conserte).
Emma
(quietamente,
dà fondo al caffè e latte, alle uova, e a tutto il
piatto dei panini arrosto).
La
signora Letizia (dal fondo: con voce di dolore) E non si
replica nemmeno?... È caduta senza rimedio?
Il
dottore.
Una catastrofe. Avete letto la Perseveranza?
Bene; è ancor niente. Bisogna leggere la Lombardia.
È stato Guido Bardi; me l’ha portata al Cova; era
spiacentissimo anche lui del cattivo esito di Roma, per quanto avesse
egli pure preveduto l’insuccesso. Voler fare l’Ibsen?...
ci vuol altro! (Leggendo
la Lombardia con
voce sepolcrale)
Ecco qui: I
cavalli del sole,
dramma, ecc. ecc. Primo atto, mormorii: secondo, interruzioni,
disapprovazioni. Terzo, risate, urli e fischi. Il dramma, che avrebbe
voluto essere simbolista, non è riuscito altro che una
vuotaggine noiosa, inconcludente!
Emma.
Oh, povero Sebastiani! (E,
più che per altro, per la faccia comicamente costernata del
dottore, trattiene a stento un risolino che per forza le vuol bucare
gli occhi vispi e le gote rotonde e morbide)
Povero Sebastiani!
Il
dottore (voltandosi,
guardandola, e dopo averla guardata non potendo a meno di
rasserenarsi)
Ecco, se questo tuo sentimento diremo di... (si
ferma,
si gratta la barba con malizia)
diremo — va bene? — di simpatia, fosse proprio spontaneo,
starei quasi per dire, ecco appunto che da un male ne segue un bene.
(Alzandosi
gaio, prendendo sotto braccio Emma per condurla sul terrazzino:
voltandosi verso la signora Letizia)
Permette — vero? — La confesserò io questa mia
tosa!...
(minacciandola
scherzosamente con la mano)
E le darò anche la penitenza per ieri sera. (Appena
sul terrazzo, alla luce chiara del mattino, il dottore fa la sua
ispezione anche al viso di Emma; ma ne rimane soddisfatissimo)
Continui — vero? — colle presine di fosfato?
Emma.
Sempre: una alla mattina; una alla sera!
Il
dottore (dandole
un leggero buffetto sulla gota in segno di approvazione e di
ammirazione)
Brava! Ma, adesso, il faccino è così bello, la
nutrizione così perfetta... direi... si potrebbe anche
sospendere. Per la salute — vero? — le cure, i riguardi,
il cambiamento d’aria, il moto, le distrazioni, tutto ciò
va benissimo, ma non basta; anzi, in certi casi — mi capirai
più tardi — terminano col far male, appunto perchè
fanno stare troppo bene. «Tutto a suo tempo;» questa è
la regola generale per ogni prescrizione. E da un po’ di
giorni, basta guardarti in faccia perchè ognuno diventi
dottore; cioè, possa subito indovinare che cosa è ormai
tempo di ordinarti. (Ride
soddisfatto di questa sua scappata: la ripete un paio di volte; poi
ritorna serio, ritorna grave e riprende colla solita lentezza)
Dunque, si sarebbe detto, appunto, un momento fa, colla signora
Sebastiani... (si
ferma fissa Emma negli occhi).
Emma.
(che
comincia a diventar nervosa prevedendo dove il dottore vuol andar a
finire)
Che cosa?... Si sarebbe detto, che cosa?... Fa presto! Ho la lezione
di piano.
Il
dottore (fissandola
sempre con malizia bonaria)
La maestra di piano. (Pausa)
La maestra aspetterà. Si tratta di cosa ben più
importante. Insomma — per venire ad una conclusione —
sentiamo: a che punto sei con questo Nino Sebastiani?
Emma
(diventando
più rossa delle sue stesse labbra)
Come? Non ti capisco!
Il
dottore.
Vi siete spiegati, sì o no? (Vedendo
che Emma sempre più nervosa, e da rossa diventando pallida, si
ostina a non voler capire)
Benedetta la mia tosa!
È un anno che questo Sebastiani ti viene per casa, è un
anno che ti segue dappertutto, è un anno che per causa tua si
arrabbia, si inquieta — come ieri sera, per esempio — e
dopo risponde male a sua madre. Sai — vero? — che la
signora Sebastiani ha un vizio di cuore? (Pausa,
sospiro)
Da una parte bisogna ricorrere alla digitale; dall’altra al
chinino o alla fenacetina. (Alzando
la voce: riscaldandosi)
Cara mia, se non hai capito tu, ha capito ormai tutta Milano, e per
questo è ora e tempo di venire ad una conclusione.
Emma
(è
arrabbiata: increspa le ciglia, allunga il musetto: la voce roca,
aspra, con un’alzata di spalle)
Tu... Fammi il piacere! Finiscila!... Hai capito?... Finiscila!
Il
dottore.
Quel povero Sebastiani! Si vede lontano un miglio! È
innamorato morto. Innamorato e geloso. Ieri sera, per esempio, con
quell’altro là, di Padova, sei stata un po’ troppo
a discorrere. (Pausa:
sospiro significantissimo).
Sebastiani non ne poteva più; e intanto quella matta della
d’Arborio andava in estasi lei, per suo conto. Da brava:
facciamo giudizio. È un bel giovane; il matrimonio è
conveniente sotto tutti i rapporti. Non ci può essere —
vero? — nessun ostacolo? E dunque, tutto a suo tempo: il tempo
è venuto anche per te e facciamola finita. (Prendendole
una mano e accarezzandogliela con affetto sincero, con tenerezza, e
accarezzandola anche cogli occhi diventati buoni e dolci)
Pensa, la mia cara Emma, che il tempo, per le ragazze specialmente,
passa in un lampo. Come le rose; proprio come le belle rose. Un
giorno di più di sole, o un giorno di piú di acqua —
vero? — e addio: i bei petali se ne vanno, e resta un torsolo.
Emma.
(col capo
chino, pallida, sconvolta, agitatissima: tutta vibrante: una pila
elettrica)
Intanto, credo... anzi sono certa, ti sei sbagliato. A me, il signor
Sebastiani non ha detto in proposito nemmeno una parola.
Il
dottore.
No? Non ti ha detto niente? E che importa, anche se non ti ha detto
niente? Via, da brava. Sei sempre stata sincera, e adesso, con me,
devi esserlo tanto più. (Ridendo)
Anche se lui non ti ha detto niente, tu, per parte tua, hai capito
tutto!
Emma.
(in
collera: rivoltandosi)
Ti dirò, per altro... Mi stupisce che tu, proprio tu, mi
faccia simili discorsi. E in questo modo! E in questo tono? Ho mio
padre, e ho mia madre. Non tocca a te.
Il
dottore (la
guarda, la fissa; diventa seriissimo: poi la lascia sfogare, le
lascia passar la collera, e intanto cammina su e giù pel
terrazzino, ficcandosi le dita nel taschino del gilet, giocando, al
solito, nervosamente colle chiavette: dopo qualche tempo si ferma,
torna a guardare Emma; scrolla il capo, fà un gran sospiro).
Emma
(pentita,
con effusione: stendendogli tutte e due le mani)
Perdonami.
Il
dottore.
Perdonarti? Figurati! (Continuando
ad osservarla, a studiarla, a scrutarla e a far risonare le
chiavette)
Ma, purtroppo, starei per dire, non basta perdonarti, per il tuo bene
vorrei anche convincerti. E invece... (sospira)
non vorrei sul più bello, avere sbagliato la diagnosi (pausa)
... ed essere andato fuori di strada. Cioè, tu, per conto tuo
— vero? — avrai capito tutto, ed esser io, viceversa,
quello che non ho capito niente. Insomma, senti, cara la mia Emma: lo
vuoi questo Sebastiani sì o no? Ricco, onesto, buono —
adesso è geloso — non lo puoi giudicare; ma dopo, ne fai
quello che vuoi: garantisco io. Anche per la salute. Al giorno d’oggi
bisogna accontentarsi. E se ti ha fatto impressione l’incidente
di Roma, a questo non ci devi pensare. Commedie non ne scriverà
più. Sua madre, la signora Sebastiani, è una donna
eccellente; e come suocera, avresti in certo qual modo il vantaggio
di non averla, perchè è sempre ammalata. Sua madre, per
mio suggerimento, farebbe a Nino una grande intemerata: «Ti
piace l’Emma Dionisy? Tu vuoi l’Emma Dionisy? E noi te la
daremo volentieri, ma ad un patto: rinunciare per sempre alla mania
del teatro: non solo non devi più scrivere commedie, ma
nemmeno sentirne; per schivare il contagio».
Emma
(che
intanto ha pensato sempre a Giordano Mari; ha pensato soltanto a quel
sì o no, al quale deve rispondere: risoluta)
Ebbene... No.
Il
dottore (maravigliato)
No? Che cosa?
Emma.
No: è impossibile. Sento che è impossibile!
Il
dottore (la
guarda; capisce e non capisce).
Emma
(gettandogli
le braccia al collo con trasporto, con tutta la passione... per
Giordano Mari)
Ma tu, tu che mi vuoi bene, vorresti vedermi morire?
Il
dottore (colpito)
Morire? Che spropositi! Che c’entra il morire?
Emma.
Ascolta, il Sebastiani, non lo voglio, non lo voglio, non lo voglio!
Non lo amo: è impossibile! Se penso soltanto di doverlo
sposare, mi diventa insopportabile, lo detesto; mi diventa
antipatico; lo odio. Dunque, no; dirò sempre no, no, e no! E
se poi dovessi sposarlo per forza, se me lo faceste sposare per
forza, prima morirei. Hai capito? E se mi vuoi bene, lo devi dire al
babbo e alla mamma. Devi dire — tu che mi conosci — che
io morirei! (Colle
lacrime negli occhi e nella voce, tutta sconvolta, tutta
febbricitante, fugge nella sua camera a rinchiudersi, a nascondersi).
Venceslao
(Dopo
un momento: cacciando fuori il capo da una delle finestre che dànno
sul terrazzo)
Pst! Pst! Dottore!... E così?
Il
dottore (voltandosi:
forte)
Altro che I
cavalli del sole!
Un fiasco ancora più tremendo!
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