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Gerolamo Rovetta
L'idolo

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  • PARTE PRIMA.
    • XVII.   Il buon dottore.
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XVII.

 

Il buon dottore.

 

La camera di Emma: una camerettina tutta tappezzata di mezzari, allegra, ridente come un giardino in fiore. Sul piccolo tavolino accanto al letto, molti vasettini, boccettine, scatolettine, coll’etichetta della farmacia Zambelletti.

È il buffet che mi ha apparecchiato il buon dottoredice Emma, sforzandosi, per far sorridere il babbo.

Dopo un momento entra il dottore, e il cavalier Venceslao se ne va quasi subito, in punta di piedi.

Da un paio di giorni, precisamente da giovedì, Emma ha fatto qualche piccolo miglioramento, e però è stato convenuto in famiglia, che il dottore quella mattina, avrebbe ricominciato, da solo, a tastare il terreno.

Il dottore (le applica il termometro: la copre bene, fin sotto il mento: le siede accanto) Adesso... per dieci minuti... stai quietina, quietina. (Dopo un momento: mettendole il palmo della mano sulla fronte) Sempre un senso di gravezzavero? — di peso?

Emma (con un filo di voce, rimanendo immobile) Sì; molto.

Il dottore. Però... un po’ meno di ieri?

Emma. (scuote leggermente la testina sul guanciale).

Il dottore. No? Allora diremo... come ieri. (Pausa: l’osserva, la studia, strizzando l’occhio). Da brava; fammi veder la linguina? (La guarda a lungo, arricciando il naso, facendo una bruttissima cera: pausa, sospiro). Ma già, finchè perdura la causa morale, i dispiaceri, le inquietudini, i patemi d’animo... persiste, per conseguenza, anche tutto il resto.

Emma (fissandolo cogli occhioni più grandi e più neri nel faccino smunto) Oh, dottore! Soffro, sai! soffro tanto!

Il dottore (gli occhi gli si riempiono ad un tratto di lacrime: si china col volto più vicino, più d’appresso ad Emma, per consolarla, per rianimarla: in quel punto tutto il cuore, tutta l’anima, tutta l’affettuosa dolcezza del buon dottore si è trasfusa ne’ suoi occhi) Cerca di metterti in calma; di non pensare... o di pensare soltanto alle belle cose.

Emma. Oh, dottore, come si può non pensare? E, ormai, dove sono, per me, le belle cose?

Il dottore (con effusione, premendo sopra le coperte dove si vede il rialzo che copre le mani intrecciate di Emma) Ma tutto il mondo, cara la mia tosa! Tutto il mondo, per te, è pieno di belle cose! Non le vuoi guardare!

Emma (colla vocina sempre debole, ma con un leggero sorriso d’ironia) Per me, una bella cosa, doveva essere anche Nino Sebastiani.

Il dottore (si allontana: diventa truce) Forse, anche quel Sebastiani, poteva essere un errore. La gentesicuro — non si può mai dire di conoscerla abbastanza. Sai? Dopo la rottura successa, la signora Sebastiani non mi ha più fatto chiamare. (Pausa) Adesso ha quell’intrigante del Marzetti.

Emma. Oh, dottore! Anche questo per colpa mia!

Il dottore. Quietina! Quietina! (Le riaccomoda le coperte attorno al collo) In sostanza, approssimativamente, io posso dire anzi di averci guadagnato. Per quel tabernacolo della Sebastiani bisognava essere sempre in moto! Non si era mai sicuri di giorno, di notte! (Ridendo, per mettere Emma di buon umore) Io credo — ve’ — che tutto il male del suo cuore, proveniva dal fatto solo di non aver mai trovato modo di metterlo a posto! (Dopo un’altra risata, si ricorda del termometro: guarda in fretta l’orologio).

Emma. È ora? Posso levarlo?

Il dottore. No. Sono appena cinque minuti. (Pausa: guardandola, esitando: poi con precauzione, con un tono di voce lenta, uguale, penetrante) Saivero? — che cosa hanno scritto da Padova? Non ha propriamente un soldo. Suo fratello è ricco, ma pare... in malo modo. Il padre, era un bottegaio. — Sicuro. — Io direi, adesso, prima di tutto, di guarire. Poi, a suo tempo, si potrà fare una scelta migliore, di generale soddisfazione, per la mamma, per il papà, per lo zio, Sua Eccellenza... a Roma. E intanto, quel certo Giordano, direi proprio — vero? — di escluderlo assolutamente.

Emma (agitandosi) Oh, dottore, dottore, dottore! Non tornare da capo! Te ne prego! Te ne supplico!

Il dottore (cercando di tenerla sotto le coperte) Quietina, dunque, quietina! I fatti, già, sono fatti, e non si possono cambiare.

Emma. Che fatti? Ma che fatti? Sai perchè non è ricco? Perchè non ha una posizione lucrosa? Perchè ha voluto essere sempre indipendente! Perchè il suo animo nobile e fiero non ha mai voluto abbassarsi a domandare, a strisciare come tanti altri che non hanno dignità, carattere. Ma il suo nome è conosciuto in tutto il mondo. Più del nostro, certo.

Il dottore. Ma... e questo Taine? E questi rubalizi letterari?

Emma. Ci credi tu a Guido Bardi? Invidia, rabbia, cattiveria.

Il dottore. Resterebbe l’altro inconveniente... del fratello.

Emma. Suo fratello... Intanto, chissà se è vero, perchè anche queste sono le informazioni di donna Fanny.

Il dottore. Non soltanto di donna Fanny.

Emma. Sia pure: che cosa c’entra lui con suo fratello? Gli fanno anche un carico perchè suo padre era un piccolo mercante; ma il nonno del mio, siamo giusti, non era un farmacista?

Il dottore (scandalizzato) Che cosa vai adesso a pescareindietro... fino ai tempi del Prina! (Dopo aver guardato un’altra volta l’orologio) Porta pazienza: ancora due minuti. (Pausa). Volevo dire, vedi, anche per l’età. Tu non hai ancora vent’anni.

Emma. Sì, fra due settimane.

Il dottore. Tu sei un fiore; cioè, lo eri; ma tornerai come prima, soltanto con un po’ di ragionamento. Invece con quel Giordano... di Padova, non ci sarebbe nemmeno proporzione, e allora, appunto, succedono gli squilibri. Pensa quando tu avrai, per esempio, quarant’anni, il che, nel più dei casi, vuol dire per la donna il periodo dalla maggiore... attività, lui ne avrà sessanta, forse sessantacinque... o settanta.

Emma (sorridendo) Fermati, dottore! Fermati, per carità!

Il dottore (ostinandosi: cominciando a gridare) Sì, anche settanta! Anche settanta! E forse, ancora di più! È ben conservato, ecco; questo sì. Ma ricordati, cara la mia tosa, che l’uomo è un’altra cosa. Non è come la donna. Di un uomo ben conservato non c’è mai da poter scommettere, giurare. Io non l’ho guardato altro che molto superficialmente; ma mi pare un uomo più di apparenza che altro. (Alzandosi per prendere il termometro) Vediamo.

Emma (gli il termometro).

Il dottore (la ricopre da tutte le parti, poi si avvicina alla finestra per guardare i gradi della febbre: dopo, scuote fortemente il termometro per farlo discendere. Il dottore è diventato più serio si avvicina ad Emma, fissandola gravemente).

Emma. La febbre è cresciuta, non è vero?

Il dottore (sempre più serio: continua a guardarla, senza rispondere).

Emma (leva un braccio di sotto le coperte, e glielo fa vedere) Guarda, ormai, come sono ridotta.

Il dottore. No! No! No! Sotto! Sotto!

Emma. Tu mi vuoi bene?

Il dottore. Ma ti pare di domandarmelo?

Emma. So, so che mi vuoi bene: tu e anche il papà.

Il dottore (subito) E la mamma: ti vuol molto bene anche la mamma. Anzi, direi, forse a suo modo, ma più di tutti.

Emma. Allora, se mi vuoi bene, ti prego di una cosa.

Il dottore. Che cosa?

Emma. Te ne prego tanto, tanto. Vieni più vicino.

Il dottore (si abbassa quasi a sfiorarle la fronte). Sicchè?

Emma. Lasciami morire.

Il dottore. Ma, ma, ma! Se ne deve sentire! (E al buon dottore, mentre la bacia sui capelli, cadono dagli occhi due grosse lacrime).

 

Il dottore, un momento dopo, entra dalla signora Letizia che è più che mai sofferente e geme sulla lunga poltrona. C’è anche il cavalier Venceslao che non si vede, per il buio della stanza, ma si sente dal gran soffiare, che è molto intasato.

Venceslao. (Inquietissimo: andando incontro al dottore) E così? Ha ancora la febbre?

Il dottore (pausa: avvicinandosi passo passo e fissando gravemente la signora Letizia) Trentanove.

Venceslao (disperato: alzando le mani al cielo) Ah, Dio mio!

La signora Letizia. Quasi come ieri. Non è vero, dottore?

Il dottore non risponde; si siede al solito posto vicino alla poltrona di donna Letizia; sospira.

Venceslao. (al dottore: con uno schianto) Ma dunque? Ma di’ la verità? Ma ci sarebbe pericolo?

Il dottore (mette una gamba sull’altra: si gratta la barba).

La signora Letizia (premendosi le tempie per via dell’emicrania) Che pericolo vuoi che ci sia? Non esageriamo le cose!

Il dottore. Ecco, io direi: (pausa) le informazioni avute da Padova, provengono appunto dalla via di donna Fanny, la quale ci consta che sarebbe interessata come parte in causa per aver avuto del debole, e, secondo la marchesa Gonzales, anche molto più che del solo debole, per quel certo Giordano. Dunque, direi, bisognerebbe sceverare quello che c’è di vero dalle possibili esagerazioni.

La signora Letizia (alzandosi a sedere sulla poltrona) Ma come, Dottore? Anche voi mi diventate matto?

Il dottore (sospira: tace: torna a grattarsi la barba).

La signora Letizia. Pensate anche a tutto ciò che ha scritto mio fratello.

Il dottore. Questo non conta.

La signora Letizia. Come non conta?

Il dottore. Non conta niente, perchè anche sua Eccellenza ha scritto, opponendosi, in seguito alle nostre lettere e alle nostre informazioni.

La signora Letizia (scattando) Non è vero!

Il dottore (senza badare all’interruzione della signora Letizia e seguendo lentamente il suo primo discorso) Dunque, sicuro, io direi, in certo qual modo, che bisognerebbe informare anche Sua Eccellenza di ciò che ne consegue. Come ministrovero? — nella sua posizione, potrebbe anzi giovare al miglioramento, al collocamento di... del... di quel... appunto di... Giordano.

Venceslao (sempre più disperato: colle lacrime) Dunque? C’è pericolo?

La signora Letizia (irritata contro il dottore) Ma rispondetegli di no! Che non c’è pericolo! E la sia finita!

Il dottore (dopo un momento) Intanto, questo stato di continue agitazioni, di continue contrarietà, di tensione, ha prodotto i suoi effetti anche sopra di lei.

La signora Letizia (inquieta) Sopra di me?

Il dottore. In dieci giorni è andata avanti di dieci anni. Non ha più il suo bel pallore; ma la sua tinta è addirittura cadaverica.

La signora Letizia (sempre più inquieta) E allora?

Il dottore. Allora bisogna mettersi in quiete, e per mettersi in quiete bisogna aver l’animo in pace e quindi rassegnarsi, occorrendo; anche a ciò che non accomoda interamente, pur di schivare ciò che può far male. Ad una certa età, se si trova la strada buona, piana, si va avanti per un pezzo; ma basta, come si dice, un urto, un’inciampata qualunque, per andare a precipizio.

 




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