III.
Alla
Minerva.
Gli
sposi, la sera del loro arrivo a Roma, non possono veder lo zio,
impegnato col presidente del Consiglio: gli fanno un’improvvisata
al Ministero, la mattina dopo.
S.
E. Albertoni (sciogliendosi
dall’espansivo e straordinario abbraccio di Giordano, per
guardar la nipote)
Tu?... Saresti proprio tu?... La piccola e impertinentissima Emma
colle dite sempre sporche d’inchiostro?
Emma.
Non è vero!... Guarda (gli
mette sotto il naso due ditini affusolati e profumati che il galante
ministro non può a meno di baciare, odorandoli come un fiore).
— Sei
diventata più grande e più... (ammirandola
in tutto il complesso)
e più, diremo col nostro grande Manzoni, ma-es-tosa!
Quella bellezza morbida
a un tempo e maestosa che brilla nel bel sangue lombardo!
S.
E. Albertoni, entrato nel ministero per «l’equilibrio
regionale» e per il giuoco e il passaggio dei portafogli
capitato alla Istruzione, mentre forse si sarebbe trovato meno peggio
all’Agricoltura, sperava ancora di cavarsela bene a furia di
citar Manzoni a orecchio.
Giordano
(tutto
zucchero candito)
Ma intanto non vi siete ancora abbracciati.
S.
Eccellenza (con
qualche esitazione, a Giordano)
Dunque... si può?
Giordano
(lasciandosi
trasportare: con troppa enfasi)
Ma sempre! Quanto vuoi!
Sua
Eccellenza, subito, abbraccia Emma con molto entusiasmo.
Emma
(un
po’ nervosa)
Ma basta! Guarda cos’hai fatto!
Sua
Eccellenza (vedendole il cappellino tutto storto: con malizia)
Credo, pur troppo, che ormai si sarà abituato quel cappellino
a certe scosse.
Emma
(sorridendo)
perchè pur
troppo?
— Perchè
se avessi potuto immaginare la tua predilezione per le persone serie,
mi sarei fatto avanti anch’io.
Emma.
E avresti sentito un bel no. (Con
una risata e senza badare alle facce che le fa Giordano per
raccomandarle di essere gentile)
Zio e nipote? Mai più! Non mi piace! No! No! No!
Giordano
(un
po’ inquieto)
Emma! Emma!
Emma
continua a ridere fissando lo zio, che continua pure a sorriderle con
una cert’aria motteggiatrice e conquistatrice: Emma per la
prima volta l’osserva, lo studia, non più come nipote,
ma come donna maritata, e conclude, fra sè, che bisognerà
guardarsi da quello zio Eccellenza. È, in fatti, una bella
figura d’uomo, alto, snello, con una faccia resa espressiva e
intelligente, dai folti capelli ben pettinati, molto più grigi
della barba. Un tipo aristocratico, elegante, come la mamma Un tipo
all’inglese: e la sua vanità, in fatti, di ministro
italiano, è di essere chiamato un uomo di Stato all’inglese.
Sua
Eccellenza (sempre
sotto l’attento esame della nipote)
E così?
Emma.
E così, perchè sei diventato ministro, non credere,
signor zio, di poter fare il... Richelieu!
L’Albertoni,
che oltre ai Promessi Sposi ha letto anche I tre
Moschettieri e la Cronique de l’œil-de-bœuf,
è abbastanza soddisfatto della risposta, e subito vuol
condurre Emma a colazione al Caffè di Roma, dove non si occupa
di Giordano altro che per presentarlo: — Il marito di mia
nipote. — Ma Giordano Mari, che sa la vita, se ne contenta.
Lo zio ministro, parecchi altri membri del Gabinetto, i pezzi più
grossi del Parlamento, tutti si riscaldano, ringiovaniti e
ringalluzziti attorno a donna Emma e perciò un solo pensiero
lo turba, lo inquieta: Pietro Schiavino, direttore del Popolo.
Tutto il resto è chiaro; basta guardare sua moglie: va a vele
gonfie! Ma Pietro Schiavino? Come fare per cavar i denti a quel cane
idrofobo?
— Sentirò
mio
zio.
E,
infatti, nell’uscire dal Caffè di Roma, e mentre Emma,
sempre allegra e ridente, cammina innanzi tra un sottosegretario e un
consigliere di Stato, gli riesce di restare indietro, pigliandosi a
braccetto lo zio Eccellenza.
— Ascolta:
una parola.
Sua
Eccellenza (guardandolo
con diffidenza)
Anche tu, avresti subito qualche raccomandazione da farmi?
— No,
mai. Io non ti raccomanderò, dato il caso, altro che me
stesso!
— Bravissimo!
Si tratta della conferenza o della cattedra?
— Della
conferenza, per il momento (più
sottovoce, per non farsi sentire da Emma e nemmeno dall’ombra
di Pietro Schiavino)
Posso sperare nell’intervento della Regina?
— Non
è molto facile; ma tenteremo. S. M. adesso deve recarsi a
Napoli per alcuni giorni.
Giordano
(contento)
Benissimo, aspetteremo dopo.
— Dopo
o prima. Insomma... si vedrà. Soltanto, forse, potendo
ottenere questa particolare distinzione, bisognerebbe attenuare,
almeno in parte, assopire, diremo, la retorica giacobina. Pensa un
po’ anche ai miei colleghi di Gabinetto! (vivamente)
Non devi venire qui, proprio a Roma, a farmi strillare i galli
di Renzo! (In
fretta per allungare il passo e raggiungere la cara nipote)
Ne riparleremo più tardi.
Giordano
(trattenendolo)
Ho anche bisogno di un tuo consiglio, a proposito di una tirata
velenosa del Popolo
contro la mia conferenza di Napoli. L’hai letta?
— Misericordia!
Non arrivo in tempo nemmeno a leggere tutte le tirate velenose contro
di me!
— Quel
Pietro Schiavino dev’essere un gran farabutto?
Sua
Eccellenza.
No. (Sospirando)
Pur troppo! Il mio prudentissimo consiglio è di fingere di non
aver letto niente.
— E
se continua ad attaccarmi? O se ricomincia dopo la conferenza di
Roma?
— Tu
non mutar sistema: fingi sempre di non leggere il Popolo.
Giordano
(riscaldandosi)
Ma se lo legge mia moglie? Pensa, povera donna, che impressione, che
colpo, che dolore! Se mi secca, se lo temo anche questo maledetto
Schiavino, è per Emma, soltanto per Emma! Per me? Figurati! Io
sono nell’arte e nella filosofia sopra tutto sincero, e me ne
infischio dei Popoli
civili ed incivili! Ma Emma, povera creatura! È tanto
sensibile; è ancora tanto gracile sotto la sua apparente
floridezza! Se si mette a piangere, fa una malattia. Me lo ha tanto
raccomandato anche il suo dottore. «Bisogna evitarle non solo i
dispiaceri, ma persino la più piccola contrarietà».
(Stringendolo
sotto il braccio con effusione)
Cerchiamo, cerchiamo insieme. È così buona! Così
cara! Se fosse possibile trovare, in qualche modo, il giro... la
persona per poter indurre quel tanghero temerario dello Schiavino a
lasciarmi in pace.
Sua
Eccellenza (dopo
aver guardato fisso Giordano, stringendo le labbra e scrollando il
capo)
Impossibile! (Con
amarezza)
Si dice tanto male delle canaglie, eppure, quasi direi, in moltissime
circostanze speciali, un galantuomo è ancora la peggiore
disgrazia che ci possa capitare!
L’Albertoni
e Giordano Mari continuano in silenzio per un lungo tratto del Corso.
Sono assorti, rispettivamente, nei loro gravi pensieri. Tuttavia, il
tenero marito rivolge di tanto in tanto, con un sospiro,
un’esclamazione affettuosa verso la moglie, che cammina sempre
dinanzi, diritta e svelta, col suo passo ritmico, sicuro, risonante,
fra i due onorevoli che le fanno la corte; e lo zio ministro, pure di
tanto in tanto, lancia qualche occhiata d’investigazione al bel
profilo della nipote, così elegante, così prosperosa e
così slanciata. E appena Emma alza un po’ la veste, ne
ammira i bei piedini; e certe volte tra il voluttuoso fruscio delle
sete ne intravede — sono rapide, apparizioni — il primo
contorno, sottile e forte, di una gamba superba... capitolina.
Sua
Eccellenza (d’un
tratto, fermandosi di colpo e fissando Giordano che si ferma a sua
volta)
L’onorevole Cogoleto! Forse ho trovato l’uomo! il
colonnello Cogoleto. Uno dei Mille. Ha salvato la vita a Garibaldi.
Repubblicano, puro, ma non irragionevole. Perciò, ammaestrato
dalla conoscenza degli uomini, guidato dalla coscienza storica del
paese e anche per non perdere il collegio, ha votato ultimamente con
noi, che, se non altro, siamo personalmente e politicamente onesti. E
anche, come ingegno, tutt’altro che un Carneade! Col tempo, se
non un ministro, ne potremo fare un buon sotto-segretario.
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