IV.
Sul
Corso.
La
mattina dopo: è il secondo giorno che sono a Roma. Emma, già
vestita, già pronta per uscire, picchia all’uscio di suo
marito. A Roma, vita nuova e camera separata, per poter preparare la
seconda conferenza del ciclo sui Precursori della Rivoluzione.
La moglie ha il numero 31, il marito il numero 30. Le due camere
comunicano fra di loro ma Giordano, prudentemente, per essere sicuro
di non venir disturbato, mentre studia e lavora, gira la chiave.
Emma
(col
capo chino vicino all’uscio del numero 30)
Sei pronto?
Giordano.
Che cosa c’è? (Si
è appena alzato e non ha ancora finito di vestirsi).
Ho scritto sinora. Adesso mi vesto.
Emma
(tornando
a picchiare: con voce amorosissima)
Si può?
Giordano
(apre
il calamaio, sparpaglia qua e là sul tavolino alcune cartelle
manoscritte, poi va ad aprire)
Buon giorno, cara!
Emma
(buttandogli
le braccia al collo)
Finalmente!
Giordano.
Bada! Ho la barba bagnata. (Si
asciuga forte la faccia soffiando e poi comincia in fretta a
pettinarsi).
Emma.
La cravatta te la fo io. Vedrai come sono brava!
Giordano
(molto
dubitativo)
Vedremo. (Spinge
il collo verso Emma, tenendosi le due mani sui fianchi).
Emma,
nel fargli il nodo, cerca di avvicinarsi sempre di più, mentre
lui si sforza per rimaner sempre alla stessa distanza.
— Così!
Ecco fatto. (Lo
conduce dinanzi al grande specchio dell’armadio)
Guarda; non sono famosa?
Giordano.
Famosissima. Grazie.
Emma
(abbandonandosi
colla bella testolina ridente sul suo petto e ammirandosi nello
specchio)
E... (più
sottovoce)
non siamo anche molto belli e molto carini... così?
Giordano
(allontanandosi
per mettersi il gilet)
Bellissimi.
Emma
(fa
un sospiro un po’ comico: gira per la camera: si ferma dinanzi
alle cartelle)
Oh, tesoro! Quanto hai scritto! (Fa
per prendere una cartella).
Giordano
(vivamente)
Non si tocca!
Emma
ritira la mano spaventata.
— Guai
se io non trovo tutto al suo posto. Non mi ci... raccapezzo più!
Emma
continua a girare per la stanza con le mani incrociate dietro la
vita, canterellando a mezza voce e curiosando da per tutto, senza
toccar più niente; in fine, guardando ancora le cartelle:
— Hai
finito?
— Che
cosa?
— La
conferenza.
Giordano
(offeso)
Finito? La conferenza? Così, in due o tre orette? Come se si
trattasse di scrivere la lettera per il Natale alla mammina o al caro
papà?!
Emma
(rimane
mortificata: poi arrabbiandosi, perchè vede suo marito che
ritorna a sedersi alla scrivania)
Ma io devo uscire! Ho tante spese da fare. Devo passare dal
Marchesini per il mio anello.
Giordano.
Va pure. Ci ritroveremo qui, all’albergo, a mezzogiorno, per la
colazione. Devo uscire anch’io, ma per mio conto.
Emma
(vivamente)
Non si va fuori insieme?
Giordano.
Usciremo insieme più tardi. Faremo una bella scarrozzata.
Passeremo dal Colosseo, dalla tomba di Cecilia Metella.
Emma
(facendo
un po’ il musetto, comincia a levarsi il cappellino).
Giordano
(alzandosi
e sospirando in aria di vittima)
Perchè, mio Dio? Non ricominciamo coi capricci!
Emma.
Sola? Devo uscir sola?
Giordano.
Sicuro! Non avrai già la pretesa che io perda il mio tempo...
dentro e fuori le botteghe di Roma?
Emma
(timida,
supplichevole)
Sola? Vuoi che vada sola… a girare per Roma? Non sono mai
uscita sola, nemmeno a Milano.
— Credo
bene: eri ancora una ragazza. Ma adesso sei una donna maritata, e ci
vuol altro; devi abituarti.
Emma
(avvicinandosi
a suo marito, ridendo ed arrossendo)
— E se mi perdo? Se poi non mi troverai più... mai più?
Giordano
(con
quella gravità che esige la circostanza)
Devi abituarti, quando vai fuori, sola, a camminare diritta e svelta
par la tua strada, con quel bel contegno serio, composto, che impone
il rispetto. Se, per caso, incontri qualcuno di conoscenza, un cenno
breve del capo, e via, senza fermarsi. Regola generale. Una signora,
quando è sola, non deve fermarsi mai per la strada. Hai
capito? (Guarda
l’orologio)
Uscirò anch’io con te.
Emma
(battendo
le mani dall’allegrezza)
Bravo! Bravo! Come sei buono!
Giordano.
Ti accompagnerò (appoggiandosi
lui al suo braccio, sorridendo)
anzi, mi accompagnerai tu, fino da Aragno.
— È
lontano?
— Non
molto.
Emma.
Che peccato! E che cosa vai a fare da Aragno?
Giordano.
Sono aspettato dal deputato Cogoleto, che ti presenterò poi,
stasera, perchè verrà a pranzo con noi. Ha da chiedermi
un favore.
Emma.
Che favore?
Giordano
(sfoggiando
la sua grande superiorità)
Devi abituarti, essendo ancora molto giovane, a non domandare mai di
più di ciò che ti si dice.
Emma
(sbuffando
in modo così comico e così carino che fa sorridere
anche Giordano)
Io devo abituarmi — tu ti devi abituare... — Auf! Come
diventi... pedagogico!
Giordano.
Un uomo che sente altamente la delicatezza e il rispetto verso gli
altri, non può dir tutto, nemmeno a sua moglie. (Sempre
più teneramente, quanto più si avvicina verso l’uscio)
All’amata... all’adorata… alla dilettissima.
Emma
(fissando
suo marito cogli occhi diventati umidi, lucenti per l’improvvisa,
dolcissima commozione)
Perdono.
Giordano
(offrendole
il braccio)
Perdono? Di che?
Emma.
Sei così buono, così giusto, così grande.
Perdonami, se non posso arrivare fino a te. Fina a comprenderti
subito... sempre.
Giordano
(stringendole
la mano e baciandole i capelli)
Cara… andiamo!
Emma
è di nuovo felice: anche questa piccola nube è
dileguata. Il cielo si rasserena così presto a vent’anni!
Essa si appoggia mollemente al braccio di suo marito, e fa le scale;
esce dall’albergo, attraversa piazza Colonna e si avvia per il
Corso, chiacchierando, cinguettando, saltellando, allegra come
l’allodoletta che frulla trillando sotto il sole di Roma.
Emma.
È ancora distante, almeno, questo Aragno?
quel tuo… seccatore?
— No,
cara. Ci siamo.
— Vieni
ancora un pochino in giù. Sì! Sì! Sì!
Nino mio! Nino caro! Accompagnami soltanto fino dal Marchesini!
Giordano
Mari accompagnerebbe sua moglie volontieri. È tanto...
straordinariamente bella! Tutti si voltano per guardarla, per
ammirarla. Egli capisce che anche a Roma sua moglie gli farà
una grande rèclame. Guarda nel caffè Aragno:
c’è già quell’altro che lo aspetta,
leggendo il Don Chisciotte.
Giordano
(con
un sospiro: stringendo la mano ad Emma e guardandola con una di
quelle occhiate buone, tenerissime, che la trasportano tutta in
paradiso)
Non posso, cara, carina mia! Ma mi sbrigo in fretta; passerò
anche un momento al Ministero dallo zio, per sentire un po’ di
questa conferenza e, dopo, torno subito all’albergo.
Emma
(tenendolo
sempre per la mano)
Soltanto fino dal Marchesini?... Prego.
Giordano
(indicandole
in fondo alla prima sala del caffè un signore in tuba, magro,
alto, con un vecchio soprabito nero e due lunghissimi baffi verdi
appuntiti, stecchiti)
Ecco il mio uomo!
Emma.
L’onorevole Coco...
— No,
Co-co,
Co-go:
Cogoleto.
— Coco
o Cogo
è un noioso seccatore!
— Spicciati
anche tu col tuo Marchesini, colle tue spese, così faremo
colazione più presto.
Emma
(sottovoce:
fissandolo: sull’aria della
ninna-nanna) No, no; non torno più all’albergo! ...
Più!... Non mi troverai più! (andandosene)
Ciao
per sempre!
— Gioia!...
Cara!
Giordano
entra da Aragno ed Emma prosegue per il Corso.
Emma
(ricordandosi
gli insegnamenti di suo marito e camminando in fretta lungo il
marciapiedi con quel bel contegno che impone il rispetto: fra sè,
riepilogando tutto ciò che ha da fare)
Prima di tutto da Marchesini: da Marchesini per farmi stringere
l’anello del babbo — del mio babbo tanto buono. Poi? Poi
da Janetti per comperarmi un ombrellino….. se ne trovo uno
molto bello — se no, no. — Poi da Cagiati, per vedere un
piccolo servizio da thè per il viaggio. Il thè, da fare
in camera nostra, noi due! Il thè, che fa tanto bene al mio
Nino caro, quando è stanco, quando ha il dolor di capo, perchè
studia, perchè lavora troppo. Caro, caro, il mio Nino, caro!
(si
accorge che molti si voltano e che qualcuno anche si ferma per
guardarla)
Dio, Dio... come sono sfacciati qui, a Roma! (ripensando
alle sue spese)
Dunque? Alla farmacia Inglese e poi ho finito. Alla
farmacia Inglese devo prendere: Savons
de peau d’Espagne — Extrait de peau d’Espagne —
Eau de toilette de peau d’Espagne — Cipria
de
peau d’Espagne,
tutto à
la peau d’Espagne!
Un
giovinotto biondo, insaccato in un enorme paltò nocciuola,
rivolgendosi ad un lungo ufficialetto colla caramella:
— Che
splendore! Saperlotte!
L’ufficialetto
(cantando sottovoce: mentre tutti e due fanno ala al passaggio di
Emma:)
«Sei
tu dal ciel discesa
O
in ciel son io con te?...»
Emma
(tra
sè: diventata rossa rossa, entrando di furia dal Marchesini)
Come sono sfacciati!... E stupidi! (mentre
si leva il guanto per togliersi l’anello e darlo al
gioielliere, colla coda dell’occhio vede i due «stupidi»
che si
sono fermati, fingendo di guardare nella vetrina).
Emma
si fa provare e riprovare la misura per l’anello; si fa
mostrare delle perle, delle riproduzioni artistiche, romane,
pompeiane, un magnifico gioiello destinato alla principessa Elena;
compera una spilla americana con una piccola turchese — sono la
sua passione le turchesi! — ma i due «stupidi» non
se ne vanno! Emma allora si risolve; un po’ confusa, un po’
agitata, esce in fretta dal negozio, salutando col capo il
gioielliere ch’è corso innanzi per aprirle la vetratina,
e passa acciliata, furente, dinanzi ai due ostinati e ineducati
galanti, che quasi le sbarrano il passo, mentre, l’ufficialetto
poeta dalla caramella prende sotto il braccio il biondino dal paltò,
mormorando «Ancor più bella nell’ingiusto
sdegno!...»
Emma
li detesta, li odia. Cammina ancora più in fretta, ancora più
diritta, ancora più seria; pure, anche senza mai voltarsi,
senza vederli, indovina, sente che i due le tengono dietro.
Emma
(fra
sè)
Che gusto ci trovano a rendersi antipatici!... Se passando da Aragno,
vedo mio marito, lo chiamo. E allora voglio godermi la loro faccia!
(Ma quando
passa da Aragno, suo marito non c’è più, ed Emma
torna ad arrabiarsi)
No, no, no! Sola, a Roma, non voglio più uscire. Mai più!
Mai più! Ma dov’è questo Cagiati?.... Forse l’ho
lasciato indietro? (Si
ferma un attimo incerta, guardando i negozi innanzi e indietro).
Un
vecchiotto rotondo, con un gran barbone tinto e un catenone d’oro
a doppio giro, che la teneva d’occhio, le si avvicina subito,
di colpo:
— Madame!...
Pardon, madame...
Emma,
si volta, trasalendo, e il rotondo vecchiotto, inchinandosi,
levandosi il cappello e sfoggiando il grosso brillante del dito
mignolo, continua con un barbaro francese e un marcatissimo accento
veneto:
— Pardon,
Madame! Est-que vous cherchez quelque magasin?.... Quelque
fournisseur?... Je suis à vos ordres pour vous l’indiquer!
Emma
(turbata:
sorpresa)
Cagiati...
Quell’altro.
Cagiati?... Il chincagliere?... Voilà!
(le indica
un negozio un po’ più innanzi).
Emma.
Grazie! (e
voltandogli le spalle si avvia in fretta e in furia verso il negozio
indicatole).
Quell’altro
(correndole
dietro) È
facilissimo confondersi, quando si è forestieri; perchè
io scommetto che la signora non è di Roma.
Emma,
senza rispondere, entra da Cagiati; il vecchiotto si ferma fuori in
osservazione, e così, cogli altri due che arrivano... sono in
tre!
La
fierezza della giovane signora si rivolta ad una tale persecuzione;
essa si sente sdegnata, ma in un attimo ritrova tutta la sua
padronanza, la sua calma signorile.
Emma
(a
uno dei commessi del negozio, dopo aver scelto e preso il servizio
per il thè)
Mi faccia il favore di chiamarmi una carrozza e dica al cocchiere di
condurmi in via Condotti alla farmacia Inglese.
Emma
attraversa in un lampo il marciapiede e salta nella carruzzella,
mentre i due «stupidi» da lontano rimangono con un palma
di naso, e quell’altro, il tondo pancione, le fa una profonda
scappellata.
Giunta
alla farmacia Inglese, ordina al cocchiere, di aspettare, scende,
entra di volo nella bottega e ancora tutta ansante comincia le sue
ordinazioni: sei scatole di sapone, dodici boccettine di estratto,
sei bottiglie di acqua per toilette, sei scatole di cipria e
ancora e ancora — anche colla fretta ci prende gusto! —
tutto ciò che può avere à la peau d’Espagne.
Mentre
il commesso gira per il negozio colla lunga nota delle ordinazioni
per preparare il pacco, Emma, sempre un po’ in orgasmo, lancia
occhiate sospettose fuori dai cristalli della bottega.
Emma
(dopo
aver battuto col piedino per terra nervosamente, irritata dalla
flemma del farmacista)
Può far presto, non è vero?
Il
commesso (con
comodo)
Se mi vuol lasciare l’indirizzo, le manderò tutto
all’albergo.
Emma.
Sì, sì; va bene: albergo Milano. (Poi,
come per vendicarsi e per rinfacciare ai suoi persecutori la loro
sfacciataggine, invece del suo, lascia l’indirizzo di Giordano)
Giordano Mari: hôtel
Milano, numero 30 o 31. E mandi insieme anche il conto (più
forte, ben chiaro)
a mio marito.
Uscita
dalla farmacia, la «signora Mari» salta di nuovo in
carrozza. Non ha girato nè la testa, nè gli occhi, ma
ha già visto in un attimo, di su e di giù, per tutta
via Condotti, che «quegli altri» non ci sono.
Emma
(al
cocchiere)
Albergo Milano. Ma non passare dal Corso!
Anche
in carrozza tutti la guardano, tutti si voltano; è
un’oppressione, il suo piedino non può star fermo; si
agita, batte sotto il piccolo sedile, ancora più irritato,
ancora più nervoso.
— Che
rabbia! Che rabbia! Che dispetto!
Ha
sempre timore di veder comparire quei «due stupidi» e
quell’otre rigonfio, dipinto e indorato.
— Dio,
Dio! Come sono sfacciati qui a Roma! Sfacciati e sconvenienti!
Eccoli! Eccoli!... Tutti e tre! (Forte:
al cocchiere)
Ti ho detto di non passare per il Corso!
Il
cocchiere (senza
voltarsi).
Lo attraversiamo soltanto.
Emma.
Fa presto! Albergo Milano!
— Sissignora,
non dubiti. Ho capito!
Ma
intanto, i «due stupidi» si fermano sorridendo,
fissandola:
— Pulcherrima
Dea! — esclama l’ufficiale. E un poco discosto, l’otre
dipinto che fa una nuova e ancora più profonda scappellata. E
tutti gli altri che continuano a voltarsi, a fermarsi, lanciandole
addosso occhiate lunghe, cupide, villane? Emma arrossisce, abbassando
il capo. Certe volte le pare di sentirsi frugare, di sentirsi
svestire da quelle occhiate odiose.
— Auf!
Che bile! Che bile! Che rabbia! Che dispetto!
È
un’impressione di avvilimento, è un senso di disgusto
che rivolta le sue fibre più intime, tutto ciò che c’è
in lei di delicato, di sensibile, di vivo, di vibrante. Emma ne
soffre: ne soffre nel suo pudore e nel suo cuore; ne soffre la donna
e ne soffre l’innamorata.
— Non
sanno, non capiscono, non vedono questi Romani che io sono una donna
onesta e che appartengo ad un marito? Sì! Sì! Sua,
soltanto sua, del mio Giordano, tutta sua. Sfacciati! Antipatici! Mio
marito soltanto ha diritto di guardarmi! Lui sì, lo voglio!
Sempre! Come lo amo! Quanto lo amo! Ancora di più! Sempre di
più!
E
in quel momento, in quell’orgasmo, in mezzo al dispetto, in
mezzo alla collera, pensa a Giordano, a «suo marito»,
come ad una liberazione. Lo ama, lo ama appassionatamente, con tutto
l’ardore e con tutto l’entusiasmo dell’animo e
insieme con un senso di timore stranissimo. Potrà ancora
trovarsi con lui, sola con lui, senza più vedere quelle facce,
quegli occhi intenti, fissi, bramosi?
Emma
(al
cocchiere)
Fa presto.
— Sissignora.
Che
fretta di rivederlo!... di correre, di buttarsi nelle sue braccia!...
E che bisogno di dirgli tutto!
Finchè
non ha detto tutto a suo marito, avrà sempre addosso, nei
nervi e nel sangue, le occhiate, i sorrisi, le facce di quegli
uomini. Ha bisogno di dirgli tutto, di dir tutto «al suo amore»
per sentirsi sollevata, come purificata. Ha bisogno di essere
guardata dai suoi occhi buoni, di vedersi desiderata dai suoi occhi
cari, per sentirsi ancora interamente sua, solamente sua come
prima...
E
un bacio? Che bisogno di un bacio da quella bocca adorata, così
bella e così dolce!
Emma
(smontata
di carrozza: al portiere dell’albergo)
Mio marito
è ritornato?
Il
portiere.
Non ancora. Ci deve essere una lettera per il signor commendatore.
(Va a
prenderla, dov’era già appesa, al quadro dei forestieri,
e la consegna ad Emma).
Emma.
Appena viene mio
marito,
non mi cerchi al restaurant;
sono di sopra. E pagate la carrozza!
Alcuni
viaggiatori, ch’erano sul portone aspettando l’omnibus
rientrano sotto l’atrio dell’albergo per vedere più
d’appresso la bella milanese. Emma comincia a salir le scale e
vede che si avvicinano guardando in su: allora fa di volo i gradini e
col fru-fru delle sue vesti sembra quasi un uccelletto che
fugga spaurito, sbattendo l’ali.
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