V.
All’albergo.
Giordano
Mari, che si è fatto aspettare fin quasi al tocco, trova Emma
buttata sul canapè, tutta in lacrime.
Giordano
(senza
molto spaventarsi)
Che è successo?
— Non
sei venuto più. Ti aspettavo tanto tanto, e non sei venuto
più.
— Non
sono venuto? Eccomi.
— Adesso!
Così tardi!
— Spero
almeno, che avrai avuto abbastanza giudizio per far colazione.
Emma
è in collera; risponde appena con una alzata di spalle.
Giordano.
Io non ho potuto esimermi. Ho dovuto, per forza, far colazione da
Doney coll’onorevole Cogoleto: mi ha invitato; ha molto
insistito. (Rivolgendosi
a sua moglie, la testa alta, sporgendo il petto, coll’autorevole
maestà dell’uomo d’ordine e di consiglio)
Tu, cara, devi abituarti a non aspettarmi, quando vedi che si fa
troppo tardi.
Emma.
Impossibile.
— Come
impossibile? Questa è una parola, per esempio, che io non
voglio mai sentire. Per me, a questo mondo, non c’è mai
stato nulla d’impossibile.
Emma
(ostinandosi)
Impossibile! Impossibilissimo.
Giordano
(colla
voce leggermente alterata)
Ti prego: bisogna abituarsi a riflettere. Non sono libero! Ho i miei
studi, il mio lavoro, i miei impegni; non posso essere tutto il santo
giorno a tua disposizione, perchè io... potresti anche
generosamente risparmiarmi l’amarezza di dovertelo ricordare,
io non sono ricco.
Emma
(con
effusione, con trasporto, per farsi capire, per giustificarsi)
Impossibile! Ho detto impossibile perchè io non posso stare
senza di te! Non voglio più uscire senza di te!
Giordano
(osservandola)
Ma in fine, che hai?
Emma
(balbettando)
Dio mio! Dio mio! Perchè sei tornato tanto tardi e sei tornato
tanto cattivo, tanto cattivo, proprio oggi? (Lo
guarda, lo fissa esitante: ad un tratto gli si butta al collo
stringendolo quasi disperatamente, sussultando, tremando, scoppiando
in lacrime).
Giordano
(con
quella dolcezza forzata, stentata, che nasconde la stizza incipiente)
Ma, insomma, cara, che cos’è successo di nuovo? (La
guarda: le dà un bacio sui capelli, poi fa per allontanarla).
Emma.
No! No! Qui! Lasciami qui, sempre qui.
Fra
quelle braccia, alla tenera effusione, al dolce calore, colla testina
appoggiata al petto di Giordano, ascoltandone tutti i battiti del
cuore, Emma si sente riavere, si calma a poco a poco, si consola.
Giordano
(alzandole
il capo)
Dunque?
Arrossendo,
con un sorriso negli occhi furbetti che spunta ancora fra le lacrime,
essa gli racconta le sue avventure della mattinata, le sue emozioni,
la sua fuga in carrozza.
Giordano
(con
gravità)
Questo succede, cara, perchè voialtre donne siete tutte un po’
matte. Per piacere, per far colpo, buttate via tutto il vostro tempo
e un monte di quattrini nei cappellini più strani e che dànno
più all’occhio, nelle vesti più vistose, più
appariscenti; state un’ora ad acconciarvi allo specchio prima
di uscire, per far colpo, per far girar la testa a tutti gli uomini,
e poi, quando finalmente ci siete riuscite a farveli correr dietro,
vi spaventate.
Emma
(colpita,
mortificata, offesa)
Ma io...
Giordano.
Anche tu, quando vai fuori, cerca di vestirti con più
semplicità, con più serietà e allora vedrai che
la gente non ti correrà dietro.
Emma.
Ma io mi vesto per te! soltanto per te! Non voglio piacere che a te!
Giordano
(sorridendo
ironicamente)
Già; la solita storia, per noi poveri mariti. Sai benissimo
che per piacere a me non hai bisogno di grandi abbigliamenti! Tanto
più mi piaci quanto più sei semplice. Per piacere
soltanto a me non ci sarebbe bisogno di viaggiare con dodici bauli,
come una compagnia comica.
Emma
è diventata pallidissima: ma non piange più. Lo fissa
un istante maravigliata, stupita; poi gli volta le spalle con un moto
di collera, e va a guardare dalla finestra, appoggiando la fronte sui
vetri chiusi.
Giordano
(le
dà un’occhiata di traverso, e dopo un’alzata di
spalle, comincia a passeggiare in su e giù per la stanza: fra
sè)
Ci vuol altro con quella lì! Per tenerla allegra bisognerebbe
continuare tutto il giorno a fare all’amore!
Giordano
Mari, invece, ha mangiato male, ha forse bevuto più del solito
col Cogoleto, nel calore del discorso, nell’enfasi della
commozione, ed è tornato all’albergo di pessimo umore.
Non è stato invitato, come ha detto a sua moglie, ma ha finito
per invitare lui stesso il colonnello a colazione.
Col
direttore del Popolo — il Cogoleto glielo ho detto
subito — non c’è niente da poter sperare, nè
dalle lusinghe, nè, tanto meno, dalle minacce. Non ha bisogni,
non ha desideri e per ciò fa pompa d’incorruttibilità;
è testardo come un mulo, ma nel fondo non è cattivo.
Cattivo no; è sempre in buona fede anche quando fa il male. È
un vecchio fanciullo, che morde qualche volta, ma appunto perchè
è rimasto fanciullo, si è conservato un ingenuo. Voi
non siete andato in cerca di un ricco matrimonio? Voi siete stato
quasi costretto a sposare la signorina Dionisy; avete ceduto alle
preghiere dei parenti per un sentimento gentile di pietà, di
compassione? Ebbene, tutto ciò, perchè non lo dite voi
stesso allo Schiavino? Per parte mia non c’è altro da
fare: bisogna tentare il colpo di sorprenderlo, di commuoverlo, colla
verità.
E
così è stato convenuto. L’onorevole Cogoleto ha
scritto la lettera di presentazione e Giordano Mari deve recarsi, la
sera stessa, in cerca di Pietro Schiavino alla Direzione del Popolo.
Il
passo è grave, è rischioso. Il pensiero di
quell’incontro, di quel colloquio, lo agita, lo rende nervoso.
C’è
anche il pericolo di venire alle mani!
E
continua, continua a passeggiare sempre su e giù per la
stanza: torna a guardare sua moglie alla sfuggita: Emma è
sempre alla finestra colla fronte appoggiata ai vetri.
— Anche
lo zio! — Giordano non è arrabbiato soltanto per quel
rospo dello Schiavino, ma ha preso la mosca anche per suo zio. È
stato due volte al Ministero senza poter mai aver l’onore di
essere ricevuto. Sua Eccellenza gli ha fatto dire di aver mandato una
lettera all’albergo, e all’albergo il segretario, perchè
il portiere era uscito un momento, gli ha risposto — Niente per
il signor commendatore!... Nessuna lettera; e così, della
conferenza, che è lo scopo del suo viaggio a Roma, ne sa meno
di prima. Nè quando si farà, nè dove, nè
se interverrà la Regina, nè se potrà aver il
tempo di prepararsi; niente!
Giordano
Mari (fermandosi
su due piedi: forte, rivolgendosi ad Emma)
Ma... e dunque? Vuoi fare colazione sì o no?
Emma
(senza
voltarsi, colla voce un po’ roca)
Non ho fame.
Giordano
(si
avvicina a un tratto al campanello e lo sona a lungo, con forza).
Emma
(sempre
dalla finestra)
Ho detto che non ho fame.
Giordano.
Se non hai fame fai benissimo a non mangiare. Pranzeremo più
presto; quando vuoi. Avrai mangiato come al solito, appena alzata,
caffè e latte, burro, miele, biscotti!
Emma
(col
muso) Ho
mangiato moltissimo.
Giordano.
So anch’io che non puoi aver fame! Qui ti alzi troppo tardi e
non siamo all’Argentera.
Emma.
Allora perchè hai sonato?
Si
sente bussare all’uscio.
Giordano.
Avanti.
Entra
il cameriere: Emma si tiene nascosta fra i cortinaggi della finestra.
Giordano
(al
cameriere)
E così? Questo portiere? c’è o non c’è?
— È
tornato adesso. Ha detto che è arrivata una lettera, per lei,
questa mattina, e che l’ha consegnata alla signora.
Giordano
(chiamando
forte, mentre il cameriere esce in punta di piedi e chiude l’uscio)
Emma!
Emma
(accigliata,
col viso pallido, stravolto, si presenta senta avvicinarsi, rimanendo
nel vano della finestra).
Giordano.
Dov’è questa lettera?
Emma.
Devo averla messa lì, in qualche posto, sul tavolino o sulla
scrivania.
Giordano
(fuori
di sè)
Non sai nemmeno? Non sai dove metti le lettere che mi devi
consegnare? (Cercando
dappertutto, frugando persino, sgarbatamente, nelle tasche della
giacchettina di Emma che trova sopra una seggiola).
E un’altra volta, per tua regola, per tua norma, cacciatelo
bene in testa, le mie lettere si lasciano dal portiere! Le mie
lettere non si devono toccare! Ma, viva Dio, io non ti capisco! Tu
diventi tutti i giorni più... Ah! Eccola! (Trova
la lettera sulla toeletta, sotto il cappellino di Emma).
Emma
(con
impeto, avanzandosi)
Più che cosa? Divento tutti i giorni che cosa?
Giordano
(butta
il cappellino sul canapè: apre e legge la lettera).
Emma
(afferrandogli
un braccio: scotendolo)
Più che cosa? Rispondi. Hai detto che divento tutti i giorni
più?... Devi dirlo! Oh, ma devi dirlo, rispondi: più...
che cosa?
Giordano
(mentre
legge, la sua faccia cambia a vista d’occhio: diventa
raggiante: con un grido di gioia)
La Regina! Ha accettato! Interverrà la regina! L’avrò
alla mia conferenza. Me lo ha scritto lo zio! Senti! (circondando
Emma con un braccio, stringendosela e tirandosela vicina sul petto,
per leggerle la lettera).
Emma
(sciogliendosi
vivamente)
No! no! Devi dirlo! Devi rispondere! Tutti i giorni divento più?...
più?...
Giordano
(distrattamente,
tanto per calmarla)
Più cara; tutti i giorni più cara. Senti, carina mia!
(Ricominciando
da capo la lettera che non aveva ancora finito di leggere)
«Darai la bella notizia alla nostra Emma per la prima ed a mio
nome; Sua Maestà, la nostra graziosa e benamata Regina, ci
farà l’altissimo onore di assistere alla tua prossima
conferenza. Fisseremo il giorno e l’ora più opportuna di
comune accordo; «ma, intanto, regolati che bisognerà far
presto; il più presto possibile. Se devi prepararti, potremo
fissarla per sabato o per domenica, ma non più tardi
certamente, perchè Sua Maestà parte per Napoli ai
primissimi della settimana ventura, e vi si fermerà, almeno si
crede, parecchio tempo.
«Dirai
alla mia formosissima e preclara nipotina che oggi, pur troppo, sono
occupatissimo, ma che, per non aver da rimpiangere tutto un giorno
perduto, verrò a prenderla questa sera alle nove per condurla
al Costanzi: — Cavalleria Rusticana, for ever!
«E
a te, mio caro… la solita raccomandazione: dalle fiorite
pagine
Sperdi
ogni ria parola!
«Io
non ti farò la predica, come il conte zio o don Ferrante, ma
solo ti dirò, col frutto della mia esperienza, che per
arrivare lontano, e per salire in alto, bisogna sempre andare adagio,
molto adagio... anche colla filosofia!»
Giordano
(con
aria preoccupata)
Sabato o domenica al più tardi? Oggi che giorno è?
Emma.
Mercoledì.
Giordano
(facendo
il conto sulle dita)
Mercoledì, giovedì, venerdì, sabato... quattro
giorni!
Emma.
Anzi tre, perché oggi non conta.
— Brava!
Domando io se in tre giorni si può preparare una conferenza!
Emma
(rasserenandosi
a poco a poco e dimenticando il proprio risentimento, ansiosa e
inquieta per il buon nome e la fama di suo marito)
Assolutamente, ricordati; se non ti senti, se non sei ben sicuro, se
ti manca il tempo necessario, rispondi di no. Lo zio, sai, lo zio...
anche per altri indizi mi pare inscemito;
o gli è montato il portafoglio alla testa. «Salire in
alto!» Ma che! Tu non hai bisogno di salire in alto: ci sei!
Tu... sei tu, e basta. E mi pare che lo zio non l’abbia ancora
capito. A Roma! Appunto! Siamo a Roma e non si scherza. Come hai
sempre detto benissimo, Roma è il centro più importante
oltrechè politico anche intellettuale, e di tutto il resto.
Dunque pensaci bene: prima o dopo non importa, ma devono restar tutti
a bocca aperta, dinanzi a te, come a Milano.
— Come
a Milano, a Bologna, a Napoli.
Emma.
Sì! Sì. Come da per tutto!
Giordano
accarezza leggermente le guance, i capelli di Emma, scherza tirandole
un po’ il nasino, allungandole i ricciolini della fronte, ma,
intanto, sta pensando, combinando il suo piano e l’idea gli
sorride. Colla scusa della ristrettezza del tempo e tirando in ballo
un po’ le convenienze, un po’ la volontà dello zio
Albertoni, forse forse, invece di dover mettersi a fare, così
stanco e svogliato, tutto il gran lavoro della seconda conferenza del
ciclo, potrebbe finire anche a Roma col cavarsela bene, ripetendo la
prima. Certamente bisognerebbe cambiare l’esordio e la chiusa:
tagliare qua e là; sopprimere la frase di Voltaire che
disinventa Dio.
Giordano
(ergendosi
solenne e maestoso, e con quella sicurezza di sè che fa
brillare gli occhi di Emma perchè s’illude quasi di
essere ancora in via San Paolo durante il loro primissimo colloquio)
Giovedì, venerdì e sabato: tre giorni. Sono corti e
sono lunghi, secondo; l’uomo, cara mia, quando vuole, fa ciò
che vuole. Se abbiamo inventato e creato Dio, lo abbiamo fatto
apposta... per fare insieme dei grandi miracoli!
Emma
(non
ha capito bene, ma è stretta fra le sue braccia: lo vede così
alto, le sembra così grande: si sente piccola piccola, al suo
confronto; si sente umile. Essa lo guarda in estasi, beata: e
alzandosi sulla punta dei piedi e coi ditini bianchi, inanellati,
scintillanti, sollevandogli i baffi, gli bacia quella bocca adorata,
che sa dire tante belle cose con un suono di voce così tenero,
così armonioso che la rapisce, la incanta, la commuove
deliziosamente. Dopo un momento: tenendosi ancora stretta, appesa al
suo collo)
Poco fa... volevi dire che divento tutti i giorni più
noiosa... non è vero?
Giordano.
No; ma no. Non parlarmene più o mi torna la luna.
— Mi
hai perdonato? Per la lettera?
— Non
ero arrabbiato con te. Ero seccato, un poco, per tuo zio che mi aveva
fatto andare due volte inutilmente, su e giù, sino al
Ministero; ed ero poi seccato moltissimo per aver dovuto far
colazione con quel fanfarone del Cogoleto... senza la mia Emma buona,
cara. Senza la mia gioia bella.
Emma
(colle
lacrime, che le corrono subito agli occhi, pieni di amore e di
riconoscenza)
Quanto sei buono! E come hai sempre sempre ragione tu. Nino! Mio!
Caro!
Giordano
(a
sua volta: nobile e generoso)
Mi hai perdonato?
— Io
sì; e te?
— Tutto!
E per oggi, riposo. Non voglio più lavorare. Voglio
dimenticarmi, persino, di quella maledetta conferenza.
Emma
(alzando
la manina minacciosa, e contando colle dita e con un certo fare
maliziosetto e molto birichino i giorni della settimana)
Giovedì... Venerdì... Sabato...
Giordano
(prendendole
la mano, serrandola stretta nella sua e baciandola)
Ma oggi è mercoledì! Oggi non conta! Si va fuori! Si fa
una bella scarrozzata, come a Napoli, fino all’ora del pranzo!
Emma
(ridendo)
Io, veramente, andrei a pranzo prima, e farei dopo la bella
scarrozzata.
— Ma
sicuro, povera piccola! Non hai fatto ancora colazione!
— Quando
sono felice, ho subito fame; e adesso... ho moltissima fame!
Giordano
suona al cameriere; ordina la colazione. Intanto Emma si accomoda un
po’ i capelli, che sono troppi e sempre spettinati, e si mette
il cappellino.
Giordano
(mentre
si spazzola gli abiti e si liscia i baffi e la barba, torna a pensare
all’incontro di quella sera; alla sua presentazione, alla sua
visita al direttore del Popolo: dopo un momento, ad Emma)
Dunque siamo intesi: oggi, tutta la giornata è nostra.
— E...
Cogoleto?
— Nostra,
fino all’ora di pranzo. Poi, dopo, stasera, mi prometti di
essere ragionevole. Non vorrai condannarmi alla Cavalleria
Rusticana
a vita. Vai sola, collo zio, al Costanzi. Io, intanto, lavoro un paio
d’orette, e sul tardi vengo a prenderti.
Emma
(è
pochissimo soddisfatta di quel progetto, ma vi si rassegna temendo
l’umore di suo marito così variabile)
Sì, sì Nino; sarò ragionevole. Ma per altro...
volevo sempre dirtelo e poi... ho aspettato che tu fossi di buon
umore, per riderne insieme. Lo zio, sai, è... molto cambiato.
Diventa un po’... strano.
Giordano
(inquieto)
Ti sembra meno premuroso? Meno affettuoso?
— No,
no, anzi! (fissandolo
sorridendo)
Tuttaltro!
Giordano
(rasserenandosi)
Non ci devi badare; e non gli devi credere. È l’epoca!....
È la scuola vecchia del giulebbe romantico-sentimentale a cui
appartiene!
Emma.
Invece... proprio no. Fa certi discorsi... alle volte anche certi
scherzi...
Giordano
(ridendo)
Oh! oh! Avresti dunque ragione tu? Diventato ministro, è
diventato anche... Richelieu?
Emma
(esitando)
Ieri sera... dopo pranzo... tu eri uscito… eri andato innanzi.
Nell’aiutarmi a mettere la mantellina, mi ha dato un bacio…
(arrossendo
e indicando col dito un piccolissimo neo fra i ricciolini della nuca)
proprio qui.
Giordano.
E tu?
Emma
(con
un brivido, nervosa)
Mi son voltata di colpo: gli ho data un’occhiata.... Deve aver
capito, perchè è diventato pallidissimo.
Giordano
(conciliativo)
È tuo zio. Ti ha sempre baciata da che sei al mondo!
— In
una maniera ben diversa! E non mai sola! E poi bisogna sentire tutte
le... sciocchezze che mi dice!
— Ecco,
sciocchezze! Hai detta la parola giusta. Lo hai messo a posto? hai
fatto benissimo e devi sempre regolarti così. Ma devi
persuaderti che... appunto, sono sciocchezze. E non ci devi più
nemmeno pensare, per non turbare la profonda onestà della tua
coscienza e per non correre il rischio di creare inimicizie... in
famiglia. La donna di spirito e di tatto deve appunto sapersi
difendere, deve sapere tener la gente a posto, ma senza bisogno di
far musi, senza ostentazioni, senza esagerazioni. Gli hai data la sua
opportuna e necessaria lezioncina? Gliel’hai fatta capire? L’ha
capita? Brava: allora basta. È un incidente che dev’essere
dimenticato da tutti e due, anzi, da tutti e tre, perchè
c’entro anch’io, la mia parte. Del resto, credi pure: gli
uomini, certe volte, commettono... sciocchezze, perchè se ne
credono in obbligo. Se per caso si trovano soli, con una donna,
subito sentono il dovere di spiattellarle una brava dichiarazione, di
farle il galante. È una regola dell’etichetta. E tu,
cara, devi abituarti.
Emma
(interrompendolo:
congiungendo le palme in atto supplichevole)
No! No! No! Ti prego, ti supplico! Farò tutto ciò che
vorrai, ma senza abituarmi!
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