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Gerolamo Rovetta
L'idolo

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  • PARTE SECONDA
    • XI.   Al caffè Cova.
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XI.

 

Al caffè Cova.

 

Subito dopo il passaggio da Roma dell’editore Amodei per «trattare» la seconda edizione del Sant’Ambrogio, arriva da Parigi monsieur de La Roche per acquistarne la traduzione francese; poi il dottor Ueberbacher del Pester Lloyd per pubblicarlo in tedesco e in ungherese; poi un collega professore dell’Università di Upsala, poi un agente della «New Yorks Editors Society»; poi una cognata dell’Ibsen, parente pure del Björnson... insomma, tutto un gran da fare per Giordano Mari. Emma, convinta ormai che il giorno da lei tanto desiderato e implorato, per scappare con suo marito a Frascati o a Tivoli, non sarebbe mai venuto, e ristucca delle furie del Cogoleto e dei dolciumi dello zio, perde a un tratto la pazienza e decide, su due piedi, di scappar sola all’Argentera:

Io me ne vedo! Proprio, proprio! Sono stufa, troppo stufa!... Io me ne vado.

Giordano Mari alza gli occhi al cielo, sospira e acconsente:

Sopra tutto io non sono un egoista. Non voglio tenerti a Roma, sacrificarti, povera piccola, mentre lavoro... e il lavoro, come sai, è la dura eppur cara necessità della mia vita. E adesso devo lavorare ancora di più (baciandola teneramente), angelo mio; devo lavorare per... lui. Va, gioia; va pure all’Argentera; ma ti supplico, per amor del cielo, riguardati dal freddo. Dopo domani terrò la mia conferenza Sant’Ambrogio e Marcellina, poi a Bologna due giorni e poi di corsa all’Argentera, al ben meritato riposo, e al dolcissimo premio! Dirai al fattore di provvedermi un bravo cane da caccia. Ho bisogno di sgranchire le gambe — sempre al tavolino!... È un gran dolore vederti partire; restar solo. Mah! È la lotta per la vita. In premio dammi un bacio.... (Emma, distratta, lo bacia sulla barba) No, no angelo mio, uno dei tuoi baci. E dimmi che lo comprendi il mio sacrificio, e che io sono... molto buono! (Si commuove per la dolcezza della propria voce e scappa subito sul Corso perchè non può resistere a veder sua moglie e la Carolina a preparare le valige).

Emma si ferma a Milano appena una mezza giornata; vuole abbracciare il babbo, venuto apposta per vederla, da Brenzonino, la villa dei Dionisy in Brianza.

Anche la mamma desidera fare un’improvvisata alla figliuola; anzi, ha già dato tutti gli ordini e le disposizioni per la carrozza ben chiusa e per una mezza farmacia. Sono già pronte le pellicce, gli scialli, i cuscini, i guancialetti e persino l’acqua per lo scaldapiedi; ma poi, sul punto di montare in carrozza, cascante di forze e di vezzi e già imbaccucata fra i veli come un’apparizione turca, guarda il tempo.... — Che ne dici, Venceslao? — Il tempo le sembra un po’ incerto; lo strapazzo, cui potrebbe andare incontro, la spaventa.

Che ne dici, Venceslao?... Che mi consigli di fare? Io, dopo, non voglio accuse, processi. — Dio mio!... Non voglio colpe!... Non voglio sentirmi sgridare da te, dal dottore.

Il cavalier Venceslao, sempre serio, grave, contegnoso, guarda il tempo anche lui da tutte le parti, ma non risponde, non apre bocca... e la signora Letizia manda un monte di baci alla figliuola e rimane desolata a Brenzonino, a gemere, a lamentarsi con una boccetta di Lavender Salts sotto il naso, e a farsi compiangere dall’arciprete, per i rigori eccessivi, tirannici, di suo marito e del dottore.

Non mi è più permesso nemmeno di abbracciare la mia figliuola!

 

 

Alla stazione di Milano:

Il cavalier Venceslao (prendendosi Emma fra le braccia, mentre scende dal predellino del coupè e tenendosela stretta contro il petto) Dunque? Sei sicura?

Emma. Sì! E la mamma?

Venceslao. Ti aspetta a Brenzonino, più presto che puoi! È tanto contenta anche la mamma!... Voleva venire a Milano con me, ad ogni costo; ma sono stato io a non volere, a impormi. Il dottore le ha proibito assolutissimamente di pigliar freddo.

Emma. E il dottore? Il mio buon dottore? Dov’è?

Venceslao. Verrà forse domani a trovarti all’Argentera. È partito, al solito, per Val d’Olona. Carlo sta sempre poco bene.

Oh Carlo! Carlo! Povero Carlo! — Emma aveva ancora dimenticato. — Ma come sta? È proprio molto ammalato? Non c’è pericolo, per altro? Non c’è pericolo?

Il cavalier Venceslao scrolla tristamente il capo avvolgendosi il collo nel foulard bianco e aggiustandosi con un colpo di mano le larghe tese del grande cappellone di feltro nero:

Pericolo no; almeno per ora.

Vinto il primo momento di emozione, il cavalier Venceslao è ritornato, in mezzo al via vai della stazione e della gente che si volta a guardarlo, molto serio, molto contegnoso. Aspetta diritto, immobile, che Emma abbia finito di dare gli ordini e le indicazioni necessarie alla Carolina, poi le offre il braccio per condurla alla carrozza.

Emma (appoggiandosi al braccio del babbo: affettuosa, carezzevole, felice di rivederlo) Eccomi! Son qui!... Sono ancora qui! La tua Emma!

Venceslao (dopo aver fatto salire Emma in carrozza) Dove andiamo a far colazione? Al Cova?

Emma. Sì, sì, Come vuoi! Andiamo al Cova!

Al Covaripete il signor Dionisy al cocchiere e montando accanto alla figliuola, pur sorridendo affabilmente a chi lo sta osservando, cerca di rimaner nascosto il più possibile nel fondo del landò.

Alla Porretta, mentre egli andava o veniva da Montecatini, i viaggiatori di un altro treno di passaggio, scambiatolo per Verdi, gli avevano fatto una simpatica dimostrazione. Il cavalier Venceslao ne è rimasto commosso, ma ormai per la sua delicata modestia, deve imporsi, pure con una certa soddisfazione, i maggiori riguardi.

 

 

Al Cova, nel piccolo stanzino appartato, in fondo al caffè: i primi che si presentano alla signora Emma (sanno ormai tutti, a Milano, che vi sarebbe stata di passaggio) sono il nobile Barbarani e Guido Bardi. Emma, dimenticando le ingiunzioni del marito, si affretta a chiedere al giovane poeta le notizie di Fanny:

È tornata a Milano?

Guido Bardi diventa rosso come un pomodoro e si ficca la lente nell’occhio tanto per far l’inglese, mentre il Barbarani lancia un rapido sorrisetto a Venceslao.

Emma. È tornata a Milano, o è ancora sul lago?

Guido Bardi (un po’ rauco) È andata... A Montecarlo.

A Montecarlo? Come? — esclama Emma stupita, non perchè la Fanny vi sia andata, ma perchè il giovane poeta è rimasto a Milano. — A Montecarlo?

Il cavalier Venceslao, per distrarla e per cambiar discorso, le mette dinanzi la lista delle vivande:

Guarda Emma, che cosa vuoi ordinare?

Barbarani (pure per cambiar discorso) Sicchè, dunque, benissim! Di trionfo in trionfo il nostro Mari? Son proprio content!

Venceslao afferma e approva coi cenni del capo, mentre Guido Bardi, confuso dalle domande di Emma, s’è messo in un serio impiccio: ha la lente non ben ferma nell’occhio e tiene in mano un calice colmo di Madera, rimanendo immobile e muto fra due timori: quello di versare il liquido e quello di lasciar cadere la lente.

Barbarani. Io già, del resto, anche prima, ne ero più che sicurissim! Il Sant’Ambrogio sarà un gran capolavoro! L’ho sempre detto e adesso ho la soddisfazione, la compiacenza di essere stato buon profeta. In fatti, un entusiasmo generale. Anche tutti i giornali, per quanto io non dia nessunissima importanza ai giornali — tutt’altro — (si arrabbia, perde la voce: tossisce)... Ma quando, insomma, sono unanimi nel dover constatare, in certo modo, la verità per forza, è un bel vanto! E il nostro Mari l’ha meritato! Bravo! È un gran libro! Stupendo! Indovinatissim! E interessantissim! L’ho comperato anch’io, certo! Sono stato il primo. E me lo tengo , gelosamente custodito sul tavolino accanto al letto. Sono smaniosissimo di leggerlo; ma,.. col Sant’Ambrogio non si scherza! Adesso ho l’approvazione del bilancio, l’assemblea generale al Circolo artistico-letterario! Voglio gustarmelo adagio, adagio, un po’ per giorno, con tutti i sette sentimenti! — È un gran capolavoro. Anzi, benissim, più ancora di un capolavoro, e il nostro Bardi, col suo buon gusto sintetici... sintetichissimo, lo ha definito egregiamente: è un’opera... capitale!

Guido Bardi (correggendolo) È un’opera madre! (si risolve a un tratto; beve di colpo, ma la lente gli cade proprio nel bicchierino e spande tutto il liquido).

Barbarani. Un’opera madre! Ecco la parola giusta! A proposit (abbassando la voce e premendo affettuosamente sopra una mano di Emma che ha già capito e arrossisce, pur continuando a mangiare di lena) Posso dunque congratularmi? Tanto più che, in certo modo, e per quanto, pur troppo, indirettamente, posso vantarmi di averci contribuito anch’io!... Benissim! (ancora più sottovoce e continuando a premerle la mano) Bravo come il papà e bel come la mammina!... Mi raccomando!

Emma (rossa rossa, servendosi di un secondo tournedos con tartufi e rivolgendosi al Bardi per nascondere quel pochino di confusione) E lei? Lavora sempre, speriamo? Che cosa ci prepara di nuovo?

Guido Bardi (come un piccolo Domineddio che si riposa dopo il sesto giorno) Niente.

Emma. Niente? Che peccato!

Il cavalier Venceslao. Il vero artista è quando non fa niente che lavora di più,

Barbarani. È la mente, in certo qual modo, che continua a fantasticare.

Emma. E la sua novella? È comparsa nella Revue Parisienne?

Guido Bardi (parlando colla bocca tonda per tener su la lente che si è rimessa nell’occhio) L’ho passata al Figaro. Paga di più.

Barbarani. Benissim! Quando si può, bisogna imporsi! (dando un balzo improvviso sulla seggiola) E della gran novità, signora Emma?... Che cosa ne dice?

Emma (tenendo alzato fra le mani un piccolo calice di Château Lafitte) Quali novità?

Barbarani. Come? Non sa? Le nozze di can?

Le nozze di Cana?

Appunto! Dalle nozze di Cana, hanno fatto al club le nozze di can! Ma, se ella ignora il grande avvenimento, non vorrei alle volte, riaprire una ferita, forse non ben rimarginata... e farle perdere il suo maraviglioso appetito! (dando un altro saltetto sulla seggiola) Il matrimonio di Nino Sebastiani colla d’Arborio!

Emma. Nino Sebastiani? Sposa la D’Arborio?

Guido Bardi (lentamente: con suprema arguzia) Per amore... e per forza.

Emma (cogli occhi furbi, scintillanti) Ma perchè le nozze... di Cana?

Barbarani (ridendo, urlando, tossendo) Di can! Di can! Di can!

Venceslao (con garbo e pacatezza, gustando insieme la spiritosità e i tartufi) Le nozze dei cani, perchè è un pezzo che si corrono dietro.

Tutti ridono: la lente di Guido Bardi corre un altro serio pericolo: egli apre l’occhio, la fa cadere sul palmo della mano e la ripone nel taschino della sottoveste.

Barbarani (abbassando la voce: avvicinandosi ad Emma) Sa, non è vero, della commedia o dramma, Afrodite, che il Sebastiani e la D’Arborio hanno scritto in collaborazione?

Emma. E che il prefetto di Milano ha proibito perchè, pare, fosse non troppo morale?

Barbarani. Benissim!

Guido Bardi. Proibita, no.

Barbarani. Insomma, il prefetto ha fatto tanto colla Direzione del teatro, col capocomico, che non l’hanno più rappresentata! E allora — questo è il bello! — Nino e la D’Arborio vanno a mettere in scena la commedia, o il dramma che si sia, a Venezia, dove chi ne dice mirabilia e chi ne dice plagas; è stato un gran successo? oppure un gran fiasco? — Ancora mistero! Ma intanto...

Guido Bardi (tira fuori nuovamente la caramella e il sussiego sdegnoso del collega) Fiasco, fiasco, un fiasco piramidale!

Il cavalier Venceslao (indulgente: pensando alla «Traviata») Un gran fiasco è sempre un successo di battaglia.

Barbarani (continuando) Precisament! Ma intanto fiasco o successo, il fatto sta che la comunione della collaborazione, la comunione del viaggio, la comunione diremo dunque del fiasco, per non fare andar in collera il nostro Bardi, la comunione dell’albergo della Luna... troppe comunioni! La D’Arborio non ha pàdre madre, va benissim, e se non ha ancora l’età del giudizio, è perchè in trent’anni non lo ha mai avuto; ma tutto ciò non toglie, per altro, che sia sempre una ragazza... in faccia alla legge, e dopo tante comunioni, un bel giorno, sono arrivati i parenti da Napoli, o da Palermo, e hanno imposto a Nino Sebastiani anche la comunione definitiva!

Emma. Oh! povero Nino!

Barbarani. Tutt’altro! Nino Sebastiani è innamoratissim, secondo la sua abitudine. Invece, per molto tempo è stata la D’Arborio a non volerne sapere.

Ma perchè?

Barbarani. Perchè... perchè... Perchè la D’Arborio è tutta psicologia, tutta Wagner, tutta simbolismo, tutta Ibsen... e il matrimonio le pareva una conclusione troppo manzoniana!

Dalla grande sala del caffè si ode la voce della marchesa Gonzales.

Guido Bardi (alzandosi in fretta) Signora Emma, le domando scusa! In questi giorni di scirocco sono nervosissimo e alla marchesa Gonzales non ci resisto.

Emma (dandogli la mano) Si ricordi che lo aspetto col Barbarani all’Argentera!

Guido Bardi s’inchina profondamente, alzando i gomiti come un’anfora, e se ne va scivolando tra le seggiole dietro alla sua caramella che gli vuole scappare.

La voce della marchesa Gonzales, che si avvicina sempre di più:

Dov’è?... Ma dov’è?... Nel salottino?

Il Barbarani, d’un salto, le corre incontro; — Marchesa! Marchesa! — poi si tira indietro, inchinandosi, per lasciarla passare.

La marchesa (si presenta sull’uscio: un enorme cappellone tutte penne, un enorme collettone tutto pelo; un abitone con maniche enormi, d’un color bronzo lucente, tutto verde, e tutto oro) Eccola ! Eccola ! Ma brava! (Si ferma per tirare il fiato). Bravissima! Si passa da Milano alla diplomatica? In incognito? Senza nemmeno avvisare gli amici?

Emma e il cavalier Venceslao si sono alzati: Emma è corsa ad abbracciare la marchesa, la quale le stampa sulle guance due bacioni risonanti che lasciano il segno.

Emma. Non ero sicura di fermarmi! È stato per il babbo! Ma sarei venuta certamente a salutarti!

Tutti ritornano al loro posto; la marchesa, lentamente; dondolando e soffiando per la fatica, si siede accanto ad Emma.

Venceslao. Che cosa le si può offrire, marchesa?

La marchesa. Niente! Mai niente! Io adesso ho cominciato a non mangiare per non bere, e mi sento benissimo. Sono diventata più leggerina; più elastica! (guardando, ammirando Emma) Lasciati vedere... Ma sai che ti trovo un sole di primavera? (dandole un altro bacio, le domanda piano all’orecchio:) Dunque? Proprio vero? (Emma torna a diventar rossa: la marchesa forte) Ma bravi!... Alla Guglielmo Tell!

Emma guarda la marchesa, stupita, sorridendo.

La marchesa. Dico bene, Venceslao?... Alla Guglielmo Tell!... Noi due c’intendiamo, e basta!

Il cavalier Venceslao approva, sorridendo, e mentre chiama il cameriere e gli ordina il caffè, il cognac, i sigari, la marchesa continua, con Emma, a farle un monte di domande: — Tuo marito è rimasto a Roma per la conferenza? Poi va a Bologna per una lezione all’Università? Poi ti raggiunge subito all’Argentera? Ma il resto dell’inverno lo passerete a Milano? E a Roma? E lo zio Albertoni? È vero che ti faceva una gran corte? Sappiamo! Sappiamo tutto! Sappiamo che a Roma hai fatto una gran strage di cuori! Anch’io ho i miei amici, i miei fedeloni a tutta prova, e simpaticissimi, che mi tengono sempre informata di quanto succede e... (si vede guardata, osservata da Emma: si ferma, guardandosi a sua volta) Ti piace il mio abito? Siamo sempre in ordine, pronti alla battaglia? Sì o no?

Emma (dopo aver scambiato un sorrisetto col babbo e col Barbarani) Alla battaglia e alla vittoria!

La marchesa. Dunque, il buon gusto non lo abbiamo ancora perduto? Se non altro per far dispetto a certi poeti... del calendario! Io te li definisco in due parole: poeti del calendario! E so io di chi parlo! La Revue, il Figaro, tutte spiritose invenzioni per darsi importanza! Ma che vadano un po’ a imparare da tuo marito!... Quello è un vero letteratone! — Dico bene, Barbarani?

Benissim! Giustissim!

E il Sant’Ambrogio! Che furori! (ad Emma) Me lo darai, ricordati; voglio leggerlo, a suo tempo!

Venceslao. Adesso lo sta leggendo la Regina.

Barbarani. Anche la Regina? ! Son proprio content!

La marchesa. È un libro che farà epoca. È scritto poi magnificamente!... Insomma, ripeto, si tratta di un vero letteratone! Non è come certi scrivani pieni di boria e d’invidia, che conosciamo noi! (fissando Emma) Ho detto invidia, cara la mia Emma, e mantengo la parola. (rabbiosissima: scoppiando) Ma sì! Avete capito tutti di chi voglio parlare! Di quell’astioso inconcludente del Bardi ch’era qui adesso ed è sparito per non incontrarsi con me! Sai, Emma, perchè scappa sempre, quando mi vede?... Perchè lo chiamo Didone.

Emma (sorridendo, senza capire) Didone?...

La marchesa. L’abbandonato!

Barbarani. La nostra cara signora Emma non può gustare la piccantissima allusione, perchè non è più al corrente della cronaca milanese.

La marchesa (maravigliatissima) Come? Non hai saputo a Roma?... Non ti ha scritto la mamma che tra la Fanny e il Bardi... Tutto liquidato?

Emma. Non so niente!... Niente!...

La marchesa (quasi in collera) Allora diremo, cara mia, che hai vissuto sinora nel mondo della luna... di miele! (guardandosi in giro) Eh? Siamo spiritosi? (a Emma) Il Bardi è liquidato! Liquidatissimo!

Barbarani (a Emma) E il successore? Indovini chi è il successore... Ma l’onorevole!... Il Simonetti!... Il marito!... Ma sicuro! Sono andati insieme a Bergamo per assistere ai preparativi e al matrimonio di una loro cugina, la Roccaberla, e pare insomma che assistendo ai vezzi, alle carezze, agli amoreggiamenti dei due giovani sposini... precisament!... Come basta, alle volte, un cattivo esempio!

La marchesa (che tiene le parti di donna Fanny) Barbarani! Non facciamo il volterriano!

Barbarani. Sono ritornati a Milano, e sempre insieme, sempre a braccetto. Hanno messo il Bardi più o meno alla porta; sono venuti più volte, a colazione, a pranzo, loro due soli, qui al Cova, e poi un bel giorno hanno preso il volo, come Paolo e Francesca e sono andati a Montecarlo, un po’ in ritardo, se vogliamo, per la luna di miele.

La marchesa. Ma che ritardo!... E poi anche fosse? Trattandosi di riparare al mal fatto, meglio tardi che mai.

Giustissimo!

La marchesa. Del resto io sono sempre imparziale; e mi piace di constatare che la Fanny in questa circostanza si è condotta in un modo veramente ammirabile. Ha fatto tutte le sue brave visite con suo marito; è stata anche da me, s’intende; anzi, per una delle prime. E che mutamento! Adesso bisogna stare attenti come si parla! Si è fatta presentare all’arcivescovo...

Barbarani: E così, anche per donna Fanny, il paradiso non scappa più.

La marchesa. Barbarani, Barbarani! non facciamo l’eretico fuori di posto! Una donna, quando ha i veri principi fondamentali, sa benissimo che per il paradiso c’è sempre tempo! (a un tratto con un sobbalzo di tutto il petto rigonfio) Dimmi un po’... E del povero Borghetti?... Lo vedrai, adesso, a Val d’Olona? (crollando il capo) Ma, temo, lo vedrai ancora per poco... È spedito!

Emma (diventando pallidissima: con un piccolo grido) No. Ma no!...

Barbarani. Pur troppo! E sarà una disgrazia sentitissima per tutta Milano! Pieno di attività, di capacità, e, senz’essere un’aquila, pieno di buon senso.

Emma (con un accento quasi di disperazione) Ma no!... Ma no! Era guarito dalla pleurite!

La marchesa. Dalla pleurite, sì; ma adesso pare che vada a finire in una tisi.

Emma. Ah no, ah no! Povero Carlo! No! No! No!...

Gli occhi di Emma si sono riempiti di lacrime: il viso di Carlo Borghetti è , dinanzi a lei; così vivo , a Milano, dove essa era solita vederlo, incontrarlo, come non gli era mai apparso fino allora. Quella parola «spedito» le ha serrato il cuore e la gola. In un attimo, insieme al sorriso, è scomparsa la sua gioia e, per la prima volta, sente possibile, sente vicina la morte di quell’uomo.

Barbarani (agitandosi sulla sedia) Era facile capire, del resto, che covava da un pezzo una grande malattia! (con un impeto di stizza e la solita tosse) Non si sapeva più come fare, santo Dio, per avvicinarlo, per dirgli una parola! Anche al club, a pranzo, era un affar serio! Era diventato di una incontentabilità e specialmente di una irascibilità, quasi direi pericolosa.

La marchesa (sotto voce, all’orecchio di Emma) Amore, mia cara! Amore!... Che avesse del debole per te era evidente, ma fino a questo punto!... (forte) Non è vero, Venceslao? Chi mai lo avrebbe detto?

Venceslao (colla bella faccia intelligente un po’ troppo rossa per il cognac, sospirando con grande mestizia) Mah!

La marchesa. Ecco! Bravo! Avete subito indovinato!... Già, fra noi due, basta un’occhiata e si colpisce al volo!... Come Guglielmo Tell!

 

 




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