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Gerolamo Rovetta
L'idolo

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  • PARTE SECONDA
    • XIV.   «L’Idolo»
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XIV.

 

«L’Idolo»

 

Giordano Mari si è fermato un giorno di più a Roma dopo la conferenza, e deve poi rimanere tre o quattro giorni di più anche a Bologna.

Come si fa? Egli non vede l’ora di essere un po’ fuori del mondo, non vede l’ora di riposare, ma anche a Bologna, dopo la sua lezione molto applaudita, gli studenti gli offrono un banchetto... e non può dir di no!

Giordano continua a telegrafare ad Emma per avvertirla di tanti ritardi, per esprimere il suo dispiacere e per chiederle notizie. Ma Emma, dopo il telegramma spedito a Roma, e la lettera mandata a Bologna, non si è fatta più viva.

Povera piccola! È in collera! È arrabbiatissima perchè sono ancora a Bologna! Chi sa, così gelosa, quanti timori, quanti sospetti... Ma faremo la pace all’Argentera!

Adesso che da qualche giorno ne è lontano, Giordano Mari sente davvero la mancanza di sua moglie, e si commove piacevolmente nel rileggere quella sua ultima lettera così carina e così affettuosa, così piena della sua grazia, delle sue carezze, del suo spirito e di quel suo profumo à la peau d’Espagne, così inebriante.

No, non gli metteremo nome Ambrogio!... Ma nemmeno Venceslao! — E pensando ai vari nomi della famiglia di sua moglie e della famiglia sua, in uno scoppio di risa: — Tancredi! Ecco! Trovato! Lo chiameremo Tancredi!... E perchè no? Se quell’animale volesse lasciarmi tutto il suo... Del resto, col tempo, chi sa? Non ci sono altri parenti, e se non sono io l’erede, sarà mio figlio! (sorridendo) Mio figlio o mia figlia?... Ancora non si sa! (accarezzandosi la barba, pavoneggiandosi) Diremo: ai miei figli... per non sbagliare!... Cara quella mia piccola!

Emma merita davvero ch’egli si sacrifichi per lei!... E, in fatti, Giordano Mari rinuncia a un invito a pranzo della marchesa Malvolti e ad una colazione offertagli dal professor Ercolani, e subito, dopo il banchetto degli studenti, la notte stessa, parte per l’Argentera.

Non ha telegrafato: conta di arrivare alla mattina presto.

Emma, forse, dormirà ancora... Le voglio fare una improvvisata!

 

Il fattore, avvertito dal giardiniere, il quale ha visto Giordano Mari da lontano, gli corre incontro premurosamente.

Come mai, signor padrone? A piedi? Senza avvertirci?

Sono venuto colla ferrovia fino a Venegono. Anzi, manderà subito alla stazione a prender la mia roba! (guardando l’orologio) Da Venegono all’Argentera ci ho messo soltanto venticinque minuti! Abbiamo la gamba buona, signor Formenti; gamba da cacciatore!... E il cane, a proposito, c’è?

C’è, e famoso! È un bracco da fermo e da leva. Lo conosco e lo posso garantire, signor padrone.

Bravo! Dopo colazione, lo proveremo. Mia moglie dorme ancora?

Non l’ho veduta, ma starà certo alzandosi. Ieri sera ha ordinato la carrozza, come al solito, per le dieci, e prima fa colazione.

Giordano (ridendo) Ah! Ah! A passeggiare in carrozza, alle dieci del mattino?... Si vede che non ha paura del freddo.

Il signor Formenti. Va fino a Val d’Olona... (Giordano si volta: lo fissa. Dall’occhiata che gli il padrone, il signor Formenti teme di aver commessa un’imprudenza e cerca di rimediarvi) A Val d’Olona, per sentire le notizie del signor Borghetti e per prendere il dottore che accompagna fino alla stazione di Tradate.

Giordano (fissando sempre il fattore che vede impacciato, confuso) E quel povero Borghetti è spedito, non è vero?

Il signor Formenti. Ma... da qualche giorno, pare che ci sia un buon miglioramento. Certo che è stato malissimo, e ancora stenterà molto a cavarsela!

Giordano Mari ha mutato faccia: è diventato di pessimo umore. Nell’attraversare il grande viale del parco vede due camerops che non furono bene impagliati, chiama il giardiniere e gli una strapazzata da levargli la pelle e continua a gridare arrivando fin sotto la villa:

Siete tutti una massa d’imbecilli! Non fate altro che mangiare il pane a tradimento! Finirò col mandarvi tutti, l’uno dopo l’altro, fuori dei piedi! Voglio far casa pulita! Voglio essere servito a modo mio!

Emma, che sta vestendosi, sente la voce del marito, manda via la Carolina e chiude l’uscio della sua camera a chiave. Essa non ha avuto un tremito. Soltanto, da pallida che era, è diventata livida, aggrottando le ciglia, increspando le labbra ad un sorriso beffardo, provocante:

Finalmente!... In faccia!... Tutto in faccia!

Si butta addosso, in fretta, un vestito, una giacca, si stringe un foulard attorno al collo.

Giordano (che ha trovato l’uscio chiuso; sforzando la chiave) Apri!... (gridando) Per Dio!.. Apri!

Emma (avvolgendosi, puntandosi i capelli sul capo: con voce ferma, aspra) Aspetta... Un momento!

Giordano (battendo violentemente contro l’uscio anche coi piedi) Apri!... Per Dio, apri!

Emma (si abbottona la giacca, si un’occhiata nello specchio, poi va ad aprire e ritorna in mezzo alla camera fermandosi, guardando fisso suo marito, aspettando).

Giordano (entra con impeto, sempre gridando, ma subito si arresta colpito, sconcertato dal pallore, dalla faccia, dagli occhi di sua moglie: si guarda attorno, domandandole sottovoce) La Carolina?

Emma. Siamo soli, soli: io e te!

Giordano (torna all’uscio, lo chiude, poi si mette ritto, le braccia incrociate, dinanzi ad Emma, che rimane immobile) Allora ti dirò che non hai nessuna ragione, nessun diritto di farmi una scena perchè io ho ritardato qualche giorno a ritornare!... Perchè ho dovuto fermarmi a Bologna, costretto dal mio lavoro, dalle mie lezioni, dai miei impegni!... Mentre tu, tutti i giorni, non hai fatto altro che andare innanzi e indietro dall’Argentera a Val d’Olona! Non negare! Mi hanno detto tutto! So tutto!

Emma ha un lampo negli occhi, fa un passo, fa per parlare, ma non può. La collera, i battiti violenti del suo cuore, la vista istessa di quell’uomo così sicuro di , così sfacciato, la soffocano, le serrano la gola. Essa continua ad avvicinarsi a suo marito, a fissarlo faccia a faccia e a ridere; ma l’espressione del suo volto diventa così terribile e l’espressione del suo riso così sinistra, che Giordano stesso ne rimane quasi spaventato:

In fine, che c’è? Che cos’hai?... Che è successo?

Emma lo fissa ancora, così, con quel suo riso, per un momento, poi di colpo si slancia sul cassettone, lo apre, afferra il fascio delle cambiali, di tutte le lettere, e sempre muta, senza un grido, lo getta in faccia a suo marito.

Giordano diventa a sua volta pallidissimo, guarda per terra quelle carte, quei fogli sparpagliati, li raccoglie a uno a uno... pensa... e a un tratto ha come un barlume di quanto deve essere successo. Egli da tanto tempo era così lontano, non ci pensava nemmeno più ai suoi debiti di Padova, a quelle lettere! Come mai erano arrivate in mano a sua moglie?... E torna a guardare Emma, non più minaccioso, ma come per interrogarla, sbalordito, instupidito.

Emma (senza muovere un passo: sempre appoggiata al cassettone, col viso, cogli occhi stravolti) E adesso, va via! Va via!

Giordano (si sforza per contenersi, per dominarsi: alzando il capo, facendo l’atto di mettersi tutte quelle carte in saccoccia, domanda arrogantemente) Come?... Perchè?... «Va via?...»

Emma (con un grido) Le mie lettere, no! Non voglio lasciarti le mie lettere! No! No! Mai! (si avventa contro Giordano, afferrandogli il pugno ch’egli tien chiuso, stretto col fascio delle carte) Le mie lettere no! Le daresti ancora in pegno! Le venderesti!... Le mie lettere no!...

E pur di riuscire a strappargli quelle carte, nell’ira, nel furore gli graffia le mani, tenta persino di morderlo.

Giordano. È roba mia! Questa è roba mia! (non riuscendo a respingere Emma, fuor di , l’afferra per i capelli, per difendersi, per allontanare la sua faccia, i suoi denti).

Emma (colla voce rotta) Dammi le mie lettere, o chiamo, o grido a tutti, forte, che hai dato le mie lettere in pegno, a Padova, ai tuoi usurai! (con un urlo di collera e di dolore) Aiuto! Aiuto!

Giordano (spaventato, dandole le lettere, lasciandola andare) Prendi le tue lettere! Basta! Taci! Taci, per Dio!

Emma (anelante, col viso graffiato, sfigurata: tutti i capelli sciolti che le cadono sulla faccia, sulle spalle) Se chiamo il signor Formenti, il giardiniere, sai che obbediscono a me, non a te!... Abbassa la voce e va via! Se tu non mi vorrai costringere, io non farò scandali! E così... per i trionfi, per i tuoi interessi, non avrai niente da temere! Io ti cedo, fin d’ora l’Argentera, i miei danari, tutto!... Dunque tu puoi continuare la tua vita, godere la tua celebrità, salire sempre più in alto!... Metto una sola condizione. Fra me e te, più nemmeno una parola. Saremo affatto estranei e affatto liberi l’uno dall’altra. E... se avrò un figlio, lo voglio io, dev’essere mio, soltanto mio. Del resto, ripeto, fuori di me e della mia creatura, se ci sarà, sei padrone di tutto. Sei disposto ad accettare questi patti, in silenzio, tacitamente? Bene. — In caso diverso, te li imporrò col mezzo del tribunale e faremo uno scandalo

Giordano (colle lacrime nella voce) Ma io non ti comprendo... Io credo di sognare!... Io sogno!... È un sogno!... (congiungendo le mani quasi supplichevole) E sei tu?... Tu, che mi parli così?... Tu, la mia Emma?... Emma!

Emma. Non chiamarmi Emma!... Non proferir più il mio nome!... Non voglio! Ho voluto vederti per questo! Per dirti che per te, io non ci sono più!... (ridendo ironicamente) Ah! Ah! Ti conosco! Finchè non te lo avessi detto io, io stessa... finchè tu non lo avessi letto nei miei occhi, sulla mia faccia, non lo avresti mai creduto! Avresti sempre sperato di potermi ingannare! Adesso sei persuaso?... Sei convinto?... Dunque basta. — Non volevo altro da te. Va via!

Giordano. Andrò via, sì! Non mi vedrai mai più!... Ma prima, ascoltami.

Emma. No.

Giordano. «Devi ascoltarmi

Emma. «No. Va via».

Giordano fa qualche passo per la stanza, poi nuovamente si avvicina ad Emma, calmo, quasi sorridente

Tu hai voluto offendermi, e mi hai offeso con le parole più sanguinose... eppure, vedi?... Io sono rimasto tranquillo! (sospirando, fissandola amorosamente, quasi cercando di sedurla, di affascinarla col ricordo delle loro carezze, col sorriso della bella bocca dai denti bianchissimi) Appunto, io sono tranquillo, buono, affettuoso, perchè in questo momento... non sei tu, non è la tua ragione, non è il tuo cuore che parla! Sei un’altra! Sei diventata un’altra, sei diventata pazza! Ma che cosa credi? Che cosa ti hanno fatto credere? Che cosa pensi?... Che io abbia perdute, lasciate in giro, date ad altri le tue lettere? Ma come?... Forse... non so, non capisco! Me le avranno rubate! Non ricordi più come io sono partito da Padova?... Il Borghetti mi aveva telegrafato che tu stavi male!... Io ho perduto la testa, sono precipitato a Milano.

Emma. Basta. Finiamola. Io voglio tenermi le mie lettere; non le tue cambiali. Prendile! Non so che farmene. (Gliele ) E guarda... questa! Leggi qui; qui sotto, che cosa vi ha scritto tuo fratello!...

Giordano (legge: dopo un momento di esitazione, di angoscia) Ebbene, sì. Non voglio negare. È vero. Avevo la corda al collo!... Tu non conosci ancora tutta la mia vita! Tutte le mie disgrazie! Quelle cambiali non pagate, protestate, sarebbero stata la mia rovina, e la mia rovina, in quel momento, voleva dire perderti, perderti!... Tu non puoi giudicarmi, tu, perchè non puoi comprendere, capire, che cos’era la mia passione. Per te, per averti, avrei commesso anche un delitto! Disprezzami! Ma non odiarmi! Disprezzami, ma non abbandonarmi! Io ti amo come il primo giorno! Ti amo ancora di più! E ti domando perdono in ginocchio... (scoppiando in lacrime) Emma!... Emma!... Mia! Cara!... Perdonami.

Emma (battendogli sulla spalla con un impeto di collera e di ribrezzo) Su! Su! Alzati... Va via!

Giordano Pensa... bada... che cosa fai!... Bada, bada, Emma!... Non spingere un uomo, un uomo come me, alla disperazione!

Emma. Ammazzarti?... Tu?... No. Rileggi ciò che ti scrive tuo fratello. Avrai tutte le tue cambiali, i tuoi debiti puoi pagarli. Perchè?... Per chi vorresti ammazzarti?

Giordano. Non io! Non ho detto di voler ammazzar me. No! No! Prima qualchedun altro! (minacciandola) E se devo uscire da questa casa, scacciato, abbandonato da te... Pensaci. Posso andare da... (s’interrompe, fissandola).

Emma (tornando a sorridere con sarcasmo, con disprezzo) Da chi?...

Giordano. Sai bene, da chi.

Emma (provocando) Da chi?... Parla!

Giordano. Da Carlo Borghetti. Dal tuo... (si ferma: esita ancora.)

Emma (prorompendo) Sì! Sì! Dal mio amante!... Dal mio amante! Voglio sentirlo dire! Voglio sentirlo da te!... Da Carlo, sì dall’autore del tuo Sant’Ambrogio, dal mio amante!

Giordano (con un’alzata di spalle e una risata) E tu... vorresti farmelo credere?... A me?... Tu?... Emma?... Emma?

Emma (trasalendo al suo nome ripetuto, poi calmandosi) No. Ciò che tu vuoi o puoi credere, mi è ormai indifferente. Soltanto, per farti ben comprendere che cosa tu sei diventato per me, ti avverto che ho detto tutto e che ho fatto vedere la cambiale, colle... quattro righe di tuo fratello, a Carlo e al dottore. No, no, no!... Non fare quel viso, quegli occhi! Non minacciarmi, non mi fai paura. Sei tu che devi aver paura di me! E tu farai tutto ciò che io voglio, perchè tu temi lo scandalo ed io... per me, no. Ora io vado a Val d’Olona, e non torno più qui, all’Argentera, finchè tu ci rimani. Hai capito? Va, sta, fa ciò che vuoi! Parlerai col dottore; combinerete insieme, vi metterete d’accordo su ciò che si deve dire e fare, per nascondere, il più che sarà possibile, la verità, al babbo, alla mamma, a tutti. (Avvolgendosi, fermandosi di nuovo i capelli sul capo, mettendosi un berrettino di lontra) E adesso, ti ripeto che sono inutili le minacce, e che non mi fai paura! — Lasciami passare! (Suonando forte il campanello e chiamando ad alta voce) Carolina!

Si sentono nel corridoio i passi della cameriera. Giordano, vivamente, si allontana dall’uscio.

Emma (passandogli dinanzi per uscire e fissandolo, in atto di sfida, colle mani nelle tasche della giacchetta: sottovoce) E se dovessi anche... morir presto... non credere che sia per te! No! No!... Soltanto per il ribrezzo di essere stata tua!

 

 




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