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Gerolamo Rovetta
L'idolo

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  • PARTE SECONDA
    • X.   Grandi novita.
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X.

 

Grandi novita.

 

La mattina dopo, il gonfiore è scomparso; Giordano Mari si sente in lena ed è di buonissimo umore. Ha ricevuto colla prima posta una letterina dell’Amodei che gli ha fatto molto piacere.

 

«Illustre e caro amico,

«Vi furono spedite ieri le prime copie del Sant’Ambrogio. Vedrete che splendida edizione! Che margini! Che carta! Mi direte bravo! E ho procurato al volume un articolo monstre, scritto da un critico famoso, professore d’Università, deputato... Indovinate chi è, e ditemi grazie. Dopo tantum nomen, se le rane vorranno gracidare, infischiatevene chiamandole rospi.

«Vostro affezionatissimo

Amodei.»

 

Giordano Mari (in manica di camicia, dinanzi allo specchio dell’armadio, si strappa con una pinzettina i peli bianchi della barba: fra sè) Che miracolo! Emma stamattina non si fa sentire! Forse, dormirà ancora. (tende l’orecchio verso l’uscio). No; c’è la Carolina. Sarà in collera. Ieri gliel’ho fatta grossa! Tutto il giorno Richelieu e niente Nino! (ammirandosi nello specchio dopo aver indossato l’abito) Povera piccola!... Faremo la pace. (spinge il capo, senza bussare, in camera di sua moglie che sta facendosi pettinare dalla Carolina) Che capelli straordinari!

Sente un’ondata del solito profumo à la peau d’Espagne, ma quella mattina è una delizia.

Buon dì, dormigliosetta! Nemmeno un saluto, per chiedere al povero Nino come sta?

Emma voltandosi, mentre la Carolina le tiene sollevata tutta la grossa e lunga massa dei capelli, stende le due mani a Giordano, ma per un senso improvviso, come d’imbarazzo, non lo guarda in faccia.

Giordano (colla sua voce più bella, colle modulazioni più tenere, stringendole le due mani e baciandola in mezzo alla testa sulla riga dei capelli, sottile come un filo di refe bianco) Guardami, gioia. Sono bello come prima?

Emma lo guarda, ma non gli osserva la bocca e arrossisce come una fiamma, perchè vede nello specchio, o le par di vedere, la Carolina che si sforza per non ridere.

Giordano (convinto che sua moglie è in collera per la «cattiveria» del giorno innanzi e voglioso di far la pace, siede sopra una seggiolina di fianco alla toeletta, in faccia, vicinissimo ad Emma) Hai un cerino, oggi, come direbbe il nostro buon dottore, un cerino incantevole. Sei fresca, bella, «bella al par d’una rosa». Non è vero, Carolina?

Emma (alla Carolina: un po’ irritata) Fa presto!

Giordano (sorride fissando Emma e facendo sfoggio più che mai dei bellissimi denti) Com’è buono, soave l’odore dei tuoi capelli! È un peau d’Espagne delicatissimo! (Fiutando a lungo e chiudendo gli occhi). Un’ebrezza!...

Emma si alza, con le mani agili dà gli ultimi tocchi di pettine ai riccioletti della nuca, poi senza levarsi l’accappatoio, manda via la Carolina.

Non può più vederla! Le riesce seccante, fastidiosa, insopportabile!

Va! Va! Mi vesto sola.

La Carolina è intelligente: non fiata nemmeno; ma pensa, fra sè, andandosene pianino e chiudendo l’uscio, che l’ha sbagliata: ha fatto molto male a parlare.

Giordano. Ancora non mi hai dato un bacio. Sei proprio in collera?

Emma (adesso che non c’è più la Carolina lo guarda, lo guarda bene; ma non lo bacia sulla bocca; diventa rossa di nuovo e trova un altro posto dove baciarlo, sotto l’occhio) Ha scritto la mamma! Se vuoi la lettera è nella mia cartella, guarda sul letto.

Giordano. Dunque mi hai perdonato?

Emma. Lasciami far presto. — Sai? — dev’essersi perduta una lettera del dottore. (Si leva l’accappatoio, sempre in fretta, per terminare di vestirsi).

Giordano. Ti aiuto io?

Emma. No, no. Da me sola fo più presto. Carlo è andato a Val d’Olona, ma non sta ancora bene.

Giordano. Cara, cara, cara! Perdonami. Ti prego ti supplico! Perdonami.

Emma si arresta... Lo guarda seria seria, a lungo, prima in collera, poi cominciando a sorridere. È l’incanto, la carezza della voce tenera, morbida. È il fascino dell’amore, il primo amore dei suoi vent’anni!

No. Sei stato troppo cattivo. Lasciami far presto.

Cara, cara, cara! Perdonami! Ti prego! Lo voglio! Perdonami!...

Emma si sente stretta fra le braccia di suo marito, tutto dimentica, tutto svanisce, si sente vinta. È l’anima risorta in estasi! È la gioia, è la vita che torna nel cuore palpitante!

Povero Nino mio — pensa in cuor suo — ha detto una piccola bugia, soltanto per piacermi! — Si volta, lo fissa colle pupille lucenti, tremule, Emma perdona, e gli butta a sua volta le braccia al collo coprendolo di baci. — Nino! Tesoro Mio!...

Si bussa forte all’uscio:

Un pacco della ferrovia. Libri!

Giordano. Il Sant’Ambrogio! (d’un salto correndo ad aprire) Avanti!

Emma, ancora in sottanina, ha appena il tempo di scappare nell’altra stanza. Poi, dopo un momento, appena l’agente della ferrovia che ha portato i libri se n’è andato, si nasconde, aspettando che Nino corra a cercarla. — Niente! — Allora, corre lei, cacciando il capo innanzi, e sorridendo; Hai chiuso l’uscio?

Giordano (sforzandosi inutilmente per rompere la corda del grosso pacco) Dammi una forbice. Grazie!

Emma (correndo gli dà la forbice e gli fa una carezza) Hai chiuso l’uscio?

Giordano (distratto: tutto intento a disfare il suo pacco) Non so. Guarda.

Emma non guarda e, invece, finisce di vestirsi.

Giordano (ammirando uno dei grossi volumi in ottavo che formano il pacco) Magnifica!... Bravo Amodei! È una splendida edizione! (Legge il frontespizio): Giordano Mari, Sant’Ambrogio.

Emma (rimasta sempre un po’ distratta) Come? È il Sant’Ambrogio? Fammi vedere!

Guarda, gioia. È il mio Sant’Ambrogio! Che bella carta! Che bei margini! Forse la copertina, se fosse stata un po’ più chiara?... Non ti pare? Il titolo risalterebbe meglio!

Emma (cogli occhi incantati, seguendo un pensiero che sempre più si allontana) È bello lo stesso!

Giordano. Ma se fosse stata più chiara, per l’effetto della vetrina sarebbe stato molto meglio. Adesso prendo la carozza e in fretta. (Guarda l’orologio). Le dieci e mezzo. Sono quasi le dieci e mezzo. Porto due copie del Sant’Ambrogio allo zio e le altre due al Cogoleto!

Emma. E per me?

Giordano. Domani o dopo, arrivano tutte le altre!

Mi avevi promesso la prima copia.

Sono tutte eguali, cara! Anzi la tua te la farò legare. Una legatura artistica, di stile antico.

Emma (che sente il bisogno di arrabbiarsi). Però, mi avevi promesso la prima copia!

Una allo zio e l’altra al segretario dello zio! Sono urgentissime, per la stampa. Più presto la consegno e più presto i giornali amici possono parlarne e darne l’imbeccata! Per te, invece, giorno più, giorno meno, è lo stesso.

No, che non è lo stesso. E le altre due copie? Tutt’e due al Cogoleto? Perchè tutt’e due?

Giordano (sbuffando) Perchè il Cogoleto mi ha pure promesso di procurarmi due articoli favorevolissimi, e in due giornali radicali, che nella mia condizione, collo zio al Governo, mi premono anche di più. (Cacciandosi in testa il cappello e cercando i guanti). Anzi, gli scriverai un bigliettino tardi, invitandolo a pranzo. (ridendo) E ti metterai quel tuo famoso abito ch’egli chiama «all’andalusa» e che lo fa andare in visibilio! (serio) Non bisogna lasciar tempo al Corriere Romano, alle rane, cioè ai rospi, di alzar la voce per i primi. Guai se il pubblico rimane mal prevenuto. Sono rovinato! (per avviarsi).

Emma (sempre più attonita e mortificata)— Vai via... proprio così?

Giordano (dandole un bacio in fretta e in furia a col cappello in testa e le quattro copie del volume due per mano) Ciao, cara! Porta pazienza, per oggi! Non farmi quegli occhi; viva Dio! Che cosa c’è da piangere! Domani, non sono tutto per te? (va via).

Emma (correndogli dietro: sull’uscio) Ti aspetto a colazione!

Giordano (in fondo al corridoio: senza voltarsi) Sì!

Invece non è più tornato... ed Emma ha fatto colazione sola.

E tutto il giorno rimane sola in quella camera d’albergo, senza vedere, senza parlare con anima viva. Legge, scrive al babbo, alla mamma, al dottore per avere le notizie di Carlo. — Oh, Carlo, povero Carlo, com’è buono! — E mentre scrive, prova una commozione, un intenerimento strano, morboso. Le lacrime le cadono grosse sulla carta, e deve smettere anche di scrivere. Non si sente bene. Tutto il giorno, tutto il giorno chiusa dentro, in una stanza; forse le ha fatto male il calorifero. Le gira la testa; prova un senso di nausea. Ma più di tutto è la noia! Quando la noia attacca i nervi diventa una malattia.

Verso le sei, quando può, viene lo zio a prenderla per la passeggiata, ed Emma, prima e dopo le sei, corre due volte alla finestra; ha sentito una carrozza fermarsi tutt’e due le volte, e ha sperato che fosse lo zio! Le avrebbe ripetuto la solita tiritera; le avrebbe voluto baciar la mano, guardare i piedini. Oh, ma almeno, avrebbe potuto parlare con qualcheduno.

Invece niente! Quel giorno... nemmeno Richelieu!

Auf! Che noia! Che noia! Come sono stufa!

Stufa! Stufa di questa Roma! A Milano avrei il babbo! Caro, caro il mio babbo! (e colle labbra gli manda un bacio) E all’Argentera, anche sola, avrei almeno i miei fiori!

Giordano Mari torna appena per il pranzo, e arriva ansante, gridando, ancora colla fretta e colla furia, come se n’era andato. Il Cogoleto aspetta d’abbasso, nella sala da pranzo; e lo zio li aspetta a teatro per le nove e mezzo.

Giordano (ad Emma) Presto! Facciamo presto! C’è appena il tempo di vestirsi! Che cos’hai? Oh, ma ti prego, ti raccomando! Ancora quegli occhi! Oggi, proprio oggi! Sono assolutamente fuori posto! Tanto più che io voglio vederti contenta, perchè sono contentissimo anch’io. Spero bene! Dopo la guerra atroce che mi hanno giurata, si tratta della lotta per la vita e... pazienza! Devo, sottomettermi al giogo più odioso, che ho sempre aborrito di più: a quello della réclame! Sorridi, ridi, cara, per amor di Dio! Tu anzi... sei tu che devi spingermi, farmi coraggio, tenermi allegro! Si tratta della cattedra! Lo zio ha promesso! Tutto dipende dal Sant’Ambrogio. Capirai, non è per la vanità di ottenere un gran successo — io, resto io! — Ma devo farmi una posizione! Lo sai anche tu; devo lavorare (sorridendo affettuosamente, tanto più che bisogna far presto a calmare Emma, per non far troppo aspettare il Cogoleto), devo lavorare per vivere e guadagnar molto, molto… (abbracciandola) con un tesoro in casa, che mi spende quasi trecento franchi soltanto in sapone. Fa presto, gioia!

Emma lo guarda, lo fissa stupita... e vede il sorriso dei bei denti bianchi, e le corrono alla mente le parole della sua prima lettera: «... Povero, io avrò l’immensa ricchezza di essere il solo padrone di me stesso — sempre indomabile e fiero...»

È lui! Giordano Mari! È lo stesso di Milano! Ma pure com’era diverso quella domenica nella sala del Circolo artistico-letterario! E dopo, in via San Paolo? E dopo, e dopo, all’Argentera... E dopo, fino a Napoli? Mah!... — sospira e pensa la giovane donna, mentre sta abbigliandosi e facendosi bella per il deputato Cogoleto e per lo zio ministro — Mah!... quello era il sogno, l’incanto... E la vita, la realtà, si sa bene, è sempre diversa. È brutta; è molto brutta la vita, la realtà!

Il giorno dopo, non succede altro che un piccolo cambiamento dal giorno prima: suo marito viene invece a colazione... e non a pranzo; ma la sera, tardi, in compenso, le porta a casa, da leggere, uno splendido articolo sul Sant’Ambrogio; anzi lo legge tutto lui, lentamente, colla bella voce alta e sonora.

Porta pazienza, gioia cara. Forse anche domani sarò occupatissimo, e forse, temo, dovrò pranzare col direttore del Corriere Romano; ma poi, dopo, tutto per te!

Lo zio ministro aveva parlato chiaro e lo aveva consigliato bene:

Vuoi che il tuo volume sia lodato e portato alle stelle? Allora devi non solo farti valere, ma farti vedere. I giornalisti sopra tutto! Ti raccomando i giornalisti! Non basta conoscerli, farsi presentare; ma bisogna frequentarli, viver con loro. Gridano, strepitano, certe volte; ma sono, in fondo, bravissimi ragazzi, divertenti, pieni di spirito e che ti daranno tutta la celebrità e la gloria che desideri, al patto di goderla un po’ tutti insieme. Perchè fabbricare un grand’uomo... per gli altri? Con che gusto? — E se tu resti chiuso, nascosto all’albergo con tua moglie, il Sant’Ambrogio sarà un mezzo fiasco. Il suo valore? Il suo merito intrinseco, tu dici? Ma chi saprà mai, davvero, se è un capolavoro o, scusa, una bricconata? Nessuno; nè tu che lo hai scritto, nè i tuoi critici... che non lo hanno letto! Caro mio, non è il libro che bisogna fare; bisogna fare l’autore! Tanto è vero che ci sono molti autori celebri, che non hanno mai scritto niente! Hai capito? Mi spiego?

Giordano Mari ha capito benissimo; si mette a far la vita dei caffè e del Corso, affidando la moglie allo zio, che diventa sempre più galante, e a Cogoleto, che diventa sempre più geloso. Ma anche nel poco tempo che passa colla moglie, Giordano Mari non si occupa di lei, ma del Sant’Ambrogio, sempre il Sant’Ambrogio, il quale comincia, del resto, ad essere discusso seriamente ed apprezzato, ammirato dalla gente colta, dagli studiosi.

Io non ti credevo capace di tanto! — dice un giorno Sua Eccellenza al nipote, guardandolo in faccia con un’espressione diversa del solito, ed ammirandolo sinceramente. — Io non ho ancor avuto il tempo di leggere il tuo libro, ma me ne hanno parlato molto favorevolmente persone competentissime e tutt’altro che di facile contentatura. Il senatore Bernabeis — nientemeno! — il principe dei nostri storici, l’arca santa dell’erudizione!... Ieri sera, dalla principessa di Campolatino, ha proclamato il Sant’Ambrogio un’«opera poderosa», un’«opera madre». Bravo! Sono contento! «Vergin di servo encomio» ti fo i miei complimenti e ti stringo la mano!

I medesimi «astiosi parrucconi» che non avevano mai preso sul serio Giordano Mari, nè come letterato, nè come storico, nè come critico, dopo che il Bernabeis ha letto e lodato il Sant’Ambrogio, vogliono vedere «che cosa c’è». Lo leggono però con diffidenza, sogghignando, ma poi, onestamente, devono modificare il primo giudizio:

Giordano Mari è un uomo che sa il suo conto. Non si scherza! Il Sant’Ambrogio non è un libro che s’improvvisa!... Ma perchè dal momento che ha la libera docenza a Bologna, non fa lezione?... È un valore...

E Sua Eccellenza passa di maraviglia in maraviglia:

Ma, sai, che col riuscire a farti leggere dai contemporanei, hai fatto un gran miracolo?... È vero che sei stato felice nel titolo, e che hai avuto anche la combinazione fortunatissima di aver trovato un primo lettore: il Bernabeis. Già, dovrò finire col leggerlo anch’io! Ma, intanto, dal momento che hai chiesto e ottenuto la libera docenza a Bologna per un corso...

Sulle Origini dei Comuni Italiani.

Precisamente; perchè non fai qualche lezione? Prendi un capitolo del Sant’Ambrogio e la lezione è bell’è scritta.

Giordano Mari (con dignitosa maestà) Questo poi no. Io mi vanto di essere sopra tutto sincero, e originale!

Tornato di moda, rimesso sul candeliere e illustre più di prima e con più credito, Giordano Mari torna sereno, affettuoso, espansivo, sorridente, e torna a sentirsi benissimo. Anche il dolorino persistente alla nuca, il «tarlo che rode» è scomparso. In casa ci sta pochissimo; non ha mai tempo! — ma in quelle ore fuggevoli la sua Emma dolce e buona, la sua Emmina bella a cara è sempre la «dilettissima», l’adorata dell’Argentera!... E anche fuori di casa, egli è cortese, alla mano, affabile con tutti. Dà del tu e si prende a braccetto l’ultimo dei reporters come gli uomini del Governo, i colleghi dello zio. La sua superbia s’è rannicchiata dentro di lui; sembra dormicchiare, beatamente soddisfatta, dopo una lauta indigestione di lodi. Soltanto lui è un grande storico, un grande letterato, un grande oratore, un grande lavoratore, insomma il solo grande nei vari generi; ciò si sa e si deve sapere. Gli altri, sono tutti asini e facchini; ma questa sua profonda e immutabile opinione egli la esprime senza astio e senza livori, serenamente e dolcemente, più col silenzio e coi sorrisi indulgenti che non a parole. Egli passeggia sul Corso, il cappello a cilindro sulle ventitrè, pavoneggiandosi come a Milano, nella modesta e oscura via di San Paolo, le falde del lungo abito nero svolazzanti, raccogliendo strette di mano, sorrisi, complimenti, congratulazioni e scappellate ch’egli porta all’Albergo Milano condensate e mutate in altrettante carezze, in altrettanti baci per sua moglie. Non è più rabbioso, invidioso, bisbetico; si entusiasma invece per i cappellini e le acconciature che fanno risaltare la bellezza di Emma.

Cara!... Gioia!... Vieni a darmi un bacio! — E quando Emma si alza in punta di piedi per baciarlo, non più sulla bocca, ma sotto l’occhio, egli la guada sorridendo, «povera piccola», e gli par quasi impossibile che possa arrivare a tanta altezza.

Fatti bella!.... Sì, sì; sempre più bella! Anche tu devi rifulgere di gloria, e la bellezza è la gloria della donna!

E dopo il Sant’Ambrogio e il suo trionfo, Giordano Mari non è più nemmeno geloso.

Quel Borghetti!... (sorridendo con bontà) E dire che ha avuto la debolezza di non scrivermi nemmeno un bigliettino!... Non mi ha nemmeno telegrafato per il grande successo del Sant’Ambrogio! Ho fatto bene a levare la dedica. È un invidioso!... Tutti si sono fatti vivi in questa circostanza! Il Barbarani, Guido Bardi, l’onorevole Simonetti, la marchesa Gonzales.... persino la D’Arborio, per quanto innamorata di Nino Sebastiani; ma invece, il signor architetto, niente. Si capisce, del resto, povero diavolo: invidia e gelosia. Carlo Borghetti?... Chi è? Il gran talentone di Milano, e che a Roma nessuno conosce tranne quel tribuno quarantottesco di Pietro Schiavino. Pietro Schiavino? Ah! ah!... Il solo punto nero in mezzo a tanto cielo azzurro.

Giordano Mari gli ha mandato subito il Sant’Ambrogio, e, abbandonando per la circostanza lo stile novissimo, gli ha fatto una dedica alla Garibaldi:

 

ALL’ATLETA DELLA LIBERTÀ E DELL’AVVENIRE

QUESTO PROPUGNATORE DEL PASSATO.

 

Poi aspetta: ma non arriva niente; Giordano Mari non riceve nessun bigliettino di ringraziamento. Compera il Popolo tutti i giorni... niente; il Popolo non parla del Sant’Ambrogio.

Che il volume si sia smarrito negli uffici di Redazione? È tanto facile! E si affretta a mandare una seconda copia:

 

ALLO STRENUO E INTEGERRIMO CAMPIONE

DELL’IDEALE

(Omaggio e ricordo dell’autore, coi più affettuosi e cordiali saluti).

 

Niente. Anche dopo l’invio della seconda copia, nessuna risposta, nessun articolo.

Che villano!... Avrebbe dovuto imparare un po’ di educazione dal senatore Bernabeis!

E uno dopo l’altro, manda il Sant’Ambrogio a tutti i redattori ordinari e straordinari del Popolo. Poi, finalmente, visto che non riesce a ottenere nemmeno l’annunzio, si dà pace infischiandosene con un’alzata di spalle:

I rospi... lasciamoli tacere!

 

 

Una sera, prima di pranzo:

Due carrozze sono ferme presso l’Albergo Milano. Una carrozza di piazza per condurre Giordano Mari a Ponte Molle: un pranzo di amici, di tutti i colori: redattori della Monarchia e del Corriere Romano, dell’Avvenire e della Croce di Malta. E un grande landò di casa Campolatino che aspetta donna Emma.

La principessa di Campolatino, in voce d’essere la Ninfa Egeria del presidente del Consiglio, di solito, non riceve che uomini, e non è molto amabile colle signore belle. Donna Emma è la nipote del ministro della pubblica istruzione; è la moglie di un grande scrittore in voga, e poi è milanese — è a Roma soltanto di passaggio — e non c’è da temere per la concorrenza.

Il numero 30 e il numero 31 sono inondati di luce e di profumo à la peau d’Espagne. L’uscio di comunicazione è spalancato. Giordano Mari, ancora in pantofole e in maniche di camicia, va innanzi e indietro affrettatamente, come se le due camere fossero ormai una sola. Ad Emma che sta pure abbigliandosi:

Se per caso non posso venire stasera dalla principessa, nemmeno sul tardi, ti prego, cara, le farai le mie scuse. Le dirai che un gruppo di giornalisti mi ha offerto un gran pranzo a Ponte Molle.

Emma (che ha sempre, da poco in qua, una cert’aria indagatrice). Ma se mi ha detto il Cogoleto che sei tu che hai invitato i tuoi amici a Ponte Molle?

Giordano (senza arrabbiarsi). Ti prego, gioia; non diventare contradicente, e sopra tutto non diventare una pedante. Pensa che sei perfetta, in tutti i sensi, cara; dunque, per amore della bellezza e dello spirito, non guastarti. Dove hai messo l’allaccia scarpe?

Guarda sul canapè.

Che ora è?

Le sei e mezzo.

E prima delle sette devo trovarmi da Aragno!

Cara, suona per l’acqua calda.

È andata la Carolina.

Ho avuto tanto da fare, da girare! Sarò proprio costretto a tenere questa conferenza su Sant’Ambrogio e Marcellina. (cantarellando) Sint pura cordis intima... Poi alla biblioteca... Devo raccogliere i materiali per fare almeno due lezioni a Bologna: La verità contro la leggenda: Sant’Ambrogio nelle sue lotte cogli Ariani. Poi le feste, i pranzi, le presentazioni, le visite!... In questa Roma, non c’è tempo nemmeno di respirare!

C’è tempo soltanto di annoiarsi.

Ecco! Da capo! La pedantina cara che fa la contradicente! (baciandola sulla spalla nuda, mentre Emma si stringe nel busto) E che così... ha sempre ragione.

Emma (rimasta fredda, indifferente) Se non mi lasci far presto, arriverò in ritardo.

Giordano (un po’ piccato) Ma la Carolina, viene sì o no coll’acqua calda? (Riprendendo il discorso di prima) Adesso, che, finalmente, dopo tanto lavoro e tante amarezze, ho il mio quarto d’ora di legittima soddisfazione, tu ti annoi; quando invece ero ammalato e avevo un cumulo di dispiaceri, allora ti divertivi.

Emma. Non mi divertivo, ma allora vivevo con te; si stava sempre insieme, e adesso invece... sono sempre sola.

Giordano (di nuovo ridendo) Sola? Collo zio, col Cogoleto, con cento altri, sempre d’attorno e tutti innamorati?

Emma. Quando dico sola, intendo dire senza di te. Del resto, anche il signor Cogoleto, finisce per seccarmi... molto.

Giordano. Per amor del cielo! È tanto permaloso!

Emma. Sia pure permaloso quanto vuole! Soltanto mio marito potrebbe permettersi certe osservazioni, certi musi e certe spostature, che si permette invece il signor Cogoleto, colle persone che mi accomoda di ricevere! E... tuo zio... (aggrotta le ciglia e si punge con uno spillo).

Giordano (inquieto) Che c’è di nuovo? Anche collo zio? Cosa c’è?

Niente. Soltanto, spero... finchè resto a Roma, visite all’albergo, non me ne farà più.

Quando è venuto?... Oggi?

Sì, oggi.

Che cosa gli hai detto? Cos’è successo? Voglio sapere che cosa gli hai detto.

Taci!... La Carolina!

Infatti la Carolina entra in quel punto coll’acqua calda.

Giordano (fra sè; versando l’acqua calda con impeto, e buttandola mezza fuori dalla catinella). Sta a vedere che mi disgusto, proprio adesso, col Cogoleto e collo zio! (asciugandosi le nani si avvicina ad Emma, che sta mettendosi i gioielli e la interroga fissamente negli occhi: la Carolina, in fondo alla camera, ferma i bottoni ai guanti).

Emma (sottovoce) Niente. Le solite confidenze sempre più spinte e che io non posso, non voglio, più permettere assolutamente.

Giordano (pure sottovoce) Hai ragione. Ma come vi siete poi lasciati? In collera?... Com’è andato via?

Domandandomi scusa.

Allora non era in collera?

No, ma...

La Carolina si avvicina coi guanti, il dialogo resta interrotto.

Emma (forte) Non ti ho detto che mi ha scritto il fattore.

Quello dell’Argentera?

Sì, il signor Formenti. È arrivata tutta la tua roba da Padova, e tutto il mobiglio nuovo per le nostre due camere e il tuo piccolo studio del primo piano.

Giordano Mari, per allontanare da Emma ogni idea di recarsi a Padova, le aveva detto di essere in rotta con suo fratello, e ormai in modo irreconciliabile, per molte ragioni di interesse e sopra tutto di decoro. La «sua roba» erano poi le casse dei suoi libri ed alcuni oggetti che gli appartenevano, ancora per l’eredità di sua madre; erano gli abiti e la biancheria che lo avevano raggiunto a Padova l’ultima volta che c’era stato. Tutta roba che allora, per non farsela correr dietro, aveva lasciato in deposito alla Veronica, e che poi, già da tempo, aveva scritto a Tancredi di fargli recapitare, in porto assegnato, all’Argentera.

Giordano. Benissimo! La mia roba, i miei libri! I miei libri andranno tutti nel mio studio del primo piano, vicino alla mia camera da letto.

Si bussa all’uscio: chiamano la Carolina, che va fuori, a vedere.

Giordano (appena uscita la cameriera, avvicinandosi vivamente a sua moglie) È in collera dunque?... Lo zio è andato via in collera?

Emma. Non so; non credo; ma appunto, perchè io sono stufa e per evitare possibili dispiaceri... ti dirò poi una mia idea.

Quale? Che idea? Sentiamo.

Tu resti a Roma per la tua conferenza, poi vai a Bologna per la tua lezione, ed io, intanto, vado avanti sola, per due o tre giorni, all’Argentera; metto tutto a posto, la tua roba e la mia, il tuo studio e le nostre camere, e poi, quando sei libero, vieni a prendermi e si passa un po’ di tempo a Milano, com’è già stato fissato, tutti insieme, col babbo e la mamma.

Quasi quasi, l’idea non dispiace a Giordano Mari. — Perchè no? — Un paio di settimane solo, libero... Potrebbe prepararsi a modo suo per la conferenza e per la lezione, senza l’incubo di Emma che sente, che ascolta dietro l’uscio... Sempre fuori a pranzo senza più il pericolo di andare in collera col Cogoleto o coll’Albertoni, e poi di nuovo, dopo gli allori, l’«adorata» che lo aspetta nei lieti ozî dell’Argentera. — Perchè no? — Quasi quasi, l’idea non gli dispiace. Ma non bisogna mostrarsene troppo contento, per non dare dispiacere alla piccola cara.

Ah! Ah! — Giordano sorride senza ironia, piacevolmente. — Vorresti che io ti lasciassi andar sola all’Argentera?... L’Argentera non è molto lontana da Val d’Olona. Potresti avere più fresche e più sicure le notizie del cuginetto!... del giovane Werther!

Carlo! Oh povero Carlo! Come lo dimentico sempre!

Con questo pensiero e con questo rimorso che le attraversa l’anima, Emma fissa Giordano: per la prima volta, i due uomini li vede riuniti dinanzi ai suoi occhi e al suo cuore:

Come sono diversi! Come sono diversi!

Ma non è che un lampo. Rientra subito la Carolina con una grossa lettera portata da un usciere del Ministero.

Carolina (consegnando il grosso letterone ad Emma) — Da parte di Sua Eccellenza. Ho fatto domandare: non c’è risposta.

Giordano (vivamente) Che cos’è? Guarda cos’è?

Emma (che sta puntandosi nei capelli una piccola stella di brillanti) Adesso... Subito...

Giordano (strappando la lettera di mano alla Carolina) Guardo io. (Straccia la busta) Ci sono delle bozze di stampa e un biglietto! (Legge il biglietto sottovoce, poi forte, con un’esclamazione di gioia) È l’articolo della Rivista Nuova!

È l’articolo già da tempo promesso e annunziato dall’Amodei; Giordano Mari sapeva che doveva uscire in quel numero, ma, l’improvvisata gli fa molto piacere lo stesso! (contentissimo, rivolgendosi ad Emma) Lo zio non è rimasto in collera! Tutt’altro! (rilegge il biglietto ad alta voce) «Cara nipotina. Il mio segretario mi comunica le bozze di un articolo che uscirà nel prossimo fascicolo della Rivista Nuova. Io mi affretto a mandartelo sperando di farti piacere e baciandoti la bella manina... in ginocchio». In fondo è un buonissimo diavolo! (guarda l’orologio) Sono quasi le sette. Non importa! Aspetteranno. (E legge a brani ad alta voce, l’articolo) «Habemus un libro! Anzi un libro è dir poco. Abbiamo un’opera, nel senso preciso e grande della parola: un’opera insigne, completa, che rispecchia tutta una esistenza di ricerche, di studi» — Bravo! — «di intuizioni, di divinazioni!»

Bravissimo!

«.... Pareva smarrita nella nostra letteratura storica e scientifica la robustezza tradizionale di quelle visioni retrospettive che sembrano gettare sprazzi di luce e di calore sul passato. Giordano Mari col suo Sant’Ambrogio ci ha provato che in Italia, non solo si sa ancora scrivere, ma si sa ancora pensare». — Benissimo! — «E quando il pensiero critico, l’indagine storica, l’evocazione artistica, assurgono al valore contenuto in queste pagine, la monografia diventa poema, non si narra più, ma si crea».

Precisamente!

«... L’efficacia riproduttrice dell’opera del Mari sul grande vescovo di Milano, fa ripensare alla trasmigrazione degli spiriti, nel senso che l’autore sembra uomo dell’epoca che ha impreso a dipingere, rinato nella nostra età volgare per riaccendere entusiasmi e fedi quasi spente omai nell’anima del popolo».

Anche questo è verissimo!

«... Per noi il Sant’Ambrogio più che un libro raro è una gloria della patria. Lirica e romanzo storia e archeologia, gli uomini e i monumenti, il mesto insegnamento che emana dalle morte cose e l’inno fremente alla vita, tutto si alterna nelle pagine strane, dense, mirabilmente scritte e istoriate di questo Sant’Ambrogio, che Giordano Mari ha dato alle stampe. Quanti anni di lavoro, quante veglie, quanti entusiasmi ha chiesto un libro simile al suo autore?» — Verissimo! — «la poderosa monografia del Mari sull’età tipica delle libertà comunali lombarde si affaccia come un prezioso anacronismo. V’è in questo libro il profumo aspro, la rude poesia di quei secoli remoti. Nessuno, a parer nostro, potrà trovarvi traccia di una sola imitazione pedissequa e indolente» — Ah no, viva Dio! — «Tutti che vorranno studiare e scrivere del personaggio insigne e dell’epoca sua, dovranno a quest’opera attingere come alla fonte più schietta, alla più doviziosa miniera. Il Sant’Ambrogio si afferma nella produzione letteraria dell’anno, come l’opera madre». — È un bellissimo articolo. Sono contentissimo! Carolina! Fa presto, il calamaio! (ad Emma) Scrivi, subito, una parola a nostro zio, per ringraziarlo

Emma (che ha già indossata la pelliccia) Io? No. Questo poi, no!

Giordano (facendosi il nodo alla cravatta e pestando i piedi perchè nell’orgasmo, nella fretta, non gli riesce bene) Allora gli mando un telegramma, io per tutti e due?... E finiscila di guardarmi con quegli occhi attoniti, incantati. — O sì... o no! — O fingere di non saper niente, o prenderla sul serio e andare sino in fondo, magari con una buona sciabolata!... Risolvi!

Emma (con un’alzata di spalle) Fa come vuoi!... (se ne va senza aspettarlo).

 

 

Che brutti giorni! Che brutti giorni!

Sì! Sì! Voglio partire da questa Roma! — sospira Emma in cuor suo, chiusa nel landò della principessa di Campolatino. — Oh vivere un po’ sola, tranquilla, all’Argentera. Sola?... Sì, sola; sola davvero.

Ma poi, un giorno, non è più il pensiero dell’Argentera, della tranquillità, della solitudine che le sorride. È un altro: un pensiero che le infonde un nuovo slancio di affetto, di abbandono, di riconoscenza, e di perdono, d’indulgenza, per suo marito. Sì, sì; a Roma, anch’essa era stata un po’ cattiva, puntigliosa, capricciosa, ingiusta. In fine, che cosa gli può rimproverare? Qualche debolezza, qualche momento di cattivo umore, e poi?... Niente altro!... Ma, sotto il suo apparente egoismo, sotto la sua apparente vanità, sotto il suo orgoglio, egli era mosso da un sentimento nobile, delicato, elevato. Egli voleva crearsi uno stato col proprio lavoro, col proprio ingegno, coi propri studi, col proprio nome. Era vero che dapprima gli avevano mosso una guerra sleale, atroce, ed era naturale, che adesso egli si comportasse in modo da difendere sè stesso e il valore di un’opera veramente bella, veramente grande...

Oh Nino! Il suo Nino era buono! Era caro! È lui che la rende beata! È lui che la rende felice.

Giordano vede sua moglie diventare ancora più bella, più ridente... E come prima, più di prima, affettuosa, amorosa, innamorata...

È pallida qualche volta, ma con una tenerezza infinita negli occhi luminosi...

Che hai, gioia?

Emma si avvicina per parlare. Ma la parola che sta per dire si arresta e finisce in un bacio.

... Se ancora, se non fosse vero?...

Ma una mattina, guarda fisso fisso suo marito, sorride, poi gli butta le braccia al collo e scoppia in lacrime.

Giordano (con un grido di gioia) Sì? Sei proprio sicura?...

Credo... spero; spero tanto!

Oh ma brava!... Brava, la mia piccola cara! Bisogna telegrafare subito a Milano, alla mamma, al babbo...

Emma (diventando ancora più rossa) No! No! No! E se... Se non fosse?...

Hai ragione! (guardandola sorridendo, accarezzandola, stringendola amorosamente fra le braccia) La mia gioia cara, il mio tesoro... — Mammina

Emma a questa dolcissima parola trasalisce, guarda ancora suo marito, poi sorride, diventa pallida, pallida, e gli casca sul petto sopraffatta, sfinita dalla troppo forte emozione, dalla troppo grande felicità.

Giordano. Adesso bisognerà informarsi; mandar a chiamare un dottore. Sentire, assicurarsi...

Emma. No, no; quando saremo all’Argentera. Il mio dottore, il nostro, il nostro buon dottore, soltanto. Ma oggi sai, Nino mio, oggi voglio, sì voglio... te lo domando per... (si arresta e di nuovo arrossendo e nascondendo la faccia sul petto di Giordano ripete sottovoce) Voglio...

Che cosa?... Parla!... Sì! Sì! Parla!... Parla!

Oggi sei tutto mio; soltanto mio. Non... il grand’uomo, il grande scrittore, il grande pensatore! Nino, voglio il mio Nino. Prendiamo una carrozza, noi due soli... Andiamo fuori di Roma, noi due soli. Si scappa insieme fino a stasera, fino... a domani.

Giordano (contrariato) Oggi?.. Proprio oggi?.. Pensa, è impossibile. Sono a colazione dalla principessa di Campolatino col senatore Bernabeis.

Emma (irritata) Oh questo poi... Manda un biglietto! Trova una scusa!

Giordano. Ma tu, cara gioia mia, non ti ricordi... di niente! Non sai che per oggi lo zio mi ha ottenuta un’udienza del Re e della Regina per presentar loro una copia del mio Sant’Ambrogio?... Domani, domani, cara, tutto il giorno! Cioè, no! Domani no! Anche domani, purtroppo, sono impegnatissimo. Non so ancora se terrò la mia conferenza Sant’Ambrogio e Marcellina alla Palombella o al Collegio Romano. E bisogna risolvere qualche cosa. Poi, forse, domani è probabile che venga a Roma l’Amodei e dobbiamo discorrere per una nuova edizione economica del Sant’Ambrogio. Dopo domani, invece, sarò libero certamente, almeno lo spero, e... si prende la carrozza e si scappa! Come sei bella! Angelo, angelo, angelo mio! Non so più trovare altra parola per te! — Angelo! — Ed è vero? È proprio vero?.... Dì, dì, dì — Angelo mio! — è proprio vero?... A proposito. Hai visto le due copie del Sant’Ambrogio per le Loro Maestà? Me le hanno portate adess’adesso. Guarda che splendore di legatura!.... E anche tu, ricordati; me lo hanno fatto capire tanto lo zio, quanto la Campolatino, dovrai domandare di essere presentata alla Regina. (Mostrandole i due libri, che leva dalle loro scatole) Guarda che magnificenza! E che bel libro! (sorridendo) È un gran bel libro, dentro, e fuori. Che vuoi?... Sì, te lo confesso!... Lo amo il mio Sant’Ambrogio. E adesso, gioia cara, tesoro, adesso... mi devi capire di più, e quasi direi, compatire. Il nostro libro, pensa, è come la nostra... creatura; è un figlio. Io pure, col Sant’Ambrogio, pensandolo, scrivendolo, ho provato potrei dire le ansie, i dolori, le gioie... della maternità!

Emma (arrossendo di nuovo: con un po’ anche di dispetto) Io, però, se sarà davvero... se fosse... ricordati; no, no, no; assolutamente. Non gli metto nome... Ambrogio!

 

 




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