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Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi Nanà a Milano IntraText CT - Lettura del testo |
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La sera dopo al teatro Milanese si dava una rappresentazione mista in dialetto ed in francese. La nascente compagnia ambrosiana lasciava il posto ad una troupe française che pigliava possesso di quel palcoscenico. L'impresario aveva combinato per le ultime serate delle recite internazionali metà di dilettanti milanesi metà di comici francesi. Per lever de rideau la Giannella recitava una farsa del Duroni, a cui faceva seguito una commedia in due atti di Scribe jouèe par madame Blanche et par monsieur Babil. La sala allora non era com'è adesso. Non c'erano palchi. Una loggia sostenuta da colonne aggettava in mezzo della parete dicontro al palcoscenico e accoglieva un centinaio di spettatori. Quella sera non ce n'erano più di venti sparsi quà e là al parapetto. Verso le nove e mezzo Nanà fece il suo ingresso in quella loggia accompagnata da un'amica e da un cavaliere. Le sedie al parapetto erano occupate tutte. Ma, vedendo la donna bella, un signore s'alzò e le cedette il suo posto. L'amica e l'accompagnatore si sedettero dietro a lei in seconda fila. Nanà depose il suo binoccolo sul parapetto dinanzi a sè, strisciò una lunga e rapida occhiata in platea, un'occhiata che parve indifferente a tutti e quasi sprezzante, ma colla quale essa vide od intuì ad uno ad uno al loro posto almeno una mezza dozzina de' suoi molti adoratori; assaporò con immenso giubilo il fremito e il mormorio che la sua apparizione produsse nella sala, poi si volse indietro a dire alla sfuggita una parola all'amica. La donna che l'accompagnava non era nè bella nè brutta; e quando Nanà le parlò si mise a ridere forte. Tutti si volsero a guardarla. Poco dopo Nanà pigliò in mano il binoccolo e cominciò la rassegna in platea. Ernesto Cantis, il giovinetto commesso d'avvocato col suo bravo garofano all'occhiello dell'abito stava di fianco addossato al muro e guardava Nanà a bocca aperta. Essa lo trovò tout bonnement absurde. Nell'angolo a sinistra c'era Filippo Marliani, il solo che Nanà conoscesse. Seduti, ma colla faccia rivolta a lei Nanà indovinò altri quattro patiti. Erano Enrico O'Stiary, Bianconi, Salis e Parma a lei ignoti. Ciascuno di costoro aveva un proprio contegno particolare. Uno guardava troppo, l'altro guardava di rado; Enrico fingeva di non averla ancora veduta. Dei quattro che stavano nelle sedie, fra cui appunto il nostro Enrico, uno si volgeva a riderle in viso ogni volta che la commedia ne porgeva il pretesto; l'altro le mandava un'occhiata languidissima, un terzo si dimenava sulla sedia, ma non si volgeva mai. Nanà che li aveva già squadrati tutti non badava a nessuno. Il solo, come dissi, che Nanà si ricordava benissimo di avere conosciuto era Filippo Marliani. Il lettore ne sa già qualche cosa. Il Marliani aveva fatta la conoscenza di Nanà a Parigi dalla Tricon, poi l'aveva amata fuor della casa infame per qualche giorno, finchè il suo compagno di viaggio il marchesino Sappia era riuscito a strapparlo da Parigi. Era stata una conoscenza così affrettata e superficiale, che nè il Marliani avrebbe saputo che cosa pensare di Nanà, nè essa di lui. Il Marliani quello stesso giorno, vedutala passare in brougham s'era informato dal cocchiere del luogo di sua dimora e le aveva scritto una delle otto lettere famose. Essa gli aveva risposto su un biglietto di visita: «Questa sera al Milanese, venite a trovarmi.» Durante il secondo intermezzo Marliani montò sulla loggia. Il signore che aveva accompagnato le due donne in teatro gli cedette la sua sedia e discese. Nanà ricevette il Marliani con moltissima espansione, un poco perchè aveva a chiedergli un gran favore e un poco pel gusto di far rabbia agli altri cinque adoratori, che spalancarono gli occhi invidiando il Marliani. Essa lo presentò alla sua amica; dopo dieci minuti di discorsi molto indifferenti Filippo accostò la faccia a quella di Nanà e le scoccò questa domanda. - Non si può dunque venir in casa tua? - No - rispose Nanà - ti dirò poi. - E che cosa dici della mia lettera? Nanà lasciò scappare una di quelle sue risate sonore, che fece volgere il capo a tutto il teatro. - Perchè insieme alla tua ne ho ricevuto altre sette. - Sette! - Sette? - Chi sono? - Ah, se tu volessi farmi dire tutti que' nomi, saresti bravo. Mi ricordo di quello di un solo: del conte Enrico O'Stiary. Lo conosci? - Di vista, - rispose Marliani, - eccolo là. - L'avrei giurato che era lui - sclamò Nanà. - E dimmi un po', chi è quel signore che ti accompagna, che era qui poc'anzi? - Oh, sans consequence! È il cugino del mio albergatore; l'ho pregato io stessa di accompagnarci. - Ti fa la corte? - Ma neppur per ombra. - E mi risponderai alla lettera? - Perchè no? Dove stai? Debbo parlarti. Marliani cavò un biglietto di visita, sul quale, in calce, stava l'indirizzo. - Debbo parlarti di cose serie. Ma guai a te se tu dici qualcosa sul conto mio... sai. A Parigi tu non mi hai conosciuta. - Mi credi un mascalzone? Nanà fu rassicurata. Allora cominciò gradatamente ad alzar la voce, parlando di tutt'altro e volgendo la parola anche all'amica che le sedeva accanto.
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- Oggi ho fatto conoscenza con madame Blanche, che è alloggiata nel mio albergo. - disse Nanà. - Fu lei che m'indusse a venir qui stasera. - È piuttosto brava - disse Marliani tanto per dir qualche cosa. - Anzi - soggiunse Nanà levandosi; giacchè in lei la risoluzione era sempre contemporanea all'idea che le scattava in testa e non usava mettere fra l'azione e il pensiero il benchè minimo intervallo. - Voglio andar sul palco a trovarla. Accompagnami. Nanà dava assai facilmente del tu a' suoi amici. Chi non sapeva nulla di questo vezzo, aveva talvolta delle sorprese singolari. Capitava di doversi domandare se ella avesse tanti amanti o tanti fratelli, o tanti cugini quanti si trovavano in una sala in cui ci fossero, per esempio, una trentina di giovinotti. A ventinove di essi, essa dava del tu, con magnifica disinvoltura. - Mi lasci qui sola? - disse la signora Fanny. - Vieni anche tu. Nanà diè il braccio a Marliani, e si mossero verso il palcoscenico. Sul palco trovarono per prima la Giannella, a cui un collega burlone stava dando a intendere che quella mattina una donna aveva partorito, uno dopo l'altro, dieci figli tutti maschi e tutti vivi. A tale notizia, la Giannella aveva spalancati i suoi occhi grigi e aveva sclamato: - Tu mi sgonfii! - Ma no; è un fenomeno rarissimo, ma non è la prima volta che succede. - Fino a quattro, l'ho già sentito dire anch'io... ma dieci poi... mi par troppo. - Eppure è un fatto! - Oh, guarda mo', povera disgraziata! - sclamò allora la Gianella, che s'era data subito a credere al barzellettatore. - Ed è viva ancora? - Altro che viva! Si dice anzi che ieri, dopo soli tre giorni, sia andata dal Cabrino a ballare. Un barlume di sospetto che il suo compagno d'arte si burlasse di lei, passò negli occhi sorridenti della Gianella. - Per bacco! Dieci? Saranno ben piccini. - Ma che! - rispose l'altro colla più imperturbabile serietà - sono tutti grossi, al contrario, come bimbi di un mese. - Ma bisogna dire allora che essa sia una gran macchina di donna. - Lei? Non è più grossa di te. La Giannella portò le due mani sul grembo, come per assicurarsi che in esso non ci avrebbero potuto stare dieci marmocchi. In quel punto gli astanti che non potevano più reggere, scoppiarono in una fragorosa unanime risata. - Ah! Voleva ben dir io! - sclamò la buona Giannella, guardandosi intorno ramminchionita e sorridente. - Che cosa ne so io? Se ne sentono tanti adesso di felòmeni!
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Nanà e i suoi due compagni s'erano fermati presso la Giannella e avevano udito quel singolare diverbio: «Ma è la Tatan Nenè sputata» pensò Nanà. In questo il direttore le si accostò: - Vorrei parlare a madama Blanche - disse quello. Il direttore le additò il camerino e ve l'accompagnò. Nel camerino di madama Blanche Nanà trovò Aldo Rubieri e il marchese Sappia, i quali avendola veduta andar sul palcoscenico dalla parte di destra, l'avevano preceduta dall'altro ingresso a sinistra. Aldo Rubieri e Sappia non si conoscevano; madama Blanche li aveva presentati uno all'altro. - Di nome è un pezzo ch'ella è conosciuta da me - gli disse il marchese. - Posso dire anch'io che il di lei nome non mi è nuovo. Ell'è grande amico di un mio amico, il conte O'Stiary. - Di Enrico? Ma sì, diavolo! L'ho lasciato appunto in platea. Dopo gli abbracci, i saluti, le congratulazioni colla artista cominciarono i complimenti da parte di Sappia e di Rubieri che madama Blanche le presentò. Questi da vero artista, che ha il diritto di rilevare più che altri, le bellezze formose nella donna, scoccò a Nanà un complimento così plastico, che questa ne restò colpita ed estatica. Allora ella gli parlò subito del desiderio di avere da lui un ritratto in marmo. Gli domandò il permesso di andar il giorno dopo a visitare il suo studio. Quanto al marchesino Sappia egli era così commosso dalla vicinanza di Nanà che balbettava, e per mostrar disinvoltura faceva invece la corte a madama Blanche. Madama Blanche, che aveva mangiata subito la foglia, accettava quella corte di ripiego con molta ironía. Ella si era messa allo specchio e truccandosi faceva mostra di non sentir le lodi che Rubieri profondeva a Nanà, perchè quelle lodi... fatte a un'altra, nel suo camerino, la seccavano enormemente. Finalmente il Sappia interpellato da Nanà dovette volgersi anche a lei. E allora si capì perfettamente che quelle due creature, le quali pareva proprio si vedessero per la prima volta, s'erano conosciute altrove... di sfuggita, misteriosamente, da un gran pezzo forse, ma s'erano già vedute in qualche altro luogo di questo mondo. Una frase di Nanà tolse ogni dubbio a Rubieri e a madama Blanche. - Voi siete sempre un gentiluomo, non è vero? - domandò Nanà a Sappia, accomiatandosi e stringendogli la mano molto inglesamente. A cui Sappia aveva risposto: - Ne potete dubitare? Non temete nulla da me.
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Nanà quando fu nello studio dello scultore fu presa dalla sua solita smania di far valere la sua immensa bellezza plastica. A Rubieri era bastato uno sguardo per accorgersi di essa e non avrebbe potuto desiderar di meglio che di averla per modella. Ma naturalmente non osava. Fu Nanà che gli disse essere pronta a lasciarsi far il ritratto ignuda, e allora Rubieri per idealizzare l'opera sua aveva trovato un'idea che gli era parsa luminosa, e che Nanà aveva accettata con entusiasmo. - Io farò di voi la Venere contemporanea. E così s'era fatto. In meno di quindici giorni, dal blocco informe di creta, era già sortita come un giorno dalle spume del mare somigliante e stupenda la statua-ritratto della Nanà.
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