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Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi Nanà a Milano IntraText CT - Lettura del testo |
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X.
Siamo in villa, sul lago di Como. Potevano essere le otto d'un bel giorno di settembre. Il notaio faceva il suo solito sonnetto del dopo pranzo. La signora Eugenia era salita a trovare la cameriera, che s'era messa a letto con un febbrone. Elisa era uscita sul terrazzo, che dava sul lago, e stava là colle braccia a gomitello sul davanzale a guardar nel vuoto con quell'abbandono un po' languido e sconfortato di chi soffre un cordoglio che vuolsi dissimulato a tutti e che nella solitudine si fa sentire con raddoppiata amarezza. Sua madre aveva già tentato qualche volta di dissuaderla dal pensare ancora a quello scapigliato di Enrico, ed essa faceva di tutto per compiacere a sua madre e non ci riusciva. Chè anzi, il martello dell'amor proprio offeso, e il disinganno, e il contrasto raddoppiavano nel suo animo il dolore e la desolazione. Stava così volgendo nella sua testolina i mesti progetti dell'avvenire, pur non disperando ancora del tutto, quando le parve udire dietro di sè il passo di Enrico. Essa lo distingueva bene fra tutti quanti. Enrico, il giorno prima, aveva portato a Nanà i diecimila franchi avuti dalla ditta Marliani e C., e Nanà li aveva accettati; ma era stata con lui più fiera che mai. Uscendo da lei, era stato preso per reazione da una specie di rimorso, da una resipiscenza amorosa per la sua bella Elisa; aveva giurato di star lontano per qualche giorno da Nanà ed era venuto alla villa Martelli per riveder la fanciulla come se sperasse in quel dolce e onesto sguardo trovare la consolazione al disinganno de' sensi. Le giunse a ridosso credendo di non essere stato udito, e ristette ad ammirarla; e in quel punto sentì il suo amore per lei moltiplicato dal dispetto e dal tormento che Nanà gli aveva fatto durare il dì prima; le si mise accanto. Essa alzò lentamente le pupille addolorate in viso ad Enrico sorrise e la sua fisonomia fu come illuminata da un raggio di gioia divina. Stese la mano al giovine, e gli disse: - Sei qui, Enrico? Oh, non ti aspettavo più. Enrico vide negli occhi della fanciulla brillar due lagrime, preziosi gioielli dell'immeritato tesoro di tenerezza, ch'egli aveva racchiuso in quell'anima innamorata. - Che hai Elisa?... Tu sei malinconica - le disse Enrico mettendosi con lei al davanzale. - Ti pare? - sclamò sorridendo la fanciulla con molta dignità. - La balia ieri sera mi parlò di te. - Che cosa la ti disse? - Che tu credi che io non ti ami più. - Ebbene, ti giuro di no - riprese con accento sincero il conte. - Credilo, Elisa, io ti giuro che sento di non voler bene davvero che a te sola. Elisa sospirò, ma non disse parola. - Però, siccome non sono capace di fingere con te, mia buona Elisa, ti dirò tutto. Forse sì, sono andato a rischio di cadere nei lacci di una donna... una donna che non vale un tuo capello... ma per puro capriccio, vedi, non per cuore. Ma quando ti vedo, quando sento la tua voce, quando guardo nei tuoi occhi tanto belli e sinceri, mi par impossibile di avere avuto un pensiero per un'altra donna. - Ah! dunque non mi sono ingannata - disse la Elisa. - Qualche cosa c'è per cui io non debba più sperare...? - No, te lo giuro - interruppe Enrico - non c'è nulla. Tu mi credi, n'è vero Elisa? Tu lo senti che io sono sincero, e che non ti voglio bene proprio di cuore che a te sola.... - Ebbene sì, ti credo - rispose la fanciulla con infinita grazia - perchè guai a te se poi tu m'ingannassi. Sarebbe come ingannare un bambino. Io non so nulla di ciò che voi pensiate, nè che proviate per certe donne... ma so che tu mi fai soffrire. Queste parole furono dette dalla vergine, con una ineffabile espansione. - Ah, se anche tuo padre non fosse l'uomo che egli è - sclamò Enrico quasi per scusarsi - se non fosse lui che mi sforzò a far la vita che faccio. - Oh, ma perchè? - Perchè io sento di essere indipendente e superbo, ed egli mi trattò sempre come un fanciullo, e non come un uomo di ventiquattro anni che fra poco sarà padrone del proprio avere. Lui crede che io debba pensare come lui, far la vita che fa lui, avere le sue abitudini, le sue idee, le sue spilorcerie. Egli mi ha fino rimproverato un giorno, perchè avevo fatto un'elemosina. È insoffribile. Non è degno d'essere tuo padre. - È vero, Elisa, scusami - sclamò il conte ridendo. - Ma tu, sarai per me la più cara creatura di questo mondo. Fin da quando avevo dieci anni e tu non ne avevi che cinque, il primo pensiero d'amore che passò nella mia testa fu per te. Io sento di essere tuo e che nessuna donna potrà prendere il tuo posto qui nel mio cuore. - Allora giurami - disse la Elisa - che non la vedrai più questa donna. - Ebbene, te lo giuro - rispose Enrico sincero. Ma poi soggiunse: - Ti giuro che ci andrò ben di rado e che non le dirò mai più nulla che ti possa dar ombra. - Ah no, tu non devi vederla mai più. - Ma, mia cara, farei una figura molto ridicola co' miei amici.... Si direbbe ch'ella mi ha messo alla porta. Tu non vuoi, Elisa, ch'io diventi ridicolo. - No, ma io vorrei che tu mi promettessi almeno di non vederla più da solo a sola. - Ebbene, questo te lo posso promettere - rispose Enrico. In questo s'intese la voce vibrata e severa di donna Eugenia che chiamava: Elisa. E la madre comparve sulla soglia della terrazza. - T'ho pur detto tante volte - ripigliò - che sulla terrazza non amo che tu ci stia di sera, se non con tua madre; speravo che tu m'avessi a obbedire. Rientrarono tutti e tre in sala, dove il notaio stava russando ancora placidamente nel suo seggiolone. Quella serata fu piena, pe' due giovani amanti, di misteriose dolcezze, mentre una noia feroce regnava in quella sala, che a poco a poco s'era andata popolando di visite. Erano i villeggianti dei contorni che venivano, come al solito, a passar la sera in casa Martelli. La Elisa, prima suonava qualche pezzo sul piano, poi si giuocava a mercante in fiera, fin verso le undici. Donna Elena aveva già dato ordine al servitore di far preparare per il conte una delle camere dei forestieri in una casina attigua alla villa. - Spero che ti fermerai un po' di giorni - aveva domandato il notaio al conte. - Non posso - gli aveva risposto Enrico - sono venuto a far una visita alla sfuggita. Ma ho sul cavalletto un ritratto che non voglio lasciar prosciugare. Il giorno dopo infatti Enrico salutava i suoi ospiti e partiva. E in viaggio sentiva lievemente, gradatamente andarsene in fumo la promessa data alla Elisa ad ogni chilometro che si scostava da lei e che si avvicinava a Nanà.
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