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Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi Nanà a Milano IntraText CT - Lettura del testo |
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XII.
Nanà riceveva in casa gli amici ai venerdì; quel giorno era appunto di venerdì, Enrico decise di non lasciarsi vedere. Gli seccava di mostrarsi presso di lei in faccia a Rubieri, a Sappia, a Marliani, a Salis, a Bianconi, che forse sapevano del suo attaccamento per Nanà, e avrebbero indovinato il suo spasimo. Egli era furente contro Aldo Rubieri e gli dava in cuor suo del traditore, dell'ipocrita e del paltoniere. Giurava non volerlo più salutare. Quella sera da Nanà c'era un dramma nell'aria. Nanà era sdraiata nel suo seggiolone e guardava spesso alle lancette del pendolo. Erano già le dieci ed Enrico non era comparso ancora. Già due o tre volte Marliani e Sappia le avevano notato questo ritardo. C'erano quella sera dalla Nanà oltre i due nominati, la signora Fanny, la padrona di casa, la Luisa, Bonaventuri e Cantis. I Francesi erano partiti da Milano. Marliani s'era seduto accanto a Nanà e le parlava sottovoce. Essa non lo udiva; pensava al conte. - Mi risponderai una volta? - disse alla fine il giovine molto duramente. Nanà ne fu scossa e si rizzò sulla vita. Guardò Marliani come donna che si desti da un sogno e: - Fiche moi la paix! - gli disse; e tornò a sdraiarsi. - Ascolta Nanà - proseguì Marliani sottovoce. - Così non la può andare. O tu mi dici che il conte non è nulla per te ed io ti credo, guarda, sulla parola e ti domando perdono delle insolenze che ti dissi ieri; o tu persisti a trattarmi così, e allora io ti ripeto che sei la più infame delle sgualdrine che io abbia conosciuto, e ti giuro che la prima volta che lo trovo, lo provoco e mi batto con lui all'ultimo sangue; ma prima gli dico il bel mestiere che facevi a Parigi... bada. - Oh? - sclamò Nanà; e scoppiò in una risata, perchè gli altri non s'accorgessero che la tempesta ruggiva. Ma poi pensò che bisognava tener buono il Marliani e riprese: - Tu sei troppo gentiluomo per fare una simile vigliaccheria. - Bada Nanà a non scherzare col fuoco. Tu non sai quello che mi fai soffrire. Non farti insultare daccapo. - Ma crè nom de... che siano proprio tutti continuamente uguali questi signori uomini? - sclamò Nanà quasi parlando a sè stessa. - Io credevo venendo in Italia di trovare tutt'altra cosa di quello che avevo trovato a Parigi.... M'accorgo che alla lunga valevano ancora meglio i miei compatrioti! - Io voglio una risposta - insisteva Marliani. - Io ti ho avvisata; la colpa di ciò che accadrà sarà tutta tua Nanà se non mi rispondi. - Che cosa vuoi che ti risponda, vediamo, maleducato che sei! - Se tu ami il conte O'Stiary. - Io non amo nessuno. - Ma egli è innamorato di te. - Bella novità! Chi è dei presenti, che non è innamorato di me? - Tu vuoi sposarlo. - Chi lo dice? - Il Sappia è un asino - disse Nanà senza curarsi di mitigare l'epiteto, che le venne spontaneo sulle labbra. - Perchè dunque mi tratti così? Perchè mi hai lusingato di nuovo per farmi soffire così? - Com'è che ti tratto? - domandò Nanà. - Tu vorresti dunque che io fossi continuamente nelle tue braccia? Tu non vuoi assolutamente ammettere che ho fissato di mutare la mia vita? Siete dunque voi che continuamente vi opponete a che una donna possa diventare onesta? T'ho io forse detto qualche volta d'essere innamorata di te? E se io non sono innamorata con quale diritto pretendi tu che io resti eternamente la tua amante? - Qui non c'entra il diritto! - disse Marliani. - In amore so benissimo che non esistono diritti. I diritti non esistono che nel matrimonio. Ebbene! vuoi tu sposarmi Nanà? Io sono pronto. - Ma dunque siamo proprio daccapo come laggiù? - gridò Nanà ridendo e facendosi udire da tutti perchè si credesse che il loro dialogo fosse leggiero e insignificante. La Luisa, che stava civettando con Salis, volse il capo e domandò: - Dove laggiù? - A Parigi - rispose Nanà. - Figuratevi che il signor Marliani mi stava offrendo il suo cuore e la sua mano... Marliani si levò ridendo, sdegnato e andò a suonar una polka al pianoforte. Così, signori, così e non altrimenti, si esplica e si mostra la vita contemporanea. Regina, sovrana, arbitra, dea d'ogni cosa, al giorno d'oggi, è la santa dissimulazione, giacchè il peggior delitto di cui si possa macchiare un giovine odierno è quello di farsi vedere innamorato d'una donna... Ciò che nel medio evo era dovere d'ogni uomo bennato ciò che costituiva la vita de' cavalieri e dei trovatori oggi è diventato ridicolaggine. Che cosa volete capir bene de' fatti suoi quando vedete un uomo che ha - come dicono gl'idealisti - la morte nel cuore andar a sedersi dinanzi a un pianoforte a suonar una polka allegra di Marco Sala o di Strauss, come l'uomo più spensierato della terra?
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Enrico O'Stiary entrò in quel punto. Egli non aveva potuto tenere la risoluzione di non andar quella sera da Nanà. S'era lasciato portare di transazione in transazione dinanzi alla porta di lei, aveva montate quelle scale maledette, era entrato protestando sempre, ma trascinato, suo malgrado, da una vera forza irresistibile, arcana, fatale. Un oh! sincero e prolungato, lo accolse. Egli era simpatico a tutti, tranne che a Marliani, il quale lo esecrava. La Luisa gli corse incontro e lo presentò alla società come un figliuol prodigo, che fa ritorno alla magione. Questa alzata d'ingegno della Luisa non è a dire come dispiacesse all'Enrico, segretamente. Ma bisognava sopratutto avere del contegno. E lo ebbe. Nanà e Sappia furono i soli ad accorgersi che sotto a quel fare in apparenza ilare e disinvolto covava più fiera la tempesta che mai. Gli altri non capirono nulla. Enrico strinse la mano a Nanà dicendole buona sera, senza tradire la benchè minima emozione, poi si confuse ai crocchi circostanti. Allora il Marliani si staccò dal pianoforte, andò vicino a Nanà e le disse sottovoce: - O tu questa notte mi ricevi o io vado a provocarlo, ti avviso. - No, non posso. - Qualunque cosa avvenga Nanà, ricordati che la colpa è tutta tua. - Bene, finiscila, non seccarmi. Essa non credeva che Marliani avesse coraggio.
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Questi si levò pallido, zuffolando a sordino. Nei momenti più terribili, nelle crisi più tormentose del cuore, Marliani zuffolava a sordino, col muso in fuori. Nanà si volse repentinamente dall'altra parte dove stava Cantis, il giovinetto d'avvocato, che immemore d'ogni altra cosa che della propria adorazione concupiscente, stava là a covare cogli occhi il profilo di Nanà e il profluvio de' suoi capelli d'oro, e l'alabastrina morbidezza di quella sua pelle indemoniata, e il dolce avvallarsi del seno scoperto fin quasi ai capezzoli, tutte cose che mettevano nelle vene degli uomini, che l'avvicinavano così strepitosi fremiti. Essa gli disse: - Ernesto, avete voi coraggio per amor mio? - Oh, lo sapete bene, Nanà - rispose l'adolescente con immensa convinzione. - Io sono pronto a dar anche la vita per voi. - Marliani poc'anzi mi ha insultata. Io voglio essere vendicata, ma sull'istante. Andate là, provocatelo, fatelo uscire con voi dalla sala... Ma fate presto.... Sarete poi contento di me. Cantis s'alzò come invasato dal furore di Marte. Si slanciò presso Marliani, che stava d'accanto ad O'Stiary, e andava battendo colla sinistra un guanto sulla palma della mano opposta. O'Stiary stava colle spalle a lui rivolte, parlando colla Luisa e fingendo disinvoltura. - Caro signor Marliani - disse il giovinetto - avrei a dirle due parole. - A me? - sclamò il Marliani volgendosi di mala voglia a chi veniva così in mal punto a interrompere il suo divisamento. - Sì, a lei, a lei, se le accomoda - rispose forte il Cantis, in modo da essere inteso da tutti. - Oggi in studio m'è capitato di vedere il di lei riverito nome come gerente della ditta Marliani e Compagni - proseguì il giovinetto - e vorrei per suo bene metterla sull'avviso di certe cose, che devono interessarla assai. - C'entra molto. Anzi, se non le è di disturbo, la prego di uscire con me. - Perchè non vorrei far uno scandalo qui fra questi signori, che hanno il diritto di non seccarsi per una nostra questione personale. Mi capirà che non è questo il luogo per certe spiegazioni! La prego di uscire con me. - Ah! - sclamò il Marliani. - Vedo che lei ha delle idee! - Davvero però che questo è un bel caso. Così dicendo diede una squadrata a lui e una squadrata ad Enrico, che aveva voltata la faccia verso di lui e stava ad ascoltare quel diverbio senza capire nè sospettare di nulla. - È davvero un bel caso! parola d'onore! - ripigliò Marliani amaramente - sono a' suoi comandi. E s'incamminò verso l'uscio, seguito da Ernesto Cantis. Schiuse l'imposta e mentre stava per oltrepassare la soglia dell'uscio gli venne un'idea. Si volse e sclamò guardando ferocemente a Nanà: - Oh, ma forse ho sbagliato a dirlo un caso. Ma riderà bene chi riderà l'ultimo.
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- È pazzo? - Quel pivello però ha un certo chic di buona compagnia! - Si vede che è una vecchia ruggine! - Amerei sapere cosa va a succedere. - Bisognerebbe tenerli d'occhio... Queste e altrettanti frasi uscirono dagli astanti appena quei due furono usciti. La sola Nanà sapeva tutto ma pregò tutti di star al suo posto. Gli altri si perdevano in false congetture. Nessuno dunque si mosse per tener d'occhio i due contendenti. E dopo cinque minuti tutti li avevano già scordati. - Che cos'hai stasera, Enrico, che non mi dirigi la parola? - disse Nanà al conte. - Non t'ho diretta la parola - rispose il conte coi denti stretti come un Inglese, lasciandone scivolar fuori le sillabe staccate e sibilanti, tanto era l'emozione da cui si sentiva preso - perchè avrei avuto voglia di ucciderti. Ora sono più calmo e ti parlo. - Perchè tu sei la più infame prostituta, la più spudorata sgualdrina, che io abbia mai conosciuta di mia vita - rispose freddamente O'Stiary.
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Nanà impallidì; si volse a cercare colla mano la spalliera d'una sedia e si lasciò cadere in essa come stanca. Era, in cinque minuti, il secondo sanguinoso insulto, ch'essa riceveva sul viso. Ciò che bolliva nella sua anima di cocotte francese, basta accennarlo per farlo capire. - Perchè mi dici queste ingiurie? - balbettò. - Che cosa ti ho fatto? - Che cosa mi hai fatto? Tu hai tanta fronte di domandarmelo? Chi è che è uscito anche stamattina all'alba da queste camere? - Nessuno - rispose franca Nanà. E questa volta diceva il vero. - Che cosa sai? - So che madama Monrichard è una invenzione, so che non sei partita da Milano, so che non sei tornata a casa ieri sera col marito di questa tua pretesa amica, so insomma che Aldo Rubieri sta con te tutte le notti, mentre tu mi fai soffrire per comparire onesta e per riuscir a sposarmi. - Se tutto questo che hai detto fosse un amasso di menzogne e di calunnie? - disse Nanà - che nome meriteresti tu? - Se tu sei capace di provarmi che io mi sono ingannato mi assoggetto a qualunque sagrificio. Ma subito. - Subito in che modo? - Mettiti il cappello e andiamo insieme a trovare madama Monrichard con suo marito e sua madre. - Ah, questo, per esempio, è impossibile - rispose Nanà sforzandosi di ridere. - Vorresti ch'io lasciassi qui gli amici? E poi io te l'ho già detto, non voglio che tu la conosca la Monrichard. È un puntiglio!... Pensa pure tutto quello che vuoi di me e non seccarmi oltre. Su questo ultimatum stettero un minuto in silenzio. - Enrico - disse Nanà ad un tratto - vuoi tu avere la prova la più certa che io non penso che a te solo, che non ho altri intorno a me, che non desidero altro che di poter essere tua? - Parla. - Partiamo da Milano, conducimi in fondo della terra, su una montagna dove nessuno sappia che viviamo, senza lasciar a Milano traccie di noi, senza che alcuno possa venir a seccarci. Sarai persuaso allora? E per farti vedere che io non ci ho interesse ma che ti amo non voglio neppure che tu mi dia la tua parola d'onore, che prima di esigere che io sia tua, mi sposerai... Ma almeno saprò che anche tu sei lontano dalla tua Elisa. Nanà non gli aveva mai parlato così. Enrico fu vinto. Lo spasimo che aveva durato fino allora lo aveva reso debole come un vigliacco: non diversamente il torturato dai frati domenicani riusciva dopo il tormento degli stivaletti o dopo lo strazio delle tanaglie roventi a dichiararsi reo d'un delitto imaginario. La felicità che gli pioveva a un tratto sul cuore dalle parole di Nanà era troppo viva, perchè egli ponesse indugio ad accettare la proposta di quella donna, che lo aveva ammaliato e che si dava anima e corpo in suo potere. Come avrebbe ella potuto resistergli ancora, una volta, che fossero insieme notte e giorno fuori di Milano? La vittoria, finalmente, la sospirata, la agognata vittoria era certa! In quel momento il desiderio lunghissimo e intenso, l'idea della conquista e del trionfo non gli lasciarono discernere neppur in ombra tutto quello che v'era di estremamente grave in una fuga da Milano colla famosa Nanà. E d'altronde ci avesse anche pensato come avrebbe potuto ritirarsi? Non ne avrebbe avuto nè la forza, nè la volontà. Acconsentì. In cinque minuti s'intesero e fissarono il punto della partenza. Doveva essere pel domani. Enrico non doveva dir ad anima viva che stava per andarsene da Milano. Avrebbero poi preso in affitto una qualche villetta romita in Isvizzera, e là sarebbero vissuti felici come due colombi nel nido. In questo suonò la mezzanotte al pendolo sul piano del camino. Sappia s'alzò e venne a stringere la mano a Nanà per congedarsi, dicendole sottovoce: - Impossibile! Non venire - gli sussurrò Nanà. - A domani; ti dirò poi. Tutti s'erano levati e si congedarono l'un dietro all'altro.
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Nanà era sul punto di riuscir nell'intento. Ma pensava esserle duopo di usare molta cautela, per scongiurare il pericolo d'essere sfatata da' suoi furibondi adoratori, i quali avrebbero potuto scoprir il suo nido d'amore e mettere in guardia Enrico contro di lei. Quanto ai documenti che sarebbero venuti da Parigi, i documenti necessarî al matrimonio, ella aveva già disposto le cose in modo da riuscire per bene. Gli amici, che essa temeva sopratutti, erano il Marliani ed il Sappia, che conoscevano il di lei turpe passato. Era indispensabile disporre in modo le cose che essi non potessero parlare, non dovessero tradirla. La mattina stessa del giorno anteriore alla partenza ella andò da Marliani in via Valpetrosa. Vedendola entrare, il giovinetto si strappò di testa la callotta di Bibò, balzò in piedi e mosse incontro alla bella donna, aggrottando le sopracciglia, ma beato in cuor suo. - Tu sarai sorpreso - disse Nanà - di vedermi qui da te, n'è vero? - Non ti dissimulo.... - Vengo, prima di tutto, a vedere cosa è successo iera sera con Cantis. - È pazzo quel fanciullo o l'hai aizzato tu stessa contro di me? - Perchè vorresti ch'io lo avessi aizzato contro di te? - Per salvare il tuo amante dalla mia vendetta. - Ma che amante! - disse Nanà sedendosi. - E dunque com'è finita. - Gli ho mandati i padrini e li aspetto fra poco. - Io non voglio che vi battiate. - Vedremo. Non ti posso dir nulla. - Io sono venuta a salutarti perchè parto. - Parti? Per dove? - Per Vienna. - Col principe? - Quale principe? - Il Kuvasoff. - Che c'entro io col Kuvasoff. - Via Nanà, non farmi l'innocentina. - Io ti dico che non parto col principe. - Con chi dunque? - Parto con un banchiere ricchissimo... che ha promesso di sposarmi. - Lo pianto qui. - Davvero? - Non posso partir con due. - Poverino! - Lo compiangi? - È tanto innamorato. Ma però fai benone. - Ti pare? - Benone ti dico. Non avresti potuto continuare un mese con lui. - Perchè? - domandò Nanà con voce molto indifferente. - Perchè ormai egli è spiantato... peggio di me. - Spiantato? - Da quando in qua? - domandò Nanà guardandosi le unghie. - Dacchè cominciò a far debiti. - Ha dunque molti debiti quel povero ragazzo? - Ne ha per circa settecento mila franchi. - È impossibile! Mi avrebbe mentito allora quando mi parlava del testamento di suo padre. - Domandalo al marchese Sappia, domandalo a Aldo Rubieri che lo sanno meglio di me. - Non ha egli ereditato da suo padre più di un milione? - Cosa c'entra? Un piccolo, un miserabile milione, che egli sciupò in poco più di tre anni. - Sarà molto dunque se riuscirà a conservare duecento o trecentomila franchi in tutto e per tutto? - Ma neanche. A poter disporre dell'eredità gli manca ancora un mese a dir molto. Pagati gli interessi e i debiti plateali egli resterà nudo come il giorno che è venuto al mondo. «Avrei fatto un bell'affare, sposandolo» pensò Nanà in cuor suo. Ma poi riflettè: «Non sarà vero nulla! Costui parla per gelosia.» - Bene, - diss'ella - queste cose già a me poco importano. Io non sono venuta da te per questo come puoi imaginarti. Sono venuta da te, portata da un piccolo rimorso a chiederti un servizio. - Di danaro? - domandò sollecito il Marliani, colla voce in cui si sentiva il disinganno. Nanà pensò di lasciar credere per poco al Marliani ch'essa volesse chiedergli danaro, per vedere poi accolta con migliore garbo la sua preghiera, quando gli avesse detto che non si trattava punto di chiedergli un prestito. - Danaro! danaro! - diss'ella - sempre questo maledetto danaro! E si fermò a guardare Marliani nel bianco degli occhi.
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- Ebbene, parla - disse il giovine - in ciò che posso. Nanà, vedendo le buone disposizioni di Marliani, fu lì lì per chiedergliene subito davvero. Ma poi pensando d'aver qualche cosa di più interessante pel capo, ripigliò ridendo: - No, non voglio avere ancora danaro da te, se non me lo sarò meritato. Dopo se potrai darmi un paio di mille franchi, mi farai gran piacere. Sappi dunque che io potrò giovarti assai se mi vorrai obbedire... Vedi che in caso tu non mi daresti che la senseria. - In fondo sei una gran buona fanciulla! - disse Marliani che cominciava a intenerirsi. - Io non voglio lasciare di me brutta memoria in questa città, che mi è stata tanto gentile e simpatica. Noi forse non ci vedremo mai più; ma ho bisogno di partire col cuore in pace e sono venuta come vedi, a congedarmi. Vuoi tu che ci lasciamo in pace? - Come si fa a negarti una cosa simile? - sclamò il meneghino, che s'inteneriva sempre più. - Eppure io so che tu stavi preparando una vendetta. - Sì..., ti confesserò che io avevo stabilito di scrivere a O'Stiary per metterlo in guardia contro di te e per raccontargli il tuo passato, come del resto, te l'ho minacciato ieri sera. - Vedi dunque che ho fatto bene a venire da te. Io non so quando partirò, ma nel frattempo tu puoi figurarti quanto io ci tenga che i miei amici non sappiano nulla di brutto sul conto mio. Noi dunque dobbiamo tornare amici, almeno fino alla mia partenza. Poi ci scriveremo... È così bello sapere che si hanno qua e là dei cuori che pensano a noi, che ci vogliono bene. Accetti? - T'ho già detto, Nanà, t'ho già detto che a te nulla si nega - rispose il giovine che sentiva a sfumar dall'animo dolce ogni risentimento verso quella strega di bellezza. - Ebbene, ascolta un mio progetto su di te. Dal giorno che ti seppi in cattiva posizione, io ho pensato di far qualche cosa a tuo vantaggio. Vedi che io ho cuore. Avrei trovato il modo di farti qui in Milano una buona posizione. - Tu? - L'uomo col quale debbo partire - disse Nanà - tiene qui a Milano moltissimi interessi bancarî e commerciali. Io ho il potere di farti nominare suo rappresentante. Si tratta per te di otto o diecimila franchi di guadagno all'anno. Marliani stentava a credere alle proprie orecchie. «Possibile che Nanà - Nanà egoista, Nanà spensierata, Nanà prodiga, Nanà alienissima dagli affari, - fosse così buona e così provvida per lui?» - Tu mi colmi - disse egli prendendo una mano della bella e baciucchiandogliela con passione. Stasera ti porterò i due mila franchi. Ah, se la Bibò fosse entrata in quel momento! I baci di Marliani erano espressivi al punto da scrocchiare sulla pelle di Nanà come la frusta d'un postiglione in grazia divina. - Ascolta dunque - ripigliò Nanà ritirando dolcemente le mani da quelle di Marliani. - Io non posso metterti in relazione qui a Milano con lui, perchè egli non vuol essere conosciuto. Ma ti fidi di me? - Come non fidarmi? - Vieni a trovarmi dopo pranzo, ma non dopo le otto. Saremo soli e discorreremo. Ti dirò tutto quello che avrò ottenuto per te dal mio nuovo... grande industriale. - Come ringraziarti? - Non voglio ringraziamenti; voglio soltanto essere tua amica e star certa che tu non mi vuoi far del male. Nanà si era levata in piedi e aveva stesa la destra a Marliani per congedarsi. - Non ne dubitare, angelo mio - disse Marliani ricominciando a imprimere un'altra sonora dose di baci sulla di lei mano. E fu in questo punto e sulla frase: «non dubitarne, angelo mio» che Bibò fece la sua tacita comparsa dalla fatal porticina di fronte alla scrivania. Nanà aveva già voltate le spalle a quell'usciolo e non vide Bibò. Soltanto che, udì il Marliani, il quale, tutt'a un tratto, cambiando perfino il tono di voce, soggiungeva: - Questi baci fatti così, e quella frase «angelo mio» detta da lei in tal modo, sono certo faranno crollare il teatro sotto gli applausi. Essa si volse indietro come per dirgli: «ma cosa diamine mi vai farneticando ora?» vide Bibò, terribile, colle mani sui fianchi, la faccia scarlatta, le furie nello sguardo capì tutto e non potè a meno che scoppiare in una omerica risata, dicendo a Marliani: addio, addio! Bibò diè un passo innanzi. Nanà uscì fuori in fretta si cacciò nel suo brougham e disparve ridendo sempre. Bibò e Fiffo fecero una lite impiccata e tale, che se ne ricordano ancora oggi i casigliani.
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- «Uno è a posto!» pensò Nanà. Ora al marchese Sappia. Da lui saprò se è vero che Enrico è rovinato... In tal caso mi attacco definitivamente al principe; lo obbligo a dividersi da sua moglie e vado in Russia con lui. Il marchese Ferdinando Sappia aveva le sue entrate notturne da Nanà al martedì e al sabbato. Questo fatto urterà i nervi e il senso morale di ogni persona ben nata; urtò anche i miei. Ma ne ha colpa forse il romanziero se certe donne sono proprio così fatte? Se le adulate, se nascondete il vero su di esse, dov'è la morale? Il Sappia era uno dei tre a cui la cortigiana parigina impartiva i suoi favori - lei credeva in gran segreto, - per soddisfare a' imperiosi bisogni di donna afrodisiaca, e al suo bilancio eternamente in deficit, come quello del regno d'Italia; malgrado che a rimpinzarlo ci avessero già pensato in quattro: Marliani, O'Stiary, Sappia e Kuvasoff. Quanto al principe Kuvasoff, era ammogliato ad una mongola, brutta e gelosa come una gatta in aprile, e teneva un appartamentino per gli appuntamenti con Nanà in una nota via.
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Dinanzi alla porta di casa Sappia, Nanà scese dal brougham, entrò dal portinaio e lo pregò di avvertire il marchese che una signora aveva urgente bisogno di parlargli. Il marchese padre e la marchesa madre erano in campagna. Sappia discese. Essa lo pregò di accompagnarla sin da Rubieri e rientrarono entrambi in carrozza. - Io credevo - disse Nanà - che tu fossi un gentiluomo e temo di dovermi disingannare. - Mi farai piacere a spiegarti. - Ti avevo pregato di non dire al tuo amico O'Stiary in qual luogo a Parigi tu mi avessi incontrata. - Ebbene? - Non è che a me importi del conte O'Stiary o di chiunque altri di questa terra; ma gli è soltanto che mi dispiace di trovar in te un uomo che dice di amarmi e che non ha saputo mantener il segreto. - Enrico ti ha forse detto di aver saputo di madama Tricon? - No, ma se lo sa non puoi essere stato che tu a dirglielo. - Se lo sa non può essere stato che Marliani. Io non potevo dirglielo, neppur volendo, giacchè quando gli parlai di te gli ho inventate cose tali che ora avrei fatto la figura d'un bugiardo e d'un blagueur, se avessi dovuto dirgli la verità. Da questa confessione del Sappia Nanà fu pienamente rassicurata. - Ebbene ti credo. L'avrà saputo da Marliani. Oh del resto ormai poco m'importa, giacchè devi sapere, mio caro, che io sono obbligata di partire da Milano. - Tu parti? - sclamò il Sappia leggermente commosso da questa notizia. - Tu non sai ancora un segreto della mia vita, che ho sempre taciuto a tutti. - Ed è? - Io sono maritata. - Tu? - Tu? - Mio marito mi richiama a sè in Francia e mi perdona il mio passato. - Dov'è ora questo tuo marito? - A Parigi. - E tu fai conto di tornar a Parigi? - Sì - rispose Nanà mestamente. - È molto tempo che sei maritata? - Due anni. - Dunque quando io ti vidi a Parigi non lo eri ancora? - No. - Tuo marito è ricco o povero? - È povero. - E tu vuoi tornargli insieme? - Si. Egli riconosce e addotta il mio Louiset. - E lo ami? - Sì. - E quando partirai? - Non lo so. Aspetto ch'egli mi telegrafi il giorno. - E di Enrico, del mio povero conte, che ne fai tu? - Lo lascio. - Egli ne morrà. - Oh non si muore più adesso per queste cose - sclamò Nanà. - Egli sposerà la sua Elisa. - Ahimè! - disse il Sappia. - Io temo che anche quel suo matrimonio sia andato a monte. - Perchè? - Perchè Enrico è rovinato. E tu certo non puoi vantarti di non esserci entrata in buona parte. - Ma è dunque vero, che è rovinato quel povero Enrico? - sclamò Nanà con voce compassionevole. E fra sè pensava intanto «Ah il mio petit crev stai fresco ora.» - Non gli resterà tanto da tenersi un cavallo. - Io non ne ho colpa. Io non gli ho mai chiesto danaro. I regali già non si possono rifiutare. - Oh del resto - notò il Sappia - ti permetto di non avere rimorsi. Egli era già quasi rovinato prima che tu venissi a Milano. «Assolutamente - pensò Nanà fra sè - se lo sposassi ora che posso essere certa che egli è rovinato, sarei una gran baggea. Bisognerà pensare ad altro.» - Senti un pò - disse Sappia. - Se io ti accompagnassi a Parigi? Che ne pensi? - Impossibile. - Perchè mio marito verrà a levarmi di qui. Il Sappia si strinse nelle spalle. Che cosa gli restava a dirle di più? Egli non era l'uomo da far delle pazzie per Nanà. Anzi ond'essere vero sempre, fino alla feccia, c'è da confessare che tra i pensieri del marchese scattò spontanea e pronta questa frase che fa onore alla di lui saggezza: «Meglio così! Tanti risparmiati!» La confessione però, di quell'amore per un marito qualunque, gli giungeva così nuova ed eteroclita, che ne dubitò. Si propose di sorvegliare Nanà e di scoprire l'arcano, che doveva covare sotto l'apparente sincerità della cocotte.
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Erano giunti a casa di Aldo Rubieri. - A rivederci questa sera - disse Nanà. - A proposito, sai che ieri sera Enrico non è venuto da me? - Sicuro.
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Il Sappia tornò col brougham a casa. Nanà trasse di tasca una piccola chiave, fè il giro dietro la casetta di Rubieri e per una porticina seminascosta dietro l'edera entrò nel guardino.
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Gignous avrebbe delirato di gioia, vedendolo. Parlo del giardino di Aldo Rubieri, che Mattia Corvino chiamava con innocente iperbole il giardino incantato. Era vasto. Ma quantunque chiuso fra quattro mura, sembrava sterminato intorno intorno. I muri erano tutti coperti di edera folta, e dinanzi ai muri, stavano piantate tre filari di pini delle Alpi. Nell'edera, Aldo aveva saputo praticare certi effetti di luce, di chiaroscuri e di sfondi, da farli scambiare fra le macchie più avanzate, per cannocchiali di una foresta folta, che contornasse tutt'all'ingiro il giardino. Un'illusione ottica maravigliosa. Certo era quello il più bello e il più fresco giardino di Milano. D'onde mai il Rubieri fosse andato a tirare l'acqua perennemente zampillante dalle tre fontane e formante la vaga cascatella, tra il tufo e i sempreverdi, nessuno lo sapeva, tranne Nanà, la signora Marietta e il Cicerone. Il fatto è che v'era una delizia di frescura e di verde ammirabile. Nanà aveva dichiarato che ci sarebbe vissuta volentieri tutta la vita. Rubieri aveva accolta quella dichiarazione come un complimento al suo buon gusto e null'altro.
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- Sei qui, mia splendida bellezza? - disse Aldo vedendola entrare nello studio. - Sono qui, e per l'ultima volta. Dopodomani parto - rispose Nanà. - Dove vai? - A Napoli. - A far che? - A recitare. Sono scritturata a mille franchi al mese. - Tu? - Io. - Ma chi è quell'impresario balordo, che ha il coraggio di darti mille franchi al mese? - Come siete sempre grossolano con me, caro Aldo! - disse Nanà. - Ah, tu sai bene che io non faccio complimenti neppur alle donne belle. Il Rubieri fin dal primo giorno s'era avvezzo a non subire il fascino sensuale di Nanà. Egli considerava la sua modella come una bellissima creazione dal solo punto di vista dell'arte. Tutte le moine e le seduzioni di lei, non erano riuscite a smuoverlo dalla sua sovrana indifferenza. Egli aveva altro pel capo. La trattava come un fanciullo, e Nanà sentiva di lui un poco di soggezione. Era tutto il rovescio di quello che accadeva cogli altri adoratori, i quali invece avevano suddizione di lei. Talvolta Rubieri le parlava seriamente come da padre. Egli amava di comparire ai di lei occhi un uomo serio. Oltre che, era portato a questo dal suo carattere, pensava che parlando in francese di cose serie, egli avrebbe fatto miglior figura. Pei calembours egli non ci aveva l'incornatura. Nanà trovava un gusto nuovo a questa, per lei, grandissima novità. Se a Parigi qualcuno le avesse detto una cosa simile, gli avrebbe dato dell'idiota. Ella si sentiva come riabilitata ai propri occhi, finchè stava con Rubieri e ascoltava senza noia il suo Fidia. Spesso, ella si maravigliava d'essere capace di udire senza sbadigli certe tirate, che era avvezza a considerare come solenni pedanterie. Ma il segreto di questa nuova attenzione lo si comprende pensando che ella aveva ormai uno scopo serio nella sua vita. - Nanà, ascolta - disse Rubieri sedendosi vicino a lei - io ho bisogno di sapere da te se il conte O'Stiary ti accompagnerà a Napoli. Nanà guardò sorpresa in faccia a Rubieri. - Perchè mi hai fatta questa domanda? - Perchè ci ho il mio grande interesse a fartela. - Si può sapere questo interesse? - Non c'è nulla che mi vieti di dirtelo. Tu sai che Enrico era promesso sposo della signorina Elisa Martelli. - Ebbene? - Da qualche tempo questo matrimonio pericolava assai, perchè Enrico pensava tanto alla bella Elisa come io penso alla regina di Golconda. - Lo so. - Ma se tu riesci a condurlo via con te, gli è come dire che andrebbe proprio a monte del tutto e definitivamente. - Ah, ho capito; e allora tu, n'è vero, ti faresti sotto? - Perchè no? È una delle più belle fanciulle di Milano. - Con trecentomila lire di dote. - Non dico di no. - E se io ci riuscissi a fare questo colpo, quale sarebbe la mia ricompensa? - Proponi. - Ma prima di tutto è necessario che io sappia in quali acque si trova oggi il conte. È vero che è rovinato? - Non del tutto, ma quasi. - Capirai Aldo, che il fuggire con un uomo rovinato, di cui non si sia pazzamente innamorata, non è proprio l'ideale del saper vivere. - A me basterebbe che tu me lo tenessi lontano un mese. Per questo mese io penserei a te. - Io non mi fido. - E se ti sborsassi il danaro prima di partire? - Allora sì. - Peuh! Facciamo tre. Aldo si alzò, e andava difilato allo scrigno, quando un dubbio lo fece arrestare: - Tu non ti fidavi di me. Dovrò io fidarmi di te? - Se non ti fidi tralascia - disse Nanà. - Non potresti dirmi qualche cosa che mi affidasse che tu saprai davvero trascinarti dietro il giovinetto? A Nanà venne un'idea splendida. - Io l'ho il mezzo. - Quale? - Gli scrivo un biglietto qui; egli mi risponderà che è pronto a fuggire con me, e tu lo leggerai pel primo. - Se tu sei così brava ti snocciolo subito uno sull'altro i tre biglietti da mille. Aldo la condusse nel gabinetto da studio.
«M'è nato il dubbio che tu abbia mutato di parere. Assicurami subito che tu sarai pronto questa sera, per l'ultima corsa di Arona, a partire con me. È necessario che non ci vediamo prima di quell'ora per non dare sospetti. Alle dieci io ti aspetto in casa. Sarò pronta. A rivederci. Rispondimi subito. «Tua Nanà.»
Un'ora dopo il Mattia Corvino, che era stato mandato a portare il biglietto al conte O'Stiary, recava la risposta:
«Mia Nanà, «Non dubitare. Alle dieci di questa sera io sarò da te e partiremo insieme. Io ho già salutato Milano forse per sempre. Ciò che però non ti ho ancora detto a voce te lo dico in questo estremo momento. Io non sono più ricco e a te povera Nanà toccherà forse di avere delle privazioni per vivere con me. È un dovere imprescindibile che mi spinge ora a farti questa confessione. Mi ami tu abbastanza malgrado ciò? Me lo dirai domani sera lungi da Milano, quando sarai finalmente nelle mie braccia. «Tuo Enrico.»
- Che ne dici? - domandò Nanà trionfante. Rubieri era pensieroso. - A che pensi? - Penso che voi due vi eravate già intesi di fuggire stasera insieme. - Può darsi! - Senza le mie tremila lire, dunque? - Ero venuta per chiedertele ugualmente. - E se io te le avessi negate? - Saresti stato padronissimo. Ma ora mi pare che mancheresti di delicatezza. - Ho scherzato. Volevo vedere come la pigliavi. Aldo andò allo scrigno portò a Nanà i tremila franchi, ch'ella ripose con grandissima indifferenza e con un semplice merci nel portamonete. Poi dato uno sguardo all'orologio e col pretesto delle mille faccende che le restavano da sbrigare per poter partire, s'accomiatò.
* * *
«Queste le tengo,» pensò Nanà, rincantucciata nel brougham, che la portava alla palazzina del principe Kuvasoff; e andava palpando e ripalpando il portamonete con immenso giubilo.
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Il principe Kuvasoff aveva i suoi erotici colloqui con Nanà nell'appartamentino della casa in cui trovasi oggi la Cronaca Grigia. Essa aveva due uscite. Il principe entrava da una parte, Nanà dall'altra; e quando si lasciavano, Nanà usciva dalla parte per cui il principe era venuto e viceversa. In tal modo essi avevano sventate le ricerche assidue della principessa, la quale teneva due spie sulle traccie di suo marito e non aveva potuto saper nulla ancora di quel convegno. - Mio caro principe - disse Nanà - che arrivata prima di lui stava sdraiata su un'ottomana ad aspettarlo fumando una sigaretta - oggi grandi novità. C'è chi si è incaricato di rapirmi a voi. - Ah dev'essere un grande uomo di forza costui! - sclamò il principe sedendosi vicino a Nanà e cingendole la vita col braccio. - Egli mi ama come un pazzo - disse Nanà. - Ed io dunque vi amo forse come un saggio? - Vediamo dunque. Che cosa sareste pronto a fare voi per me ond'io non accetti le proposte di quell'altro? - Tutto quello che vuoi. - Sareste pronto principe a dividervi dalla principessa e a condurmi in Russia con voi, come mi avete detto altre volte? - Sempre. Io già da un pezzo, lo sai, rumino l'idea di liberarmi da quell'arpia. - Allora birba chi manca. Toccate. Il principe diè la mano a Nanà. - Quando partiamo? - Anche stanotte se vuoi. - Ma non converrà partire insieme. - È vero partiamo da soli e troviamoci in un'altra città. - Dove per esempio? - A Venezia. È sulla strada per andar in Russia. Furono presi tutti gli accordi più necessari, e il principe le diede cento napoleoni d'oro per le spese del viaggio da Milano a Venezia. E Nanà li mise insieme ai tremila franchi di Rubieri. Il resto del colloquio andò poi co' suoi fiocchi; ma noi è meglio che lo lasciamo nell'ombra.
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Il giorno dopo tutta Milano, - voglio dire la tutta Milano settembrina, che ha tempo e voglia di occuparsi dei fatti altrui - parlava della sparizione di Nanà e di quella contemporanea del conte Enrico O'Stiary. Quanto al principe Kuvasoff egli si fece veder al Corso in coupè allato di sua moglie, e non lasciò Milano per Venezia che il giorno dopo. Ma che cosa era capitato ad Enrico O'Stiary? Due ore prima di quella fissata alla partenza con Nanà egli era andato da lei, e aveva trovato dal portinaio questo biglietto:
«Siamo sorvegliati. È impossibile andar via insieme. Io deludo lo spionaggio di chi potrebbe impedirmi di partire con te e parto subito. Mi troverai a Torino al Feder, a meno che non mi tocchi di continuare il viaggio fino a Macon. «A rivederci. «Tua Nanà.»
Enrico questa volta non ebbe sospetti gravi; ma sentì una specie di maraviglia disgustosa, che ci fosse taluno il quale potesse impedire la partenza di Nanà. La sua mente corse tosto a Aldo Rubieri, ch'egli credeva suo fortunato rivale, e fu lì lì per andare da lui a chiedergli una spiegazione. Ma consultato l'orologio capì che non aveva tempo da perdere; mandò Aldo al diavolo in cuor suo, e giubilando al pensiero che fra poche ore si sarebbe trovato al fianco della donna adorata, si fece condurre alla stazione dove pranzò; quindi partì per Torino.
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Chi domandasse poi il perchè Nanà si fosse divertita a far anche quest'ultima burla crudele ad Enrico mostrerebbe di non conoscere di quali capricci sia fecondo l'isterismo d'una cocotte parigina.
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