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Carlo Righetti, alias Cletto Arrighi Nanà a Milano IntraText CT - Lettura del testo |
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XIII.
Suonavano le nove e mezza di mattino al campanile del villaggio sul Lario, che sorgeva a un tiro di pistola dalla villa del notaio Martelli. Egli stava in giardino a potar i suoi fiori, quando il domestico gli annunciò una visita sbarcata poco prima dal vapore. - Sarà quel capo scarico d'un mio pupillo, mi imagino - disse don Ignazio. - No signore. È il signor Aldo Rubieri. - Ah, tanto meglio! - sclamò il notaio; e deposta la forbice gli corse incontro tutto lieto. - Benvenuto, benvenuto - cominciò a gridar da lungi, alzando le due braccia come un telegrafo - Che buon vento? - Lei non m'aspettava? - Ma sì, certo che l'aspettavamo tutti - disse il notaio. - Però credevamo che lei venisse colla seconda corsa. - Ho dormito a Como. Ecco perchè sono qui così presto. Ieri sera ho perduto l'ultimo vapore e non ho avuto il coraggio di fare questo tratto in barca. - Sfido io! Le donne poltrone sono ancora a letto... o tutt'al più alla toilette. Non sanno godere la campagna quelle pettegole. - Oh, del resto non sono che le nove. - Bravo, bravo! - sclamò don Ignazio entrando nel salotto e mettendosi a sedere. - Oh, giacchè siamo soli, parliamo dunque un poco seriamente dei nostri affari. Il suo amico che mi fece l'onore di domandarmi in di lei nome la mano della mia Elisa, le avrà portata la mia risposta. - Ed io sono venuto incoraggiato appunto da quella risposta - disse Rubieri. - Lei può imaginarsi se io non sarei felice. Ma le dirò la verità, noi non abbiamo ancora avuto occasione di parlarne alla Elisa. - È naturale! L'amico mi portò la lieta notizia soltanto ieri mattina, ed io due ore dopo partivo da Milano. - Mi ascolti, caro Rubieri - disse il notaio invitando lo scultore a seder dinanzi a sè. - Lei sa che da qualche tempo io vagheggio l'idea di ottenere dalla Giunta municipale quella tal concessione di cui le ho parlato e che deve far più ricca d'assai mia figlia che lei mi fa l'onore di chiedermi in isposa. Mia figlia è unica, e naturalmente... Lei è assessore e mi dicono che può tutto presso il conte sindaco. - Oh questo è una esagerazione - sclamò Rubieri. - Sì sì, m'hanno assicurato che il sindaco la stima assai, e fa tutto quello che lei gli suggerisce. - Non negherò che il conte sindaco abbia una certa deferenza per me - rispose Aldo - ma da questa al far tutto ciò che io desidero ci corre. E poi c'è il Consiglio. - Ma lei appartiene alla maggioranza.... - Questo è vero! Se il sindaco vuole, del Consiglio ce ne infischiamo. - Dunque una mano lava l'altra. Io le do mia figlia e lei mi fa ottenere la concessione. - Mi spiacerebbe che la signorina Elisa sapesse che.... - La Elisa non deve saper nulla delle nostre faccende - disse il padre. - Siamo intesi? - Ma dal canto mio - rispose Aldo - lei può imaginarsi se non mi metterò colle mani e coi piedi perchè questa concessione le sia data... se non che.... - Non è certo di ottenerla? - Come lei, caro don Ignazio, non è certo di ottenere il consenso di sua figlia. - Eh l'otterremo, non la dubiti, l'otterremo - sclamò il notaio scotendo il capo con un sorriso fra il malizioso e il soddisfatto. - La Elisa è una testolina sì, che ha le sue idee, non dico, ma che non mi ha mai disobbedito finora; e credo non vorrà cominciare dal momento che io le proporrò un giovinotto come lei, un uomo celebre, assessore municipale.... - Basta basta, don Ignazio, non la mi faccia arrossire ora. Piuttosto le dirò..., caro cavaliere... le esporrò un mio dubbio..., ch'ella potrà distruggere o avvalorare secondo la verità. Io, come lei può ben pensare, non vorrei per tutto l'oro del mondo ottenere da sua figlia un consenso che potesse per avventura essere un po' forzato. Io non sono in confidenza colla signorina Elisa e non so come ella stia di cuore. So però, come tutti gli amici di casa, ch'ella ebbe sempre una grande inclinazione per il suo compagno d'infanzia.... - Vedo dove ella tende - disse don Ignazio - e le risponderò francamente. La Elisa infatti aveva un certo attaccamento per il conte Enrico, mio pupillo, ed io e mia moglie certamente saremmo stati felici di vederla diventare contessa, se quel balordo di un giovinotto non avesse distrutto, colla sua condotta impossibile, ogni nostra speranza. - Sta bene - riprese il Rubieri - e non sarò io certo che mi lamenterò di questo fatto. Soltanto che... lei sa bene... le fanciulle talvolta amano più gli scavezzacolli che i giovani ordinati e prudenti. - Oh io spero poi che la mia Elisa sia ormai persuasa che io non le darei giammai il consenso di sposare il conte. - Lo credo - disse Rubieri - ma ciò non mi dice ancora ch'essa non ne sia sempre innamorata. Il padre a questa uscita di Rubieri stette muto, ma col capo alzato, collo sguardo fisso e col labbro infuori, pareva chiaramente dicesse: «Chi va mai a sapere ciò che si cela nel cuore di una fanciulla? Questo toccherà a lei!» - Certo che - riprese Aldo - quando la signorina Elisa saprà quello che è accaduto ieri sera del nostro Enrico... - Vedo che lei non sa nulla... e da un lato mi dispiace di dover essere proprio io il uuncio di nuova disgrazia. - Cosa diamine gli è capitato? Forse ha perduto qualche altra somma al giuoco? - Peggio. - Peggio di perdere al giuoco? - domandò con sorpresa don Ignazio - La dica, la dica. - È partito da Milano con quella sua... - Ah quella donnaccia francese... forse... la di lei modella? - Precisamente. Don Ignazio si gettò sul cordone di un campanello e al servo che comparve sulla soglia dell'uscio disse: - Donna Eugenia... sissignore. - Ditele che venga giù subito, che c'è qui il signor Rubieri. Poi voltosi a questi: - Ella è ben certa che sia proprio partito con lei? - Certissimo. - Essa ha nome Nanà, n'è vero? - Ah, che testa, che testa! - gridò don Ignazio giungendo le mani in atto di maraviglia. - Ma già fu sempre uno scapestrato! Si poteva aspettar da lui questo e altro. Donna Eugenia comparve, e le fu raccontata la cosa. Ella se ne mostrò altrettanto addolorata quanto suo marito pareva ne giubilasse. - Ormai - sclamò egli - spero bene che la ragazza sarà persuasa e convinta, e non avrà più ragione da opporci. Tocca a te ora, cara Eugenia, a informarla. La signora Eugenia protestò che non ne aveva il coraggio. Ella avrebbe passato il lago a nuoto più volentieri che dar all'Elisa quel brutto colpo. Povera donna come sei ammiranda nel tuo materno imbarazzo! Ella si era prestata spesso a far quello che suo marito le raccomandava di fare, cioè dissuadere la fanciulla dal voler bene all'Enrico. La Elisa dal canto suo non aveva mai aperto a sua madre l'animo proprio ferito nel vedersi trascurata dal suo giovine amante. Regnava tra madre e figlia una specie di delicatezza, una suggezione riguardosa su questo argomento. Entrambe temevano di farsi reciprocamente un dispiacere, e ne tacevano. «Oh, non c'è argomento - pensava la madre - che valga a distruggere l'impero di dieci anni di sogni e d'illusioni d'amore.» Ma volere o non volere bisognava spiegarsi. Bisognava aprir gli occhi alla innocente creatura e raccontarle finalmente la fuga di quell'ingrato.
* * *
- Ascolta Elisa... - incominciò - io capisco che tu pensi ancora... Ed io t'avrei a dire una cosa molto seria quest'oggi. Ti imagini tu, cara, di che cosa io ti voglia... dire? - Me lo imagino - rispose la fanciulla con un sorriso tra la speranza e la malinconia. - Dimmelo allora. - Io spero che tu mi voglia parlare di Enrico. La signora Martelli attirò sua figlia al seno e la baciò passionatamente. - Oh, perchè piangi? - sclamò Elisa vedendo i lucciconi negli occhi di sua madre. - Ascolta Elisa. Se tu dovessi persuaderti che il conte O'Stiary non è degno di te? - Tu me lo hai fatto capire altre volte - disse la fanciulla - ma io non voglio crederlo ancora. Egli è pieno di cuore e di onore. Che cos'avrebbe fatto per non essere più degno di me? - S'egli ti avesse miseramente ingannata, dicendoti che ti amava, mentre.... La Elisa si rizzò in piedi come se una molla potente l'avesse sospinta in alto, e portò istintivamente le due mani sui polsi. - Lo dicevo io - sclamò sua madre spaventata. - No, anima mia, non far così. Elisa... chissà che non sia una calunnia... quetati. La fanciulla si era rimessa tosto. - Ah! - disse con un gran sospiro - non è dunque una cosa certa? E difatti è impossibile! Io sento che egli non ama che me. Ne sono sicura. Io lo so ch'egli ha conosciuto un'altra donna. So tutto... ma! «Oh molte altre donne» pensò fra sè la madre. - Ma egli non ci ha voluto bene a quella... Me lo confessò lui stesso. Fu una sorpresa, un capriccio, che so io? La signora Eugenia ascoltava sua figlia con una specie di sgomento. Essa non aveva calcolato la portata del colpo che era obbligata di darle. Essa non credeva che sua figlia fosse capace di tanto affetto. - Ma - ricominciò la povera donna - se invece ci fosse in lui qualche cosa di molto serio? Se egli ti dovesse dare la prova certa del suo tradimento? - La prova? - sclamò la Elisa sorpresa. Quale prova? Che cosa ha fatto? Oh, finchè egli stesso non me lo dica colla sua bocca, che ha cessato di volermi bene a me sola, io non crederò a nessuno. - E s'egli non potesse più dirtelo? - Oh mamma! - gridò la Elisa sopraffatta da queste strane parole. - Perchè? Che cosa gli è accaduto? Per pietà mamma. - No, non spaventarti così, cuor mio! Oh Elisa la mia Elisa, sia buona, non far soffrire in questo modo la tua povera mamma... sia ragionevole. - Ma sei tu mamma che mi fai soffrir me! - disse la fanciulla. - Oh parla, ti scongiuro. - Credi tu che se non fosse necessario io non t'avrei risparmiato questo dolore? - Ebbene, parla mamma, ti ascolto; vedi, sono ragionevole, parla, sono buona.... E fu allora che la madre le narrò la fuga scandalosa di Enrico con Nanà.
* * *
Elisa che stava in piedi si sedette, pallida molto. A sua madre che la fissava ansiosamente, sembrava di vederla come a trasformarsi. Non una esclamazione, non un lamento, non una lagrima. - Quando successe questo? - domandò la fanciulla con voce ferma. - Ieri l'altro. Fu Rubieri stesso che venne a dircelo. - È cosa certa? Rubieri non potrebbe essersi ingannato? - Ah, pur troppo no; diede tutti i particolari. E la madre baciò con passione la Elisa. Allora la povera fanciulla fu presa dall'accoramento; il gruppo del dolore si sciolse, e scoppiò in lagrime. - Oh mamma, bisogna che tu mi guidi, se no non so che cosa accadrà di me - diceva la povera fanciulla singhiozzando. Così dicendo, ella stringeva convulsivamente le mani di donna Eugenia e le portava alle labbra per baciarle, come un bimbo che domanda scusa. - Io lo amo mamma, io lo amo il mio Enrico. Mi pareva che egli fosse così sincero. Io non vivevo che per lui! - Elisa, fatti animo - le disse donna Eugenia - bisogna che tu impieghi ogni mezzo per dimenticarlo. Tu sei troppo esaltata, figlia mia. Oh, credi tu forse che io non ti comprenda? Credi tu forse che anch'io.... Si arrestò. Un'emozione profonda scuoteva suo malgrado quell'anima, che pareva a tutti impassibile e fredda. Un segreto di amore stava per cader dalle labbra della matrona; erano forse più di vent'anni che il suo cuore si era chiuso alla idea d'amare un'altra creatura che non fosse la sua Elisa; il dolore di sua figlia aveva risvegliato nel suo cuore la lontana rimembranza. Una tempesta assai terribile doveva avere durato quel cuore, che da tanto tempo scordava di avere sofferto, se la nuova passione di sua figlia vi aveva saputo ridestare tanto eco di dolore e di compianto. La madre accolse la sua creatura nel braccio destro; colla mano sinistra le fece appoggiare la testolina sul proprio seno. E le sue lagrime di madre cadevano sulla bionda testolina di quel suo angelo sconsolato, e il dolore di entrambe, pur tanto diverso, si confondeva là su quel seno in un solo dolore.
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