XVIII -
Pio IX
I popoli che formavano
lo Stato della Chiesa erano fra tutti gl’italiani i più straziati, perché
avevano sul collo i preti e gli stranieri. Gli austriaci stavano minacciosi al
confine, e dentro seimila svizzeri con altre migliaia di fecciosi ribaldi
formavano l’esercito del papa. I preti governavano col codice dei sette peccati
mortali: e chi non ha conosciuto il governo dei preti non sa quale sia l’ultima
tirannide, la quale ormai è caduta perché Dio e gli uomini erano stanchi di
tante scelleratezze codarde. Fin dagli ultimi tempi di Pio VII andava per tutta
Europa ed anche fra le mani de’ principi un manifesto col quale si dimandava al
papa un codice di leggi civili e criminali come l’hanno gli altri popoli,
l’amministrazione civile lasciarla in mano ai laici, abolire i tribunali
straordinari, instituire un consiglio di stato, licenziare i soldati stranieri,
instituire una milizia cittadina. Scoppiata in Francia la rivoluzione di luglio
1830, e poi in Polonia, e nel Belgio, e in altri paesi d’Europa, i popoli di Romagna
udendo morto Pio VIII, e la sede pontificale vacante, e fidando nel non
intervento e nelle promesse di Francia, levarono il capo nel 1831, e Bologna
rovesciò il governo dei preti, e subito le altre città, e le Marche e l’Umbria
seguirono l’esempio de’ bravi bolognesi. Ma eletto papa un monaco, fra Mauro
Cappellari, Gregorio XVI, questi chiamò a soccorso gli austriaci i quali in
gran numero occuparono le Romagne; sollevò le plebi ignoranti e fanatiche.
Invano si combatte, invano fu stipulata una capitolazione in Ancona: quel moto
generoso fu represso col sangue e con la perfidia, cominciò una persecuzione
feroce. Le grandi potenze d’Europa, fra le quali anche l’Austria si messero
d’accordo con l’Inghilterra, e fecero presentare al papa un famoso memorandum
nel quale lo consigliavano di togliere la cagione di tutti quei
commovimenti, di ordinare i municipi, instituire consigli provinciali, far
parte ai laici negli uffici dello stato, non permettere abusi, perdonare a chi
aveva mancato. E il duro monaco rispose la chiesa governare come buona madre,
le leggi e le istituzioni dello stato essere ottime anzi sante; “se i rivoltosi
usciranno dalla compressione in cui trovansi, se da le mani dei chierici si
togliesse l’autorità temporale, il papa avrà bisogno d’un Avignone, e i
principi che dominano la penisola avranno nel centro d’Italia il focolaio d’un
incendio che roventerà le loro corone”. Aveva ragione, e governò spietato e da
ubriaco.
Nel 1843 fu un altro
moto in Romagna, e fu anche oppresso. Nel 1845 ce ne fu un altro anche infelice
cui seguirono arresti e condanne crudeli. Una banda di dugento uomini cercò
rifugio in Toscana, dove furono accolti e sovvenuti di ogni cosa. Erano nudi,
affranti, addolorati, mettevano pietà in ogni anima gentile, andarono a Livorno
dove si imbarcarono per l’esilio. Era allora in Toscana Massimo d’Azeglio, che
al veder tanta sventura sentì gonfiarsi il cuore, e scrisse un libretto, Gli
ultimi casi di Romagna, che fece gran rumore e gran bene. Lo pubblicò in
Firenze col suo nome, e non temé i rigori della polizia; e scacciato anch’egli
in esilio uscì come in trionfo salutato da tutte le città onde passava. Egli
diceva al governo del papa dure parole di biasimo, e mentre sosteneva la causa
dei popoli diceva dure parole anche ad essi.” E non v’accorgete che cotesti
moti sono intempestivi e funesti? Contro la forza soverchiante non si può
altrimenti combattere che col coraggio civile, senz’arme, senza violenza,
dicendo ad alta voce a tutti quanti quello che si vuole. Se avete ragione,
perché vi mettete dal lato del torto usando la violenza? Le cospirazioni
segrete, e le levate di armi non servono più, e fanno gran male al nostro
scopo. Leviamo la voce, protestiamo tutti a viso aperto contro le ingiustizie,
e noi faremo cadere le armi di mano ai nostri oppressori.
Stavano così le cose
quando il 16 giugno 1846 fu eletto papa Giovanni Mastai, che si disse Pio IX; e
questi è papa di ventinove anni (1875). Eletto per insigne bontà di animo, non
ha mostrato nessuna grandezza di carattere, e pure è stato il primo iniziatore
di questo moto che ha trasformato l’Italia, va trasformando l’Europa, e
trasformerà tutto il cristianesimo. Gli altri papi non perdonarono mai; egli
diede largo perdono, e disse volere governo di giustizia e di amore: gli altri
tennero il potere temporale; egli l’ha perduto; dunque o il perdono, la
giustizia e l’amore sono cose nocevoli, o quel potere era ingiusto; gli altri
se perderono quel potere, lo riacquistarono; lo riacquisterà egli? gli altri lo
perderono perché soverchiati dalla forza, e con la forza lo riacquistarono;
egli l’ha perduto sopraffatto dalla coscienza generale, e per riaverlo dovrebbe
mutare questa coscienza: gli altri che lo perderono per qualche tempo furono
scacciati da Roma, e malmenati; egli sta in Roma, onorato, protetto dalle
leggi, non più principe ma capo de’ cattolici, e vede stabilito in Roma un
governo libero che non trema di lui ma ride e lo lascia parlare, e gli fa
carezze come a fanciullo. I papi davano o toglievano i troni, coronavano i re,
dettavano leggi al mondo; egli ha perduto il trono, ed è rimasto adagiato su la
sedia pontificale, riceve egli la legge, è protetto egli da la legge delle
garenzie. Il vicario di Dio, l’infallibile, il re dei re, il papa è diventato
un uomo come gli altri, ha perduto l’immenso potere che egli aveva. Chi
gliel’ha tolto? Deus dedit, Deus abstulit: e Dio è la coscienza degli
uomini che è mutata. Egli voleva come tutti i suoi antecessori essere re, ed
essere papa; ed è caduto come re, e cadrà ancora come papa. Essendo confuse
anche in lui queste due qualità, non è possibile che cadendo il re non tragga
seco qualcosa del papa, non è possibile che la caduta del potere temporale non
porti seco il decadimento anche dello spirito con cui era confuso. Tutto questo
dunque è avvenuto per una grande e profonda e generale rivoluzione che si è
operata negli animi, la quale non è stata mossa da lui a la stessa guisa che il
moto della terra non cominciò da colui che primo disse: “La terra si move”. Se
non da lui, da un altro; se non in quell’anno, qualche anno dopo, se non con le
buone con le triste la rivoluzione doveva cominciare, aveva camminato a
bastanza e dal pensiero doveva passare nell’azione. Egli ne fu l’occasione, e
ne avrà lode perché disse quelle solenni parole: perdono, giustizia, amore; le
quali mentre furono il cominciamento saranno ancora il fine ultimo e lontano
cui tende la rivoluzione. E quale è il fine cui tende questa rivoluzione? Lo
dico in tre parole: sollevare la coscienza umana. E se il papato è stato uno
de’ più fieri oppressori della coscienza umana, la rivoluzione deve trasformare
il papato e le sue dottrine, anzi deve trasformar proprio il cristianesimo il
quale ha fatto il suo tempo nel mondo, ha prodotto i suoi beni ed i suoi mali,
ed ora, come tutte le cose umane, deve trasformarsi. “Oh esso è venuto da Dio”.
Tutte le religioni si dicono venute da Dio, ma esse sono uscite da la coscienza
dei popoli e si mutano necessariamente come essa coscienza si muta. Pio IX
credette di fare opera di uomo dabbene, ma fece opera di cattivo papa: indi a
poco se ne pentì, ma non gli giovò. Se non mosse egli la rivoluzione, neppure
poteva frenarla egli. Ma oggi se uno potessse gettare uno sguardo nel fondo
fondo dell’animo di questo vecchio papa, che ha perduto il trono, e vede
scaduta la fede e il cattolicesimo fieramente assalito, io credo che in quel
fondo troverebbe anche lì la rivoluzione, troverebbe l’uomo che si compiace di
vedere unita l’Italia che egli un tempo amava e benediceva.
Le amorevoli udienze del
nuovo papa, il perdono di tutti i reati politici, le larghezze e le riforme che
vennero di mano in mano crescendo, sollevarono i romani a grandi e festose
allegrezze, e commossero profondamente i popoli italiani e gli altri popoli
d’Europa e del mondo. “Che nuovo miracolo è questo, un papa che perdona?”
Dissero le genti: “Dunque la libertà non è peccato, come finora si è detto!
Dunque i liberali non sono nemici di Cristo, come ci si dava ad intendere!”
Questo dunque fu la prima voce della rivoluzione, che si sentì legittima e
santa, fu la parola che uscì da tutti i cuori, la ripeterono con gioia le
moltitudini ignoranti e serve, la ripeterono molti preti e frati. La libertà
non è peccato: un filosofo ed un papa l’hanno detto. E perché Dio ne avrebbe
messo un desiderio sì grande nel petto degli uomini? “Viva Pio IX” fu la parola
che tutti i popoli d’Italia gridarono chiedendo ai loro principi migliore
governo, e quando i principi lanciavano i loro soldati sui popoli inermi, molti
morirono dicendo: “Viva Pio IX, viva l’Italia”. Io non biasimo quelle grida,
quelle feste, ed anche quelle pazzie di allora, come oggi fanno i savi; anzi io
che non gridai mai “viva Pio IX”, mi ricordo con compiacenza di tutte quelle
manifestazioni di gioia fatte da un popolo lungamente servo, che era il popolo
italiano pieno d’affetto e di fantasia, e che pure ebbe il senno di contentarsi
di poco; ma come poi s’accorse che quel poco era un inganno, si sdegnò
fieramente, e volle quel che volle.
“Pio IX è il vero
vicario di Cristo, è il più grande di tutti i pontefici,” dicevano i popoli. “È
un giacobino, è un massone,” dicevano i prìncipi. Né santo né giacobino; ma un
prete che nella prima allegrezza di vedersi eletto papa sentì intenerirsi il
cuore, e volle tutti allegri, ma come vide che l’allegria si mutò in
rivoluzione, ed ei ci fu avvezzo al papato, si pentì e tornò prete.