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Luigi Settembrini
Ricordanze della mia vita

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  • PARTE PRIMA (1813-1849)
    • XVIII - Pio IX
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XVIII - Pio IX

I popoli che formavano lo Stato della Chiesa erano fra tutti gl’italiani i più straziati, perché avevano sul collo i preti e gli stranieri. Gli austriaci stavano minacciosi al confine, e dentro seimila svizzeri con altre migliaia di fecciosi ribaldi formavano l’esercito del papa. I preti governavano col codice dei sette peccati mortali: e chi non ha conosciuto il governo dei preti non sa quale sia l’ultima tirannide, la quale ormai è caduta perché Dio e gli uomini erano stanchi di tante scelleratezze codarde. Fin dagli ultimi tempi di Pio VII andava per tutta Europa ed anche fra le mani de’ principi un manifesto col quale si dimandava al papa un codice di leggi civili e criminali come l’hanno gli altri popoli, l’amministrazione civile lasciarla in mano ai laici, abolire i tribunali straordinari, instituire un consiglio di stato, licenziare i soldati stranieri, instituire una milizia cittadina. Scoppiata in Francia la rivoluzione di luglio 1830, e poi in Polonia, e nel Belgio, e in altri paesi d’Europa, i popoli di Romagna udendo morto Pio VIII, e la sede pontificale vacante, e fidando nel non intervento e nelle promesse di Francia, levarono il capo nel 1831, e Bologna rovesciò il governo dei preti, e subito le altre città, e le Marche e l’Umbria seguirono l’esempio de’ bravi bolognesi. Ma eletto papa un monaco, fra Mauro Cappellari, Gregorio XVI, questi chiamò a soccorso gli austriaci i quali in gran numero occuparono le Romagne; sollevò le plebi ignoranti e fanatiche. Invano si combatte, invano fu stipulata una capitolazione in Ancona: quel moto generoso fu represso col sangue e con la perfidia, cominciò una persecuzione feroce. Le grandi potenze d’Europa, fra le quali anche l’Austria si messero d’accordo con l’Inghilterra, e fecero presentare al papa un famoso memorandum nel quale lo consigliavano di togliere la cagione di tutti quei commovimenti, di ordinare i municipi, instituire consigli provinciali, far parte ai laici negli uffici dello stato, non permettere abusi, perdonare a chi aveva mancato. E il duro monaco rispose la chiesa governare come buona madre, le leggi e le istituzioni dello stato essere ottime anzi sante; “se i rivoltosi usciranno dalla compressione in cui trovansi, se da le mani dei chierici si togliesse l’autorità temporale, il papa avrà bisogno d’un Avignone, e i principi che dominano la penisola avranno nel centro d’Italia il focolaio d’un incendio che roventerà le loro corone”. Aveva ragione, e governò spietato e da ubriaco.

Nel 1843 fu un altro moto in Romagna, e fu anche oppresso. Nel 1845 ce ne fu un altro anche infelice cui seguirono arresti e condanne crudeli. Una banda di dugento uomini cercò rifugio in Toscana, dove furono accolti e sovvenuti di ogni cosa. Erano nudi, affranti, addolorati, mettevano pietà in ogni anima gentile, andarono a Livorno dove si imbarcarono per l’esilio. Era allora in Toscana Massimo d’Azeglio, che al veder tanta sventura sentì gonfiarsi il cuore, e scrisse un libretto, Gli ultimi casi di Romagna, che fece gran rumore e gran bene. Lo pubblicò in Firenze col suo nome, e non temé i rigori della polizia; e scacciato anch’egli in esilio uscì come in trionfo salutato da tutte le città onde passava. Egli diceva al governo del papa dure parole di biasimo, e mentre sosteneva la causa dei popoli diceva dure parole anche ad essi.” E non v’accorgete che cotesti moti sono intempestivi e funesti? Contro la forza soverchiante non si può altrimenti combattere che col coraggio civile, senz’arme, senza violenza, dicendo ad alta voce a tutti quanti quello che si vuole. Se avete ragione, perché vi mettete dal lato del torto usando la violenza? Le cospirazioni segrete, e le levate di armi non servono più, e fanno gran male al nostro scopo. Leviamo la voce, protestiamo tutti a viso aperto contro le ingiustizie, e noi faremo cadere le armi di mano ai nostri oppressori.

Stavano così le cose quando il 16 giugno 1846 fu eletto papa Giovanni Mastai, che si disse Pio IX; e questi è papa di ventinove anni (1875). Eletto per insigne bontà di animo, non ha mostrato nessuna grandezza di carattere, e pure è stato il primo iniziatore di questo moto che ha trasformato l’Italia, va trasformando l’Europa, e trasformerà tutto il cristianesimo. Gli altri papi non perdonarono mai; egli diede largo perdono, e disse volere governo di giustizia e di amore: gli altri tennero il potere temporale; egli l’ha perduto; dunque o il perdono, la giustizia e l’amore sono cose nocevoli, o quel potere era ingiusto; gli altri se perderono quel potere, lo riacquistarono; lo riacquisterà egli? gli altri lo perderono perché soverchiati dalla forza, e con la forza lo riacquistarono; egli l’ha perduto sopraffatto dalla coscienza generale, e per riaverlo dovrebbe mutare questa coscienza: gli altri che lo perderono per qualche tempo furono scacciati da Roma, e malmenati; egli sta in Roma, onorato, protetto dalle leggi, non più principe ma capo de’ cattolici, e vede stabilito in Roma un governo libero che non trema di lui ma ride e lo lascia parlare, e gli fa carezze come a fanciullo. I papi davano o toglievano i troni, coronavano i re, dettavano leggi al mondo; egli ha perduto il trono, ed è rimasto adagiato su la sedia pontificale, riceve egli la legge, è protetto egli da la legge delle garenzie. Il vicario di Dio, l’infallibile, il re dei re, il papa è diventato un uomo come gli altri, ha perduto l’immenso potere che egli aveva. Chi gliel’ha tolto? Deus dedit, Deus abstulit: e Dio è la coscienza degli uomini che è mutata. Egli voleva come tutti i suoi antecessori essere re, ed essere papa; ed è caduto come re, e cadrà ancora come papa. Essendo confuse anche in lui queste due qualità, non è possibile che cadendo il re non tragga seco qualcosa del papa, non è possibile che la caduta del potere temporale non porti seco il decadimento anche dello spirito con cui era confuso. Tutto questo dunque è avvenuto per una grande e profonda e generale rivoluzione che si è operata negli animi, la quale non è stata mossa da lui a la stessa guisa che il moto della terra non cominciò da colui che primo disse: “La terra si move”. Se non da lui, da un altro; se non in quell’anno, qualche anno dopo, se non con le buone con le triste la rivoluzione doveva cominciare, aveva camminato a bastanza e dal pensiero doveva passare nell’azione. Egli ne fu l’occasione, e ne avrà lode perché disse quelle solenni parole: perdono, giustizia, amore; le quali mentre furono il cominciamento saranno ancora il fine ultimo e lontano cui tende la rivoluzione. E quale è il fine cui tende questa rivoluzione? Lo dico in tre parole: sollevare la coscienza umana. E se il papato è stato uno de’ più fieri oppressori della coscienza umana, la rivoluzione deve trasformare il papato e le sue dottrine, anzi deve trasformar proprio il cristianesimo il quale ha fatto il suo tempo nel mondo, ha prodotto i suoi beni ed i suoi mali, ed ora, come tutte le cose umane, deve trasformarsi. “Oh esso è venuto da Dio”. Tutte le religioni si dicono venute da Dio, ma esse sono uscite da la coscienza dei popoli e si mutano necessariamente come essa coscienza si muta. Pio IX credette di fare opera di uomo dabbene, ma fece opera di cattivo papa: indi a poco se ne pentì, ma non gli giovò. Se non mosse egli la rivoluzione, neppure poteva frenarla egli. Ma oggi se uno potessse gettare uno sguardo nel fondo fondo dell’animo di questo vecchio papa, che ha perduto il trono, e vede scaduta la fede e il cattolicesimo fieramente assalito, io credo che in quel fondo troverebbe anche la rivoluzione, troverebbe l’uomo che si compiace di vedere unita l’Italia che egli un tempo amava e benediceva.

Le amorevoli udienze del nuovo papa, il perdono di tutti i reati politici, le larghezze e le riforme che vennero di mano in mano crescendo, sollevarono i romani a grandi e festose allegrezze, e commossero profondamente i popoli italiani e gli altri popoli d’Europa e del mondo. “Che nuovo miracolo è questo, un papa che perdona?” Dissero le genti: “Dunque la libertà non è peccato, come finora si è detto! Dunque i liberali non sono nemici di Cristo, come ci si dava ad intendere!” Questo dunque fu la prima voce della rivoluzione, che si sentì legittima e santa, fu la parola che uscì da tutti i cuori, la ripeterono con gioia le moltitudini ignoranti e serve, la ripeterono molti preti e frati. La libertà non è peccato: un filosofo ed un papa l’hanno detto. E perché Dio ne avrebbe messo un desideriogrande nel petto degli uomini? “Viva Pio IX” fu la parola che tutti i popoli d’Italia gridarono chiedendo ai loro principi migliore governo, e quando i principi lanciavano i loro soldati sui popoli inermi, molti morirono dicendo: “Viva Pio IX, viva l’Italia”. Io non biasimo quelle grida, quelle feste, ed anche quelle pazzie di allora, come oggi fanno i savi; anzi io che non gridai mai “viva Pio IX”, mi ricordo con compiacenza di tutte quelle manifestazioni di gioia fatte da un popolo lungamente servo, che era il popolo italiano pieno d’affetto e di fantasia, e che pure ebbe il senno di contentarsi di poco; ma come poi s’accorse che quel poco era un inganno, si sdegnò fieramente, e volle quel che volle.

Pio IX è il vero vicario di Cristo, è il più grande di tutti i pontefici,” dicevano i popoli. “È un giacobino, è un massone,” dicevano i prìncipi. Né santogiacobino; ma un prete che nella prima allegrezza di vedersi eletto papa sentì intenerirsi il cuore, e volle tutti allegri, ma come vide che l’allegria si mutò in rivoluzione, ed ei ci fu avvezzo al papato, si pentì e tornò prete.




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