IX
La Ciaciunena, lei, felicissima!
ché amava appassionatamente il suo Borgia, con isvisceratezza. Affetto simile
non fu mai provato da alcun’altra. Riconoscenza, ammirazione, rispetto, lo
invigorivano, afforzavano, corroboravano ogni giorno più. Per lei, c’era lui, e
poi nulla e nessuno. Molti han fatto grandi cose per possedere una donna, ma
nessuno mai si è esposto a tali rischi ogni volta che avvicinava la diletta;
perché nessuno trovò mai negli sguardi stessi di basilisco della diletta il
pericolo maggiore che immaginar si possa. La Borgia sapeva apprezzare il
marito, valutarne la devozione.
Fatata
com’era, bellissima delle membra, ottima di cuore, vivace d’ingegno, riboccante
di spirito, magnanima, e con quella virtù soprannaturale d’ispirare affetto, che
malgrado l’orrendo poter degli occhi, non l’avea fatta abbominare né da’
genitori né da’ sudditi; fu riamata di quasi pari amore dal Valentino. Sicuro,
un vero amore e gentile si aprì per la prima volta un adito a quel petto di
bronzo, e vi si congiunse con l’ambizione, contemperandola e quasi
sopraffacendola. Tanto è vero, come poi disse ’l Bernia,
Che ’l pazzo e ’l savio è da le donne
giunto.
La ministra, lo strumento delle
acute voluttà presenti doveva esser pure ministra e strumento della gloria futura.
L’amò, la stimò; ebbe in lei un’amante docile ed un amico austero. Le aprì
tutto l’animo suo. Le manifestò la vita passata, senza mistero alcuno, senza
reticenza, senza attenuazioni, senza orpello. Né temeva d’alienarsela: una
donna innamorata è sempre pronta a dar ragione al suo vago, e la Ciaciunena
aveva tale ingegno da comprendere che non si fanno frittate senza romper uova e
non si fondano imperi senza delitti e machiavellismo: perché? — Ricordatevi il
monito ch’è nel Principe: «Chi diviene padrone di una città consueta a vivere
libera e non la disfaccia, aspetti di essere disfatto da quella, perché sempre
ha per rifugio nella ribellione il nome della libertà e gli ordini antichi
suoi, li quali, né per lunghezza di tempo, né per benefici, mai si scordano; e
per cosa che si faccia o si provvegga, se non si disuniscono o dissipano gli
abitatori, non si dimentica quel nome, né quelli ordini, ma subito in ogni
accidente vi si ricorre». Pensate a quel che diceva Vincenzio Giusti da Udine
nella sua Irene:
È legge di
regnar scritta ne’ cuori
A stabilir
più gli acquistati imperi
D’estirpar
ben d’intorno ogni rampollo,
Onde nascer
potesse ombra al Re novo
Che nocesse al suo stato un dì
crescendo.
Poi, tra gli antropofagi messicani
gli atti politici del Duca non dovevan sembrar tanto riprensibili quanto
parvero agli europei per due ragioni potissime: prima, ch’egli non riuscì ne’
suoi intenti; secondo, ch’e’ confessava le opere sue a fronte alzata offendendo
la nostra ipocrisia; giacché, al postutto, salvo alcuni particolari ed alcune
forme, s’è praticato da tutti come da lui ned altrimenti si praticherà:
…In fin che il
sole
Risplenderà sulle sciagure umane.
Ma «gli uomini» come scrive san
Nicolò Machiavelli «pigliano certe vie del mezzo, che sono dannosissime... Non
sanno essere onorevolmente tristi o perfettamente buoni, e come una tristizia
ha in sé grandezza o è in alcuna parte generosa non vi sanno entrare».
Il Duca le
rivelò del pari le sue intenzioni, gli schemi, i disegni, i progetti che lo
avevan condotto laggiù; quanto sperava da lei; come desiderasse condurla seco
rimpatriando; e servirsi della virtù lapidificativa di lei, come d’ipomoclio
per ismuovere il mondo e crearsi un regno nella Italia, appunto come aveva fatto
un tempo della posizione del padre. Dipinse con tali splendidi colori alla
Ciaciunena l’ufficio di Gorgona cui la destinava, ch’ella s’invanì di tal
parte. Felice nel pensiero che potrebbe servire, favorire, giovare, esaltare il
suo Cesare, benediceva mille volte al giorno la maledizione della fata del
Popocatepetlo, la quale avea indotto il Duca a muoversi dallo estremo Oriente
con tanto rischio, per venire in cerca di lei, per farle conoscere le dolcezze
di un degno amore. Gli promise di seguirlo, di accompagnarlo fedelmente
dovunque; di obbedirgli, checché comandasse; di adoperarsi per appagarne
l’ambizione. Avrebbe voluto imbarcarsi la dimane; ed essa tanto mite e
misericordiosa, si compiaceva solo nel fantasticare la parte orribile che
dovrebbe poi rappresentare nelle guerre italiane; gli eserciti interi
sassificati ad un suo volger di ciglio; ed esultava pensando al terrore, allo
sgomento, al raccapriccio che susciterebbe. E si noti, tutto questo per mera
gentilezza d’animo, per quel puro affetto posto nel Borgia, per dovere
coniugale: bizzarrie del cuore umano!
«E quando vuoi
partire?»
«Partiremo,
non dubitare. Ho dato ordine che si riatti la men guasta delle tre navi con cui
venni. Quando sarà allestita, vedremo quali de’ miei vecchi compagni voglian
rimpatriare; provvederemo oro e vettovaglie; stabiliremo tutto. Non c’è fretta,
non c’è fretta...».
«Vedi, Cesare,
io vivo qui sempre turbata. Ho una paura, una paura da non dirsi, di perdere
questa virtù che mi ti rende preziosa; e forse allora non sarei più in grado di
servirti e mi ameresti meno».
«No,
Ciaciunena mia; no, questo mai. T’amerei lo stesso sempre; più ancora, s’è
possibile, potendomi inebbriare de’ tuoi sguardi...».
«Ma io, non
amerei più me stessa. Io mi odierei se non ti potessi più giovare e
conquistarti quella Italia, che dici tanto bella. Io ne morrei di crepacuore,
se perdessi questa facoltà preziosa, io. Dunque dovresti deporre l’ambizion
tua? dunque saresti venuto inutilmente sin qui con tanto rischio?...».
«Inutilmente,
quand’ho te!».
«No, vedi! Se
sapessi! Ho bisogno di accertarmi continuamente di non aver perduta la mia
fatagione. L’altrieri petrificai un branco di tacchini. Ieri andai in cucina e
sassificai tutto il pesce venuto dal mare per le poste...». Le poste di
bastagi, o tamani che c’erano al Messico allora. «Stamane non ho saputo
resistere alla tentazione ed ho lapidificato il cavallo d’uno de’ tuoi
seguaci... Gliene regaleremo un altro migliore in Italia. Io non so come mi
trattenga dall’andar passeggiando senza maschera ed occhiali... per vedere e
pregustare...».
Fatto sta che
il Duca non avea più tanta fretta di rivarcar lo Atlantico. Se mi chiedete
«Perché?» vi rispondo: «Amava». Amor curioso, certo, che se fosse stato poeta,
gli avrebbe suggerito più di tre secoli prima quel distico del Leopardi:
Vaga beltà, che
amore
Talor m’inspiri nascondendo il viso,
ma vero amore e potente, il quale
lo rendeva noncurante d’ogni altra cosa, degli ambiziosi disegni d’impero e
persino degli schemi di vendetta. Le gioie somme dello affetto corrisposto gli
occupavan tutto l’animo, tutta la mente, non lasciando varco ad altra cura, ad
altro pensiero. Era tanto felice lì, tanto! La vita gli scorreva placida,
lieta, incontaminata: e s’appagava di quell’ozio delizioso. Quali onori, quali allori,
quali vittorie, quali trionfi valevano i soavi colloqui della sua donna ed i
baci dolcissimi di lei?
Che non credo
che incanto sia maggiore
Che a bocca aperta un bel bacio
d’amore.
E poi, in fin de’ conti, il tener
mezz’America senza contrasto, poteva sembrar preferibile al rischioso conquisto
e problematico della Italia. La gloria d’incivilire il Messico era grande
quanto quella di unificar la penisola nostra, e più facile a chi veniva tenuto
e stimato un Dio laggiù. Non rinunziava alle antiche idee; ma gli giovava
procrastinar la impresa. Che tempesta al suo riapparir nel vecchio mondo!
Sissignori, era deliberato ad affrontarla; ricomincerebbe ad imperversare
peggio di prima; sterminerebbe, distruggerebbe, si vendicherebbe; ma prima
volea riposarsi alquanto, ed assaporar lungamente tutte le gioie che la fortuna
gli profferiva. Quando nelle braccia della sua Ciaciunena, o seduto a’ piedi di
lei, ragionava delle gesta che compirebbe, sentiva che, quand’anche gli
avessero a riuscir tutte felicemente, era più bello e gli procacciava maggior
soddisfazione il semplice fantasticarle così.
Certo le sue
voluttà americane non erano senza mistura di amarezza. Non averla mai vista in
volto, non poterla abbracciare, conversar con lei o mascherata o nelle tenebre,
era un tormento crudele. Taccio del pericolo continuo, che invece di
svogliarlo, accendeva maggiormente il Valentino, nobilitando l’amor suo,
facendone un’audacia senza pari, degna di lui, amator d’ogni rischio,
cimentator della vita propria; facendone una cosa strana, singolare, unica, al
mondo sola. Pur desiderava veder la moglie almeno una volta; giudicare se i
lineamenti del volto rispondevano alla bellezza del resto. Pensò di
vagheggiarla nello specchio: ma gli esperimenti che vennero fatti sugli animali
provarono che anche il riflesso, la specchiatura dello sguardo della Ciaciunena
avevano virtù lapidificativa: sembra che lo specchio il ripercotesse con
intensità indiminuita, come fa di raggi del sole. Con lo andare del tempo il
desiderio e la curiosità del Borgia divennero così strapotenti che deliberò
soddisfarsi ad ogni costo, a qualunque rischio. La vecchia storia di Amore e
Psiche alla rovescia! Non disse nulla alla donna; anzi manifestò la risoluzione
presa ad un vecchio medico-farmacista che avea seco ed il cui aiuto gli era
necessario. Questi non si piegò senza contrasto ad appagarlo. Ma sì; ebbe bel
ripetergli con infinite varianti ed amplificazioni:
Forsennato
amator! Forse non sai,
Ch’è meta il pentimento a’ gran
desiri?
Il Duca con non meno infinite
variazioni e magnificazioni gli rispondeva:
Veri sono i
tuoi detti e i miei perigli:
Ma lieve è
quella voglia
Che il ricever consiglio altrui non
toglia.
E convenne che alla perfine il
fisico gli obbedisse e gli apprestasse un sonnifero. Il Duca pensava di
amministrarne alcune stille alla moglie; e quando poscia il sonno avesse
potentemente chiuse sugli occhi nefasti, anzi asserragliate le palpebre, lui
avrebbe rimossa la maschera di velluto e finalmente fatti paghi gli occhi del
suo aspetto. Anzi meditava di chiamare alcun pittore che poi gliela ritraesse
con lo accorgimento stesso: avendone quindi sempre così la immagine davanti,
gli parrebbe men duro il non poter contemplar di continuo l’originale.
Le propinò
dunque il narcotico, senza dirgliene nulla, a colezione. Operò senza indugio.
La Ciaciunena a sbadigliare; a dire: «O che sonno insolito! e che vuoi dire?
Gua’ io non ci resisto. Mi vo a buttar sul letto per una mezz’ora» ed a
ritirarsi in camera. Ebbe appena il tempo di spogliarsi e di cacciarsi fra le
lenzuola, prima di cadere in un letargo profondo. Poco dopo il marito la seguì
col cuore tremante, ma non dubitoso. La bella dormiente giaceva in letto,
mascherata, come sempre. Il Borgia la chiamò replicatamente a gran voce, e non
gli rispose; la scosse, senza che si espergefacesse. Allora, con mano incerta,
come quella del soldato che accende la miccia, né sa d’aver tempo per fuggire
prima che la mina scoppi, sciolse la maschera invidiosa, la rimosse e poté
finalmente veder la faccia dell’amata.
Era pur bella!
Già, le fatagioni! Bella oltre ogni dire parve al Valentino, che pur di belle
donne se ne intendeva e ne avea passate tante a rassegna. Non avea mirato un
volto così leggiadro neppure in Capua. La stessa sorella Lucrezia non aveva
lineamenti così perfetti, tanta freschezza e splendore di carnagione, un naso
profilato come quello della Nezagualpiglide; quella fronte, quelle
sopracciglia, quelle ciglia lunghe, folte; quelle tumide labbra e coralline,
que’ denti... Rimase inebbriato, affascinato, fuor di sé. Non poté Cesare
contemplar quelle guance, quella bocca, quelle palpebre che coprivano i
tremendi occhi della donna, senz’appressarvi cupidamente le labbra. E prima
v’impresse baci leggieri, sfiorando appena tante bellezze; poi infervorandosi,
riscaldandosi, accendendosi inconsciamente, senza riflettere, senz’alcuna
precauzione o prudenza, la copriva, la tempestava di carezze. Ed o fosse troppo
leggiera la dose del farmaco, od eccedesse impetuosamente ne’ baci e negli abbracciari;
o pel tempo trascorso naturalmente cessasse il sonno; la Principessa soavemente
ridesta, sospirando, rivolse gli occhi all’amico, senza sapere d’essere
smascherata. I due sguardi s’incontrarono, per la prima ed ultima volta; e
vinto dalla fatal virtù della Ciaciunena, Cesare Borgia, Duca Valentino,
impietrì di botto.
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