X
Chi descriverà lo spavento e lo
sgomento della miserrima, com’ella s’accorse del misfatto involontario?
Balzando seminuda dal giaciglio ed abbracciando le sembianze lapidee del
marito, mise grida e strida che sconvolsero la reggia. Chiamava: «Accorr’uomo!
Gente, gente! Aiuto! Soccorso! Medici!» dimenticando non esserci rimedio o
riparo alcuno; né succhi d’erba, ned unzioni, frizioni e linimenti di qualsiasi
genere poter disciogliere quella rigidezza, riumanar quella statua. E sì che
avrebbe voluto spietrarla ad ogni costo, e pensava con meno eleganza e
mitologia, ma con sincerità maggiore, press’a poco come uno accademico
stravagante di Creti:
Se potess’io
donarti,
Bella
imagin gradita
Qual di
Iapeto il figlio anima e vita;
Per veder
vivo e sciolto
Da la dura
corteccia un sì bel volto,
Non curarei
veder in me vermiglio
D’aquila ingorda il dispietato
artiglio.
Gli schiavi od i famigliari e le
dame accorse alle urla ed al pianto prima ch’ella si accorgesse di star col
volto discoperto e pensasse a rimmascherarsi, eccoli rimaner di sasso alla
rinfusa ed ingombrar assiepati la camera; e chiuderne quasi lo ingresso. La
sciagurata, smarriti i sensi pel gran cordoglio, trascurando le precauzioni
abituali, impietriva i suoi più cari involontariamente: le damigelle
predilette; i gentiluomini più fidati; le schiave che da tant’anni
l’attendevano; Toledo, il cane del Duca Valentino, che accorse abbaiando; i
pappagalli che squittivano schiamazzando sulle grucce loro... Solo il prudente
medico che avea somministrato il beveraggio, sospettando lo avvenuto, non si
azzardò nel talamo regio. Finalmente all’udir la voce del padre, del Re
Nezagualpiglio, che traeva al piagnisteo, chiedendo cosa mai fosse, la povera
vedova, rientrando in sé, accorgendosi di tutto il guaio ed il guasto, ricoprì,
rilarvò la faccia, ché paventava di aggiungere anche un parricidio a tanti
orrori.
Si chiamarono
bastagi che portasser via tutte le statue fabbricate in un batter d’occhi dalla
Principessa, per allontanarne uno spettacolo che ne esacerbava la disperazione.
Ma essa non sofferse che si rimovesse quella del Borgia. Gentildonne, serve, il
padre istesso cominciarono a dirle quantunque si suol dire per consolar gli
afflitti: parole efficaci solo nei dolori superficiali, ma che inciprigniscono
le anime naverate profondamente. La Ciaciunena cercava di frenare le
espressioni del suo cordoglio anzi crepacuore. Cercava di chiudere in sé
l’angoscia sua: comprendeva che non troverebbe conforto in cosa alcuna, mai.
Ben dice un contemporaneo: «La fame si sazia, la gioia si sazia, il lavoro si
stanca, il pensiero riposa, dorme l’ambizione, dorme l’avarizia, dorme il
genio; ma il dolore non dorme, non posa, non si sazia di sé stesso; ma come la
fenice della favola antica, si rinnovella dalle proprie ceneri; e quando i
nervi non bastano più a tanto tormento, il dolore cambia di forma e rimane più
crudele e sempre nuova la tortura. Dopo l’ira che morde, sento lo strazio che
mi adunghia; dopo lo strazio, la disperazione; dopo la disperazione,
l’amarezza; dopo l’amarezza lo sconforto; e poi di nuovo lo strazio e la
tortura, il vampiro che mi sugge il sangue dal cuore, lo sgomento di un sogno
spaventoso; e sempre un abisso di dolore senza fondo senza confini, nero,
eterno, gelato, inesorabile».4 Indarno Re Nezagualpiglio, cercò ne’
giorni seguenti, con feste, conviti, spettacoli, svaghi e che so io, convocando
acrobati, funamboli, giuocatori di bussolotti e buffoni e nani di mitigar
quella cupa afflizione della figliuola. Ella era ormai indifferente a tutto:
Parian tante
delizie, onde l’adesca.
Ogni altro
(eccetto lei) rendere allegro.
Ma
quell’uomo in cui grave ognor più cresca
La febre ria,
che ’l tiene afflitto et egro,
Non perché
giaccia in molle piuma e fresca
Sente all’interno ardor ristoro
integro. 5
Ahimé, ogn’istante le faceva
sentir più acutamente la gravità ed irreparabilità della perdita sostenuta:
ogni momento le accresceva il rimorso; ogn’attimo capiva meglio quanto fosse
stata terribile quella maledizione della fata del Popocatepetlo, maledizione di
cui poco prima era quasi lieta. Chi l’avrebbe più amata? e certo non amerebbe
più. Tutto, tutto, era finito per lei. Per lei, non c’era più mondo. Sperar
gioia alcuna, sperar pace almeno o tregua al dolore, sarebbe stata demenza. Ed
avrebbe disprezzata sé stessa, se avesse potuto credersi capace di
consolazione. E quando ripensava le belle lusinghe anteriori; le grandi imprese
vagheggiate e disegnate; le glorie ed i trionfi che si riprometteva dal viaggio
in Italia! Come rassegnarsi al tenor di vita anteriore alla venuta del Borgia,
anteriore al matrimonio; alla solitudine tetra d’un tempo; dopo concepite tali
idee e sperimentata tanta dolcezza? Oh ebbrezze di amore, come vivere senza di
voi? come sopravvivervi? Se le fosse almeno rimasto un figliuoletto! se almeno
fosse rimasta incinta! Avrebbe rinconcentrato sulla creaturina, sul nascituro
tutta la sua virtù di affetto. Ma no, no: nulla avanzava, tranne il ricordo
funesto della felicità perduta irreparabilmente; tranne il rammarico di veder
falliti i concetti grandiosi del consorte. Riandar di continuo con la mente le
confidenze del Borgia, ricordarne le intenzioni, rappresentarsene i propositi,
ecco la continua occupazione e solissima di lei.
A poco a poco
le si radicò in capo il proponimento di compiere almeno in parte i divisamenti
del l’estinto, di parzialmente vendicarlo almeno. Il nome che gli avea sentito
profferire con odio più cupo, con avversione più concentrata, era quello del
successore di Alessandro VI nella sede pontificia, il nome di Giulio II.
Difatti l’esaltazione di Giuliano Della Rovere avea rovinato il Borgia, che dal
breve papato di Pio III, non fu tanto danneggiato. Ebbene, alla Ciaciunena
venne in pensiero di recarsi a Roma, e di presentarsi al papa e di
petrificarlo, lui e tutti i porporati nemici del Borgia. Il perdono delle
offese non è virtù (dato e non concesso che sia virtù) naturale all’uomo; né veniva
inculcata dalla educazione messicana; ned il Duca Valentino l’aveva lodata od
inoculata all’amante. Veramente la Ciaciunena pensava: «Se Giulio II non avesse
avversato il Borgia, questi sarebbe stato principe o re nella Italia e non
sarebbe stato sbalestrato sin qui ad impietrirsi fra le mie braccia»; e non
rifletteva che senza l’odio del Della Rovere ella non avrebbe pur mai
conosciuto il suo diletto, né provata quella felicità breve sì ma grandissima.
Si credeva quasi in obbligo di far le vendette del muto sasso che le stava
sempre dinanzi; e di compensare così in certo modo, per quanto era in lei, il
male non intenzionalmente fatto. Le pareva che l’eseguire ciò che il Valentino
ideava sarebbe quasi un’ammenda del coniugicidio. Ned in tutto a torto. Ciò che
costituisce l’uomo, ciò che davvero è l’uomo, sono i suoi pensieri, la volontà
sua, i suoi concetti, i suoi propositi, i divisamenti, le intenzioni, lo scopo.
Quando si realizzano i pensieri, quando la volontà si compie, quando i concetti
si concretano, quando i propositi si traducono in atti, quando i divisamenti si
estrinsecano nel fatto, quando le intenzioni divengono opera o risultato,
quando lo scopo si raggiunge; che importa, che preme, che monta, che vale, che
vuol dire se la vita non dura, se si scompagna quel precario impasto di
idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio, fosforo e che so io, ch’è mero fulcro,
sustrato, sostegno del pensiero? Ecco!
La Ciaciunena
chiamò a sé il medico giudeo, onde sapeva potersi fidare, come del secreto
confidente del trapassato; e gli manifestò la idea sua, la sua risoluzione.
Studiarono e stabilirono il da fare. Furono convocati alquanti de’ seguaci del
Borgia e la Principessa disse loro che dolente, inconsolabile della colpa
commessa, non sapendosene dar pace, credendosi ossessa, perché il solo demonio
poteva attribuire ad un organo umano quello strano potere, pensava recarsi in
Europa per farsi esorcizzare e battezzare dal santo Padre in persona e far
poscia penitenza delle sue peccata. Intendeva quindi imbarcarsi e traversar lo
Atlantico. Se c’era chi volesse accompagnarla, si preparasse al viaggio. Degli
avventurieri venuti col Borgia, parecchi eran morti: quel clima già non è
propizio agli europei. Molti s’erano, come dicemmo, accasati, ed eran signoroni
e padrifamiglia ed
…inviliti
Tra gli affetti di padre e di marito;
e non provavano desiderio alcuno
di lasciar gli agi ed i cari loro. Pure se ne racimolò una trentina, che o per
desiderio della patria; o per irrequietezza naturale; o che le cose loro non
fossero andate tanto bene; o che stimassero potere star meglio in Europa con le
ricchezze accumulate; o che volessero, come Belfagor, fuggire dalle mogli ad
ogni patto: deliberarono scortar la Principessa. Re Nezagualpiglio, il quale,
dopo la morte del Borgia, provava una paura matta della figliuola e capiva non
esser la più bella cosa del mondo lo aver per casa una tigre addomesticata; ed
il popolo tescucano, che detestavano ed esecravano la coniugicida involontaria
(ma cosa documentava la involontarietà del misfatto?) e che si aspettavano un
gran castigo celeste per lo impietrimento di quello straniero d’origine
quezzalcoattesca divina: videro con piacere la dipartita della rea, ed
augurarono che l’ira celeste pel quezzalcoatticidio potesse ricader tutta su di
lei sola. La nave, che il Borgia stava facendo riattare, come dissi, fu
prontamente allestita; vi si accumularono, accatastarono vettovaglie e
ricchezze; e finalmente vi s’imbarcarono la Ciaciunena, il medico ebreo, una
trentina de’ seguaci del Borgia e forse altrettanti indiani ed indiane. La
comitiva salpò con un buon vento e favorevole, per la stessa rotta tenuta dal
Borgia nel venire. Costeggiarono il Messico, la provincia di Tabasco e lo Yucat
fino all’isola di Cozumel; attraversaron quindi il mar delle Antille a golfo
lanciato fino ad una di quelle isole in cui rilasciarono e feciono acqua.
Proseguiron per l’Atlantico; ma il viaggio non fu felice, né piacevole!
Del ciel, che
minacciando, ancor aggiunge
All’umide
armi sue fragori e lampi,
Sembra il
mar vendicarsi; e irato giunge
Con monti
d’acque in su gli eterei campi.
Sue rovine
il Nocchier mira non lunge;
Né
scorgendo egli via, come indi scampi,
La sua
morta speranza, ei scopre al ciglio,
Onde in lui leggon gli altri il lor
periglio.
In altri termini quella tempesta
che deplorai non aver travagliato il Borgia, quando e’ veleggiava verso le
Indie, tormentò ora e mise in pericolo la vedova. Sicché potrei sbizzarrirmi
adesso a descriverla. Ma sarebbe contr’ogni buona regola, contr’ogni accortezza
nella composizione: allorché gli avvenimenti convergono alla catastrofe, non
t’hai a perdere in digressioni, descrizioni, episodi, incidenti, particolari.
La parte drammatica debbe prevaler sempre in fine d’un racconto, ché il
leggitore stanco vuol finire e sbrigarsela, ed ogni indugio il tedia.
Si fermarono appena a Cadice que’ navigatori per riparare a qualche
guasto del bastimento e provvedersi di vettovaglie e d’acqua. La Ciaciunena non
isbarcò neppure: non poté quindi vedervi il quadro, di cui Biagio Valentino nel
narrar le sue disgrazie:
Nc’era ’na
gatta, che ’mposta lo sorece;
Lo mutto
sotto, e chesto volea dicere:
«No’nce
vonno né zie e né pariente,
Si t’haggio int’a ’ste granfie o
’ntra ’sti diente».
Ma questo motto era l’espressione
de’ sentimenti della feroce americana verso il pontefice. «Ch’io l’aggiunga,
ch’io l’aggranfi e vedremo! E ci hai da capitare sott’a’ miei denti; e non puoi
sfuggirmi». Ben qualche volta le balenava il pensiero che ogni Medusa finisce
per trovare un Perseo che la decapita, la decolla, le fa la testa, le mozza il
capo. Ma il pensiero non la sbigottiva. «Si capisce. È naturale. Così
dev’essere». Consentiva senza saperlo col siciliano, che dice: Pi’ livari un
occhiu a lu me nimicu, mi ni levu dui a mia. Morire è niente, quando si
muore dopo aver soddisfatta o nel soddisfare la passione dominante. Era della
tempra la Ciaciunena di quel napolitano, onde Luigi Guicciardini narra, che
facendo un passaggio sopra d’una medesima nave con un suo capital nimico, e standosene
a proda mentre l’altro stava a poppa, perché pativano a vedersi, accadde che
nacque una gran procella. La nave era in procinto di sommergersi. Il napolitano
domandò il padrone qual parte della caravella sprofonderebbe prima. «La parte
da poppa» rispose il padrone. Allora egli rasserenato disse: «Bene sta, or
morrò contento, se io veggo prima morire il mio nemico».
A Malaga si
fermò di nuovo il bastimento pel tempo grosso. Ed il medico che sbarcò per poco
diè contezza alla Ciaciunena dell’altro quadro:
‘Ddò’ pittata
’nce stea ’na bella giòvena
Senz’arme e
’no lione. Essa sbranavalo.
E ’sto
mutto nce steva a lingua Ibereca:
«Forza no’ nc’è co’mme, ch’oggi mme
supera».
Dalla qual
leggenda trassero lieti auguri pel buon esito della impresa. E di lì proseguirono
il viaggio senza più fermarsi sino alla foce del Tevere: dove, presa terra,
spedirono un messo a Roma.
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