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Vittorio Imbriani
L'impietatrice

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Chi descriverà lo spavento e lo sgomento della miserrima, com’ella s’accorse del misfatto involontario? Balzando seminuda dal giaciglio ed abbracciando le sembianze lapidee del marito, mise grida e strida che sconvolsero la reggia. Chiamava: «Accorruomo! Gente, gente! Aiuto! Soccorso! Medicidimenticando non esserci rimedio o riparo alcuno; né succhi d’erba, ned unzioni, frizioni e linimenti di qualsiasi genere poter disciogliere quella rigidezza, riumanar quella statua. E sì che avrebbe voluto spietrarla ad ogni costo, e pensava con meno eleganza e mitologia, ma con sincerità maggiore, press’a poco come uno accademico stravagante di Creti:

Se potess’io donarti,

Bella imagin gradita

Qual di Iapeto il figlio anima e vita;

Per veder vivo e sciolto

Da la dura corteccia un sì bel volto,

Non curarei veder in me vermiglio

D’aquila ingorda il dispietato artiglio.

Gli schiavi od i famigliari e le dame accorse alle urla ed al pianto prima ch’ella si accorgesse di star col volto discoperto e pensasse a rimmascherarsi, eccoli rimaner di sasso alla rinfusa ed ingombrar assiepati la camera; e chiuderne quasi lo ingresso. La sciagurata, smarriti i sensi pel gran cordoglio, trascurando le precauzioni abituali, impietriva i suoi più cari involontariamente: le damigelle predilette; i gentiluomini più fidati; le schiave che da tant’anni l’attendevano; Toledo, il cane del Duca Valentino, che accorse abbaiando; i pappagalli che squittivano schiamazzando sulle grucce loro... Solo il prudente medico che avea somministrato il beveraggio, sospettando lo avvenuto, non si azzardò nel talamo regio. Finalmente all’udir la voce del padre, del Re Nezagualpiglio, che traeva al piagnisteo, chiedendo cosa mai fosse, la povera vedova, rientrando in sé, accorgendosi di tutto il guaio ed il guasto, ricoprì, rilarvò la faccia, ché paventava di aggiungere anche un parricidio a tanti orrori.

Si chiamarono bastagi che portasser via tutte le statue fabbricate in un batter d’occhi dalla Principessa, per allontanarne uno spettacolo che ne esacerbava la disperazione. Ma essa non sofferse che si rimovesse quella del Borgia. Gentildonne, serve, il padre istesso cominciarono a dirle quantunque si suol dire per consolar gli afflitti: parole efficaci solo nei dolori superficiali, ma che inciprigniscono le anime naverate profondamente. La Ciaciunena cercava di frenare le espressioni del suo cordoglio anzi crepacuore. Cercava di chiudere in sé l’angoscia sua: comprendeva che non troverebbe conforto in cosa alcuna, mai. Ben dice un contemporaneo: «La fame si sazia, la gioia si sazia, il lavoro si stanca, il pensiero riposa, dorme l’ambizione, dorme l’avarizia, dorme il genio; ma il dolore non dorme, non posa, non si sazia di sé stesso; ma come la fenice della favola antica, si rinnovella dalle proprie ceneri; e quando i nervi non bastano più a tanto tormento, il dolore cambia di forma e rimane più crudele e sempre nuova la tortura. Dopo l’ira che morde, sento lo strazio che mi adunghia; dopo lo strazio, la disperazione; dopo la disperazione, l’amarezza; dopo l’amarezza lo sconforto; e poi di nuovo lo strazio e la tortura, il vampiro che mi sugge il sangue dal cuore, lo sgomento di un sogno spaventoso; e sempre un abisso di dolore senza fondo senza confini, nero, eterno, gelato, inesorabile».4 Indarno Re Nezagualpiglio, cercò ne’ giorni seguenti, con feste, conviti, spettacoli, svaghi e che so io, convocando acrobati, funamboli, giuocatori di bussolotti e buffoni e nani di mitigar quella cupa afflizione della figliuola. Ella era ormai indifferente a tutto:

Parian tante delizie, onde l’adesca.

Ogni altro (eccetto lei) rendere allegro.

Ma quell’uomo in cui grave ognor più cresca

La febre ria, che ’l tiene afflitto et egro,

Non perché giaccia in molle piuma e fresca

Sente all’interno ardor ristoro integro. 5

Ahimé, ogn’istante le faceva sentir più acutamente la gravità ed irreparabilità della perdita sostenuta: ogni momento le accresceva il rimorso; ogn’attimo capiva meglio quanto fosse stata terribile quella maledizione della fata del Popocatepetlo, maledizione di cui poco prima era quasi lieta. Chi l’avrebbe più amata? e certo non amerebbe più. Tutto, tutto, era finito per lei. Per lei, non c’era più mondo. Sperar gioia alcuna, sperar pace almeno o tregua al dolore, sarebbe stata demenza. Ed avrebbe disprezzata sé stessa, se avesse potuto credersi capace di consolazione. E quando ripensava le belle lusinghe anteriori; le grandi imprese vagheggiate e disegnate; le glorie ed i trionfi che si riprometteva dal viaggio in Italia! Come rassegnarsi al tenor di vita anteriore alla venuta del Borgia, anteriore al matrimonio; alla solitudine tetra d’un tempo; dopo concepite tali idee e sperimentata tanta dolcezza? Oh ebbrezze di amore, come vivere senza di voi? come sopravvivervi? Se le fosse almeno rimasto un figliuoletto! se almeno fosse rimasta incinta! Avrebbe rinconcentrato sulla creaturina, sul nascituro tutta la sua virtù di affetto. Ma no, no: nulla avanzava, tranne il ricordo funesto della felicità perduta irreparabilmente; tranne il rammarico di veder falliti i concetti grandiosi del consorte. Riandar di continuo con la mente le confidenze del Borgia, ricordarne le intenzioni, rappresentarsene i propositi, ecco la continua occupazione e solissima di lei.

A poco a poco le si radicò in capo il proponimento di compiere almeno in parte i divisamenti del l’estinto, di parzialmente vendicarlo almeno. Il nome che gli avea sentito profferire con odio più cupo, con avversione più concentrata, era quello del successore di Alessandro VI nella sede pontificia, il nome di Giulio II. Difatti l’esaltazione di Giuliano Della Rovere avea rovinato il Borgia, che dal breve papato di Pio III, non fu tanto danneggiato. Ebbene, alla Ciaciunena venne in pensiero di recarsi a Roma, e di presentarsi al papa e di petrificarlo, lui e tutti i porporati nemici del Borgia. Il perdono delle offese non è virtù (dato e non concesso che sia virtù) naturale all’uomo; né veniva inculcata dalla educazione messicana; ned il Duca Valentino l’aveva lodata od inoculata all’amante. Veramente la Ciaciunena pensava: «Se Giulio II non avesse avversato il Borgia, questi sarebbe stato principe o re nella Italia e non sarebbe stato sbalestrato sin qui ad impietrirsi fra le mie braccia»; e non rifletteva che senza l’odio del Della Rovere ella non avrebbe pur mai conosciuto il suo diletto, né provata quella felicità breve sì ma grandissima. Si credeva quasi in obbligo di far le vendette del muto sasso che le stava sempre dinanzi; e di compensare così in certo modo, per quanto era in lei, il male non intenzionalmente fatto. Le pareva che l’eseguire ciò che il Valentino ideava sarebbe quasi un’ammenda del coniugicidio. Ned in tutto a torto. Ciò che costituisce l’uomo, ciò che davvero è l’uomo, sono i suoi pensieri, la volontà sua, i suoi concetti, i suoi propositi, i divisamenti, le intenzioni, lo scopo. Quando si realizzano i pensieri, quando la volontà si compie, quando i concetti si concretano, quando i propositi si traducono in atti, quando i divisamenti si estrinsecano nel fatto, quando le intenzioni divengono opera o risultato, quando lo scopo si raggiunge; che importa, che preme, che monta, che vale, che vuol dire se la vita non dura, se si scompagna quel precario impasto di idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio, fosforo e che so io, ch’è mero fulcro, sustrato, sostegno del pensiero? Ecco!

La Ciaciunena chiamò a sé il medico giudeo, onde sapeva potersi fidare, come del secreto confidente del trapassato; e gli manifestò la idea sua, la sua risoluzione. Studiarono e stabilirono il da fare. Furono convocati alquanti de’ seguaci del Borgia e la Principessa disse loro che dolente, inconsolabile della colpa commessa, non sapendosene dar pace, credendosi ossessa, perché il solo demonio poteva attribuire ad un organo umano quello strano potere, pensava recarsi in Europa per farsi esorcizzare e battezzare dal santo Padre in persona e far poscia penitenza delle sue peccata. Intendeva quindi imbarcarsi e traversar lo Atlantico. Se c’era chi volesse accompagnarla, si preparasse al viaggio. Degli avventurieri venuti col Borgia, parecchi eran morti: quel clima già non è propizio agli europei. Molti s’erano, come dicemmo, accasati, ed eran signoroni e padrifamiglia ed

inviliti

Tra gli affetti di padre e di marito;

e non provavano desiderio alcuno di lasciar gli agi ed i cari loro. Pure se ne racimolò una trentina, che o per desiderio della patria; o per irrequietezza naturale; o che le cose loro non fossero andate tanto bene; o che stimassero potere star meglio in Europa con le ricchezze accumulate; o che volessero, come Belfagor, fuggire dalle mogli ad ogni patto: deliberarono scortar la Principessa. Re Nezagualpiglio, il quale, dopo la morte del Borgia, provava una paura matta della figliuola e capiva non esser la più bella cosa del mondo lo aver per casa una tigre addomesticata; ed il popolo tescucano, che detestavano ed esecravano la coniugicida involontaria (ma cosa documentava la involontarietà del misfatto?) e che si aspettavano un gran castigo celeste per lo impietrimento di quello straniero d’origine quezzalcoattesca divina: videro con piacere la dipartita della rea, ed augurarono che l’ira celeste pel quezzalcoatticidio potesse ricader tutta su di lei sola. La nave, che il Borgia stava facendo riattare, come dissi, fu prontamente allestita; vi si accumularono, accatastarono vettovaglie e ricchezze; e finalmente vi s’imbarcarono la Ciaciunena, il medico ebreo, una trentina de’ seguaci del Borgia e forse altrettanti indiani ed indiane. La comitiva salpò con un buon vento e favorevole, per la stessa rotta tenuta dal Borgia nel venire. Costeggiarono il Messico, la provincia di Tabasco e lo Yucat fino all’isola di Cozumel; attraversaron quindi il mar delle Antille a golfo lanciato fino ad una di quelle isole in cui rilasciarono e feciono acqua. Proseguiron per l’Atlantico; ma il viaggio non fu felice, né piacevole!

Del ciel, che minacciando, ancor aggiunge

All’umide armi sue fragori e lampi,

Sembra il mar vendicarsi; e irato giunge

Con monti d’acque in su gli eterei campi.

Sue rovine il Nocchier mira non lunge;

scorgendo egli via, come indi scampi,

La sua morta speranza, ei scopre al ciglio,

Onde in lui leggon gli altri il lor periglio.

In altri termini quella tempesta che deplorai non aver travagliato il Borgia, quando e’ veleggiava verso le Indie, tormentò ora e mise in pericolo la vedova. Sicché potrei sbizzarrirmi adesso a descriverla. Ma sarebbe contr’ogni buona regola, contr’ogni accortezza nella composizione: allorché gli avvenimenti convergono alla catastrofe, non t’hai a perdere in digressioni, descrizioni, episodi, incidenti, particolari. La parte drammatica debbe prevaler sempre in fine d’un racconto, ché il leggitore stanco vuol finire e sbrigarsela, ed ogni indugio il tedia.

Si fermarono appena a Cadice que’ navigatori per riparare a qualche guasto del bastimento e provvedersi di vettovaglie e d’acqua. La Ciaciunena non isbarcò neppure: non poté quindi vedervi il quadro, di cui Biagio Valentino nel narrar le sue disgrazie:

Ncerana gatta, che ’mposta lo sorece;

Lo mutto sotto, e chesto volea dicere:

«No’nce vonnozie e né pariente,

Si t’haggio int’a ’ste granfie o ’ntrasti diente».

Ma questo motto era l’espressione de’ sentimenti della feroce americana verso il pontefice. «Ch’io l’aggiunga, ch’io l’aggranfi e vedremo! E ci hai da capitare sott’a’ miei denti; e non puoi sfuggirmi». Ben qualche volta le balenava il pensiero che ogni Medusa finisce per trovare un Perseo che la decapita, la decolla, le fa la testa, le mozza il capo. Ma il pensiero non la sbigottiva. «Si capisce. È naturale. Così dev’essere». Consentiva senza saperlo col siciliano, che dice: Pilivari un occhiu a lu me nimicu, mi ni levu dui a mia. Morire è niente, quando si muore dopo aver soddisfatta o nel soddisfare la passione dominante. Era della tempra la Ciaciunena di quel napolitano, onde Luigi Guicciardini narra, che facendo un passaggio sopra d’una medesima nave con un suo capital nimico, e standosene a proda mentre l’altro stava a poppa, perché pativano a vedersi, accadde che nacque una gran procella. La nave era in procinto di sommergersi. Il napolitano domandò il padrone qual parte della caravella sprofonderebbe prima. «La parte da poppa» rispose il padrone. Allora egli rasserenato disse: «Bene sta, or morrò contento, se io veggo prima morire il mio nemico».

A Malaga si fermò di nuovo il bastimento pel tempo grosso. Ed il medico che sbarcò per poco diè contezza alla Ciaciunena dell’altro quadro:

Ddòpittatance steana bella giòvena

Senz’arme e ’no lione. Essa sbranavalo.

E ’sto mutto nce steva a lingua Ibereca:

«Forza no’ nc’è comme, ch’oggi mme supera».

Dalla qual leggenda trassero lieti auguri pel buon esito della impresa. E di proseguirono il viaggio senza più fermarsi sino alla foce del Tevere: dove, presa terra, spedirono un messo a Roma.

 




4 P. Mantegazza, Un giorno a Madera.



5 Marino, Adone, XII, 193.






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