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Vittorio Imbriani L'impietatrice IntraText CT - Lettura del testo |
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IIICosì passavano i giorni, le settimane, i mesi. Il Borgia deperiva. Era malguarito del veleno bevuto in fallo; si alimentava scarsamente e di povero cibo, che faceva cucinare in presenza sua e che voleva pregustato prima da qualchedun altro, per tema non gli propinassero tossico nuovamente. Ma l’inattività e la ristrettezza alle quali era sottoposto nella Motta (così chiamavasi la rocca di Medina-del-Campo), sarebber soprattutto ed a breve andare riuscite letali ad un uomo avvezzo a tanta operosità. Don Andrea eccetera, cercando rallegrano e non vi riuscendo, chiamò il medico, alle cui domande lo illustre prigione rispose col distico: Cernis ut ignavum consument otia corpus; Et capiunt situm, ni moveantur, acquae; ch’è, se non erro, di Ovidio. La mogliera del castellano (che, particolarmente devota all’ex vescovo ed ex cardinale, sosteneva tutte le accuse di oscenità e crudeltà venirgli bugiardamente apposte dagli empii, i quali vorrebbero screditar la religione diffamandone i ministri) si recava talvolta a confortare il prigioniero. Questi la biandiva, l’accarezzava, l’adulava, la corteggiava, la lisciava, la piaggiava, cuculiandola un po’ senza ch’ella lo avvertisse e studiandosi di propiziarsela ed accattivarsela, prevedendo che potrebbe servirgli d’averla benevola. Ma quando la dama diceva: «Vostra Mercè non deve disperare; tutto s’acconcerà, ci sarà rimedio a tutto, il Signore non abbandona i suoi» il Borgia le rispondeva: «Una speranza c’è: ch’io non son morto». Frase, ch’è un verso, ed un bel verso, bello come suono e come concetto, il quale s’incontra anche nell’Ardelia di Baldassarre Olimpo degli Alessandri da Sassoferrato: o questo è nuovo documento, che i begl’ingegni spesso s’incontrano, oppure quel cinquecentista posteriore deve aver letta la Cronaca dell’Orteguilla-y-Zumarraga, dove si riferisce questo aneddoto del Valentino. Il quale, teneva per fermo, che, stancandosi di fargli le spese, Ferdinando avrebbe un bel giorno ordinato di spacciarlo secretamente. E spesso si risvegliava in sussulto parendogli di sentir la voce dello Orteguilla-y-Zumarraga, che lo invitasse a raccomandar l’anima a Dio ed a seguirlo in quel camerone terreno dov’eran gli strumenti di tortura e la mannaia e sulla cui porta si leggeva: ATRIS PATRATIS ATRA THEATRA PARATA SUNT; parole che col mero suono ti sbigottiscono. Avrebbe sorridendo incontrata anche quella morte; ma lo starne in continua aspettazione era intollerabil supplizio. Verso Pasqua di risurrezione un frate girolamino fece chieder più volte al Borgia se volesse confessarsi e con tanta insistenza, che il Duca (il quale non intendeva comunicare per sospetto di veleno nell’ostia) dubitò di quel che infatti era e consentì a vederlo. Padre Ildefonso apparteneva al ricchissimo convento di Nostra Signora di Guadalupe. Ricco tanto, che quattro lustri dopo Andrea Navagero raccontava di que’ frati: «Si dice che hanno grandissima entrata; ed oltre all’entrata, di limosine straordinarie che hanno delle cerche che fanno per tutta Spagna, una infinita somma; e di sorte, che molti affermano, che il tutto è per più di cento e cinquantamila ducati l’anno. Non mancano anche di quelli che dicono per certo, che hanno di contanti più d’un milion d’oro, che guardano in una bella e forte torre che hanno». Capo della comunità era appunto allora un mezzo-cugino del Valentino, Didaco Borgia. Mangione, beone, dormiglione, chiacchierone, poltrone, amante del quieto vivere, dopo essere stato alcun tempo presso il zio papa, invece di pretenderne la porpora od un principato, ne aveva implorato ed impetrato quella opulenta badia, dove scialava lontano da’ rumori, tirando ad ingrassare, disprezzando gli onori ed il potere e predicando tutto esser vanità, tranne una buona cena e degli ozi beati. Non immemore però de’ parenti che lo avevano beneficato, rammaricandosi della fede rotta da Ferdinando e da Gonsalvo e dolente della prigionia del Valentino, gli mandava padre Ildefonso, suo fidato, che girava per incassare i proventi della cerca, con lo incarico di assistere il cugino non ispiritualmente, anzi temporalmente; di non somministrargli consigli per avviarsi al cielo, anzi ogni aiuto per isgattaiolarsela dalla rocca di Medina-del-Campo, dove supponeva star Cesare a disagio e far magri pranzi e scarse cene. Padre Ildefonso era ben provveduto dei denari della cerca; e dove i quattrini abbondano, le difficoltà si appianano; co’ bezzi si supera agevolmente ogni ostacolo. «L’uomo» diceva Giordano Bruno, che avea sempre sofferto il male vergognoso di povertà «l’uomo senza l’argento et oro, è come uccello senza piume, che chi lo vuol prendere, sel prende; chi sel vuol mangiar, sel mangia; il qual però, s’ha quelle, vola; et se n’ha tante più, tanto più vola et più s’appiglia ad alto». Non racconterò quindi, come il Duca Valentino, grazie alle elemosine de’ divoti spagnuoli e pii, grazie forse anche ad un po’ di complicità della castellana, riuscisse a deludere la sorveglianza dell’Orteguilla-y-Zumarraga. Un bel mattino, mentre il valentuomo, travagliato dalla podagra, si faceva portare sulle braccia di due soldati alla stanza del prigioniero (per chiedergli che c’era di vero nella fama che avesse fatto ammazzare il cognato nella loggia di San Pietro), trovò la gabbia vuota, l’uccello fuggito ed una fune penzolante da un verone, che mostrava d’essere stato il mezzo della fuga. Señor, por aquí se salvó Cesar Borgia por gran milagro, diceva, molti anni dopo, un buon diavolaccio di vecchio, mastro di posta a Medina-del-Campo, mostrando al Branthôme il verone che rispondeva sopra un gran precipizio, e gli assicurava qualche spirito familiare avere assistito il Duca nell’ardua impresa. La commozione subitanea fece passar la podagra al castellano: balzò in piedi, ricercando dovunque, ma invano, il fuggiasco. Poi c’ebbe una febbre biliosa, che lo mise in pericolo di vita. Corse anche rischio di perder lo impiego: ma fortunatamente Ferdinando, che avea maggiori faccende per lo capo, si lasciò impietosire, tanto più che non c’era alcuno che invidiasse quella miserabil castellania. Poté dunque don Andrea rimanervi a spadroneggiare fino alla sua morte, ma non gli venner più dati in custodia prigionieri di rimarco, del che veementemente si lagna in più luoghi della sua Cronaca, ossia Teatro Universale delle Istorie de’ suoi tempi, dove argutamente osserva, che chiudendo i prigioni di stato in altre rocche, si recava un danno positivo a’ posteri, che rimarrebber privi di molte curiose notizie. Della fuga o de’ casi posteriori di Cesare Borgia si sparsero, forse ad arte, notizie dubbie ed erronee. Da’ più si ritiene che morisse oscuramente in Navarra. Lodovico Domenichi nel dodicesimo libro della Historia Varia, dopo aver parlato della prigionia nella Motta, prosegue: «Però quivi ebbe tal sorte, che ingannando le guardie et calandosi giù per una fune, gli fu provisto di cavalli dal conte di Benevento, et così andò a trovare il Re di Navarra. Faceva allora guerra questo Re col conte d’Alarino, il quale s’era ribellato da lui. Nella qual guerra servendo egli valorosamente il Re, morì vincitore in una battaglia, che si fece a Mendavia, dove non essendo conosciuto, gli fur tratte l’armi, et lasciato ignudo. Ma un ragazzo gettò il suo corpo morto sopra un cavallo, et portollo a Pamplona; tirandolo senza dubbio il destino a quella città, di cui egli era stato già vescovo. Perciocché non s’è quasi mai trovato niuno, che avendo una volta lasciati gli ordini sacri presi, abbia fatto buona fine». E Pietro Brantolmense osserva: «L’uccisero d’una zagaliata i nemici uscendo d’agguato; non senza ch’ei combattesse da prode e valente. La quale bellissima sua fine ed onorevole deluse molti francesi, italiani e spagnuoli, che speravano ch’egli avesse a finire un giorno vituperosa e miseramente sotto la mannaia, per espiare le malvagità, le crudeltà commesse vivendo. Dee presumersi che Domineddio gli usasse questa misericordia, riguardo a qualche pentimento segreto. Così, la bontà sua divina si stende tanto su’ tristi, quanto su’ buoni, quando la implorano contritamente». Questa versione è compendiata dalla Cronaca dell’Orteguilia-y-Zumarraga, dalla quale hanno trascritto gl’istorici seguenti. Ma non ce n’è nulla. Il Borgia non andò in Navarra dal cognato, non morì allora nella battaglia appo Mendavia, non venne sepolto a Pamplona. Or della cosa io vo’ narrarvi il vero Diverso assai da questa opinione: Gli umani ingegni, quando più non sanno, Favole tali ad inventar si danno.
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