PARTE
SECONDA
LUCI ED OMBRE
CAPITOLO
I.
La
signorina.
In casa ¾ Visite ¾ Pranzi ¾ Balli ¾ Ospiti
in casa altrui ¾ Ai bagni
ed in villa ¾
Corrispondenza.
Quando penso
che questo capitolo, dedicato alle giovinette che sono tutte freschezza, tutte
azzurro, tutte luce, debbo cominciarlo brontolando, m'indispettisco contro me
stessa. Sono dunque tanto decrepita, da non saper più sorridere ai vent'anni
sereni e biondi?
Ebbene no.
Non voglio brontolare. C'è sempre modo di dire con garbo anche le cose più
dispiacevoli. È una scoperta che hanno fatto i farmacisti quando hanno
inventato di inargentare le pillole.
Io non posso
inargentare la mia vecchia persona. Ma mi riparerò all'ombra d'un poeta moderno
e simpatico. Traverso l'azzurro della sua leggenda, apparirà meno uggiosa la
tinta grigia de'miei consigli.
¾ Sono
state al teatro a sentire la Partita a scacchi, signorine?
¾ Il babbo
dice che le signorine non debbono andare alla commedia.
¾ È vero.
Allora l'avranno letta? Neppure? Ebbene, in quella Partita a scacchi
c'è una fanciulla giovane come loro, bella come loro, bionda come le visioni
dei poeti, placida come l'innocenza, serena come un lembo di cielo.
Si chiama
Jolanda. È una figlia unica, ricca come una miniera, nobile come una regina. Ed
elegante poi! N'hanno voglia loro, mie giovani lettrici, di studiare
abbigliature e di mutarle? Jolanda non avrebbe che a comparire, per ecclissarle
tutte. Portava in casa un abito lungo a strascico, di raso azzurro, guarnito
d'ermellino, rialzato da un lato sopra una gonna di velluto; ed aveva le
treccie cadenti; due lunghe treccie bionde, morbide, lucenti.... Oh le belle
treccie di Jolanda! Non c'era partito così splendido, che fosse
superiore a quella ricchezza di treccie.
E Jolanda
viveva solitaria col suo babbo in un vecchio castello, dove i giorni erano
tutti uguali, dove non c'era mai ricevimento, punto feste, punto teatri, e se
capitava una visita, era un avvenimento.
Loro pensano
di certo: ¾ Come
doveva annoiarsi, poverina!
Ebbene no,
signorine mie. E qui sta tutto il merito di Jolanda. Sapeva amare la sua casa,
sapeva starci. È appunto l'argomento su cui ero disposta a brontolare in
principio di questo capitolo.
Via. Una mano
alla coscienza, belle fanciulle.
Nella
situazione di Jolanda, in un completo isolamento dove, se un poeta non
gliel'avesse condotto, non sarebbe capitato forse mai un giovine per apprezzare
la sua bellezza, come sarebbero state tristi loro! Come avrebbero deplorata la
loro miseria, e pensato giorno e notte al pericolo tremendo di rimaner
zitellone! Ed il povero babbo, invece d'una compagna gioconda e serena, si
sarebbe visto accanto un viso allungato, una fronte accigliata; ed in ogni atto
della sua figliola avrebbe indovinata la noia della sua casa, della sua
compagnia, ed il desiderio crudele d'essere altrove.
Eppure
Jolanda non era insensibile nè senza aspirazioni. Lei stessa diceva una sera al
suo babbo:
"Anch'io,
Quando mi trovo sola meco stessa e con
Dio,
Sogno talora i gaudi dell'amore, e mi
sento
Addormentarmi l'anima tutta in un
rapimento."
A quei tempi
le signorine educate parlavano in versi. Ora però si può anche farne a meno.
E fingo che il mio fato conduca un forte e bello
A superar la fossa del mio patrio castello.
Lo ascolto in tuon sommesso mormorarmi parole
Più ardenti e più feconde che la luce del sole,
E lo sguardo negli occhi che divampano fuoco
E mi cullo in visioni celesti... e a poco a poco
Mi risveglio... e le sale del mio patrio castello
Non suonan mai dei passi di questo forte e bello.
Ebbene, cosa
importa? Il forte e bello non compariva, e Jolanda era sempre lieta ugualmente
come un raggio di sole. Non parlava mai di quando sarebbe maritata; il babbo le
diceva:
¾ Bada,
Jolanda, non si vive isolati. Se non accetti qualche partito fra quelli che ti
sono offerti, corri il rischio di rimanere zitellona. Provvedi al tuo avvenire.
Jolanda
rispondeva celiando:
"Sì, fonderò un convento per farmene
badessa."
E discorreva del
tempo, dei boscaioli, delle vecchie piante che finiscono nel focolare, e
s'interessava ai racconti del babbo, che le ripeteva le sue gesta giovanili o
le narrava una certa fiaba di Aroldo e il suo corsiero; in fine stava là
in quelle antiche stanze solitarie come un augello nel suo nido, il quale vi si
trova bene, e vi si adagia come se dovesse rimanervi tutta l'eternità, salvo a
volarne via l'indomani s'intende.
Loro invece,
signorine... scusino, bisogna pur venirci a questa conclusione; ¾ le
favole sarebbero pur belle se non avessero la morale in fondo, ma, poichè ce
l'hanno inventata, lascino che io la metta come si faceva ai miei tempi, ¾ loro
dunque, non s'adagiano punto nella loro casa, nè come l'augello nel nido, nè
come nessun'altra immagine di cosa adagiata. Ci stanno, salvo il rispetto, come
il diavolo in una ampolla. Sono irrequiete, impensierite. La loro mente non è
lì. Ogni giorno si meravigliano, si impazientano di esserci ancora, come se la
casa paterna fosse un albergo, o un ponte gettato tra il collegio e la casa
coniugale, e da traversarsi in fretta, per paura che si rompa sotto i piedi.
Non saranno
tutte così; ne convengo, almeno lo spero. Ma conobbi molte, moltissime fanciulle;
ed, eccettuate ben poche, tutte dimostravano una tale impazienza di maritarsi,
da dar ragione al signor Achille Torelli, nel ritratto poco lusinghiero che ha
fatto della Fanciulla.
Sovente ho
udito una giovinetta dire: ¾ Quando
sarò a casa mia, farò questo o quell'altro; ed intendeva: quando sarò
maritata.
Che
impressione doveva fare al babbo, alla mamma, l'udire che la loro figliola non
si sentiva a casa sua, in mezzo a loro e nella loro casa!
Se si tratta
d'andare in campagna, dove non c'è altra compagnia che le persone di casa, si
mostrano disgustate e non mancano di parlare di quella loro miseria, come
vestali che stiano per essere sepolte vive. Ma i loro genitori cosa sono?
Per riguardo
a loro, e per il rispetto a quel dolore che dovranno provare, staccandosi dalla
loro figliola per darla ad uno sposo, una signorina educata non dovrà mai
dimostrare che desidera appunto di dar loro quel dolore, e che non ci prende
parte.
Lo sposo
stesso, che un giorno la piglierà, è già implicitamente offeso da quella smania
di maritarsi, che gli dice anticipatamente:
¾ Badi,
ch'io lo sposo perchè non vedo l'ora di diventare una signora, e non per lei.
Se un altro fosse capitato prima, avrei preso quello.
Senza contare
poi il ridicolo che matura sul capo di quelle che, poverette, non trovano
marito. Si sente ogni giorno dire dall'una o dall'altra:
¾ La
signorina tale ha già trentacinque anni. E non ha ancora marito!
¾
Poveretta, dopo averlo desiderato tanto
¾ Si
ricorda lei? Diceva sempre: Quando sarò maritata....
¾ Ed il
corredo che preparava?
¾ E quando
si ricamava quella bella pezzuola, quante volte ha detto:
"Per ora
non lo porto; servirà per quando sarò, maritata."
¾ Ora può
servirsene per asciugar le lagrime ogni volta che si marita qualcun'altra.
Una signorina
non dovrebbe mai dire: "quando sarò maritata" se non dopo
essere fidanzata. Allora è un fatto che si prepara; non è più una supposizione
nè una speranza, e potrà parlarne liberamente. Prima no. E se taluno le dicesse
quella parola, dovrebbe rispondere:
¾ Io non
so se mi mariterò. Non ci penso. Sto tanto bene in casa mia....
E debbono
procurare di starci bene davvero, e di buon umore come si conviene alla loro
età. Credano a me, il mostrarsi desiderose di marito, annoiate della propria casa
e della propria famiglia, ha fatto invecchiar nubili tante belle ragazze. E la
giocondità, la pace, l'amore del nido paterno, non ha mai impedito ad un
augello di scioglierne il volo, nè ad una bella Jolanda di udirsi dire da un
paggio innamorato, davanti a testimoni però:
"Ti
guardavo negli occhi, che sono tanto belli."
*
* *
Qualche volta
i babbi, i nonni sono molto vecchi; e, si sa, i vecchi sono spesso noiosi. Ho
io bisogno di dir loro, signorine mie, che sarebbe oltremodo scortese il lasciar
trasparire, da un atto, dalla fisonomia, da un momento di distrazione, il tedio
che ispirano? L'ho detto ai bambini, perchè, poverini, non sanno ancora cosa
sia mondo. Ma loro, signorine, ad educazione finita, non possono aver bisogno
di questi insegnamenti.
So bene che
non si dimeneranno sulla sedia, nè si divertiranno a sciupare i nastri e le
frangie dei vestiti per trastullarsi, mentre gli altri parlano di cose che non
le interessano; però talora, me lo lascino dire, si permettono il ripiego che ho
suggerito ai bambini: si distraggono. L'ho suggerito ai bambini, non per
evitare i discorsi noiosi che vengono fatti direttamente a loro; ma pel caso in
cui altri parlasse, loro presenti, di cose che non li riguardano e che non
capiscono.
Invece accade
spesso che un vecchio parente fa un lungo racconto ad una figlia, ad una
nipote; il racconto della sua giornata, o di qualche suo malanno. Ed intanto la
signorina pensa a quel forte e bello di là da venire, al quale Jolanda
pensava soltanto quand'era sola con sè stessa e con Dio; ed il narratore
domanda:
¾ Che te
ne pare? Come ti regoleresti tu?
¾ Lo
sposerei... Ah! scusi; sa, zio? ero distratta.
Per una
signorina gentile, una simile confessione scortese ad un vecchio dev'essere
talmente umiliante e penosa, da farle ascoltare con attenzione inalterata tutte
le lamentazioni di Geremia, lasciando al piagnoloso profeta l'illusione di
essere il più ameno narratore del mondo.
Questa
indifferenza delle fanciulle, questa noncuranza per tutto quanto non riguarda
il loro avvenire, si rivela in tutte le occasioni. Le grandi feste di famiglia,
quando si raduna tutta la parentela a pranzo, i ricordi che vi si evocano, lo
scambio dei doni, le occupazioni del babbo, i suoi studi, tutto questo le
lascia fredde. Ho vedute delle fanciulle passare delle ore in famiglia senza
parlare, con un fare svogliato, ed animarsi soltanto all'entrare di un giovine
visitatore. Ne ho vedute altre ricevere senza nessuna dimostrazione di gioia i
doni dei parenti a Natale o a capo d'anno, senza neppure scartocciarli,
riservandosi a guardarli più tardi. Tutto questo è penoso a vedersi.
Sono i
servitori a cui si dà la mancia, che non debbono osservarla subito per non aver
l'aria di contare i quattrini; ma un dono bisogna vederlo ed ammirarlo molto, e
dichiararlo magnifico, fosse pure miserabile e di cattivo gusto: e ringraziare
con espansione.
Ai vecchi
amici di casa, ai vecchi parenti ed a tutte le signorine della parentela o
dell'intimità, le giovinette dovranno fare auguri o doni all'occasione
dell'onomastico o del natalizio. Ammetto che è difficile trovare ogni anno, e
tante volte qualche cosa di nuovo da dire nelle identiche circostanze. Ma il
farlo con aria infastidita non facilita la cosa. Il borbottare, il lagnarsi di
quel compito forzato, è quanto dire a chi sente:
¾ Vedete?
Quando verrà la vostra festa mi costerà tanta noia così il farvi gli auguri...
E la causa è
sempre la stessa. È il pensiero costante dell'avvenire, di un affetto più
grande e più forte, che impedisce a quei giovani cuori di sentire l'amicizia,
l'amicizia calma e serena, che dura anche dopo l'amore svanito, e ce ne
consola.
Se un
precedente stabilito non ci fa sapere che un amico festeggia un natalizio, sarà
bene fargli gli auguri per l'onomastico, perchè questo non calcola l'età come
il compleanno indiscreto, il quale pare studiato apposta per non lasciarci
dimenticare le tristi verità: che il tempo passa, che s'invecchia, che la morte
s'avanza.
*
* *
A' miei
tempi, ¾ tempi
delle vecchie mamme, delle nonne, delle bisnonne, ¾ le donne non ricevevano
l'istruzione che si dà ora alle fanciulle. Allora era generale l'opinione
dell'Arnolphe di Molière circa le donne:
"C'est assez pour elle, à vous en bien parler,
De savoir
prier Dieu, m'aimer, coudre et filer.
Ora le
giovinette escono dalle scuole dotte come tanti piccoli professori. Guardano il
mondo dall'alto della loro dottrina geografica, senza mai scambiare un punto
per un altro. Sanno perchè il Vesuvio erutta vampe e lava, e perchè la luna
splende d'una luce scialba; ed il sole abbaglia coi suoi raggi; e dove scalda
più e dove meno; ed un mondo di cose alle quali, ai miei tempi, non si pensava
nemmanco. E non hanno paura a parlar di storia, nè di letteratura, e neppur
d'algebra. E se non parlano di politica, è perchè sanno che è cosa uggiosa;
l'hanno imparato studiando gli uomini. E, per un vezzo grazioso, tutto
femminile, dicono ad ogni tratto:
¾ Voi
altri che sapete di politica.... Oh, io di politica non ne capisco nulla!...
C'è ancora il sultano di Turchia?... Ed a San Marino hanno sempre la
Repubblica?
Ma chi ci
crede? Se volessero, con quelle piccole menti intelligenti ed erudite,
terrebbero testa agli uomini anche in politica. Fanno bene a non tentarlo, del
resto.
Ma
dov'eravamo? Ah sì! All'uscir della scuola.
Le signorine
con quel po' di coltura, non hanno difficoltà a trovare i lati deboli
dell'istruzione delle mamme. Quanta delicatezza ci vuole per non mostrare di
trovarli, e per fare che lei stessa, la buona mamma, non si avveda della
superiorità intellettuale della figliola!
Ho conosciuto
una signora allevata in provincia, maritata a sedici anni, e subito divenuta
madre di bambini che aveva allattati tutti lei stessa, dal primo all'ottavo.
Prima di maritarsi aveva fatte due classi elementari, e poi non ci aveva
pensato più. Poco aveva trovato tempo di leggere con quel po' di maternità. Per
cui di rado imbroccava, quando voleva fare un discorso, altrimenti che nel
dialetto lombardo al quale era avvezza.
Un giorno,
dopo aver letto non so che cronaca di giornale, disse: ¾ Si fabbrica una casa sul Corso che
ha da essere una meraviglia. L'articolo che ne parlava cominciava: È delizia.
E di questi
granchi ne pescava sovente!
Quella sera
sua figlia, uscita allora allora di collegio, esclamò ridendo:
¾ Chi sa
perchè le mamme, quando non parlano di cose casalinghe, dicono sempre
spropositi?
Credeva di
essere una fanciulla di spirito. Non abbiano mai dello spirito a questo prezzo,
mie gentili lettrici: la mamma diceva spropositi, ma le figlie fanno uno
sproposito ben più grave mancando di rispetto alla madre ed umiliandola.
Se la mamma
non sa parlare perfettamente in buona lingua, la figlia deve sempre parlare il
dialetto quand'è presente lei, per evitare che sia messa nella necessità di
prendere qualche cantonata. E, se ci casca, la figlia deve mutar discorso,
affinchè la sua serietà ed il suo rispetto, impediscano di ridere ed impongano
il rispetto anche agli altri.
Ma per
fortuna le signore tanto ignoranti si fanno sempre più rare. Le signore anche attempate,
in generale, parlano bene, e suppliscono col buon senso naturale, a quella
mancanza di coltura che è una conseguenza del tempo in cui furono educate.
Basterà che
la figliola eviti di mettere il discorso su argomenti astrusi, li tronchi se
altri li ha intavolati, o non vi prenda parte; e la mamma non sarà costretta ad
astenersi da una conversazione alla quale prende parte sua figlia o a fare
cattiva figura.
E badino che,
quando dico conversazione, non intendo soltanto le conversazioni con estranei:
ma anche quelle del focolare, dove importa più che mai di mantenere il
prestigio della mamma presso i fratellini, e di frenare i figli giovinotti
sulla via sdrucciola dell'irriverenza, sulla quale si avviano tanto presto ai
nostri giorni.
Non posso
credere che esista nel mondo incivilito una signorina che sieda al suo posto a
tavola, prima che siano seduti il babbo e la mamma, e le altre persone vecchie,
e signore maritate che fanno parte della famiglia. Ma dato il caso, tutto è
possibile a questo mondo, che fra le mie lettrici vi fosse una piccola
ostrogota, la quale si trovi una simile macchia sulla coscienza, non lo dica a
nessuno per carità; e si sorvegli bene per l'avvenire. In nessuna circostanza,
in nessuna età della vita, bisogna lasciar andare il proprio contegno sulle
massime volgari ed egoistiche:
«In famiglia
ci si deve trattare in confidenza. In famiglia non si fanno complimenti.»
È in famiglia
che passiamo la massima parte della nostra vita, ed è là, più che altrove, che
bisogna serbare inalterata quella reciprocità di riguardi, quella cortesia
squisita di modi, che sono fra le migliori espressioni dell'affetto, e senza di
cui non c'è gentilezza d'animo possibile.
Ho conosciuto
una signorina bella come un amore, (non ne ho mai visti di veri, ma parlo di
quelli dipinti), intelligente, onestissima. Ma aveva modi, se non affatto
aspri, asciutti. Di rado diceva una parola espansiva; si alzava, si coricava,
usciva di casa, rientrava, senza mai gettare le braccia al collo ai suoi
genitori, nè dar loro un bacio; colle amiche era fredda, aveva l'aria di
diffidarne, di star sempre in guardia. Malgrado la sua bellezza non ispirò mai
nessuna simpatia, rimase senza marito, fece il vuoto intorno a sè.
Gentilezza
continua, inalterata, colla propria famiglia; espansione, cordialità con tutti,
sono le doti essenziali d'una signora, la vera base della civiltà; e sopratutto
deve saper interessarsi anche delle cose che non la riguardano personalmente,
delle occupazioni, delle gioie e dei dolori degli altri.
*
* *
Vi sono paesi
dove le signorine non prendono parte alle visite che riceve o che fa la loro
mamma. Da noi quest'ostracismo per le fanciulle non è ammesso, e credo sia
meglio. Dall'oggi al domani una signorina si marita: se è affatto nuova alle
visite, come potrà disimpegnarsene?
In Francia le
signorine prendono parte alle visite, ma non parlano mai, se non sono
interrogate, ed anche allora si limitano ad una risposta. Tutto questo è
artificioso, forzato, è una ipocrisia.
Fra persone
educate non si tengono mai, presente una signorina, discorsi che lei non
possa ascoltare e comprendere senza arrossire. Sarebbe una sconvenienza senza
nome, e nessuna padrona di casa potrebbe tollerarla.
Quale è
dunque la ragione per cui una signorina non potrebbe prender parte alla
conversazione? Proprio non la vedo. Conosco molte signorine che discorrono, con
moderazione, soltanto delle cose di cui sanno di poter parlare ¾ d'arte,
di letteratura, di balli, di nuove della città ¾ senza mai scendere a pettegolezzi
nè darsi arie dottorali, colla schiettezza e la giocondità che sono proprie
della giovinezza, colla sua fede ed i suoi entusiasmi; e le trovo adorabili, e
vedo che tutte le simpatie si raccolgono intorno a loro.
Questo non
vuol dire che una signorina possa intavolare lei un discorso, dove ci sono
delle signore per farlo. Se però fra le visitatrici vi sono altre fanciulle o
qualche signora giovane di sua confidenza, potrà benissimo la signorina di casa
prendere l'iniziativa d'un discorso.
Ricevendo
visite in casa sua una giovinetta non prende mai posto nè sul divano, nè ai
lati del camino. Si alzerà ad incontrare tutte le signore, e si collocherà
accanto a loro all'ultimo posto; se c'è una signorina le starà accosto; se sono
più d'una, siederà in mezzo a loro.
Quando una
signora, o anche un visitatore, si alza per uscire, se la casa non è abbastanza
ricca perchè vi sia sempre qualche servitore in anticamera, la signorina
suonerà il campanello perchè una persona di servizio vi si trovi ad aprire
l'uscio. Trattandosi d'un uomo però, dovrà lasciarsi salutare prima da seduta,
e non alzarsi per suonare il campanello, se non quando lui sarà per uscir dalla
sala.
Le
convenzioni vogliono che una signorina non sia mai la prima ad osservare che
una visita è stata breve, nè insista perchè si prolunghi. Questo riguarda sua
madre. Non deve mai domandar conto alle visitatrici dei loro figli, dei
fratelli, dei cognati, quando sono giovinotti. Si deve limitare ad informarsi,
delle signore, dei vecchi, dei mariti, dei bambini. È una affettazione
ipocrita, ed io non l'approvo. Ma l'uso ne ha fatta una legge, che ora però si
va perdendo.
E badino di non
dire a nessuno: Come sta il suo signor padre o la sua signora madre, ecc. Non
si sono mai trovate a sentire le vecchie commedie in cui i personaggi parlano
così! A noi fa un effetto strano; sembra uno scherzo. Se la situazione sociale
della persona a cui parliamo non è differente della nostra, si dice
semplicemente il suo babbo, la sua mamma. Se poi si tratta di persone di
gran soggezione, invece di nominarle col titolo di parentela, si dirà: Come sta
il conte? La contessa? Il commendatore? Il presidente? Il duca? ecc., ecc. Alle
persone che ci sono superiori non si mandano saluti; sarebbe un atto di
confidenza.
S'immagini un
povero scrittorello, un professorello, un concertista ricevuto dalla Regina, il
quale nel congedarsi dicesse: Maestà, mi saluti il Re!
Andando a far
visite una signorina, sia a piedi che in carrozza, lascierà la destra alla
mamma. Se è col babbo, accetterà lei la destra, se le è offerta. Non avrà carte
da visita, s'intende. Se è figlia unica, può avere un biglietto collettivo
colla mamma: Signora e signorina tale. È però un'usanza imitata affatto dai
Francesi. Da noi nessuno si chiama signora nè signorina sulla
carta di visita. Si mette soltanto nome, cognome e titolo, se c'è, e la figlia
scrive a matita il proprio nome sotto quello della madre.
Entrando in
una sala una signorina siede accanto alla sua mamma, o accanto alla signorina
di casa, se c'è. Se la padrona di casa le accenna un posto, anche al suo
fianco, lo deve accettare senza complimenti, in atto d'obbedienza. Questo
genere di complimenti indicano un sentimento di eguaglianza, che una giovinetta
non può arrogarsi con una signora. Cederà poi quel posto d'onore alla prima
signora che entrerà. In tal caso dovrà evitare di impegnare una questione
noiosa. Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato,
andar subito a sedere presso sua madre.
È affatto
provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle
visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone.
Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle
signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore
rimangono in sala, vuol dire:
¾
"Dacchè non abbiamo ancora trovato un compratore, andiamo a metterci in
mostra; chi sa?"
Se la signora
di casa è una di quelle adorabili persone attempate, che amano la gioventù, e
la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una
signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel
congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto
l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto.
Se una
signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a
lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è
sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che
la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà
presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali
circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non
potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno
inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di
rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non
mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice;
e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera
signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non
se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare
ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei.
*
* *
Una signorina
potrà accettare di pranzare da un'amica, e rimanerci, anche sola, sotto la
custodia della signora di casa. Ma ad un pranzo d'invito non andrà se non
accompagnata da una signora.
Tutto quanto
è bello, grazioso, rasserena lo spirito; e se c'è momento in cui tutti
desideriamo di essere di buon umore, e di veder tutti allegri e contenti, è
quando sediamo a tavola. Per questa ragione io non finirò mai di ammirare
l'abitudine degli Inglesi, che, anche in famiglia, non mancano mai di
abbigliarsi per andare a pranzo. E pure per questa ragione che le abbigliature
da pranzo, parlo dei pranzi d'invito, anche tra noi si usa farle più ardite ed
eleganti da quella da visita e da passeggio. Le signorine dovranno scegliere
fra i loro vestiti della stagione il più fresco e gaio. O, se si mettono un
abito scuro, lo rallegreranno con fiocchi di nastri azzurri, rosei o rossi o di
quel colore che la moda favorisce, in modo da far iscomparire la severità della
tinta. Del resto, non c'è signora nè signorina che non possieda qualche abito
bianco, e quello sta sempre bene ed è sempre elegante.
Non dovrei
supporre che una padrona di casa, dando un pranzo, possa commettere la
sconvenienza di collocare una signorina accanto ad un giovinotto. Ma siccome:
"Tutto è
possibile sotto il sole" ‑ ed
"Errare
humanum est" ‑ ed
"Error non è frode" ‑ ed
"Il giusto cade sette volte al giorno"
e mille altri proverbi, che non ripeto (perchè il
dirne parecchi è una inciviltà condannata dai vecchi galatei), potrebbe darsi
che una padrona di casa un po' inesperta cadesse in quell'errore, tanto per
dimostrare ancora una volta che "non tutte le ciambelle riescono col
buco."
Per carità,
signorine mie, se codesto accadesse, si guardino bene dal fare la menoma
osservazione e neppure un segno di meraviglia. Sarebbe rivolgere un rimprovero
crudele alla signora che le ha collocate così.
Quando io era
giovane, in temporibus illis, fui invitata ad una sagra di
villaggio in una famiglia di ricchi proprietarii. Dopo il pranzo e le feste del
giorno, si doveva ballare, per cui c'erano invitate molte signorine e molti
giovinotti. Quella buona padrona di casa provinciale, avvezza alla semplice
verità della natura in mezzo alla quale viveva, doveva aver fatto questo
ragionamento:
¾ Se fra
due ore i giovinotti e le fanciulle che ho invitati dovranno prendersi per le
mani, abbraccíarsi, e circolare appaíati a due a due come colombelle, non ci
può essere una ragione al mondo perchè si scandolezzino di trovarsi seduti
accanto a tavola.
Era una
logica da dar dei punti ad Aristotile.
E lei agì
come avea pensato, e collocò a tavola ogni signorina accanto ad un giovinotto.
Tutte fecero
"a mauvais jeu bonne mine", e molte mi confessarono che non
l'avevano trovato un troppo mauvais jeu. Ma una, una sola, una signorina
di villaggio, che era uscita per l'appunto di collegio, cominciò a guardarsi
intorno impaurita, come se i due che aveva ai lati fossero due leoni pronti a
farla a brani, o due Don Giovanni venuti là per rapirla.
Uno, che non
era punto Don Giovanni, ed ancora meno lion, si sentì tutto confuso, si
fece rosso, e tirò in là la sedia, come se temesse di sporcare quella
signorina; ma l'altro fece le viste di nulla, le offrì da bere, e tutti i
piccoli servigi che un uomo non manca mai di offrire ad una vicina di tavola.
Bisognava
vedere l'aria diffidente e l'esagerazione di riserbo di cui s'armò quella
poveretta! Parlava a monosillabi. Rifiutava tutto, era tutta sulle difese,
pareva che fino i fiocchi del suo vestito appuntassero le nocche ed i capi come
armi difensive. Il suo babbo, dall'altro lato della tavola, fremeva,
Finalmente, vedendo che era giunta al dessert respingendo ogni piatto, e
stava per rifiutare le frutta che il suo vicino le porgeva, le gridò:
¾ Via,
accetta una volta! Non è veleno.
¾ Ah! era
di questo che aveva paura, signorina? ed io che mi lusingavo che avesse
paura di me! le disse il suo vicino.
La lezione
era meritata.
È appunto in
tali circostanze eccezionali, che una signorina può mostrare di sapersi
condurre dignitosamente senza darsi quell'aria di noli me tangere, che
la rende antipatica, e senza incoraggiare una confidenza sconveniente.
Altre volte era di rigore che le signorine
mangiassero pochissimo, e non bevessero vino affatto. Per cui riuscivano
commensali punto piacevoli.
In qualunque
modo si volesse interpretarla, quella continenza cenobitica, era una
sciocchezza. Le fanciulle intendevano con quel mezzo di atteggiarsi ad un
sentimentalismo ideale, non d'altro nudrito che di poesia e di sogni. Era
un'idea da précieuses ridicules. Le mamme incoraggiavano quella manìa,
ed all'occorrenza l'imponevano, volendo con quel mezzo dire ai giovinotti:
¾ Vedano
come mangia pochino la mia figliola. E non beve punto. La sposino, via. Non
costa nulla a mantenerla.
Era un
calcolo da Arpagone.
Ora, se Dio
vuole, il sentimentalismo è passato di moda. E, non fosse che per quest'unica
riforma, benedetto il realismo! Le giovinette sono tornate ad esser loro
stesse, col loro appetito giovanile: ed a tavola lavorano coi loro dentini, che
è una benedizione, un'allegrezza guardarle.
Se qualcuna
delle mie lettrici era rimasta in arretrato, ora lo sa. La civiltà vieta
soltanto di trasmodare. Ma vieta altrettanto severamente di rifiutare ogni
cosa, di mangiare a fior di labbra, di lasciare la roba nel piatto, di
rifuggire dai vini, quasi si volesse dire ai padroni di casa:
‑ Io
non so che farmene di tutto questo. Il vostro pranzo mi mette la nausea.
Quando si è a
questi estremi bisogna non accettar l'invito. Se sapessero come è bella e come
piace la gioventù robusta, e francamente allegra, che Dio la benedica!
Se la padrona
di casa fa posare dal servitore il vassoio del caffè, dopo che i convitati sono
passati in sala, ed offre lei stessa le tazze, le signorine debbono subito
accorrere ad aiutarla. Dovranno però servire soltanto le signore ed i vecchi.
Una signorina non porge mai la tazza ad un giovine, a meno che sia suo
fratello. Ed ancora ha l'aria d'uno scherzo.
Dopo aver
assistito ad un pranzo, una signorina è tenuta ad accompagnare la madre nella
visita che rende, entro gli otto giorni, alla famiglia da cui ebbe l'invito: e
dovrà anche lei lodare la compagnia che vi ha trovata, la disposizione della
tavola, i fiori, l'allegrezza che si è goduta, infine quel che c'era da
lodare.... ed anche un pochino quel che non c'era
*
* *
In teatro una
signorina non va mai scollata. Se l'abito ha lo scollo, lo porta con una
modestina dí tulle. È verissimo che ora molte giovinette vanno scollate come le
signore; ma la questione è dì sapere se fanno bene. Ad ogni modo non sono in
regola colle convenienze.
Una signorina
mi osserva a questo proposito che. "È meglio errar con molti che esser
savio solo." Ma io rispondo con un altro proverbio che dice:
"L'uso serve di tetto a molti abusi." ‑ E con un altro ancora:
"Cosa rara è la più cara."
Così, punto
scollature. Pochissimi gioielli. I
Francesi dicono: Les diamants sont faits pour les têtes brunes; les fleurs
sont faites pour les têtes blondes.
Ma, finchè
sono teste da fanciulla, anche le teste più brune debbono accontentarsi dei
fiori. Per portare i diamanti ci vuole il permesso della Chiesa, ed anche del Municipio.
Ma credano a me, signorine, non ci perdono nulla. Il diamante ha un pregio
convenzionale: il fiore è una cosa bella davvero. Le arti belle hanno sempre
imitati i fiori. Ma soltanto il commercio, che specula sulla vanità, ha imitato
i brillanti.
Neppure la
catenella dell'orologio è concessa ad una signorina che vuole osservare tutte
le regole di convenienza. Ed infatti, dacchè quello è il primo dono che le deve
offrire lo sposo, se l'ha già portata fin allora, non le fa più
quell'impressione nuova; non è più un simbolo. Quando si domanda:
¾ Ma è ben
sicuro che la signorina tale sia sposa?
Altri
risponde:
¾ Pensi!
Ha già la catena!
L'abbigliatura
d'una giovinetta dev'essere semplice. Ma badino certe signorine e certe mamme
che hanno l'abitudine di prender le parole a rigor di lettera, che semplice,
quando si parla di vestiti, vuol dire appunto d'una stoffa di poco valore,
adatta per fanciulle, senza trine antiche, senza ornamenti costosi. Ma la
semplicità d'un abito da serata non ne esclude l'eleganza ed il gusto.
In teatro, la
signorina (non scollata insisto), cederà sempre alla signora, che l'accompagna,
il posto d'onore, che è quello di fronte al palco scenico.
Le signorine
si trovano contentissime di questa combinazione, perchè, voltando il dorso al
palco scenico, guardano meglio nella platea e nei palchi, e sono più in vista.
Vedono ch'io
sono addentro nei loro piccoli segreti.
Ebbene
credano a me che sono vecchia, non guardino mai fisso nessun giovine, checchè
ne dica loro la simpatia. Non c'è cosa più sconveniente di quell'ostentare in
pubblico una preferenza, che una fanciulla dovrebbe appena confessare,
arrossendo, alla propria madre.
Per
gl'indifferenti, poi, c'è la legge generale di elementare decoro, che una
fanciulla non deve mai fissare in volto un uomo che sta discorrendo. Quelle che
se ne emancipano appunto in teatro, dove cento occhi sono là per notare quella
sconvenienza, e cento bocche per ripeterla, mi fanno ricordare un ladro che
l'estate scorsa, rubò il soprabito di un avvocato nel tribunale criminale,
mentre l'avvocato stesso stava perorando la causa d'un ladro. Aveva scelto male
il posto per farla in barba alla Questura.
A questo
proposito ricordo una letterina che ricevetti pochi mesi sono. Debbono sapere
che la prima edizione di questo libro mi guadagnò ‑ se fosse meritata o
no non saprei dire ‑ la fiducia di molte lettrici, le quali presero
l'abitudine di rivolgersi a me, anche senza conoscermi, nei loro piccoli imbarazzi.
Un giorno il mio editore mi mandò una lettera d'una signorina che doveva andare
ad un ballo, e mi domandava: "come dovesse contenersi, sapendo che
dovrebbe incontrar a quel ballo, e che le verrebbe presentato, un giovine il
quale da un mese la guardava, e del quale ricambiava gli sguardi!"
Ah signorine
mie! Non l'hanno capita che non ci deve essere mai un giovine di cui una
signorina ricambia gli sguardi? E se quel giovine c'è, è un personaggio da
romanzo, un errore; e la signorina pure, è un altro errore. Ed in tal caso, che
esce dalla normalità, cerchino di tirar innanzi il romanzo in modo che lo
possano leggere anche le signorine. Regole di convenienza pel loro contegno in
quella circostanza non posso darne, perchè i personaggi da romanzo e le passioni
da romanzo l'hanno sempre fatta in barba a tutti i galatei. Ed hanno fatto
bene, ma, in mancanza di una regola di convenienza, posso dar loro un consiglio
da amica. Vadano dalla loro mamma e le dicano la verità; confessino tutto:
"Che da
un mese fanno quell'armeggio d'occhiate; ed ora si trovano imbarazzate all'idea
di trovarsi in faccia a quel giovine...."
E se la mamma
dirà, che in tal caso è bene rinunciare alla festa per evitare quell'incontro,
si picchino il petto e dicano Mea culpa.
In teatro una
signorina non porge mai la mano agli uomini che entrano a far visita in palco,
e non dimostra mai di prestare più attenzione agli spettatori che allo
spettacolo.
Certi
atteggiamenti indifferenti ed annoiati, che affettano molte signorine sono di
cattivo gusto. Oltre all'offendere le persone che stanno con loro, le fanno
apparire disilluse e già incapacì di divertirsi. Oh giovinezza! Si può non
divertirsi a vent'anni?
All'atto di
ritirarsi le signorine debbono mettersi la sortita da sole, o farsi aìutare
da una persona della famiglia; non mai da un giovine. E scendendo le scale,
daranno il braccio al loro babbo, ad un fratello, oppure rimarranno accanto
alla mamma.
Così è,
signorine mie; i cavalieri serventi sono come i diamanti. Non li hanno che le
signore. È ancora una privazione di cui non posso compiangerle. I diamanti
hanno almeno un pregio convenzionale. Sono rarissimi e costano cari, quando
sono veri brillanti. I cavalieri serventi, invece, spesseggiano come le mosche,
e sovente, non valgono di più. Di brillantì poi, ce n'è uno su mille.
*
* *
Ed ora,
signorine mie, le conduco in un luogo dove non sono mai state. Ed anche ora non
vi possono entrare che in ispirito, e sotto la mia seria tutela di nonna
centenaria; in un circolo di giovinotti.
Ben inteso
che, entrando in ispirito, loro non sono vedute; e però non s'interromperanno i
discorsi incominciati....
Oh! non
s'inquietino, signore mamme, so press'a poco di cosa si parla; ed anzi, ci
conduco le loro figliole per questo; è il domani d'un ballo, di che s'ha a
discorrere?
Per quanto
meritino poco di essere elevati a questa dignità, i giudici delle signorine,
alle feste da ballo, sono i giovinotti. È vero che, in compenso, i
giudici dei giovinotti sono le signorine; ma questo è un giurì non troppo
accreditato perchè pecca d'indulgenza. Per ora ascoltiamo l'altro che non ha
questa debolezza.
¾ Non
c'era male la signorina Tizia, con quell'abito azzurro, sentenzia un piccolo
Giove Ansuro, con l'esperienza dei suoi diciott'anni.
¾ Non
c'era male? osserva un conoscitore più esperto. Ma hai a dire che era una
bellezza addirittura. Soltanto che è una bambola col meccanismo; una ruota ed
una cordicella per ogni monosillabo o bisillabo. La mamma l'aveva caricata
prima d'uscire, e lei da brava bambola ha articolato uno dei suoi monosillabi o
bisillabi per ogni domanda, che faceva da cordicella: "Sì. No. Grazie.
Basta. Poco...." E così via.,
¾ Doveva
avere delle rotelle anche ai piedi, perchè ballava diritta, stecchita come un
fantoccio.
¾ Bambola,
bambola.
¾ E le
signorine Sempronie? entra a dire un terzo.
¾ Ah!
quelle sono due berte. Non sanno tacere un minuto. E che tono confidenziale
pigliano discorrendo col ballerino! Un vecchio gentiluomo mi disse:
"Quelle
signorine devono avere una famiglia numerosissima.
"Perchè?
domandai compiacentemente per fargli finire il suo motto.
"Perchè
tutti i giovanotti con cui ballano mi sembrano loro fratelli."
Infatti
andavano da una sala all'altra, ed al buffet con questo e con quello, e
senza la loro mamma, e si dice che ballassero anche con qualcheduno che non era
stato presentato.
¾ A te
piaceva la signorina Caia, che ti si abbandonava mollemente nelle braccia, come
se fosse al quarto atto d'un melodramma.... Avevi sulla spalla dell'abito la
cipria delle sue guancie. .
¾ Il color
della dama. Mi piaceva per una sera, però. Non la vorrei fra le concorrenti,
quando mi decidessi a gettare la mia pezzuola per trovare una sposa.
¾ Io ho
fatto un giro colla signorina Ipsilonne, che, ad ogni complimento che le facevo
me ne rispondeva un altro, come se si giocasse di scherma.
¾
Pazienza, era ingenua.... Tu avessi udita la signorina Zeta, che, per far la
spiritosa, canzonava le tolette ed i modi delle altre signorine e dei giovinotti!
¾ Ah!
dev'essere stata curiosa. Cosa t'ha detto di me?
¾ E di me?
¾ E di me?
¾ Ha detto
che le pareva d'essere una tazza di miele, perchè si vedeva ronzare intorno
tanti mosconi.
¾ Oh Dio!
Che barba!
¾ Caro
quel miele!
¾ I
mosconi volano anche intorno....
Via; la porta è chiusa e non si ode altro. Ma credo
che basti.
Vedono,
signorine mie, che ogni medaglia ha il suo rovescio; ogni festa il suo dimani.
"Ahi gioie umane, d'amarezza asperse!"
La civiltà
francese fa della fanciulla una bambola muta, compassata, insignificante, tutta
artificio. Le inglesi sono severe, fredde, vaporose. Le americane sono
emancipate. Le tedesche sono libere.
Loro sono
italiane; hanno lo spirito vivace, l'immaginazione pronta; sono entusiaste ed
espansive. Volerle ridurre come automi modellati su figurine straniere, sarebbe
una profanazione, una finzione. Siano loro stesse. Ma sappiano contenersi in
modo da non meritarsi le censure che hanno udite. Si può essere amabili,
schiette, allegre, anche senza staccarsi da quella dignità di contegno che
s'addice ad una fanciulla. Il buon senso naturale, ed il naturale decoro,
devono guidarle. Io domando soltanto di scrivere sul loro taccuino una massima
di Victor Cherbullier. La leggano sempre prima di andare ad un ballo, dove la
loro mamma non può udire tutte le parole che scambiano coi ballerini:
"Rien ne rafraîchit plus le
sang, que le souvenir d'une sottise que l'on n'a pas dite."
¾ "Mi
ricordo quand'era fanciulla" come la vecchia Pipelet di gioconda memoria,
e nel carnovale, la mia zia, che mi teneva il posto della povera mamma che
avevo perduta, invitava una mia cugina a tenermi compagnia.
Cara quella
compagnia! Aveva l'abilità di sacrificarmi completamente. Non sapeva pettinarsi
da sè; bisognava che ogni mattina la cameriera di casa perdesse ad acconciarle
il capo un tempo tanto più prezioso, in ragione di quell'aumento di personale
in famiglia. Noi si faceva colazione per solito alle nove, ma la Teresina era
alla toletta a quell'ora, oppure veniva a tavola spettinata ed in abito da
camera. E guai se la zia osservava, che le signorine non debbono farsi vedere
in abito da camera: che è permesso appena di portarlo nella loro stanza da
letto! Diceva che a quell'ora era materialmente impossibile d'essere in ordine.
E bisognava che noi s'avesse pazienza e si differisse la colazione. Tutte le
lezioni, che prendevamo insieme, dovevano pure spostarsi per fare il suo
comodo; ed i miei maestri non le piacevano mai. Erano un branco di ignoranti.
E tutti i
mobili della casa avevano qualche difetto o erano mal collocati. E le mie
amiche le erano antipatiche. S'io doveva far delle visite, lei non poteva
adattarsi a venire da quelle signorine pedanti, nè da quelle altre sguaiate.
Quando s'andava in teatro o in compagnia, ipotecava addirittura la cameriera
per farsi vestire, e la zia ed io dovevamo aiutarci a vicenda. In palco, poi,
si metteva al posto di contro alla zia, ed io era relegata tutta la sera sullo
sgabello in mezzo. Non c'era caso che mi offrisse una volta di cambiar posto.
E, per ospitalità, non potevo domandarglielo, nè fare osservazioni.
Bisognava che
le offrissi i fiori da scegliere prima. E se li provava tanto in capo, sul
petto, e si serviva così bene, che a me rimanevano degli avanzi appassiti. In
carrozza pure, prendeva posto accanto alla zia, senza che occorresse neppure
dirglielo. Qualche volta le mie povere abbigliature si sciupavano tutte,
strette così, accanto al babbo sulla panchetta dinanzi. Ma la Teresita si
stendeva a suo agio, seppelliva la zia sotto le sue gonne e arrivava fresca
come una rosa.
In casa, poi
si prendeva l'incarico di studiare tutti i caratteri, come se ci fosse venuta
con quella missione. Io aveva quel difetto, e quel pregio; e la zia era
placida, e troppo indulgente; ed il babbo era avaro; e le persone di servizio
ci derubavano come tanti briganti.
¾ Come!
Voi spendete tanto per la carne? E tanto per le ova? E questo pollo è costato
tanto Ma buona gente! A casa mia si mangia meglio assai, e si spende la metà.
Quel pollo è magro, tíglioso. Si può avere per trenta soldi. Il resto se l'è
tenuto la cuoca. Io non so come la sopportiate. Non sa cucinare. A casa mia le
bistecche sono tutt'altro: queste sembrano suole di scarpe.
Ed ogni
giorno aveva fatta una scoperta nuova sull'ordine della nostra casa, ed erano
sempre indiscrezioni.
Quando poi
veniva in campagna l'autunno, era un raddoppiamento di biasimo. Si trovava
addirittura ad un bivacco. Tutto era incomodo, tutto rozzo. Quasi quasi si
meravigliava che nei sentieri del giardino non si stendessero tappeti per farla
camminare sul liscio. E combinava lei le gite, i píc‑nics. Ed entrava in
confidenza coi vicini di villa, prima e più di noi; e passeggiava cogli altri
ospiti, anche s'erano giovinotti, sola con loro per delle ore in giardino, ed
usciva quando noi si stava in casa; e stava in casa quando noi s'usciva.
Mie giovani
lettrici, se sono ospiti in casa altrui, badino, le prego, di non lasciarvi le
tristi memorie che m'ha lasciate la Teresina. La persona ospitata deve fare una
completa abnegazione della propria volontà, delle proprie abitudini, dei
proprii gusti. È necessaria questa rinuncia assoluta, per bilanciare l'immensa
deferenza della famiglia che la ospita, e metterci un limite, affinchè non
abbia a diventare un sacrificio di tutte le ore. E qui mi viene a proposito di
avvertirle, che nulla è più scortese di quell'abitudine tanto generale, pur
troppo, di far esaurire tutte le formole di preghiere inventate da Adamo in
poi, prima di aderire a sonare o a cantare, in compagnia. La padrona di casa,
che per quella sera le ospita, è messa in grave imbarazzo. Deve unire le sue
insistenze alle altre, ed aver l'aria di imporre un sacrificio? O deve
astenersene, e dimostrare che non desidera di ascoltarle? Difficile
alternativa.
*
* *
Non ho mai
compreso perchè le signorine, che debbono rimanere sotto gelosa custodia nella
loro città, dove sono note loro e la famiglia, ed hanno un mondo di amici e conoscenti
intorno, debbano poi godere una libertà relativa, ma sicuramente soverchia,
quando si trovano in viaggio o alle bagnature, ignote fra gl'ignoti; dove
potrebbero anche essere prese in fallo.
Il nuoto è
uno degli esercizi prediletti dagli Inglesi e dagli Americani. Ma non credo
necessario, per adottare la loro abitudine delle bagnature, adottarne pure la flirtation
insidiosa e sconveniente.
To flirt,
coqueter, sono parole che in italiano non hanno riscontro. Le traduciamo: flirteggiare,
civettare; ma le parole sono barbarismi nella nostra lingua, come la cosa è
un barbarismo nei nostri costumi. Noi, espansivi e schietti, ci pieghiamo male
a quella meschina scherma di parole, che giocano su sentimenti frivoli; e,
quando riesciamo a scimiottare le signore straniere, lo facciamo a scapito del
nostro carattere. Credano a me, signorine, non si lascino attirare da quello
scoppiettìo di frasi leggere, brillanti e fuggevoli come fuochi d'artificio.
Quando si disperdono e svaniscono nell'aria, portano sempre con sè qualche
briciola del loro decoro. Briciole appena visibili, atomi, ma che importa?
"Gatta cavat lapidem."
In campagna
come in città, ai bagni come altrove, una giovinetta non deve mai uscire da
sola, a meno di trovarsi in un paese non frequentato da colonie di villeggianti
avventizi. Nel contrarre nuove relazioni deve usare la massima prudenza e
lasciarsi dirigere completamente da' suoi genitori. Alla tavola d'albergo, se
non ha due persone della famiglia fra le quali sedere, ed il caso le colloca da
un lato uno sconosciuto, non deve scambiare con lui che le parole strettamente
necessarie, finchè non sia stato presentato alla signora che l'accompagna, e
questa gli abbia accordata la sua relazione.
L'unico punto
su cui in campagna ed ai bagni le signorine possono permettersi qualche
libertà, è il vestire colori più vivaci, foggie più ardite, un cappellino un
po' bizzarro o un po' sull'orecchio, fori naturali in capo a tutte le ore, ed
anche passeggiare a capo scoperto... Tutto questo è concesso; ma quanto al
contegno, deve essere tanto più riserbato in quanto che sono meno conosciute, e
chi le osserva deve giudicare dall'apparenza.
*
* *
Se una
signorina è stata ospite in una casa, appena ritornata in famiglia, dovrà
scrivere una lettera espansiva alla signora od alla signorina che l'ha
ospitata, ringraziandola delle cortesie ricevute.
Non scrivano a molte persone, signorine mie. Oltre
le lettere di dovere ai parenti vecchi, alle maestre, possono tener
corrispondenza con qualche amica. Ma siano vere amiche, di quelle a cui si
scrive non per fare dello stile epistolare, ma per vero affetto, e col
linguaggio dell'intimità. Non occorre dire che, in tutta la loro corrispondenza
non ci deve essere una parola che la mamma non possa leggere.
Quanto a
formole, non s'aspettino ch'io ne dia. Le lettere tengono luogo di discorsi.
Scrivano come discorrerebbero e basta. L'introduzione, la chiusa, sono storie
del tempo trapassato remoto. La lettera comincia con quello che s'ha a dire, e
finisce quando non s'ha più nulla a dire. Ecco la sola regola ch'io ammetto.
Non si firmino mai serva, perchè le signore non sono mai serve di nessuno. Non
facciano litanie di saluti in fine nè sfoggio di aggettivi sulla soprascritta,
a tutto beneficio del portalettere e dei portinai. Non usino carta colle
iniziali, come non usano carte da visita; siano semplici, schiette; se hanno
dello spirito, non ne privino le loro corrispondenti, e lascino andare i loro
giovani pensieri come
"La rondine alla primavera e la preghiera al
cielo."
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