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Marchesa Colombi
La gente per bene

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  • PARTE TERZA     UN LEMBO DI CIELO
    • CAPITOLO II.   La sposa.
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CAPITOLO II.

 

La sposa.

 

Annuncio delle promesse ¾ Visite ¾ Corredo ¾ Doni nuziali ¾ La sera del contratto ¾ Circolari ed inviti ¾ Al municipio ¾ Colazione ¾ In chiesa ¾ Viaggio di nozze.

 

Ecco; il tempo ha già mutate le circostanze. Omai i babbi hanno finito di parlamentare a lungo in segreto col notaio. Sono perfettamente d'accordo su tutti i punti. Il contratto è tutto steso come si dovrà leggere a suo tempo; ed il matrimonio è fissato a due mesi di data.

Non si va ancora a teatri a feste. Ma la vita è tutta una festa.

Ormai il matrimonio non è più un segreto per nessuno. Si mandano agli amici ed ai conoscenti dei bei cartoncini levigati sui quali è litografato in caratteri inglesi:

 

Elisa Elisei SYMBOL 190 \f "Symbol" \s 12¾ Bernardo Bernardi

Promessi sposi.

 

Un poema!

E lo sposo ha già offerto alla sua futura compagna un ricordo; di poco valore ma tanto caro! E dietro l'invio di quegli annunci è venuta in casa una pioggia di carte da visita colle iniziali P. C. scritte a mano che vuol dire per congratulazioni. ¾ Profondamente sentite come profondamente espresse. ¾ Ma cosa importa? La sposa ha tanta esuberanza di gioia, e d'affetto nel cuore, che può metterne dove mancano.

E tutti quelli che incontra, tutti i visitatori si rallegrano con lei, e le fanno augurii, e si mostrano così contenti, che finisce col persuadersi che il suo matrimonio forma la felicità di mezzo un paese.

E scrive la grande nuova alle amiche lontane; e tra lettera e lettera vi sono i mazzi di fiori, e le scatole di dolci che porta lo sposo, e che lei può accettare, ormai, liberamente. E la mamma tratto tratto ha una piccola faccenduola, che la chiama nella stanza vicina; è , coll'uscio aperto, senza dubbio; ma è tanto presto fatto dirsi una parola:

¾ Non è pentita della sua promessa?

¾ Pensi!

¾ Mi dia la mano. Dica, mi vuole un po' di bene?

¾ Stia zitto. Viene la mamma.

¾ Soltanto una parola, dica?

¾ Lo sa pure.

Tutte le dichiarazioni da commedia, non riesciranno mai a ritrarre la poesia di quelle paroline esitanti e misteriose.

E tutto questo una sposa lo può fare, senza la menoma sconvenienza.

Intanto la sarta le prepara un bell'abito nuovo, da signorina, ma più elegante di quelli che ha portati fin allora; e la sposa, tutta ornata di quella nuova abbigliatura e della nuova gioia, va colla mamma a presentare lo sposo ai parenti ed agli amici più intimi.

E si fanno gli itinerari pel viaggio; si può parlarne liberamente.

¾ Andremo qua, e , e poi . Staremo fuori tanto tempo; vedremo questo e quell'altro.

Ed il corredo? La sposa ne ha stesa la lista, ha assistito colla mamma a tutte le compere. Ha scelti lei tutti i modelli, le tele, le guarnizioni. E, man mano che ne giunge una parte, è lei che la riceve dalle mani delle operaie, ed esamina accuratamente oggetto per oggetto, prima di accettarli. Sarebbe trascurata una sposa che non facesse tutto questo.

È una dolce occupazione, continuamente interrotta da dolci improvvisate. Tutti i parenti le mandano, o le portano un dono. Lei non ha che da accettare, ringraziare, esser contenta, e, ad ogni visita dello sposo, rendergli conto di tutte quelle novità, ed esser contenti in due.

Ma la gioia delle gioie l'aspetta la mattina del giorno fissato pel contratto. Lo sposo le manda una scatola, un cofanetto, un tavolino da lavoro, un oggetto a sua scelta, che, qualunque ne sia la forma, è sempre una cornucopia della fortuna dal quale escono ogni sorta di meraviglie. Sono i doni nuziali, ¾ quello che i Francesi ed i Piemontesi chiamano il Panier galant, e che, per regola generale, deve rappresentare un valore tra il cinque ed il dieci per cento della dote della sposa. Ma una sposa per bene non fa questi calcoli: o se ha il cattivo pensiero di farli, deve avere il buon gusto di non esprimerli, neppure colla propria famiglia.

In quel cofanetto trova l'abito bianco sacramentale pel giorno delle nozze, alcuni altri abiti; uno o più scialli turchi, e di Casimira. Se lo sposo possiede trine di famiglia, la loro tinta giallognola apparirà tra i freschi colori delle stoffe moderne. Altrimenti saranno due guarnizioni di trine moderne e di valore che faranno le veci; per lo più una di Bruxelles ed una di Chantilly. E finalmente una schiera di buste di velluto, colle iniziali del nuovo nome che la sposa sta per assumere, cioè del suo nome e del cognome dello sposo. Sono: i brillanti, ereditari o nuovi, che lo sposo può offrirle; un finimento completo d'oro e pietre; parecchi anelli; insomma i gioielli più o meno sfarzosi, a seconda della ricchezza e generosità dello sposo, fra i quali primeggerà la famosa catena coll'orologio, che la sposa porterà quella sera stessa al contratto.

Qualche volta lo sposo presenta in persona i doni, ma è sconveniente. Obbliga la sposa e la sua famiglia a fare meraviglie e ringraziamenti ripetuti, per ogni oggetto, a misura che li osservano; e mette stesso nella situazione imbarazzante di stare ad aspettare, ad una ad una, quelle esplosioni di riconoscenza, e di rispondere a ciascuna con un complimento, che, per l'identica uniformità del caso, può avere ben poche varianti.

Uno sposo ammodo manda i doni il mattino, e ne riceve i ringraziamenti, tutti in una volta, più tardi, quando va a fare la solita visita.

I doni vengono esposti col corredo nella camera della sposa, dopo la lettura del contratto, tutti gli invitati sono condotti ad ammirarli.

È un'usanza brutale, perchè, sebbene in molti casi lusinghi l'amor proprio del donatore, stabilisce sempre dei confronti indelicati. Infatti, dopo quelle esposizioni, è raro che non si sentano dei commenti di questo genere:

¾ Che spilorceria il dono della tale signora!

¾ E quello della tal'altra, che cattivo gusto!

Ed in causa dell'esposizione i doni nuziali si fanno, più che per islancio di cuore, per quello che dirà la gente; le famiglie poco agiate s'impongono dei sacrifici per far buona figura all'esposizione dei doni, e difficilmente combattono un vago risentimento contro la sposa, che fu la causa involontaria di uno squilibrio nel loro bilancio.

Ed il corredo poi.... via, proprio non so approvare che venga messo in mostra a quel modo.

È un fatto indiscutibile che si usa.

La signorina Rotschild, che maritandosi ebbe un corredo di dugento cinquantamila lire in biancheria, aveva consacrate parecchie camere all'esposizione delle camicie, delle gonnelle, dei calzoni. I giornali ne fecero minute descrizioni.

Ma, dopo aver adempito al mio debito accennando quest'uso, sento il bisogno di aggiungere, a titolo di consiglio, che sarebbe meglio non seguirlo. Mi sembra che quelle biancherie, tanto intimamente personali, debbono avere il loro pudore, o piuttosto, che facciano parte del nostro. Una giovinetta non può a meno di arrossire, mostrando ad un uomo le sue camicie.

Io conosco una bella sposina, maritata da parecchi anni; la vigilia delle sue nozze, un giovinotto, che frequentava la casa, mi descrisse il corredo, poi soggiunse:

¾ Mi ha fatto veder tutto. Fino le calze che metterà domani.

Non ho mai potuto dimenticare quella circostanza. La confidenza, fatta ad un giovine, delle proprie calze, mi ha spoetizzata. Ancora adesso, quando incontro per via quella bella donnina, comunque sia vestita, traverso il velluto, il raso, la seta, un'illusione ottica mi fa vedere le sue calze.

E sarei pronta a scommettere che quel giovinotto prova la stessa illusione.

Cosa ne penserebbe la bella signora se lo sapesse?

E, sopratutto, cosa ne penserebbe suo marito?

Lo sposo dovrà mandare un dono anche alle sorelle ed ai fratelli nubili della sposa; e la famiglia di lui ne offrirà alla futura parente. Quella sera la sposa distribuirà i suoi gioielli da signorina alle sue amiche più intime.

la sposa, la sua famiglia, debbono far doni allo sposo. Però vi sono paesi in cui la futura moglie deve offrire al futuro marito uno spillo di brillanti, in segno di unione. Pare che non conoscano il proverbio:

 

"Dono che punge, l'amor disgiunge."

 

Ad ogni modo, in questa, come in tutte le circostanze in cui vi sono formalità convenzionali da compiere, la perfetta convenienza sta nell'uniformarsi agli usi del paese dove si vive, e non a quelli del paese proprio, quando se ne vive lontano; poichè nulla è più indelicato ed egoistico, che il respingere i costumi della città dove siamo ospitati.

Il contratto nuziale viene letto dal notaio, ad alta voce e per intero, alle persone invitate, e, dopo la lettura, lo sposo deve essere il primo a sottoscriverlo. Porge poi la penna alla sposa; in seguito firmano i parenti, ed ultimi gl'invitati, cominciando dalle persone più ragguardevoli per età e grado sociale.

Tutte le persone che firmano il contratto, se non lo hanno fatto prima, sono in dovere di mandare un ricordo alla sposa.

Debbo aggiungere, e confesso che lo aggiungo con piacere, che, da qualche tempo, le persone d'animo raffinato vanno smettendo quest'usanza indiscreta di leggere i fatti loro dinanzi ad una numerosa società. Può darsi che la sposa abbia una dote modestissima, che il babbo, un po' avaro, le abbia ristretta oltremodo la somma destinata al corredo. Quegli indifferenti invitati, che sono per divertirsi, si divertiranno facendo commenti:

"Per quella dote avrebbe l'obbligo d'essere un po' più bella.... la legge di compensazione.

"Duemila lire di corredo! Ma se farà una malattia le verranno meno le lenzuola."

Oppure è lo sposo che non ha un patrimonio corrispondente alla dote, e patisce un'umiliazione, che la delicatezza della sposa deve sapergli risparmiare, sopprimendo la formalità della lettura del contratto.

Anche quando tutto è perfettamente equilibrato, c'è sempre, se non altro, il gergo notarile che fa ridere.

Ultimamente ho assistito ad un contratto; lo sposo aveva varcato il mezzo secolo, e la sposa gli stava indietro di poco. E quel buon uomo di notaio non la finiva di ripetere che erano maggiorenni.

Oh mio Dio! Chi ne dubitava?

Udii un cugino della sposa che diceva ad un altro cuginetto di diciott'anni:

"Come! Rita è già maggiorenne? Ed io che ti avevo preso pel suo tutore!"

In quello stesso contratto, descrivendo le proprietà dello sposo, il notaio leggeva d'una casa "ed annesso giardino con cinta di muro, chiuso da doppio cancello."

"Sfido! dicevano gl'invitati, con una sposina appena maggiorenne le precauzioni non sono mai troppe. Ai due cancelli bisogna mettere due catenacci."

 

*

*  *

 

Otto giorni prima del matrimonio, si mandano le circolari alle persone che si vogliono invitare, indicando l'ora in cui si andrà al municipio, alla chiesa, ecc. L'invito deve essere su cartoncino lucido, diviso per metà da una linea verticale. Alla destra, sarà stampato l'invito a nome dei parenti della sposa, a sinistra quello dei parenti dello sposo.

Le signorine mature, che vivono sole, faranno l'invito a nome proprio; ed in tal caso lo sposo, anche avendo i genitori, dovrà fare altrettanto.

Oppure la sposa si fa fare, per la prima volta, delle carte da visita col suo nome da signorina, (è l'unica circostanza in cui le sono permesse) e si mandano ai conoscenti le carte da visita dei due sposi, unite da un anellino d'argento o d'oro.

Però quest'uso, nato pochi anni sono, è già quasi abbandonato. Ed infatti, perchè voler fare da , e mettere da parte i genitori, che hanno sempre annunciato loro i matrimonii dei loro figlioli? Sembra che gli sposi si vogliano emancipare con quelle carte da visita personali. Si emancipano già col matrimonio; perchè togliere a genitori quell'ultimo atto di tutela, che non impone nessun vincolo, ed è un segno di rispetto? Io lascerei le carte da visita alle vedove ed alle zitellone orfane. Ma finchè una sposa ha i genitori, qualunque sia la sua età, sono loro che la maritano, è da loro che lei riceve la mano dello sposo che ama…, o che non ama; e tocca a loro annunciarlo alla società.

 

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*  *

 

Nell'epoca di positivismo in cui viviamo, si usa fare prima il matrimonio civile, e dopo l'ecclesiastico; prima il contratto, poi la cerimonia; prima la prosa, poi la poesia.

Per recarsi al municipio la sposa fa una toletta, elegante quanto vuole, ma sempre una toletta da visita, col cappellino assortito. La sposa, che quel giorno è il personaggio più importante, siede a destra nella prima carrozza, a sinistra sua madre, o quella parente che ne fa le veci. Sulla panchina dinanzi siedono, in faccia alla sposa, il suo babbo, in faccia alla madre, il testimonio della sposa.

Nella seconda carrozza si mette lo sposo coi suoi genitori, o se non li ha, con quel parente che li ha suppliti nella domanda di matrimonio, e la signora che l'ha assistito nella compera de' doni, e nell'allestimento della casa; con loro deve entrare il testimonio dello sposo.

Nelle altre carrozze si collocano i parenti e gli invitati. Tutto il corteggio parte dalla casa della sposa.

Per lo più, tornando dal municipio, si offre agli invitati una colazione, che deve dare la famiglia della sposa in casa sua. A tavola gli sposi siedono vicini; a destra dello sposo la suocera, a destra della sposa il suocero.

Dopo la colazione la sposa cambia d'abito. Si veste di bianco col velo ed i fiori d'arancio; oppure toglie solamente il cappello e si mette il velo bianco. Ed all'ora stabilita, coll'ordine di prima si parte pel matrimonio ecclesiastico. La sposa entra in chiesa dando il braccio a suo padre, e ne esce dando il braccio al padre dello sposo. Lo sposo entra accompagnando la suocera. Il babbo, che rimane libero, il braccio alla mamma che rimane libera in tutti e due i casi. E nel ritorno, la sposa entra in carrozza colla suocera, ma non prende più la destra.

La cerimonia è compiuta, passata. Ella cessa d'essere nella situazione eccezionale di sposa: è una giovine signora, e deve alla suocera, ed alla vecchia signora, il riguardo di cederle la destra in carrozza. Il suocero si colloca in faccia alla sposa; lo sposo in faccia alla propria madre.

In molti casi si differisce il matrimonio ecclesiastico fino alla sera o al mattino seguente, ed allora invece d'una colazione, la famiglia della sposa offre un pranzo.

Le spose che hanno passato i venticinque anni non si vestono di bianco. Ed ora l'indifferenza scettica da cui siamo dominati va abolendo quel costume anche nelle giovani, ed accade di vedere giovinette di sedici o diciott'anni che vanno a marito senza l'abito bianco nuziale.

Non posso a meno di dire che fanno male. Capisco le prime. La loro età richiede una serietà maggiore. Ma una giovine sposa perchè toglierebbe una parte di solennità a quella cerimonia che è la più importante della sua vita?

Ho conosciuto una signorina, che per una serie di circostanze troppo lunghe a ripetersi, dovette maritarsi sull'alto d'una montagna, dove possedeva un villino, e nel cuore dell'inverno. Il suo villino non aveva cappella, e c'erano due miglia di strada, impraticabile alle carrozze, per scendere ad una chiesuola del villaggio. E tuttavia si vestì di bianco, e fece, in quel gelido costume, la lunga strada sulla neve, per inginocchiarsi in abito nuziale accanto al suo sposo, che anche lui era rigorosamente in abito nero. Confesso che, quando mi narrò questo particolare delicato, ne fui profondamente commossa.

Le signorine mature, per lo più, semplificano la cerimonia andando prima al municipio, e di direttamente alla chiesa in completo costume da viaggio. Vanno alla colazione così, e partono senza cambiar toletta.

Le vedove che si maritano devono fare lo stesso. Nel matrimonio d'una vedova, qualunque pompa è della massima sconvenienza. In chiesa una vedova deve fare il matrimonio a porte chiuse; non deve mandare prima delle nozze la partecipazione della promessa; non fa inviti.

Dopo il matrimonio, entro otto giorni, si mandano le circolari coll'annuncio che il matrimonio ha avuto luogo.

Le partecipazioni dopo le nozze sono di primissima necessità, e si deve essere larghi nel distribuirle anche alle lontane conoscenze. È un riguardo che lo sposo deve a sua moglie, per non esporla ad incontrarsi, essendo al suo braccio, con qualche compagno di gioventù di lui, che la prenda in fallo, o con qualche signora che esiti a salutarla. Tutte le conoscenze dello sposo debbono essere informate del cambiamento, avvenuto nella sua situazione, ed aspettarsi d'incontrarlo colla moglie, per essere pronte a salutarla come tale. Per questo riguardo anche le vedove debbono mandare le partecipazioni del matrimonio compiuto.

Tutte le spese del matrimonio, comprese le carrozze, se le rimesse delle famiglie non le forniscono, sono a carico dello sposo.

Una volta era, se non un obbligo, un'abitudine per la sposa di sciogliersi in lacrime nell'andare all'altare. Gli occhi umidi ed accesi, le labbra tumide, il naso rosso come una ciriegia, facevano parte della tenuta di rigore per una sposina ammodo. Lo sposo, se non altro per amore di simmetria, non doveva mostrarsi lieto, in faccia a tanto dolore; si atteggiava al più profondo compianto, dinanzi alla lacrimevole situazione della fanciulla. Il sacerdote, compreso della necessità di mettersi all'unisono, recitava un predicozzo straziante ai due sventurati giovani, e tutte le signore lacrimavano nelle pezzuole ricamate. Se un indiano fosse entrato in una chiesa durante la cerimonia nuziale, al vedere il pubblico, e specialmente la sposa in quello stato di desolazione, l'avrebbe creduta una suttie, da ardere sul rogo del marito estinto.

La prima sposa giovane che fu veduta maritarsi senza piangere, fu la principessa Margherita. Tutti sanno che a Torino vi sono, o vi erano allora quattro signorine di famiglie patrizie, le quali avevano il gentile diritto di accompagnare all'altare le principesse della casa reale e di portare poi in capo quando andavano a marito, gli stessi fiori portati dall'augusta sposa. Ereditando i fiori della principessa Margherita, quelle signorine ne ereditarono naturalmente il diritto di non piangere. Ed infatti la cronaca assicura che quando si sposarono non si presentarono cogli occhi gonfi e col naso rosso.

Fin d'allora dunque le lacrime furono messe da banda, a grande soddisfazione degli sposi, che s'accomodavano male di quelle scene in cui facevano la parte di necrofori, seppellitori di Vestali.

Questo non vuol dire che le signorine amino meno la loro famiglia, e ne sentano meno il distacco. Si sono fatte più coraggiose e ragionevoli; hanno compreso che le loro lacrime non farebbero che affliggere maggiormente i loro cari, e che infine, per un matrimonio accettato da loro, e con pieno aggradimento, quell'atteggiarsi da vittime sarebbe un'incoerenza.

Al momento poi di dire addio al babbo, alla mamma, alla casa paterna, di entrare in carrozza e di partire, se i singhiozzi fanno gruppo alla gola, se le lacrime fanno violenza alle ciglia, lascino che il loro cuore si sfoghi: non è che un istante. I cavalli scalpitano, i bauli sono già alla stazione; fra pochi minuti il fischio della macchina a vapore dirà alla mamma commossa, che la portiera del coupè s'è chiusa sui due viaggiatori, e che il primo bacio di sposa ha cancellato quelle ultime lacrime di fanciulla.

 

*

*  *

 

Nota dell'autrice. ‑ Nel correggere le bozze mi accorgo che il periodo seguente non ha nulla a che fare colle leggi di convenienza. A scarico di coscienza ne prevengo lealmente le lettrici. Se, come credo, non si curano punto delle mie opinioni personali sul viaggio di nozze, possono saltare queste pagine senza offendere me, né il mio libro.

                                                                                              La Marchesa Colombi.

 

Ho udito alcuni sentimentali vaporosi, esclamare che il viaggio di nozze è una profanazione; che: "si vanno disseminando le più care memorie nelle camere d'albergo! Vorrebbero la villetta isolata, e rinchiudervisi: "solo con sola Dido Enea ridotto." E ripetersi giorno e notte: ­¾ Amoris tui solum et dives sum satis; e quando se ne vanno pei fatti loro, le più care memorie, rinchiuderle tutte sotto chiave.

Sono spiriti unilaterali, e non comprendono che una felicità unilaterale. La felicità del viaggio di nozze invece è un prisma.

In viaggio gli sposi si studiano, si conoscono, si apprezzano sotto mille aspetti diversi. Pensano:

¾ Come saprà adattarsi agli inconvenienti del viaggio questa persona che ha vissuto sempre fra le agiatezze? Saprà resistere alle fatiche delle lunghe corse, delle abbigliature mattutine, delle visite assidue alle chiese, ai musei? Ed i suoi gusti artistici? Cosa dirà di quel quadro? di quella statua? Che impressione le farà quella musica, quel dramma? Come saprà discorrere nell'espansione della vita intima? Capirà, gusterà le bellezze della natura? Avrà impeti entusiastici, calore d'ammirazione e quella dolce bontà indulgente che porta a vedere alla prima il lato bello e buono di ogni cosa? Ed avrà spirito d'osservazione, intelligenza critica, e carattere pieghevole?

Oh, le delizie del viaggio di nozze! Avere innanzi a una lunga serie di giorni, completamente liberi da qualunque cura, all'infuori del proprio amore e delle proprie gioie. Andar incontro all'ignoto che si annuncia con tinte color di rosa, come il sole col crepuscolo! E sentirsi nell'anima la convinzione che inebria e riposa, d'avere un essere sulla terra pel quale siamo il primo pensiero, il primo affetto ed anche il primo dovere. E con quest'essere amante e caro, prendersi allegramente a braccetto, ed affrettarsi per le strade, unendo il passo e parlandosi con abbandono; e poter ripetere a se stessi: Abbiamo diritto d'amarci!

Lo neghino pure i romanzieri, ma il diritto di amarsi alla luce del sole, senza menzogne, senza rossori, sarà sempre la poesia dell'amore.

Ed a poco a poco si comprende che quelle ore di espansione e di delizia non sono più misurate dalla durata d'una visita; che si ripetono senza interrompersi, e si ripeteranno sempre, per un tempo lungo, infinito. L'ora del pranzo, l'ora del riposo non li separa più. Oh la dolce prosa della vita materiale!

Sedere insieme ad una mensa d'albergo interrogandosi a vicenda sui propri gusti, confessando di aver appetito, mangiando allegramente ¾ à la guerre comme à la guerre, ¾ dandosi del tu presente una quantità di persone, pagando il conto colla borsa comune! Tutto il resto può parere un sogno poetico da menti innamorate; ma il primo pranzo all'albergo, è pretta realtà. Dopo il primo pranzo soltanto gli sposi sentono che quella felicità è vera, positiva, che le loro esistenze si sono congiunte per la vita vera, con tutto il suo corredo di spirito e di materia, di poesia e di prosa.

E poi vi sono le ore in cui non sono soli: al teatro, al caffè. E nella piena libertà del viaggio da nozze rigustano il mistero d'una stretta al braccio, d'una mano presa furtivamente, del lungo sguardo appassionato che narra un'illiade di desideri, dello sguardo fuggevole e lampeggiante, che il fremito e l'ebbrezza d'un bacio.

A traverso quel turbine di godimenti, in quel sogno di delizie, vedono azzurreggiare, in un prossimo avvenire la placida promessa d'una casetta tranquilla, dove saranno padroni e soli, e dove si vedranno sotto un aspetto nuovo, nell'uniformità della vita casalinga... È un'altra serie d'incanti, che promette loro quel dolce riposo dopo tanto movimento. I sentimentalisti che, pel culto delle memorie, hanno cominciato dalla fine e si sono isolati, hanno sacrificate tutte le immense dolcezze del viaggio e non le ritroveranno più tardi, perchè il viaggio di nozze è un frutto che fuori stagione non si gusta più.

È vero che non hanno disperse le memorie care negli alberghi, e le hanno gelosamente rinchiuse; ma son ben certi che, a lungo andare, non ci sia entrata la sazietà o la noia, a metterle in fuga come una nidiata di passeri?

Per quell'affetto che m'ispirano le mie lettrici le consiglio, qualunque sia la loro età, il loro grado di agiatezza, non rinunzino al viaggio di nozze, anche a costo di qualche sacrifizio d'interesse, di qualche privazione.

Tutte le felicità che potrà dar loro l'avvenire, non le compenseranno mai di quella immensa gioia perduta.





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