PARTE
QUARTA
A mezzo del cammin di nostra vita.
CAPITOLO
I.
La
Signora.
Ritorno
dal viaggio ¾ In
famiglia ¾ Visite ¾ Pranzi
in casa propria ¾ Pranzi
d'invito ¾
Ricevimenti ¾ Balli ¾ Teatri ¾ Ai balli
¾ In
campagna ¾
Corrispondenza.
¾ Ma,
marchesa, io non ci sono giunta ancora a mezzo del cammin di nostra vita.
¾ Scusi,
ha marito?
¾
Sissignora, ma ho appena diciasette anni.
¾ Non
importa. Se ha marito, questa parte del mio libro la riguarda. S'è maritata
assai presto; ma questo non toglie che, dal giorno in cui è diventata una
signora, la parte ingenua, ridente, spensierata della sua esistenza è passata.
Non vadano in
collera, signori mariti; non protestino. Non intendo dire che il matrimonio non
abbia le sue grandi gioie, che il loro affetto di sposi non dia alle loro compagne
soddisfazioni forse, e senza forse, maggiori di quelle vaporose e inconsapevoli
che ebbero da fanciulle. Ma loro sanno che una signora maritata, qualunque sia
la sua età, assume il governo della casa, riceve il grave deposito di un nome
di cui è responsabile, risponde dell'onore di quel nome, e del decoro della
famiglia. I misteri che ha scoperti hanno sfrondate molte delle sue illusioni e
le hanno insegnate delle verità dolci e tremende. D'allora la spensieratezza
non le è più possibile. È entrata nel periodo serio della sua esistenza, ed
avesse pure quindici anni soltanto, ha acquistate tutte le responsabilità,
tutti i doveri d'una persona che è giunta
"A mezzo del cammin di nostra vita"
*
* *
La vecchiaia
concede privilegi straordinari. Io mi valgo della mia cuffia e dei miei
occhiali, per introdurmi nel nido della sposa appena tornata dal viaggio ed
assicurarmi co' miei occhi, se sa essere una signora, com'è stata una signorina
veramente ammodo.
Verifichiamo
prima di tutto gli arretrati.
¾ Ha
scritto ogni giorno alla suocera ed alla mamma durante il viaggio di nozze?
¾ Un
giorno a Firenze, ero stata a San Miniato.... ero così stanca non ho proprio
potuto. Ed un'altra volta a Livorno....
¾ Ebbene,
bisognerà farne delle scuse, e riconoscere d'aver mancato ad un dovere, verso
la suocera; quanto alla mamma....
¾ Oh! alla
mamma ho scritto sempre.
Me lo
figuravo. Eppure là l'indulgenza era sicura, l'affetto non correva pericolo.
Quella che va trattata sempre in modo da guadagnarne il cuore, è la suocera,
sono i parenti del marito, che nutrono sempre una vaga ostilità contro quella
giovine, la quale, arrivata ultima, s'è fatto il posto più largo nell'animo del
loro figliolo, se lo è accaparrato, l'ha fatto suo, e d'un balzo ha messo tutti
gli altri affetti al secondo posto; ed a che distanza anche! La mamma è già
venuta lei a vederla? Era alla stazione ad incontrarla? Oh le mamme! Ebbene, la
sua prima visita, ora ha da essere per la suocera.
Vediamo i
bauli. Vi sono i doni per la famiglia del marito? Benissimo. Bisognerà mandarli
subito, ed al tempo stesso, annunciare alla suocera che andrà con suo marito a
salutarla in giornata.
È venuto un
fascio, una pioggia di carte da visita, in risposta alle partecipazioni. Si
deve fare una scelta d'accordo col marito, una scelta accurata delle famiglie
colle quali si vuol mantenersi in relazione. A quelle non si manda una carta,
ma ci si va in persona col marito o con una signora della famiglia di lui. Alle
altre, l'invio d'una semplice carta dei due sposi, dice urbanamente che sono
grati della loro memoria, ma non intendono continuar le visite. Quelle sono le
così dette relazioni di saluto. Si conoscono, s'inchinano per via, si scambiano
parole scontrandole in compagnia; ma tutto finisce lì.
*
* *
Alcuni anni
or sono ricevetti una lettera da uno dei miei molti nipoti, nella quale mi
diceva, dopo tante belle cose: "....e ti confesso che il mio secondo anno
di nozze fu assai meno beato del primo. E sì, che ci ho Ninì, il mio dolce
amorino biondo color di rosa, che comincia a dire bab...bo.
Nelle mie ore
di noia ho fatto una scoperta che non può essere senza importanza per la
società. Ho trovata la vera causa della poca devozione degli uomini pel settimo
sacramento. È una specie di malattia nervosa, che si sviluppa, dopo la luna di
miele, nelle facoltà visive del marito, e gli fa apparire tutte le mogli degli
altri più attraenti della propria.
Se tu trovassi
un buon oculista, che volesse occuparsi di questa oftalmia maritale...."
Partii
immediatamente per Torino, senza medico oculista, s'intende. Sotto il melanconico
umorismo di mio nipote, c'era qualche cosa di amaro, che mi fece temere per
la felicità avvenire di quella famiglia. Tuttavia avevo un vago presentimento
che, a guarire la malattia di Primo, basterebbe la mia vecchia esperienza.
Giunsi
inaspettata. Primo era fuori. La cameriera mi disse:
¾ La
signora è rientrata or ora dalle visite; si sta mettendo in libertà.
Mettersi
in libertà! Era la chiave del
mistero! la prima causa della malattia del marito. Guai, alle mogli che si
credono in diritto di mettersi in libertà quando sono in casa!
Ordinai alla cameriera
di lasciarla fare, di non annunciarmi; passai ad aspettarla in sala da pranzo,
dov'era già apparecchiata la tavola.
L'Emma entrò
poco dopo. Era in abito da camera ed in pianelle. Una grazia di abito da
camera; ma era un abito da camera; e portato con tutta comodità, discinto; e là
sotto la sposa non aveva fascetta.
Le pianelle
di raso azzurro, ricamate di perline rosee, sembravano quelle di Cenerentola
che avessero finito coll'incontrarsi per fare il paio. Ma erano pianelle. E
quella toletta mattinale, calzata in fretta, era mal completata da un foulard
bianco annodato intorno al collo.
¾ Tuo
marito non viene a pranzo? le domandai.
¾ Sì,
verrà a momenti.
¾ E ti
metti a tavola a quella maniera?
¾ Scusi,
nonna; non prevedevo la fortuna della sua visita; e, sa, in casa.... siamo
soltanto noi....
¾ In
casa!... soltanto noi! soltanto! quando siete tu e tuo marito? Ma la tua
casa è il tuo regno; ma tuo marito è il tuo mondo. Cosa ci guadagni se le
persone a cui hai fatto visita, e quelle che ti hanno scontrata per via ti
trovano bella? Nulla. Ma se ti trova bella tuo marito; se gli piaci, è il suo
amore che guadagni; è la felicità della tua vita.
Una
lettrice: SYMBOL
190 \f "Symbol" \s 12¾ Ah Marchesa!
Questa è la storia d'uno dei sette peccati capitali di Eugenio Sue; La….
¾ Ho
capito. Non occorre dirne il titolo. Il mio libro lo possono leggere anche le
signorine. È per questo che cercavo di dare un'altra forma alla tesi di quel
racconto, ma non voglio che mi si accusi di plagio.
Ho dato
all'Emma quel romanzo e lei v'imparò che una signora ammodo non deve mai
trascurare il proprio vestire davanti al marito. Deve tenere gli abiti da
camera per le ore mattutine o per la tarda sera in camera da letto. Ma durante
il giorno deve portare abiti attillati, eleganti nella loro casalinga
semplicità, oppure, il che è anche meglio, abiti da casa chiari, di forma
speciale che non si possano portare fuori di casa, che non siano nè il
compassato costume da passeggio o da visite, nè il trascurato abito da camera.
Qualche cosa di speciale, che le donnine di gusto sanno immaginare tanto bene
coll'aiuto d'una buona sarta, e nel quale non manca una buona dose di
civetteria, a tutto beneficio del marito. E questa toletta da casa dev'essere
portata con tutti quegli accessori che costituiscono l'ordine: calze bene
assortite (nere sotto un abito bianco, carnicine o azzurre sotto un abito
turchino, rosa pallido sotto un abito rosa, ecc.), qualche braccialetto, un
nastro al collo o una cravatta. È così che un uomo è avvezzo a vedere le mogli
degli altri, e se la sua è meno accurata, ne viene di conseguenza quella tale
malattia agli occhi, per cui si vedono tutte le donne più attraenti della
propria.
L'accuratezza,
l'eleganza bene intesa, sono una specie di nobiltà individuale. Ad una persona
che vediamo trascurata e dimessa, finiamo per attribuire una specie
d'inferiorità; ed al confronto delle altre, la trattiamo con quella stessa
noncuranza con cui si tratta lei stessa.
Vi sono molte
signore che, come hanno abbigliature di casa ed abbigliature per uscire, hanno
pure un tono di voce, delle maniere, ed un'educazione di casa; ed altre di
gala. E, pur troppo, quelle di casa sono rozze ed elementari come una vera
tenuta di fatica.
¾ Vuoi
bere? domanda il marito a tavola.
Sì. No.
Oppure porge il bicchiere in silenzio.
¾ Dio!
quanto mi dà sui nervi questo tintinnìo della forchetta sul piatto!
¾ Oh che
noioso! risponde la signora, la quale avrebbe ai suoi ordini tutto un frasario
di scuse, se, invece che a suo marito, avesse urtato i nervi ad un primo venuto
qualunque.
E sorbisce la
minestra con un rumore da tromba aspirante. E, dimenticando completamente la
regola severa del collegio, di masticar sempre a bocca chiusa, lascia sonare
quei mcia mcia pastosi che rivoltano lo stomaco a chiunque ha la
disgrazia di mangiare con lei. Se avrà invitati, o se andrà a pranzo fuori non
lo farà; ma in famiglia! Alla famiglia s'ha diritto di rivoltar le budella, pur
di fare i propri comodi.
Sono queste
signore che hanno inventata la frase volgare: ¾ "In
famiglia non si fanno complimenti."
Perchè non se
n'hanno a fare? Non è in famiglia che si deve amare più e meglio, che fra
semplici conoscenti?
Ed i
complimenti non sono espressioni di sentimenti gentili ed affettuosi?
Eppure quelle
stesse signore non rifiniscono di curare la propria camera, di ammonticchiar
materassa sul loro letto, e dicono:
¾ Si può
soffrire un cattivo letto in un albergo, perchè ci si sta qualche notte di
passaggio. Ma dove s'ha da dormire tutta la vita, si vuole che sia comodo.
Ebbene: i
loro conoscenti le vedono soltanto di passaggio; ma è il marito che s'ha da
sedere a mensa con loro per tutta la vita e per tutta la vita deve tenersele al
fianco, e render loro mille piccoli servigi. Perchè non cercano di rendergli
morbide le loro maniere, di appianare le asprezze del carattere, di addolcire
la voce per lui, colla stessa cura con cui ammorbidiscono il letto a sè stesse?
Dipende da loro che il matrimonio riesca un letto di piume, o un letto di
Procuste.
Se sapessero
come le ingentiliscono quelle paroline di cortesia: Grazie; scusa; quanto sei
gentile; non disturbarti, ecc., ecc.
Senza contare
che gli uomini, meno graziosi, per natura, inclinano sempre ad esagerare per
proprio conto il grado di emancipazione dalla civiltà, che la moglie accorda a
sè stessa. E se lei riceve un favore senza ringraziarlo, e va a colazione
spettinata, lui si crederà autorizzato a passeggiare per la casa in mutande ed
a fumarle sul naso con una pipa di gesso; troppo fortunata ancora, se l'età o
la calvizie non gli suggerisce di beatificarsi la giornata colle delizie d'un
berretto da notte.
Una moglie, a
meno che sia in una delle grandi situazioni sociali in cui una signora rimane quasi
estranea alle modeste cure della famiglia, non deve mai affidare ad una
cameriera nè ad altri la cura di sorvegliare la guardaroba di suo marito.
Sarebbe dimostrargli un'indifferenza scortese.
Non deve abusare
della sua compiacenza offrendolo troppo per cavaliere alle signore che non
hanno chi le accompagni, tanto più se la signora a cui lo offre non può
ispirarle nessuna gelosia.
Se crede di
poterlo fare senza dargli noia, potrà dire: "Mio marito avrà il piacere di
accompagnarla." Ma lascerà a lui la libertà d'insistere più o meno su
quell'offerta. Nulla è più ridicolo di quelle mogli che dispongono così del
marito come d'una proprietà e ne fanno il cavalier servente di tutte le signore
che non ne trovano altri.
Dovrà pure
evitare di dargli certi consigli:
¾ Dà il
braccio alla signora Tale.
Oppure a
tavola:
¾ Versa da
bere alla tua vicina.
Avvisi
salutari, senza dubbio, ma che fanno supporre che quella signora sia avvezza a
vedere il marito mancar di cortesia, e perciò si creda in obbligo di
suggerirgli le cose più elementari.
Qualche volta
dovrà farlo, se vede una vera mancanza; ma avrà cura di volgere la cosa in
ischerzo, mettendola sul conto della distrazione e mostrandosene abbastanza
stupita per non lasciar credere che quello sia il modo abituale con cui il suo
marito tratta le signore cominciando da lei. Sarebbe quanto dire: ¾ Vedono
che zotico ho sposato! Se non foss'io, ad insegnargli la creanza!
Se una
signora, entrando a far visita in una casa, vi trova suo marito, dovrà
salutarlo porgendogli la mano, subito dopo aver salutati i padroni di casa e le
altre signore, e prima d'ogni altro uomo.
Se lui arriva
in campagna o ai bagni dopo un certo tempo di separazione, e lei si trova ad
accoglierlo alla presenza di altre persone, non eviterà per questo di corrergli
incontro e di abbracciarlo; se non lo facesse mostrerebbe di vergognarsi di
dargli una dimostrazione d'affetto. Ma dopo quella prima accoglienza dovrà
subito ricordarsi dei doveri di cortesia e d'ospitalità, e presentare il marito
alle persone che non conosce ancora, se ce ne sono o ad ogni modo lasciare che
faccia i saluti e complimenti che crede, e non accaparrarlo tutto per sè, e non
domandargli particolari di famiglia di cui gli altri non sono informati o non
si curano, e serbare le espansioni ed i discorsi intimi per più tardi, quando
sarà sola con lui o in famiglia.
Se il marito
le offre un divertimento qualunque, una serata, un viaggio, l'accoglierlo con
freddezza, il mostrarvisi indifferente per far pompa di gusti casalinghi, è una
mancanza di tatto, che tende a diminuire il pregio dell'offerta ed umilia chi
la fa.
Qualche volta
il marito approfitta del Natale, del capo d'anno, dell'onomastico, d'una festa
di famiglia, per offrire in dono alla sposa un oggetto che avrebbe dovuto
provvederle. Il farne l'osservazione sarebbe addirittura villano, come pure il
calcolare sul prezzo della cosa offerta, e considerare quella spesa nel
bilancio di famiglia.
Un dono si
accetta sempre come un dono, con elogi, ringraziamenti, e si mostra alle
persone intime, e si ripete, che è una gentilezza del marito, precisamente come
fosse d'un'altra persona.
Al marito ed
ai suoceri si deve il riguardo di aspettarli sempre prima di mettersi a tavola,
e non si deve spiegare il tovagliolo che quando sono seduti.
La moglie,
alla tavola di famiglia, tiene sempre la destra del marito; ma se c'è una
suocera, le cede il diritto di servirsi per la prima, e le risparmia tutte le
brighe del servizio, il tagliare, il mescere, ecc. Gli stessi riguardi deve
pure accennare di usarli anche al suocero, per deferenza alla sua età, ma non
insistere se, come uomo, rifiuta d'accettarli.
Infine una
signora educata non deve ammettere altra differenza tra il contegno che usa in
società, e quello che tiene in casa fuorchè un grado maggiore di espansione.
*
* *
Il giorno
fisso per ricevere, per quanto si sia cercato di bandirlo, si è radicato nei
nostri usi. Alcune signore stabiliscono una data ora ogni giorno, ed è
ugualmente bene. Anticamente sarebbe stata un'impertinenza. Erano soltanto i
principi e le autorità, che potevano fissare un giorno od un'ora alle persone a
cui volevano far l'onore di riceverle. Ma i semplici privati dovevano mostrarsi
sempre pronti ad accogliere in qualunque giorno i loro eguali, che avevano la
gentilezza di andarli a visitare.
Accadeva
però, che, mostrandosi sempre pronti ad accoglierli, erano sempre fuori, e non
li accoglievano mai. Per cui si dovette adattarsi a dare alle visite quella
specie di regolamento burocratico che è il giorno fisso.
Parlando ad
un'altra signora, si potrà domandare in che giorno riceve. Ma parlando di noi
stessi bisogna dire: "Sto in casa il tal giorno" per non darsi l'aria
importante d'una piccola potenza, che tiene ricevimento ufficiale.
Una signora
che riceve non deve mettersi un abito di gala, ma neppure può tenere un abito
troppo dimesso; deve avere una toletta da casa elegante per mostrare ai suoi
visitatori che ha pensato a loro, che s'è preparata ad accoglierli.
Le persone di
buon gusto hanno abolito l'usanza di far annunciare le visite dai servitori.
Che Dio le benedica! È la cosa più inurbana che si possa immaginare per
mettere una signora nell'imbarazzo.
Entrare in
una casa, e trovare un servitore che ci domanda il nostro nome come un avvocato
fiscale che deve istituire un processo! E dover rispondere a quella potenza
d'anticamera, la quale ci guarda con meraviglia, se ci permettiamo di far
annunziare un nome qualunque, senza un po' di marchesa o di contessa davanti!
Ed entrare in una sala presentate da un servitore!
Fu un
pensiero gentile che fece dire alle padrone di casa moderne:
¾ Le
persone che vengono a farmi visita sono invitate da mio marito o da me, e però
sono gente ammodo. Entrino dunque senza trovare inquisizioni per via, e sarò io
stessa che dirò il loro nome agli altri visitatori, senza obbligarle a
declinarmelo prima.
Tuttavia vi sono
ancora famiglie, che per fare una grandezza, continuano a far annunciare.
In tal caso
una visitatrice, entrando nell'antisala, dovrà dire spontaneamente il proprio
cognome senza nessun titolo, prima che il servitore, per adempire al suo
incarico, sia costretto a rivolgerle la parola.
La destra del
camino, o del divano, durante le visite, è riservata alla padrona di casa. E
per regola generale non la cede mai. Ma non deve dimenticare che non vi sono
regole senza eccezioni.
Un giorno
parlando d'una signora io dissi:
¾ È molto
giovine. Credo che non abbia ancora vent'anni.
¾ Davvero?
mi osservò un vecchio signore. Avrei creduto che ne avesse almeno settantuno.
Lo sproposito
era così grande, che lo presi per uno scherzo e lo pregai che mi spiegasse il
perchè di quell'unità su tante decine.
¾ Perchè
non ha ceduto la destra del camino a mia moglie che ne ha settanta.
Vi sono poi
certe superiorità d'età, di grado, di meriti, così incontestabili, davanti alle
quali anche una signora deve inchinarsi.
Una mia
amica, di un tatto squisito, incapace di commettere neppure l'ombra d'una
sconvenienza, mi confessava d'essersi alzata in piedi nel suo palco, quando le
fu presentato Paolo Ferrari, alla prima rappresentazione del Cantoniere.
¾ Cosa
vuoi? mi diceva; quella sera era la figura principale del teatro. Ci dominava
tutti. Ci alziamo pure quando entra il Re. Lui rimase imbarazzato sai; ma io
no.
Ed aveva
ragione. Era un'irregolarità, ma una bella irregolarità; felix culpa; e
provava che lei possedeva meglio di tutte il sentimento dell'arte; che il suo
animo era più gentile.
Dopo aver
presentata l'ultima venuta alle altre persone che sono in sala, una padrona di
casa deve rivolgerle la parola direttamente, per far cessare la confusione che
la presentazione ha potuto ispirarle e, soltanto dopo averla fatta parlare un
momento, riprenderà il discorso interrotto dalla sua venuta, avendo cura di
metternela a parte.
Per
congedarsi dalle signore, la padrona di casa si alza, e le accompagna fino
all'uscio della sala, e là ripete la stretta di mano e l'inchino, senza
fermarsi in complimenti che la terrebbero troppo a lungo lontana dagli altri
visitatori.
Credo di non
dover aggiungere che non deve mai dir nulla fuorchè bene delle persone che sono
uscite. Questa è la civiltà più elementare. Se agisse altrimenti,
autorizzerebbe chi l'ascolta a domandarle:
¾ E perchè
riceve, e ci espone a trovarci al contatto di persone, che non meritano la sua
stima?
Qualche volta
accade che appunto quando vi sono altre visite, capiti una di quelle tante
sfortunate che si presentano alle signore per qualche raccomandazione; per trovare
un impiego, delle lezioni, ecc.
La menoma
freddezza nel modo di accogliere la persona disgraziata farebbe torto alla
padrona di casa. Quanto più la situazione di chi viene a raccomandarsi è
imbarazzante, altrettanto una signora per bene deve cercare di rassicurarla,
usandole modi affabili e cortesi, presentandola ai suoi visitatori come
un'eguale, rivolgendo il discorso a lei come agli altri, e studiandosi di
persuaderla, non colle parole ma col tratto, che la sua sventura non è che un
titolo maggiore alla simpatia delle anime gentili.
*
* *
"Souvenez‑vous
toujours dans le cours de la vie,
Qu'un
dîner sans façon est une perfidie.
Assolutamente
una perfidia, non voglio ammetterlo; non arrivo fin là. Ma credano pure,
signore mie, che il prender troppo sul serio la preghiera degli amici intimi di
dar loro il pranzo di famiglia, non è il favore più grande che possano fare ai
loro convitati.
Il pranzo di
famiglia, sia; ma con qualche aggiunta. Un buon antipasto; il piatto del compenso,
ed il piatto del complimento, ed una bottiglia con tanto di polvere; ed allora
pazienza, il pranzo di famiglia sarà bene accetto. Altrimenti si corre il
pericolo di ricevere la lezione che si ebbe un certo avaro, il quale invitò
parecchi amici a pranzo e fece servire: una minestra di riso al brodo, un lesso
di manzo, un piatto di spinacci, formaggio e pere. Dopo pranzo disse ai
convitati:
¾ Vedono
che proprio non ho fatto complimenti.
¾ Via,
rispose uno di quegli infelici, non doveva poi obbedirci tanto strettamente.
Del resto,
per questi pranzi d'amici intimi, basta ricordare quanto diceva Brillat‑Savarin,
gastronomo di grande rinomanza:
"Invitare
una persona, equivale ad assumere l'incarico della sua felicità per tutto il
tempo che deve passare in casa nostra."
Ci si metta
cordialità ed affetto, e basta.
Ma dove si
richiede tutta l'intelligenza d'una buona padrona di casa, è ai pranzi più o
meno di gala.
Lo stesso
Brillat‑Savarin diceva che, perchè un pranzo riesca bene, i commensali
debbono essere non meno delle Grazie, e non più delle Muse.
Per verità io
credo che, senza uscire dalla mitologia, si possa salire fino al numero delle
Ore, senza inconvenienti. Purchè sia proporzionato il numero degli uomini e
delle signore. Una vicina gentile, che potrebbe agitarsi, od anche cadere
svenuta se nascesse una discussione, basterà sempre ad impedire ad un uomo
educato di impegnarsi in quei discorsi di politica, di religione, che fanno
bollire il sangue facilmente.
Bisogna
calcolare il numero di persone che possono stare alla tavola, a tutt'agio con
uno spazio non minore ai sessanta e non maggiore di settanta centimetri per
ciascuna. Così non saranno nè strette nè isolate.
E sopra
tutto, per tutti i santi del paradiso, che non sieno tredici! Lei, mia signora,
non ha questi pregiudizi; suo marito neppure. Ma qualcuno de' commensali
potrebbe averli; e quello là sarà infelice, non per quel giorno soltanto, ma
per tutto un anno, in capo al quale dev'essere morto il più vecchio o il più
giovine della triste compagnia.
Aggiunga che
conterà spietatamente gli anni in viso a tutti i suoi invitati, non escluse le
signore; e se gli resta il dubbio d'essere lui stesso uno dei due in pericoli,
sarà capace di correre il domani alle dodici parocchie a prendere la fede di
nascita di tutti i commensali, per rassicurarsi. E ci penserà tanto e se ne
cruccerà tanto, che non sarà meraviglia se entro l'anno finirà per morirne
davvero.
Non si deve
mai, per vincere un pregiudizio, compromettere la pace d'un nostro simile.
Se, per una
circostanza imprevista, il giorno stesso del pranzo manca un invitato su
quattordici, si corre a pregare un amico intimo di supplirlo. Si prega il primo
venuto, il lustrascarpe della via, uno spazzacamino, ma non si condannano i
nostri ospiti a sedere a tavola in tredici.
Un giovinotto
che da vero lion, era avvezzo a pranzare tardissimo, passeggiava una
sera verso le sei in cerca d'appetito, e forse di qualche bella crestaina, che,
tornando dal lavoro, consentisse a fargli compagnia, quando vide un signore
ammodo passargli accanto, guardarlo, riguardarlo con occhio d'amore,
gironzargli intorno, fargli la corte come avrebbe fatto lui stesso con quella
tale crestaina, se l'avesse trovata.
¾ Che mi
prenda per una donna americana, di quelle che portano i calzoni? pensava il
giovinotto: e si carezzava le basette per metterle in evidenza.
Ma l'altro
non si scoraggiava per così poco. Anzi parve farsi più ardito a quell'atto,
tanto che gli si fece accosto, e, salutandolo con uno sguardo che avrebbe
sedotta una vestale, gli disse:
¾ Signore;
non si offenda per amor del cielo. Debbo farle una proposta indiscreta,
impertinente addirittura....
Il giovinotto
si pose una mano sull' orologio, un'altra sul portamonete, e rispose:
¾ Se non
può farne a meno... parli.
¾ Se lei
vedesse un uomo in pericolo di annegarsi, si getterebbe in acqua per salvarlo? ¾ No?
¾ Mi
faccio l'onore di crederlo.
¾ Ebbene,
io sto per annegare in un mare di guai. Ho invitati parecchi amici a pranzo.
Dovevamo essere quattordici, ed uno è mancato. Ho una zia, una zia tremenda che
ha paura del numero tredici. È capace d'andarsene, di non perdonarmi più. Un
uomo che si getterebbe nell'acqua per salvare un altro, non potrebbe spingere
l'eroismo fino a gettarsi alla mia povera tavola?
Il giovine
rideva tanto di cuore, che non seppe rifiutare. Quella povera tavola era
sontuosa; e per giunta quel signore aveva una bella figliola, che piacque a
prima vista al fortunato giovinotto. Due mesi dopo le faceva il primo dono da
sposo; un braccialettino d'oro niellato sul quale era inciso il proverbio:
"È meglio imbattersi che cercarsi apposta."
*
* *
Stabilito il
numero delle persone che si vogliono invitare, si mandano gl'inviti: stampati se
è un pranzo di lusso, scritti se non ci si vuol dare troppa importanza. Oppure
si fa l'invito verbalmente. Ben inteso che, volendo pregare un superiore di
favorirci alla nostra mensa, dobbiamo andare in persona ad invitarlo; perchè
gli inviti scritti o stampati non si fanno che tra eguali.
A meno che si
tratti d'un pranzo tra persone intime, l'invito dev'essere fatto otto giorni
prima del pranzo. Se qualcuno risponde che non può accettare, e si vuol
supplirlo, bisogna affrettarsi a pregare un conoscente, e se è possibile non
fargli sapere che riempie un vuoto. Però, se altri ne è informato, e se c'è il
pericolo che anche l'invitato per via di discorso venga a saperlo più tardi, è
meglio dirgli la cosa francamente.
La tavola
dev'essere coperta da un grosso tappeto sotto la tovaglia, per evitare ogni
rumore nel deporvi le posate ed i piatti. Il tappeto però dev'essere corto e
non s'ha da vedere pendere sotto la tovaglia.
La biancheria
da tavola può essere di fiandra ricca senza guarnizioni come usava altre volte,
può essere ricamata in giro, oppure ai due capi alla moda del medio‑evo e
può essere guarnita di grossa trina di filo, secondo l'ultimo figurino. In
questi due casi non sarà di tovagliato, ma di fina tela di lino. Ad ogni modo
deve avere le iniziali del padrone di casa, ricamate.
I tovaglioli
si piegano semplicemente in quadrato colla cifra in evidenza. Tutti gli altri
artifici di piegature sono volgarità da locanda. Le sottocoppe, pel momento, si
usano non più d'argento, nè di porcellana, ma assortite alla biancheria da
tavola, rotonde o quadrate colla cifra in mezzo. Una striscia lunga, assortita
alla tovaglia, ma sempre ricamata a colori, si mette ora in diagonale traverso
la tovaglia bianca. È l'ultima novità.
Il servizio
di cristalleria dev'essere tutto assortito colle cifre, se è moderno. Ma chi ha
cristalli antichi di pregio ha sempre una cosa superiore. Ogni convitato deve
avere dinanzi un numero di bicchieri, non meno di quattro, di varie dimensioni,
adatti ai vini che si debbono servire. Il vino da pasto è il solo che si mette
in tavola nelle bottiglie bianche di cristallo del servizio. Gli altri vini
sono versati in giro dalla servitù, eccetto lo sciampagna che gode il
privilegio di posare in tavola col suo secchiello d'argento. Per l'acqua si
possono mettere piccole anfore di vetro colorate con dei fiori legati al
manico; una per ciascun commensale. Accanto alla schiera dei bicchieri ci deve
essere una larga coppa assortita al servizio, dove si metterà l'acqua pura per
bagnarvi la punta delle dita alla fine del pranzo. Un'operazione che non va
fatta in modo da disgustare nessuno, con ripetute immersioni, con
sgocciolamenti, ecc.
Ho veduto un
servizio nuovo di corte; è di vetro opalizzato cogli orli dorati, collo stemma
reale in colori. Se credono, signorine mie....
La padrona di
casa può mettere in tavola fiori quanti ne vuole, purchè eviti le magnolie e
tutti i fiori che hanno un'acutezza di profumo da dar l'emicrania ai
commensali. Ed invece di quegli uggiosi mazzi stretti, serrati, in cui i fiori
sono disposti a disegno e figurano nell'insieme un pezzo di tappeto, li ponga
sciolti coi loro gambi e le foglie nelle coppe. Sono un ornamento elegante ed
artistico.
La padrona di
casa stabilisce i posti tenendo conto delle simpatie, delle analogie, ecc., fra
i suoi convitati; scrive il nome di ciascuno sul cartoncino apposito, e lo fa
collocare sul tovagliolo.
Accanto alla
posata di ciascun uomo si usa collocare la noticina dei piatti che saranno
serviti.
Badino, che
dico si usa, ma non dico che sia bello. Ha un'aria da osteria; mi pare sempre
che, giunti in fondo, si debba tirar la somma e pagare il conto. Quelli che
sono molto devoti al culto dello stomaco però, sono fanatici di questa moda,
che permette loro di prendere le debite misure, e di far il posto più largo ai
piatti che preferiscono.
Il padrone e
la padrona di casa stanno nel centro della tavola, ai due lati, uno in faccia
all'altro. Alla destra della moglie si mette l'uomo che si vuol onorare di più;
ed alla destra del marito la signora di maggior riguardo: i due posti alla loro
sinistra sono ancora posti d'onore.
Sotto la
tavola vanno messi gli scaldapiedi per le signore freddolose se è inverno. Gli
sgabelli per le eroine che sfidano il gelo. La camera dev'essere stata ben
riscaldata prima; e durante il pranzo si lascia spegnere la stufa per non
rialzar troppo la temperatura.
Nella sala da
pranzo si prepara sulla credenza una tovaglia lunga, assortita al servizio
della biancheria da tavola, o, se questo è bianco, assortita alla traversa diagonale,
e sovr'essa una quantità di posate, avendo cura che vi siano quelle di forma
apposita pel pesce, quelle pei legumi, per le frutta, i cucchiaini a spatola
pei gelati, il coltello d'argento a due tagli pei gelati e le torte, ecc.,
ecc.; più i piatti pel servizio, le bottiglie dei vini scelti ed un certo
numero di tovaglioli e di bicchieri per il caso di qualche inconveniente che
richiedesse di sostituirli a quelli già posti in tavola.
L'illuminazione
sarà splendida. Che i cristalli e l'argenteria scintillino allegramente.
In mezzo alla
tavola si mettono soltanto i dolci e le frutta, ornati di fiori.
La padrona di
casa si mette un abito elegante, scollato o no, a seconda che il suo pranzo è
più o meno di gala, e riceve gli invitati in sala.
In Francia si
usa far annunciare: "Madame est servie." Da noi il servitore
apre l'uscio e dice: "È servito", sottinteso il pranzo. In molte
famiglie adottano la formola francese. Ma è inutile, poichè si può farne a
meno.
La padrona di
casa si rivolgerà lei stessa al signore che dovrà sedere alla sua destra, e lo
inviterà ad accompagnarla in sala da pranzo. Se però fosse un sacerdote (e
tengano bene a mente che, se s'invita un prete, bisogna dargli il posto
d'onore, altrimenti bisogna far a meno d'invitarlo), se è un sacerdote, la
signora non gli prenderà il braccio, e si limiterà a metterglisi accanto, ed a
discorrere con lui, per fargli capire che dev'essere il suo vicino di destra.
Il padrone di casa darà il braccio alla signora che deve stargli vicina, e
s'incamminerà pel primo. Dietro lui seguiranno gli invitati, tutti gli uomini
accompagnando le signore, ed evitando i complimenti sull'uscio, per non far
attendere la padrona di casa, che deve rimaner l'ultima.
Se la signora
che dà il pranzo è vedova, o nubile, in faccia a sè metterà un vecchio parente
od amico. Mai un giovinotto, a meno che lei fosse francamente vecchia.
È soltanto
nei pranzi di gran confidenza che si può scalcare in tavola; ed allora è il
padrone di casa che si assume quell'incarico. Del resto, i piatti vengono
recati interi, e poi ritolti e tagliati dal servitore ad hoc sopra una
tavola a parte, nella stessa sala, e portati in giro ai commensali. Il primo
giro comincia dalla signora che è a destra del padrone di casa. Il secondo
dalla signora alla sua sinistra. I giri seguenti cominciano man mano dalle
signore che vengono di seguito, in modo che ciascuna signora alla sua volta sia
prima a servirsi.
Nel servizio
alla francese, è il padrone di casa che taglia e manda dal servitore a ciascun
commensale il piatto servito. Non faccio che accennare quest'uso e raccomandare
caldamente di non adottarlo mai. Sono i locandieri che servono a porzioni;
quanto a noi possiamo farle sui piatti dei servitori. Ma ai nostri ospiti
dobbiamo lasciare almeno la libertà di servirsi da sè.
Gli
scaldavivande in tavola sono affatto fuori di moda; e non occorre spender
parole a descrivere quel genere di servizio strano, che mandava tanto calore e
tanti odori da dare il mal di capo e la nausea a tutti i convitati.
Va pure
passando di moda l'uso stomachevole di servire i vasi d'acqua tiepida per
lavare la bocca. Doveva avere uno stomaco a prova di bomba quegli che ha
imaginato di offrirsi quello spettacolo d'una dozzina di persone che
gargarizzano e rivomitano l'acqua nella coppa, appunto al momento di finire il
pranzo e cominciare la digestione. Certe cose è inconcepibile che si osi farle
in pubblico. Non è più civile il risciacquarsi la bocca, che il fare un
pediluvio alla presenza della gente. Cosa ne penserebbe il povero Monsignor
della Casa, la cui suscettività era tale, che non poteva soffrire neppure che
altri tenesse in bocca lo stuzzicadenti "come l'uccello che va a fare
il suo nido?"
E, le prego,
signore padrone di casa, non infilzino un interminabile rosario di piatti. Non
è il numero, ma la squisitezza delle vivande, che fa il lusso ed il pregio del
trattamento. Io penso ancora con raccapriccio a certi pranzi di provincia, dove
ebbi il supplizio di vedermi sfilare davanti trenta, trentacinque e persino
quaranta piatti. Si stava a tavola tre, quattro ore; veniva il granchio alle
gambe, e si provava una smania, una frenesia di prendere un capo della tovaglia
e di buttar tutto all'aria, e danzare sulle rovine per isgranchirsi.
Durante il pranzo
i discorsi debbono essere alternati in modo che ciascuno possa collocare la sua
parola, e fare la sua figura. A questo deve vegliare la padrona di casa.
E se un
argomento prende il campo e minaccia di non cessare finchè se n'è visto il
fondo, o se nasce una discussione, la padrona di casa deve avere abbastanza
spirito per troncarli. Basterà una parola:
¾ Signori
miei, non sanno che noi signore, della loro politica non ci divertiamo
punto?...
¾ Badiamo
che non s'avessero a sfidare in casa mia....
Non cerchino
dei ripieghi. Non gioverebbero a nulla. Una signora aveva letto in un galateo
moderno pubblicato alcuni anni fa, non so che bislacca storia d'una contessa,
che per far cessare una discussione politica molto animata, aveva trovato il
sublime ripiego di rompere un piatto. Quella poveretta l'aveva presa sul serio,
e vedendo due signori riscaldarsi in una questione alla sua tavola, s'affrettò
a gettare in terra una magnifica salsiera di porcellana.
Sciupò il suo
abito, i calzoni del vicino; ma era troppo educata per dar importanza a quel
disastro.
¾ Via non
ci badino; è cosa da nulla, disse.
Ed i due
oratori ripresero il discorso al punto, preciso dov'era rimasto:
¾ E come
le dicevo, la Prussia è una nazione che pensa; una nazione filosofica....
¾ Ma lasci
stare! La Francia è la prima nazione del mondo....
Un momento
dopo erano più animati di prima, e la signora si credette in obbligo di rompere
una fruttiera, più tardi una tazza da caffè senza ottener altro risultato, che
l'interruzione di un momento.
Se li avesse
interrotti con garbo, ma francamente, la questione sarebbe finita senza
lasciare sul campo la rovina di due servizi. All'opposto, bisogna aver grande
cura noi stessi, e raccomandare caldamente ai servitori, di evitare, per amor
del cielo, quei disgustosissimi incidenti, di rovesciamenti, di rotture, che
obbligano sempre una persona a fare un atto eroico, per dimostrare uno
stoicismo sovrumano, dinanzi ad un servizio guasto od un abito sciupato.
Alzandosi da
tavola la padrona di casa dà il braccio non più al suo vicino di destra, ma a
quello di sinistra, e s'avvia per la prima alla sala dove si deve prendere il
caffè, che servirà in persona aiutata dalle signorine. Gli invitati la seguono
ed in ultimo viene il padrone di casa colla sua vicina di sinistra.
*
* *
Se una
signora riceve un invito a pranzo, risponde subito ringraziando e dicendo se
accetta. O, se deve rifiutare, adduce una scusa plausibile, senza por tempo in
mezzo, affinchè si possa, volendo offrire il suo posto in tempo ad un'altra
persona. E, sia che abbia accettato o no, dovrà entro otto giorni fare una
visita alla signora che l'ha invitata.
Regolerà la
sua abbigliatura da pranzo sulla forma dell'invito. Se è stampato, si metterà
in abito di gala. Se è manoscritto, un po' meno.
Giungerà
all'ora indicata, nè prima nè dopo: e piuttosto prima che dopo. Il quarto
legale è una concessione di chi invita, ma l'invitato non deve
farsene un diritto.
Gli antichi
Romani non pagavano i servitori. E quando davano un pranzo li facevano
schierare ai due lati della porta, affinchè i commensali, uscendo, porgessero
man mano a ciascuno una mancia. Era un onore non indifferente. È vero però che
ne era compensato da un uso strambo, il quale dava diritto a ciascun invitato
di togliere tre pietanze dalla mensa e mandarle in dono ai propri amici.
Supposto che s'avessero dieci commensali, si dovevano preparare trenta pietanze
di troppo affinchè si potessero togliere, senza che il pranzo ne patisse.
Noi non
usiamo portar via nulla dalla casa che ci ospita.
Ma non
affettiamo neppure, con una mancia ai servitori, di volerci sdebitare del
pranzo ricevuto. Sarebbe un'impertinenza.
Per dare la
mancia alla servitù d'una casa che non è la nostra, bisogna averci passato
almeno una notte.
Tuttavia, se
in una casa si va a pranzo sovente, o a passar la sera con assiduità, il giorno
di capo d'anno si darà una mancia alle persone di servizio, che si trovano
all'entrata, senza mai cercare di quelle che sono assenti, il che parrebbe un
mezzo di far conoscere ai padroni che si vuol fare una generosità.
Per quanto
meschino, strano, assurdo possa essere il servizio d'un pranzo, una signora
ammodo si guarderà bene dal censurarlo, o dal metterlo in caricatura. Gli
anfitrioni soltanto debbono avere in mente i due versi che ho messi per
epigrafe a questo capitolo; gli invitati invece debbono ricordarsi che
l'ospitalità non consiste nell'offrir molto, ma nell'offrire quello che si ha.
*
* *
Ricevendo di
sera, se la conversazione è numerosa, è indispensabile di far annunciare alla
porta le persone che entrano, perchè la padrona di casa non potrebbe, dopo aver
presentato un nuovo venuto, ripetergli tutta la litania dei nomi dei suoi
ospiti, e ricominciare la medesima seccatura ad ogni persona che entra.
Allora le
presentazioni saranno parziali, ed il tatto della signora soltanto dovrà
dirigerle, regolandosi sui rapporti di gusti, di professione, d'età, in modo
che le persone che ha presentate le une alle altre si trovin bene insieme.
Sa che una
signora ha grande ammirazione per un poeta? presenterà quel poeta
all'ammiratrice.
Due persone
che hanno viaggiato molto le saranno grate se le riunirà per discorrer delle
loro impressioni.
Tutti i
melomani saranno lusingati d'essere presentati alle notabilità musicali.
Fuorchè nel
caso in cui si balli, non presenterà mai un giovinotto ad una signorina ed in
nessun caso presenterà mai una signora ad un uomo; ma sempre l'uomo alla
signora; a meno che si trattasse d'un uomo tanto vecchio da poter ricevere lui
quell'atto di deferenza.
Gian Giacomo
Rousseau ha detto:
"A la manière dont
les gens du monde passent leur temps, on dirait qu'ils ont peur de n'être pas
assez bêtes."
Quando una
padrona di casa non sa condur bene la conversazione, mi accade sempre di
ricordarmi quel motto.
Domina
un'atmosfera di soggezione. Ogni persona che parla, sembra affrettata di
finire, perchè si sgomenta ad udir echeggiare la propria voce. Poi succedono
quei minuti di silenzio imbarazzante, e quell'infelice che deve romperlo, prova
l'impressione di slanciarsi sopra un lago di ghiaccio per spezzarne la crosta.
Oppure un argomento domina tutta la sera, e le persone che non vi si
interessano sono ridotte al silenzio.
Lascerò allo
stesso Gian Giacomo Rousseau che ha condannato il modo d'agire delle persone
del gran mondo, la cura d'insegnare come debbono regolarsi. Non c'è miglior
medico, per curare un male, di quello che l'ha scoperto:
"Una
conversazione ben intesa ¾ dice
Rousseau ¾
dev'essere scorrevole, naturale. Nè pesante nè frivola; dotta senza pedanteria,
allegra senza tumulto, civile senz'affettazione, galante senza sguaiatezza,
faceta senza equivoco. Non si fanno nè dissertazioni, nè epigrammi; vi si
ragiona senza argomentare; vi si scherza senza freddure; vi si associa
con arte lo spirito e la ragione, le massime e le arguzie, i motti ingegnosi, e
la morale austera.
"Vi si
parla di tutto, affinchè ciascuno possa dire qualche cosa.
"Non si
approfondiscono le questioni per non annoiare; si propongono di volo, si
trattano rapidamente; dalla precisione risulta l'eleganza. Ognuno, dice il suo
parere, e l'afferma con poche parole. Nessuno si oppone vivamente al parere di
un altro, nessuno difende con ostinazione il proprio; si discute per imparare;
ma non bisogna spingere troppo la discussione. Tutti s'istruiscono; tutti si
divertono; tutti se ne vanno contenti; ed anche il savio può raccogliere in
quei trattenimenti, degli argomenti degni d'esser meditati in silenzio."
Lo spirito è
il dono più pericoloso che la sorte possa fare ad una signora. È come quei
talenti della parabola che eran tanto difficili ad impiegar bene. Bisogna
possedere un'abnegazione eroica, per saper sacrificare lo spirito alla
cortesia. Viene alle labbra un motto; è un motto assassino; quella persona ne
soffrirà: ma quell'altra lo apprezzerà: lo andrà ripetendo. La convenienza è in
lotta colla vanità, ma pur troppo è questa che vince.
È nota la
conseguenza fatale d'un motto di Danton. Disse di Saint‑Just, il quale
camminava diritto tutto d'un pezzo come camminerebbe, se camminasse, un turco
impalato: Il porte sa tête comme le Saint‑Sacrement.
Saint‑Just, lo seppe, e rispose: Je
lui ferais porter la sienne comme Saint‑Denis. Tutti sanno che
S. Dionigi decapitato, fece il miracolo di passeggiare colla propria testa in
mano. Danton non fece il miracolo, ma fu decapitato per opera di Saint‑Just.
Certo erano nemici politici, e non fu per quel motto che Danton fu condannato.
Ma è certo altresì, che quel motto ha posto la sua goccia di fiele in
quell'odio implacabile.
Ho udito io
stessa un motto che non ebbe conseguenze tragiche, ma fece nascere un'iliade di
guai.
Una signorina
di spirito era fidanzata con un giovinotto che amava con passione; ma non
doveva sposarlo che fra un anno; però, volendo tenere segreta la cosa, non si
erano stabilite relazioni d'amicizia tra le due famiglie, ed i fidanzati
andavano in società e si trattavano come semplici conoscenti.
Una sera la
fidanzata si trovò ad una riunione danzante accanto ad una signora, la quale
aveva una paura così orribile dei trent'anni, che sebbene fosse prossima alla
quarantina, si ostinava di rimaner alla porta della terza decina senza entrarvi
mai. E, come tutte le persone in simili disposizioni di spirito.... e di fede
di nascita, parlava sempre della sua età per informare il pubblico di quella
che voleva avere.
Non danza? le disse un suo conoscente.
¾ Che le
pare! Alla mia età! Presto presto avrò compiti i trent'anni.
¾ Tarda
assai a compirli! disse la fidanzata al suo ballerino, abbastanza forte perchè
tutti i vicini l'udissero, compresa la signora, la quale si fece di brace. Poco
dopo venne suo fratello a prenderla. Era il fidanzato della signora di spirito;
lei non conosceva neppure di vista quella futura cognata, maritata fuori di
Milano, e giunta pochi giorni prima per passare un po' di tempo in famiglia. Da
quella sera, i genitori del giovine posero tanti bastoni nelle ruote che il
matrimonio non si fece più fin dopo la loro morte. Le due cognate non si vedono
ancora.
Boccaccio ha
detto:
¾ Il motto
deve mordere come la pecora, non come il cane.
*
* *
Perchè una
serata riesca gradevole bisogna provvedere in modo che tutti possano divertirsi
alla loro maniera. La conversazione è ottima per chi ama conversare: ma non
basta. Ci devono essere un pianoforte pei dilettanti; delle tavole da gioco pei
giocatori seri di scacchi, di dama, di tarocchi; qualche altro gioco meno serio
per la gioventù.
I pedanti
nutrono un profondo orrore per le signore e signorine, che non rifuggono dalle
tavole da gioco, come il diavolo dall'acqua santa.
¾ Vi si
provano commozioni pericolose, esclamano; e consigliano ancora e sempre i
giochi innocenti.
Ebbene, confesso
che sono del parer contrario dei signori pedanti, e non è la prima volta.
Io non mi
sgomento affatto al veder una signorina od una signora esposta alla terribile
commozione di perdere o di guadagnare qualche soldo, o anche qualche lira; ma
mi mortifica, mi affligge il vederle impegnate in quei giuochi pieni d'equivoci
che sembrano inventati apposta per farle arrossire, sebbene si chiamino
innocenti.
Mi ricordo
una sera in cui si faceva quello stupido gioco degli spropositi. S'erano date
le domande: Dove? Quando? Perchè? Quali saranno le conseguenze? Le
risposte furono scritte a caso senza saper le domande. Una signora maritata
senza figli, supponendo le domande frequentissime: Che cosa desidera? Chi è
più bello? Qual'è la cosa più gentile? ecc., rispose: Un bambino. Si
posero nell'urna le domande e le risposte. Si appaiarono a caso, ed aperti
i biglietti risultò:
¾ Dove? ¾
Nell'ombra.
¾ Quando? ¾ A
piacere.
¾ Perchè? ¾
Debolezze umane!
¾ Quali
saranno le conseguenze? ¾ Un
bambino.
Quella che
leggeva era una giovinetta.
Via,
confessino, signore mie, che sarebbero state meno pericolose le emozioni d'una
partita di tresette o di tombola; credo che in tutta la sua vita quella giovine
non avrà più occasione di arrossire come in quel gioco innocente.
*
* *
Il trattamento
da offrire in una serata è arbitrario. Il più generalmente adottato è il té;
ma è altresì il più economico, ed il meno accetto. Non è ancora abbastanza
entrato nelle nostre abitudini, ed una grande quantità di persone non possono
prenderlo senza soffrirne una veglia nervosa. Una padrona di casa non può
offrire una seconda sera il té ad una persona che l'ha rifiutato la
prima per questa ragione.
Lo zabajone,
la cioccolata, il vino caldo, il ponce, i vini fini, i liquori dolci, sono
tutte bevande che si possono offrire. Le paste più adatte sono i picnics,
i muffins, le sugar‑wafers, e sopratutto i petits fours,
e soltanto col té e coi vini si accoppiano bene i sandwichs. Col
ponce e col vino caldo vanno egregiamente le brioches, il babà. Cogli
altri servizi tutte le paste dolci, non escluso il panettone.... e che Dio, il
signor Fanfani ed il signor Rigutini mi perdonino il linguaggio ostrogoto di
questi particolari gastronomici.
Per quanto la
mia ignoranza mi consigli ad aggrapparmi al detto di Voltaire: Le puriste
est toujours pauvre d'idées, non posso farmi l'illusione che il valore di
queste idee ghiotte sia tale da farmi perdonare la barbarie della nomenclatura.
Se un artista
di professione, uomo o donna, ha fatto ad una signora la gentilezza di cantare
o sonare ad una serata d'invito, senza un accordo di compenso, la padrona di
casa deve mandargli un dono a titolo di ringraziamento.
*
* *
Se la serata
offerta è un ballo, si debbono mandare gli inviti almeno otto giorni prima, per
dar tempo alle signore di preparare le abbigliature.
Oltre le sale
smobigliate, ornate di fiori ed illuminate per la danza, ci dev'essere un
salotto ben riscaldato, dove si accoglieranno i primi invitati, e dove potranno
ripararsi dal gelo le signore che non danzano, qualche sala da gioco, e, se si
vuole, un gabinetto pei fumatori; una moda che altre volte sarebbe sembrata un
po' soldatesca, ma di cui gli uomini tengono gran conto; e serbano riconoscenza
alla padrona di casa; del resto è adottata anche a Corte.
Non bisogna
trascurare di mettere un ordine scrupoloso nel regolamento della guardaroba,
affinchè ognuno possa con sicurezza deporre il soprabito ed il cappello, i
mantelli ed i cappucci delle signore, ricevere un riscontrino numerizzato, e
riavere tutte le cose sue quando lo ripresenterà nell'uscire.
Gli immensi
strascichi, la leggerezza degli abiti da ballo, e i movimenti vivaci della
danza, danno luogo ad una quantità d'inconvenienti, per cui si dovrà destinare
una camera per le signore, dove rimanga tutta la notte una cameriera munita di
aghi, spilli, sete d'ogni colore, per accomodare gli abiti lacerati, rimettere
a posto i fiori caduti, rifare le pettinature.
Sarei ben
meravigliata se una signora uscisse di là senza aver cercato collo sguardo una scatola
di cipria; e consiglio la padrona di casa a non lasciar mancare quest'oggetto,
che le signore considerano di prima necessità.
Se durante la
notte si dà una cena, tutto deve essere apparecchiato sopra una tavola a cui
siederanno soltanto le signore, nel caso che non ci fosse posto per tutti,
lasciando gli uomini stessi, se la cena è di confidenza, incaricati di servire
le signore. Non si servono che cibi freddi.
Ho letto in
un romanzo del padre Bresciani d'un giovinotto innamorato, che profittò di quell'occasione
per mettersi in tasca, a titolo di ricordo, i torsi, i noccioli e le bucce
della frutta che la sua bella aveva mangiate. Non posso consigliar le signore
d'ingoiare quelle reliquie, per non correre il rischio di trovarne il profumo e
le tracce succulente sugli abiti del loro ballerino. E non mi sembra neppure il
caso d'incoraggiarle a nasconderle dove Rebecca nascose i suoi idoli alle
ricerche di Labano. Ma se sanno di avere un adoratore capace di spingere la
devozione a tali estremi, non si lascino servire che da un fratello, o dal
proprio marito.
Sgraziatamente
vi sono troppo spesso nelle adunanze numerose dei raccoglitori, che tendono a
compromettere non le signore ma il buffet, empiendosi le tasche di
tutt'altro che di torsoli. Per costoro ogni parola sarebbe superflua. Sono
troppo teneri dei loro gusti per cercare nel mio libro insegnamenti che li
combattono. Ma una signora che, per disgrazia, avesse un marito di quel genere,
dovrà astenersi assolutamente dal farsi accompagnare in qualsiasi luogo, dove
possa scontrarsi in una tentazione.
Quanto alla
padrona di casa, dovrà imporre silenzio alla delicatezza de' suoi gusti,
oltraggiata da tanta volgarità, e non dimostrare menomamente la ripugnanza che
prova per l'individuo sconveniente ed esoso, salvo ben inteso, a non invitarlo
mai più.
Se non si vuole apprestare nè una cena, nè un buffet si
faranno portare in giro le stesse cose che si offrirebbero ad una semplice
serata ripetendole parecchie volte; e tra l'una e l'altra non si cesserà di far
offrire acque sciroppate e gelati.
Per chi dà un
ballo, è un'indiscrezione il contare sulla compiacenza dei dilettanti per la
musica. Questa parte tanto importante d'una festa da ballo è troppo sovente
trascurata dai padroni di casa. Una signora che voglia fare le cose bene, si
rivolgerà al suo maestro di pianoforte, e lo pregherà di procurarle dei buoni
suonatori. E li accoglierà con quella cordialità con cui le persone educate e
di buon gusto accolgono sempre gli artisti. Haydn ha suonato tante volte per far
danzare; e che povera gente anche! Una signora, che lo avesse trattato con
alterezza, sarebbe stata ridotta più tardi a piangere di vergogna.
Lesinare sul
compenso che è loro dovuto, limitarne i rinfreschi, farli cenare alla tavola di
servizio, sono volgarità da villani rifatti. Debbono avere una tavola a parte
ed un trattamento uguale a quello degli invitati. Se i sonatori fossero i
maestri della padrona di casa, di suo marito o dei suoi figli, nulla può
dispensarla dal farli sedere a cena alla sua stessa tavola e dal rivolger loro
la parola spesso durante la notte. La padrona di casa, se è giovine apre il
ballo con una quadriglia, nella quale deve avere in faccia suo marito.
Se i padroni
di casa non ballano, scelgono una coppia giovine nella loro parentela o nei più
intimi amici, e la pregano di rappresentarli.
Durante il
ballo la padrona di casa non accetterà mai di ballare, quando rimangono altre
ballerine sedute e procurerà di mandar loro dei ballerini. Non occorre dire che
deve incaricarsi, unitamente a suo marito, delle presentazioni. Il dare un
ballo in casa propria è un lungo e penoso sacrifizio. È vero che si semina per
raccogliere. Ma la seminagione è laboriosa e difficile; il raccolto incerto, e
non sempre proporzionato a quanto è costato.
*
* *
E, poichè ci
siamo, parliamo di quel raccolto, che consiste in un ricambio d'inviti, ai
quali, s'accettino o no, si risponde sempre con una carta di visita unita a
quella del marito.
È affatto
inutile d'affrettarsi per giungere ad un ballo; si arriva sempre a tempo. È parimenti
superfluo il mostrarsi impensierita della propria abbigliatura, rialzare lo
strascico, assicurarsi tratto tratto se i gioielli sono al loro posto. Ogni
signora procuri di esser vestita bene e solidamente, ed alla guardia di Dio! E
se l'abito si lacera, passi a farlo accomodare, senza fermarsi a gemere
doglianze ed a verificare i danni. E se un vezzo di brillanti si spezza lo
lasci spezzare, e riponga la parte staccata senza altri discorsi.
Nulla è più
plateale di quella continua cura dei propri averi. Una vera signora deve
saperli portare con nobile indifferenza.
Sarebbe un
malcreato chiunque pregasse una signora di accordargli un ballo, senza esserle
stato presentato, ma se il malcreato ci fosse, la signora dovrebbe rifiutargli
il favore. Volendo passare dalla sala da ballo al buffet bisogna farsi
accompagnare dal proprio marito, e le signore vedove e nubili ci andranno col
babbo, lo zio, o il marito della signora colla quale si sono accompagnate.
Le
dimenticanze, i doppi impegni di balli, i rifiuti non giustificati, le
preferenze evidenti, tutto quanto può far nascere quistioni, dissapori o
commenti, è sconvenientissimo da parte d'una signora, e dà una idea meschina
della sua educazione.
Se una signora
che non ama il ballo, è afflitta dalla disgrazia suprema d'un marito maniaco
per la danza, si sacrifichi a Tersicore, e balli anche lei ad ogni costo. Il
più grottesco di tutti i ridicoli che brulicano sotto il sole, è il marito
danzante d'una signora che non balla.
In Francia
nella casa in cui si dà un ballo si usa fermare tutti gli orologi. Non si
contano le ore alla gioia. Si è là per passare il tempo allegramente, non per
misurarlo. Questa precauzione non serve a nulla, perchè ogni ballerino ha un
orologio in tasca. (Ai tempi della marchesa Colombi ne avevano due). Ma.è un
pensiero grazioso.
*
* *
In teatro una
signora occupa sempre il posto d'onore. Se sono due nello stesso palco,
maritate e giovani entrambe, cambieranno posto una volta durante la serata, non
di più. Sono le provinciali che si credono in obbligo di alternarsi ad ogni
atto, per mutar prospettiva, come se facessero parte dello spettacolo.
Le signorine
di provincia non crederebbero d'esser ben equipaggiate pel teatro, se non si munissero
di un mazzo di fiori, di due o tre cartocci di caramelle, d'una scatola di
pastiglie di menta, d'un sacchetto di zuccherini e cioccolatta, come se
partissero per un lungo viaggio in paesi deserti.
Nulla di
tutto codesto. Se il marito, un parente, un amico intimo, ha il gentil pensiero
d'offrire qualche fiore o qualche dolce ad una signora, li accetterà in teatro;
altrimenti ne faccia a meno; ma non arrivi, per carità, colle sue provvigioni
da bocca come un soldato al bivacco.
Ricevendo
visite in palco, la signora dovrà salutare, sostenere la conversazione durante
gli intermezzi, e frenarla durante la rappresentazione per non esporsi alla
vergogna di farsi zittire. Tutti gli uomini educati sanno che, entrando,
debbono occupare l'ultimo posto ed avanzarsi man mano, per diritto d'anzianità,
a misura che un primo venuto si congeda, finchè siano giunti a tenere alla loro
volta uno dei posti accanto alla signora. Di tutto questo lei non dovrà
occuparsi affatto.
Qualunque sia
l'entusiasmo che le ferve nel cuore, una signora non applaude mai. Le
dimostrazioni opposte non sono convenienti neppure per gli uomini. Davanti ad
una signora poi, non vi potrebbe essere altri che un mascalzone capace di voler
fischiare. Ed i mascalzoni non vanno nei palchi delle signore.
È di buon
gusto il non uscir mai dal teatro in un momento in cui lo spettacolo interessa
vivamente il pubblico, o almeno di uscire in gran silenzio per non disturbare
lo spettacolo.
Quando
entrano in teatro il re, la regina o altri personaggi della casa reale, anche
le signore si alzano e rimangono in piedi finchè il personaggio illustre è
seduto. Ai concerti, ai ritrovi d'ogni sorta dove la famiglia reale siede in
posti speciali, chiunque dovesse passare a lato delle Loro Altezze dovrà
fermarsi e fare un inchino. Questo si deve fare anche in istrada quando passa
una carrozza di corte. Agire altrimenti sarebbe una dimostrazione ostile.
*
* *
Cessati i
piaceri della città, chiusi i teatri, e le serate divenute tanto brevi che non
c'è più tempo alle riunioni, una signora elegante non ha altro di meglio a fare
che ammalarsi. Oh! una malattia senza gravità, che non ne alteri la freschezza,
che non la obblighi a star in casa, nè a nessun'altra privazione. ¾
Un'emicrania periodica, che verrebbe ogni otto giorni.... se venisse. Un
prurito nervoso sotto l'unghia del dito mignolo. Un'avversione pronunciatissima
a tutti i colori delle tappezzerie di casa. Una lieve difficoltà a digerire
peperoni crudi e corteccie di limone. Infine una malattia comoda purchessia, la
quale porti con sè la certezza che la sua guarigione sta nelle acque del tal
paese, o nei bagni del tal altro.
Naturalmente,
la civiltà moderna non ammette che esista sulla terra un marito così barbaro,
così pelle rossa, così basci‑bazouk, il quale rifiuti di sacrificare
tutti i suoi risparmi, di alienare se occorre il suo patrimonio, d'impegnare
l'argenteria di casa, di vendere fin i ciondoli del suo orologio ed i suoi
sigari d'avana, pur di ricuperare la salute pericolante di sua moglie, colla
cura delle acque indicate... dalla moda.
Se lui non
può accompagnarla, non importa. Sua moglie è pronta a sacrificarsi. Andrà sola.
Oh le mogli sono d'una generosità!... le bagnature sono tutte popolate di
signore senza mariti e di uomini senza signore.
Appena giunte
alle bagnature, le donnine più ammodo aprono una nobile gara a chi riuscirà
meglio a farsi prender in fallo. Abiti stravaganti; cappellini impossibili;
acconciature sguaiate. Tutte approvano il canto del dott. Brown, la marsigliese delle
emancipatrici:
"Freedom of speech from
what we think,
And freedom too in
dress;"
che io traduco liberamente:
"Libero il dir quanto ci passa in testa,
Ed alle ortiche la toletta onesta!"
Le più
modeste ladies, che cadrebbero coscienziosamente svenute se il loro
marito osasse chiamare col suo vero nome quella parte del loro vestiario che
loro definiscono pudicamente gli inesprimibili, non esitano a mostrarsi sulla
spiaggia, succintamente vestite di inesprimibili anche loro lasciando
all'estremità delle gambe che ne sporgono, tutta la cura di predicare la
rinuncia al mondo ed al demonio, com'esse hanno rinunciato alla carne.
E si scende a
colazione in accappatoio come se si stesse alla sponda, o come direbbe il
signor Rigutini, nel corsello del proprio letto. E, con quell'abito svolazzante
ed i capelli sciolti, si siede o si passeggia flirteggiando con un
ignoto qualunque, di cui è molto se si conosce il nome ed il colore dei guanti;
la sera si scende scollate nelle sale di compagnia; o, sole, sissignore; ai
bagni è permesso. Fanno tutte così.
¾ Sa
cantare, signora?
¾ Un poco.
¾ Conosce
il duetto degli Ugonotti? Di' che m'aaami diii....
¾
Sissignore.
¾ Vorrebbe
cantarlo con me?
¾ Chi me?
Lui; chiunque; non importa; ai bagni si parla, si balla, si canta con
tutti. Freedom of speech.
Che
meraviglia poi, se, per farsi conoscere meglio, quell'ignoto s'affretta a
dimostrare di che misura d'impertinenza lo ha dotato l'educazione moderna?
Eppure se la
cosa viene ad orecchio al marito, dovrà mettere durlindana al vento, e se
occorre, fare col proprio sangue la quietanza all'oltraggio che ha ricevuto sua
moglie.
Ma! così si
usa. Perchè? Per evitare il ridicolo? Già. Però dopo il duello sarà più
ridicolo di prima.
Oh! la
libertà delle signore, che vuole le sue piccole cospirazioni, che suscita i
suoi piccoli odii, ed i suoi piccoli amori, e le sue guerre in diciottesimo
come la libertà dei popoli, piccolo serpente che seduce le pronipoti della
vecchia Eva! Dov'è la Madonna che gli schiacci il capo?
Si comportano
come ho accennato più sopra, mie gentili lettrici, quando vanno alle bagnature?
In tal caso
hanno sbagliato strada.
Smettano un
poco il rigore delle presentazioni che si deve serbare in città, se sono col
loro marito; ma se sono sole, richiedano più che mai quella guarentigia prima
di entrare in relazione con chicchessia. Cerchino di giungere con una lettera
pel proprietario dello stabilimento, e lui avrà di presentar loro le persone di
cui crederà di poter rispondere. Cogli ignoti scambino le parole di stretta
cortesia, e non altro.
Procurino di
essere sempre in tempo alla tavola comune, per evitare ai conoscenti la noia di
aspettarle e se tarda una signora con cui hanno stretta relazione e che ha il
posto vicino a loro ed è solita a pranzare discorrendo insieme come fossero in
casa, le usino la cortesia d'aspettarla un poco.
Se sono ai
bagni per fare una cura non parlino a tavola dei loro malanni. Vi sono persone
a cui i discorsi di malinconie tolgono l'appetito. E se per caso è un altro che
fa la descrizione delle proprie sofferenze, non se ne mostrino disgustate.
Appena
conoscono qualche signora, si associno con lei per le partite di piacere, le
passeggiate, le chiacchiere all'ombra, i giuochi. E non vadan mai sole
passeggiando fra le ombre del giardino:
"Ove in disparte bisbigliando
errano
(Nè patto umano nè destin ferreo
L'un dall'altro divelle)
I poeti e le belle.
*
* *
Dove una
signora può veramente permettersi una maggior libertà, è in campagna. Prima di tutto
potrà ricevere degli ospiti per un tempo più o meno lungo. Sono conoscenti di
famiglia, e per essere invitati debbono godere un certo grado d'intimità. Lei
sa con chi tratta, ed è sicura che le sue parole e le sue azioni non possono
venir interpretate malignamente. I vicini di villa, o sono proprietari che
tutto il circondario conosce; o sono inquilini le cui informazioni hanno già
soddisfatto il proprietario, che ha creduto di potere con tutta fiducia
affittar loro la sua villa. E sono istallati là per un certo tempo. Non sono la
popolazione nomade dei bagni. Si può aspettare alcuni giorni, osservare le loro
abitudini, prima di decidere se convenga o no incontrarne la relazione.
Ogni
villeggiante è tenuta a fare una visita agli ultimi vicini venuti; ben inteso
quando vi sono signore.
Se è
ricambiata con una visita entro otto giorni, vuol dire che la relazione è
accettata, ed allora lei ritorna, e si stabiliscono quei rapporti frequenti ed
amichevoli che sono uno dei piaceri della campagna.
Se riceve invece
una carta di visita, deve comprendere che i nuovi venuti desiderano viver soli,
ed allora li lascia in pace.
In villa si
hanno maggiori doveri che in città verso i visitatori. Non basta farli sedere,
metter loro uno sgabello sotto i piedi se sono signore, ed intrattenerli a
discorrere. Bisogna pensare che hanno fatto un tratto di strada in campagna col
caldo e la polvere, che forse vengono da lontano, e, senza spingere le cose
fino a far loro un pediluvio come si usava nell'eccessiva ospitalità dei patriarchi,
bisognerà offrir qualche cosa da bere, un rinfresco.
E badino,
signore mie, a non interrogare i visitatori prima di dare quell'ordine, o prima
di mandare in giro le tazze.
Il domandare:
"Vogliono
bere? Prendono qualche cosa?" è come obbligarli a dire di no per
cerimonia.
Mi trovai una
volta con una brigata numerosa nella villa d'una sposina giovanissima, che
faceva gli onori di casa con tutta l'inesperienza de' suoi sedici anni, ed un
po' di mala grazia per giunta.
Aveva fatto
posare il vassoio col ghiaccio, le brocche, le tazze e tutto sopra una tavola,
e là, piantata dinanzi al servizio, si pose a fare l'appello come un ufficiale
alla sua compagnia:
¾ Signora A,
prende caffè?
La signora A
aveva molta sete, ma per complimento dovette dire:
¾ La
ringrazio, non si disturbi.
¾ Signora B?
¾ No
davvero, la prego; non si stia ad incomodare.
E così giunse
all'ultima persona senza immolare all'ospitalità neppure una goccia di quel
caffè prezioso, ed obbligandoci a ringraziarla di nulla mentre si ripartiva
assetati!
Quando
s'invita un ospite, è di buon gusto andarla ad incontrare al suo arrivo, per
mostrargli che è aspettato con impazienza. Se vi sono altri ospiti in casa, che
possano associarsi a quella passeggiata, la padrona di casa ne farà la
proposta. Se invece avesse con sè persone di suggezione o attempate non le
lascerà. Procurerà di mandare suo marito, suo figlio, una sorella maritata,
qualcuno della famiglia incontro ai nuovi venuti, che per lo più scendendo allo
scalo hanno bisogno d'una carrozza o d'una guida. E se la signora fosse sola,
manderà la carrozza, se l'ha, colla propria cameriera: oppure un servitore a
piedi, ed in mancanza d'ogni altro lusso, un massaio; ed appena i viaggiatori
giungeranno in vista della casa, correrà ad incontrarli, ed addurrà le vere
cause che le impedirono di andar prima e più lontano, e se ne scuserà.
Quando avrà
offerti agli ospiti tutti quei rinfreschi di cui possono aver bisogno dopo il
viaggio, li condurrà nella camera che avrà destinata per loro. Ma per carità
non trascini una persona stanca a far l'inventario di tutta la villa; è un
complimento opprimente. Più tardi, il domani, quando il suo forastiero sarà
riposato, avrà tempo a veder tutto. Ed anche allora lasci che vada da sè. I
padroni di casa sono i più incomodi e gravosi fra i ciceroni. Gli altri si
pagano uno scudo, e si acquista il diritto di bestemmiare loro sul muso magari
che San Pietro in Roma è una chiesuola da villaggio, e che il Mosè di
Michelangelo è un fantoccio. Per quello scudo abdicano ogni suscettibilità
artistica e patriottica.
Ma ai padroni
di casa si deve un aggettivo ammirativo per ogni cosa che ci mostrano,
fortunati ancora noi, se ci fanno grazia del superlativo.
L'esposizione
della casa dev'essere stupenda e saluberrima. I quattro punti cardinali hanno
fatto delle transazioni colla cosmografia, per aggiustarsi in modo che quella
casa potesse goderli tutti:
¾ È solida
questa costruzione, sebbene sul colle. Senta che saldezza di pavimenti. Faccia
un salto. Così. Un altro! ¾ Ed il
padrone di casa salta lui pel primo, e bisogna saltare, e trasecolare per
meraviglia di non avere sfondata la casa.
¾ E le mie
cantine! Sono fresche come ghiacciai.
¾ Sono
persuaso.... si capisce dalla posizione.... dal terreno....
¾ Ma no,
deve vederle. Sentirà che freddo. C'è da pigliarsi un'infreddatura. Il signor
Tale che è sceso ieri, oggi ha una tosse!... ed il signor Tal altro ha
sternutato otto volte di seguito nell'entrarci.
Il meno che
possa fare il nuovo venuto è di sternutare dieci volte per cortesia, e prendere
una bronchite.
¾ Ed i
cavoli dell'orto! Una meraviglia!
¾ Ed i
peperoni! Un prodigio.
¾ Per i
fiori: ¾ bello,
molto bello, bellissimo, stupendo!... guai se vengono meno gli aggettivi.
L'amor proprio del padrone di casa è ferito. Doveva essere un triste ospite
Voltaire, il quale diceva che ¾
"l'aggettivo è il maggior nemico del sostantivo anche quando s'accordano
in genere, numero e caso..."
Dunque,
signore mie, risparmino ai loro invitati la via crucis del loro podere.
Accordino
loro la massima libertà d'azione. Tocca all'ospite di non goderne e di
associarsi completamente alle abitudini della famiglia. Se per caso l'ospite è
un maestro o un dilettante di musica, non gli addossino l'incarico di divertire
e far danzare tutto il vicinato. Se è un pittore, non lo condannino a
ritrattare tutta la famiglia, dal capo di casa fino al gatto. Se è un avvocato
non lo obblighino a dare una serie di consulti legali sui fatti loro, e se è un
medico non lo tormentino coll'illiade dei loro piccoli e grandi malanni.
L'ospite è un
amico, lo trattino come amico soltanto, ed alla sua presenza, signore massaie,
lascino andare tutti i discorsi d'economia. Sì, il vitto è caro; la carne ha un
prezzo esagerato; e le frutta poi, un'immoralità. È verissimo. Tutto questo lo
diranno al loro marito, lo scriveranno a me se hanno bisogno di sfogarsi un
poco. Ma per chi vive in casa loro, capiranno che certi calcoli si potrebbero
tradurre in volgare:
¾ Quanto
mi costa ospitarli, signori miei! Mi sono debitori di tanto e tanto.... e poi
ancora tanto!
Quando un
invitato annuncia che vuol partire, dev'essere sempre troppo presto per la
padrona di casa. Le sembra che sia giunto allora! Però si guarderà bene da
quelle dimostrazioni di amicizia imperiosa ed aggressiva, che nasconde le
valigie, manda indietro le sfere degli orologi, fa perdere i treni, violenta
gli ospiti in ogni maniera, e li obbliga ad una lotta corpo a corpo per
ricuperare la loro libertà.
Lo
crederebbero, signore mie, che esistono a questo mondo, a questo stesso mondo
in cui vivono loro, così educate e gentili, certe padrone di casa che quando i
loro invitati hanno voltate le spalle domandano alle persone di servizio quanto
hanno dato di mancia?
¾ OOOh!!!
Così è. Loro
non ne conoscono. Io neppure, se Dio vuole. Ma se mai sentissero dire che la
signora Trestelle, o Quattro Asterischi ha questa volgare abitudine, facciano
in modo di smarrire questo mio volumetto alla porta della sua casa.
Per quella
signora là soltanto, io noto qui che le padrone di casa debbono astenersi
assolutamente dall'entrare in certi particolari, e se una persona di servizio
troppo famigliare volesse raccontarli, tocca alla signora insegnarle il
rispetto che le deve.
Sono i
padroni di bottega che domandano conto delle mancie; e quelli sono giustificati
dalla necessità di ripartirle equamente fra i loro garzoni.
*
* *
A misura che
l'istruzione delle signore si raffina, la loro corrispondenza si fa più estesa
ed importante. In questo anno di grazia, e di scuole superiori, mille
ottocentonovantadue, sarebbe ridicolo che io mi mettessi ad insegnare alle
signore come si scrivono le lettere. Ho detto su questo proposito il mio parere
alle signorine e basta.
Ne parlo
unicamente per la parte che riguarda le convenienze. Una signora deve avere la
carta colle sue cifre, e la corona, se l'almanacco di Gota non ci ha nulla in
contrario. La forma della carta è soggetta ai capricci della moda, come pure il
colore. Costa così poco l'uniformarvisi, ed è tanto bello il vedere che tutto
quanto parte da una signora è grazioso, elegante, moderno come lei, che non
esito a consigliarle di seguire la moda se possono. Ora l'ultimissima moda è
d'avere un motto latino. Da tempi immemorabili questo si è usato da qualcuno.
Ma ora si va generalizzando, e non c'è persona raffinata che non abbia il suo
motto in testa alla carta da lettere.
È un uso che
mi sembra buono. Per un sentimento di onestà si studia un motto che risponda ad
un nostro principio, ad una nostra passione alta e nobile; ad un nostro
proposito, e per lo stesso sentimento di onestà, si è portati a non ismentire
il motto colle nostre azioni; per cui è quasi un impegno che ci assumiamo di
mettere in pratica il motto adottato.
Ma, badino,
la carta colla cifra e collo stemma o col motto, non si adopera mai per mandar
commissioni alla sarta, alla modista, al mercante, al calzolaio. Possono
figurarsi, un calzolaio, che riceve una lettera precisamente uguale a quella
che manderebbero alla loro più intima amica? Sarebbe come farlo sedere alla
loro tavola e questo non si usa. Il più democratico dei deputati di sinistra,
un arruffapopolo addirittura, stringerà la mano al suo portinaio, ma non
trincherà insieme, e non gli farà di cappello come ad un ministro.
La
corrispondenza d'una signora è più estesa che quella di una signorina; e le presenta
un più vasto campo per far apprezzare il suo spirito, le sue osservazioni, la
sua originalità d'idee; bisogna avere, come ho la fortuna d'avere io,
un'immensa corrispondenza colle signore, per farsi un'idea del gusto, della
grazia, dell'eleganza che ci mettono. Nella loro modestia, alcune di quelle
lettere sono piccoli capolavori. Ed i pedanti ed i puristi vanno dicendo che in
Italia non si sa scrivere! Chi non sa scrivere? Loro, e noi, letterati e
letteratucoli mi metto fra questi, che, a forza di studiare parole nei
vocabolari, perdiamo il filo delle idee, e diventiamo imbecilli.
Ma torniamo a
bomba, come dicono i letterati. Le lettere di dovere per una signora si
suppliscono, volendo, con una carta da visita. E di queste avrà una larga
distribuzione da fare. Avrà cura di esserne sempre ben provveduta.
Al capo
d'anno, dopo aver scritto ai parenti ed amici lontani e visitate personalmente
quelle persone, verso le quali i riguardi di grado sociale e d'età non le permettono
di disimpegnarsi con una semplice carta, manderà la carta da visita alle sue
conoscenti.
Una delle
sue, ed una del marito bastano per una vedova, per una signora sola, per una
madre con una o più signorine. Per due sorelle o due cognate, vedove o
attempate entrambe, manderà due carte proprie e due del marito. Ad una signora
maritata manderà una carta sua e due del marito, il quale deve far auguri
all'amica della moglie, ed al marito di lei. In una casa in cui vi fossero
oltre al marito colla moglie (i figli non contano), un suocero, una suocera,
una cognata, ecc., la signora manderà tante carte quante sono le signore in
famiglia; il marito tante carte quanto sono gli uomini, più una per la padrona
di casa. Dato che una famiglia sia molto numerosa, il moltiplicare esattamente
le carte di visita che vi si devono mandare, sarebbe una pedanteria. Allora si
mandano soltanto ai coniugi che sono capi di casa. Ricevendo un annuncio di
matrimonio, si risponde con una carta dei due coniugi ai genitori della sposa,
ed una pure d'entrambi, ai genitori dello sposo. Se si è assistito ad un
matrimonio, subito dopo si mandano le carte da visita, una della signora e due
del marito ai nuovi sposi.
Ricevendo
l'annuncio d'un battesimo o d'una morte, si risponde colle proprie carte alla
famiglia. In entrambi i casi, come pure per nozze, molti usano le lettere P.
C. Vuol dire ugualmente per condoglianza, e per congratulazione. Conosco
un signore che le ha fatte incidere addirittura sulle sue carte. Dice che sono
un tesoro quelle due iniziali, perchè sanno interpretare tutti i sentimenti.
Secondo lui, in caso di morte, i superstiti che hanno ereditato non mancano mai
di leggere per congratulazione; e, sempre secondo lui, gli sposi, che
possono averle soltanto tornando dal viaggio, leggono quasi sempre per
condoglianza.
Quando si
ammala una persona di conoscenza si deve subito mandare a domandarne nuove; e
la prima volta la persona di servizio dovrà presentarsi con carta di chi la
manda alla quale si aggiungeranno le parole: "Per prender nuove" ‑
o le iniziali p. p. n. Questo perchè la persona di servizio sia
conosciuta, e possa essere informata ogni giorno. All'annuncio che l'ammalato
entra in convalescenza, si deve mandargli la carta "Per
congratulazione." Se, come si usa da molti, la famiglia dell'ammalato
mette nella portineria giornalmente il bollettino del medico, gli amici
dovranno passare in persona almeno ogni tre giorni a sottoscriversi, e quando
non vanno, mandare una persona di servizio, che dovrà sottoscrivere: "per
il signore o la signora tale," senz'altro.
Il
convalescente manderà subito a tutti quanti si sono sottoscritti, o hanno
mandato a prendere nuove, la sua carta colle iniziali p. r., ed
appena potrà uscire, dovrà fare una visita a tutti. Trattandosi di un personaggio
illustre, alla cui porta, in caso di malattia, vanno a sottoscriversi
conoscenti lontani, ammiratori ignoti, basterà la carta di visita; ma invece
delle succinte e poco cordiali iniziali p r dovrà contenere alcune
parole di ringraziamento.
Se s'è avuta
una disgrazia in famiglia, si risponde a tutte le carte da visita ricevute con
le carte dei capi di casa, o quelle della vedova su cui si scrive P R (per
ringraziamento) salvo a ricevere e ricambiare le visite di condoglianza
dopo quindici giorni almeno.
Non debbono
mai essere le persone dolenti che si incaricano personalmente di mandare le
carte. Sarebbe dimostrar che la loro afflizione le impensierisce ben poco, se
lascia loro testa da pensare a tanta gente.
Assentandosi
dal paese dove si abita, o dove s'è passato qualche tempo si mandano ai
conoscenti le carte di visita colle iniziali p p c (per prender
congedo). Tornando dalla campagna o da un viaggio, si manda la carta di
visita senza iniziali. In questo caso aggiungere quella del marito sarebbe
ridicolo, perchè la carta è incaricata di dire che la signora è pronta a
ricevere e non è ammesso che un uomo possa dare la stessa nuova, senza essere
un principe; ed i principi sono dispensati da questa formalità verso i semplici
mortali.
In tutte le
circostanze una signora non rende mai la carta ai giovani soli, a meno di
essere francamente vecchia. Ad ogni figlio che ha perduto il padre o la madre,
anche una signora giovine manda la sua carta; ma dicono i galatei francesi, vi
aggiunge due parole di condoglianza. Oh Dio! Anche in quel momento solenne si
diffida di lui! Potrebbe abusare della carta di una signora! Le condoglianze
scritte non sono condoglianze, sono una guarentigia che non potrà farsi bello
di quell'invio, senza che si giustifichi da sè stesso con quelle parole. Oh
mondo pessimista! Oh mondo pedante!
Un figlio che
ha perduta sua madre! Ma inginocchiatevi dinanzi a lui per consolarlo. È per la
sua cara morta il vostro omaggio; e egli è sacro. Non dubitiamo dell'amore dei
figli. In che cosa crederemo più, allora? No, non voglio dubitarne; è triste il
pessimismo e spoetizza il cuore.
Parliamo
d'altro.
In Francia le
carte di visita di una signora non portano mai il suo nome di battesimo. Si usa
dire la signora Emilio di Girardin; la signora Vittorio, e la signora Carlo
Hugo. I galatei francesi sono in ammirazione dinanzi a questa trovata; secondo
loro è l'ultima espressione del decoro, perchè il nome di battesimo di una
signora non deve esporsi ad esser conosciuto dai profani: "Non debbono
saperlo, lessi in uno di quei galatei formalisti, che il marito, il babbo o il
fratello."
Confesso
d'aver visto in Italia, scritte in italiano, alcune carte di visita con quella
combinazione bislacca di nome maschile e titolo femminile. Ma se Dio vuole non
è ammesso dai nostri costumi.
È un
oltraggio al buon senso, ed è affatto inutile. Che torto può fare ad una
signora che si sappia il suo nome? Lucrezia romana la moglie modello, Susanna
tanto casta.... coi vecchioni, la vergine Maria, hanno serbata una riputazione
immacolata, malgrado tanti popoli e tante generazioni in possesso del loro nome
Ma i Francesi
non ci credono; e per dimostrare il loro rispetto a Maria, sentono il bisogno
di chiamarla Notre Dame.
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