CAPITOLO
II.
La
madre.
Annuncio
della nascita d'un bimbo ¾
Battesimo ¾
Ricevimento ¾ Ai
pranzi ¾
Presentazione dei bimbi ai conoscenti ¾ Presentazioni
delle figliole in società ¾ Civiltà
verso i maestri dei figli ¾ Verso i
loro amici ¾ Lutto ¾ Casi
riservati.
"Oggi
ci è nato un parvolo
Ci fu
largito un figlio.."
Ed ha trovato
tutto in punto per l'inaugurazione della sua vita, il piccolo amore? Non vorrei
che avesse a mancare nè un nastrino ad una cuffietta, nè un bottone ad un
bavaglino.
Sarebbe una trascuratezza
da parte delle mamme, alle quali il Padre Eterno, nella sua provvidenza
infinita, ha lasciato nove mesi di tempo per la cucitura del corredino.
Gli annunci
no, non vanno preparati. Quello è il compito del babbo. Ma lui è sempre cosí
assorto negli affari, che non si occupa affatto di simili formalità; e, giunto
il momento, si troverebbe intricato come un pulcino nella stoppa, se la sua
sposa non avesse pensato prima ad istruirlo, che il giorno stesso in cui la
gioia della paternità fa sussultare il suo cuore, dovrà informare i conoscenti
con una circolare. Altre volte agiva per conto proprio e della moglie. Erano
loro che comunicavano la nuova della nascita del loro bimbo.
Ma ora anche
i bambini s'emancipano. Sono loro che annunciano la propria venuta in hac
lacrymarum valle. Il babbo non è che il loro incaricato di affari. Provvede
i cartoncini lucidi col contorno dorato e vi fa incidere per esempio:
Guerrino Meschino
saluta col suo primo vagito gli amici della mamma e
del babbo.
Tal
paese, giorno tale, anno tale, ore tante.
oppure:
Il babbo e la mamma m'incaricano di dirle, signore (o
signora), ch' io venni al mondo ieri, ed ho bisogno della loro amicizia.
Guerrino Meschino,
e la data.
Soltanto alle
persone che si vogliono invitare al battesimo si manda una parola d'invito
manoscritta, a nome del babbo e della mamma.
Ma prima di
parlar del battesimo, mi lascino dire, signore mie, che dà una gran buona idea
dell'educazione d'una signora, l'udire dalle persone che ricevono le circolari
questi commenti:
¾ Come!
quella signora cuciva un corredino? Si faceva scorgere così poco. Non ne
parlava mai.
Non so se mi
spiego, e non vorrei spiegarmi troppo in questo libro. Ma debbono comprendere, che
le noie ed i disturbi che accompagnano le fatiche d'un corredino, non sono
argomento interessante nè piacevole in compagnia. Debbono tenerli per sè, come
un ammalato deve serbare a sè ed al suo medico le geremiadi delle sue
sofferenze.
Nulla è più
sconveniente di quelle persone sempre discinte, sempre sdraiate, che
intrattengono tutti delle loro nausee, delle loro piaghe, e condannano gli
amici ed i figliuoli degli amici, a certi studi fisiologici o patologici, non
compresi nel programma della loro educazione.
Quando il
bambino è nato bisogna pensare a battezzarlo.
Il compare e
la comare debbono esser stati scelti ed avvertiti da un pezzo; almeno due mesi
prima. È un incarico che impone una quantità di oneri, epperò non lo si deve
offrire che a parenti o amici intimi, di quelli che si può essere certi che lo
accetteranno di cuore e con gioia.
Bisogna
evitare ugualmente le persone d'una ricchezza troppo superiore a quella della
famiglia del bimbo, per non far supporre che si conti sulle loro larghezze; e quelle
troppo ristrette per non metterle in un impegno superiore ai loro mezzi.
*
* *
Un giovinotto
chiamato una volta a quella cerimonia, mi diceva:
¾ Ho tanto
speso perchè quel piccolo monello rinunciasse alla carne, che mi sono ridotto
io stesso, al regime dell'estratto di Liebig.
Quando però
una persona si offre di fare da compare o da comare, a meno d'aver già un
impegno precedente, non la si rifiuta mai.
Se una
signora, pregata di far da comare, per una ragione qualsiasi, non può
accettare; deve scusarsene colla massima cortesia, esprimendo i motivi del
rifiuto, in modo che questo non si possa attribuire a cattiva volontà.
Per lo più la
famiglia del nascituro lascia alla comare la scelta del compare. Una signorina,
in questo caso, non sceglie mai un giovinotto; e, per non escludere tutti i
giovani parenti ed amici del suo futuro figlioccio, rifiuterà di fare quella
scelta, accettando il compare che la famiglia del bambino sceglierà.
Le signore
maritate accetteranno il diritto di scelta, e daranno la preferenza a quel
compare che potrà, a loro credere, essere più utile al bambino, e più accetto
ai parenti; sempre però nella cerchia di persone che le verranno indicate come
disposte ad accettare quell'incarico.
La comare è in
dovere di offrire al figlioccio una medaglia d'oro o d'argento, con un bel
nastro, al momento del battesimo. Dopo tre mesi dovrà regalargli un intero
costume, il suo primo costume da passeggio; e più tardi il denteruolo d'avorio
montato in argento o in oro, col nastro per portarlo al collo1. Volendo
essere più generosa, potrà, alla medaglia, offrire anche l'abito da battesimo,
ed il guancialone (porte‑enfant.) Ma questo si fa soltanto in
parentela o nella massima intimità. Ed in tal caso, tutto sarà bianco, guarnito
con nastri color di rosa per una bimba, azzurri per un maschio. Non essendo in
molta confidenza, e volendo abbondare nei doni, la comare darà al bambino la
ciotola d'argento col cucchiaino e la sottocoppa e tutto il servizietto delle sue
pappe future.
La comare non
ha obbligo di fare doni alla partoriente; ma, ricevuta la nuova del parto, deve
mandarle subito un mazzo di fiori di bulgaro.
Il compare
deve regalare alla partoriente una coppa colla sottocoppa ed il cucchiaio, ed
un ovajolo col cucchiaino da ova; il tutto di metallo più o meno prezioso o di
porcellana, a seconda dei suoi mezzi e della sua generosità; l'ovaiolo sarà con
vantaggio mutato in un intero servizio per le ova.
In parentela
e nell'intimità si può mutare arbitrariamente il dono, tanto più se si tratta
d'una madre di famiglia, che ha già ricevute tante coppe quante sono i suoi
figli, e non può essere molto contenta di veder aumentarsi quella inutile
collezione. In tal caso si può offrirle una cuffietta di trina antica o moderna,
per le visite dei quaranta giorni che si ricevono in cuffia, oppure un gioiello
colla data del giorno in cui è nato il bimbo.
In alcuni
paesi il compare fa un dono alla comare, ed allora la comare o chi per lei, dà
un pranzo di invito in onore del compare, e questi prende posto, a tavola alla
destra della signora o della signorina, che gli ha fatto l'onore di tenere un
battesimo con lui. Il dono del compare deve limitarsi ad una confettiera piena
di dolci, che può essere tanto dì cartone e raso, come un oggetto d'arte
inapprezzabile, o un cofanetto di metallo prezioso, ma sempre una confettiera.
Ad un
battesimo come ad un matrimonio una signora non deve mai presentarsi vestita di
nero, si diceva fino a ieri. Da oggi la moda è cambiata; ed il nero è quasi il
colore preferito in quelle circostanze. La durerà questa moda? Ne dubito.
Il compare,
uscendo di chiesa, dà una mancia al sagrestano; e, rientrando in casa, dice
qualche parola alla nutrice o alla bambinaia raccomandandole il suo figlioccio,
e le pone in mano un dono in denaro. Lo stesso farà colla levatrice.
Prima della
cerimonia, compare e comare debbono imparar bene le risposte da dare al
sacerdote, le formule di rinuncia da fare in nome del battezzato, gli atti di
rito, le imposizioni delle mani, ecc.
Sarebbe
scortese verso i genitori del bambino e dimostrerebbe di prestarsi di mala
voglia alla cerimonia chi vi andasse senza esservi preparato.
Generalmente
la mamma è ammalata quando si celebra il battesimo, per cui non s'invitano che
i parenti e le persone di grande intimità, affine di evitare i rumori che le
riescirebbero fatali.
Se il
battesimo dev'essere fatto con pompa, si dà l'acqua al bambino, e si differisce
la cerimonia fino a che la madre sia abbastanza guarita per assistervi. Però
questo non si fa da molti. Quelle esistenze pargolette sono così fragili, che
difficilmente una mamma si mette in pericolo di veder morire il suo bambolìno
senza battesimo, sebbene alla crudeltà del limbo le mamme non ci credano, e si
tengano sicure, che tutte le porte del paradiso si spalancherebbero dinanzi al
piccolo innocente, per lasciarvelo svolazzare nella forma idealmente pura d'una
testina alata.
La mamma non
è obbligata a ricevere il compare in camera finchè sta a letto. Se crede però
di farlo nessun riguardo di convenienza vi si oppone. Ad ogni modo sarà il solo
uomo che godrà un tale privilegio, al quale la comare ha diritto.
Dopo il
battesimo, il padre del bambino offrirà un rinfresco al compare, alla comare ed
agli invitati. In alcuni paesi si suol dare un pranzo; ma da noi non si usa
prolungare dei complimenti, che terrebbero il marito lontano dalla moglie in
momenti, in cui sentono più che mai l'uno e l'altra il bisogno di stare uniti,
di comunicarsi le impressioni di quel nuovo amore, che è venuto a vincolare
maggiormente le loro esistenze.
Oltre alle
carte di visita in risposta all'annunzio, la mamma riceverà una visita dalle
persone più intime, fra quelle a cui ha comunicata la felice novella. Se la sua
salute glielo permette comincierà a ricevere dopo tre settimane dalla nascita
del bambino. Non in sala però, ma in camera da letto, o in un salottino
accanto.
La mamma deve
avere un abito sciolto ad accappatoio, ed una cuffietta. Nella sua abbigliatura
deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un
bambino; il roseo, se è una bambina.
Il
personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle
visitatrici. Lui però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di
sorta. Basta che, steso tra i merletti della sua culla, si degni di lasciarsi
ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo comodo in tutta
l'estensione del termine.
La prima
visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo, dev'essere
per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla.
E, più tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui
portato dalla nutrice o dalla bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato
con una visita la sua venuta nel mondo. Per riguardo al bambino, a cui si
debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora, andando a
piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro.
*
* *
Ed il bimbo
cresce; comincia a balbettare; ed è una delizia averlo a tavola dove mangia un
po' di tutto, e discorre....
E tuttavia se
si hanno persone a pranzo che non siano di grande intimità, mi duole il dirlo,
e confesso che mi duole anche il vederlo fare, non l'approvo, ma tuttavia è un
fatto che i bimbi non si mettono a tavola. Che farci? Vi sono persone
intolleranti, a cui tutto dà fastidio. Un bambino durante un pranzo, fa cadere
almeno una dozzina di volte il cucchiaino, il pane, e tutto quello che ha
intorno. Vuol pigliare il bicchiere e la sua manina, piccina, unta, inesperta,
lo lascia scivolare sulla tovaglia. Se qualche cosa gli dà noia, piange. Se è
di buon umore, si mette a galloriare rumorosamente, senza curarsi
d'interrompere i discorsi; anzi, più la conversazione è animata più grida anche
lui.
Per me, tutte
queste sono delizie, e non pranzo mai tanto bene, come quando vedo la tavola
contornata di testine bionde. Ma pare che sia una manìa speciale a me sola, o a
ben pochi.
La generalità
trova che i bambini disturbano, e la convenienza vuole che non si mettano a
tavola se non si è in famiglia o nella massima confidenza; e così sia! Si fanno
però entrare alle frutta.
*
* *
Ho la
disgrazia di conoscere una signora che ha sette figli. La maggiore è una bimba
di tredici anni; il più piccino è un baby di tre anni e mezzo. La natura
ha data a tutta quella cara marmaglia una memoria straordinaria, per la massima
afflizione degli amici di casa.
Si esce col
proposito di fare almeno quattro visite. Ma è sabato. La signora Feconda riceve.
Si sale prima da lei. Dopo un quarto d'ora si vorrebbe congedarsi.
¾ No;
aspetti un momento. Le faccio vedere Lotto (Carlo, Carlotto, Lotto) e Vevè
(Vincenzo, derivazione inesplicabile) che non sono a scuola.
I due signorini
entrano invariabilmente col naso sporco.
¾ Salutate
la signora. Come si dice? Buongiorno, ma non basta, Cosa si fa? Si dà un bacio
alla signora.
La signora
esita un momento. La mamma se ne accorge.
¾ Oh ma
che naso avete! e colla sua pezzuola fa la pulizia di tutti i piccoli nasi, e
non transige sul bacio.
¾ Ed ora
fatele sentire una poesia. Prima tu, Lotto.
¾ No, ¾ Sì. ¾ No....
¾ Dilla, e
la signora ti dà la chicca. La signora non ha chicche e resta mortificata.
Intanto tornano gli altri cinque figli dalla scuola. Un bis di
presentazioni, di saluti, di pulitura di nasi; e poi la mamma in possesso di
tutta la compagnia, dispone le cose in modo, che, col buon esempio dei grandi
destando l'emulazione nei piccini, riesce a far udire, alla visitatrice tutto
il repertorio delle poesie, da Lotto che diverte balbettando in francese:
"Je suis un enfant gâté
De jolie
figure."
fino alla primogenita, che fa
addormentare recitando tutta la Passione di Manzoni, di cui non capisce
il gran nulla.
Intanto sono le
cinque; le altre visite sono andate a monte e la visitatrice deve ancora
leticare colla signora Feconda, la quale vorrebbe farle sentire che la
signorina dice il Natale ancora meglio che la Passione e poi
eseguisce una sonata.... e che Vevè, oltre all'Ode all'Italia di Leopardi, che
ha declamata, sa tutta La Charité di Victor Hugo in francese. E la
lascia partire a stento promettendo però di renderle visita accompagnata da
tutta la sua dotta prole, per darle una rappresentazione a domicilio.
Ah signore mamme!
Lo sanno pure quanto noi siamo di difficile contentatura in fatto di
recitazione! Io confesso che, prima di decidere se prenderò l'abbonamento al
Manzoni ho bisogno di sapere chi sono tutti gli artisti della compagnia....
Si figurino
se posso divertirmi alle declamazioni delle loro piccole gioie! Udrò sempre volentieri l'enfant gâté de jolie
figure a dirmi:
"J'aime
les petits pâtés et les confitures,
Si vous
voulez m'en donner
Je saurai
bien les manger."
Ma, lo
ripeto, io faccio eccezione per la passione che ebbi sempre pei bambini. Stiano
certi che alla generalità i loro bimbi saranno tanto più accetti e simpatici
quanto meno reciteranno, e quanto più brevi saranno le loro permanenze in
salotto.
Da qualche
tempo gl'italiani si sono accorti che la nostra lingua è bella, armoniosa e
ricca, e sopratutto che è la nostra lingua, e prima di guastare la pronunzia
dei bambini avvezzandoli alle lingue straniere, li avvezzano a parlar bene
l'italiano. È un uso da raccomandarsi caldamente.
Come pure è
da raccomandare che non si facciano parlare ai figlioli le lingue straniere che
sanno o che imparano, quando sono presenti persone estranee alla famiglia.
Oltre ad essere un'affettazione vana, può anche darsi il caso che metta
nell'imbarazzo un fior di galantuomo che senza valer meno di nessuno per
intelligenza, non ha imparate le lingue straniere.
*
* *
Ed ora le
loro bimbe si sono fatte grandi. Sono signorine. Bisogna aver pazienza, signore
mamme, e cangiar modo di vivere. L'abbonamento alla commedia bisogna lasciarlo,
le signorine non vanno alla commedia, ed una mamma per bene, non le lascia sole
tutta la serata in casa per andarci lei.
Può condurla
al pattinaggio, al gioco del lawn-tennis, all'opera; ai balli di famiglia, e
dopo i sedici anni, anche ai grandi balli.
¾ Ma, ¾ scusino,
mi rincresce dirlo, so che è un sacrifizio; ¾
tuttavia.... che farci. Una mamma che accompagna una signorina non deve nè
ballare, nè pattinare, nè giocare al lawn‑tennis.
¾ Quando è
decrepita forse?
Nossignora,
anche quando non lo è.
¾ Ma io
sono tutt'altro che vecchia....
¾ Lo so,
si figuri! Chi mai è vecchio a questo mondo? Ma lei accompagna una
signorina....
¾ Ma io
non ho che trentanove anni, undici mesi e ventinove giorni.
¾ Ma
accompagna....
¾ Una
signorina, ho capito; ma, dacchè son giovine anch'io....
¾ Ma!
Del resto
possono ballare, se vogliono, e giocare e pattinare. Chiunque possiede due gambe,
e due braccia, può fare tutte queste cose. Ma allora non mi domandino se è
conveniente. Altrimenti sono costretta a dire di no. Una signora che accompagna
una signorina non deve prendere parte attiva ai divertimenti giovanili ai quali
prende parte sua figlia; eccettuato alle commedie da salotto ed ai concerti se
sa di musica perchè l'arte è di tutte le età.
*
* *
I maestri a
cui una madre affida l'istruzione ed in parte l'educazione dei suoi figli,
debbono godere tutta la sua stima e la sua fiducia. Dovrà dunque accompagnare
in persona per la prima volta i fanciulli alla scuola, ed in seguito fare ai
maestri quelle visite di dovere, che fa ai vecchi parenti ed ai superiori.
Se i
professori dei figli sono giovani e la madre pure è ancora giovine, supplirà
alle visite di dovere che non può fare, invitandoli alle sue riunioni.
Molte
signore, che sono pure educate e gentili, hanno l'imprudenza d'incaricare i
loro bambini stessi di presentare ai maestri i doni che vogliono offrir loro in
segno di riconoscenza, al capo d'anno o al finire delle scuole. Ed i bambini ne
fanno un mondo di piccoli pettegolezzi.
¾ Tu
cos'hai portato alla maestra?
¾ Un
ventaglio d'avorio. E tu?
¾ Oh, io
le ho dato un braccialetto; costa tanto.
¾ Io
l'orologio colla catena. Coi maestri bisogna esser generosi se si vogliono
avere i premi. L'ha detto la mia mamma.
Quante cose
dicono le mamme che farebbero assai meglio a tenere per sè!
Che i bambini
non odano mai discorrere dell'onorario dei maestri, del prezzo delle lezioni,
Se v'ha un punto su cui sono inclinata a convenire con Rousseau, nella sua idea
che l'uomo nasce con tutti gli istinti buoni, e la società lo corrompe, è
l'apprezzamento del denaro.
Non so se
tutti i bambini siano come eravamo le mie compagne ed io. Ma noi mentre
nutrivamo un'ammirazione stupida per la ricchezza, come idea astratta e nelle
sue manifestazioni di lusso, avevamo una specie di ribrezzo pel denaro. Ci
umiliava come un errore, ci faceva arrossire come una vergogna.
Una volta
andai con altre fanciulle della mia età, ad un breve corso di lezioni di
rammendo. Erano otto lezioni. All'ultima la mia mamma, che era sofferente e non
poteva uscire, mi diede i denari da consegnare alla maestra. Le mamme delle mie
compagne avevano fatto lo stesso colle loro figlie. Quella maestra nomade,
uccello di passaggio, autorizzava forse ai loro occhi un tratto meno delicato.
Noi ci consultammo prima della lezione:
¾ Tu come
fai? Osi darle il denaro in mano?
¾ Io no,
non oso.
¾ E neppur
io. E neppur io.
Ci sembrava
di avvilirla. Come fare?
La maestra
aveva una piccola scrivania.
¾ Se
mettessimo il denaro qui dentro? dissi io. Lo troverebbe da sè e noi non
s'avrebbe la vergogna di darglielo.
Tutte
d'accordo mettemmo i quattrini sotto la ribalta della scrivania e non ci
pensammo più.
Due giorni
dopo la maestra, che doveva partire, mandò a tutti i nostri parenti la carta di
visita pregandoli a voler saldare la loro piccola partita.
¾ Cos'era
stato? Cos'era avvenuto dei denari? Come! Li avevamo messi là, in un luogo
aperto? Alla guardia di Dio? E si era figurato tutti male presso quella
maestra, che aveva dovuto domandare il suo compenso....
Grande
agitazione nelle famiglie. Il fatto era che la maestra aveva fatto imballare la
scrivania senza sollevarne la ribalta, ed i quattrini dormivano là dentro al
sicuro d'ogni pericolo. Ma a noi fece un'impressione punto poetica, il vedere
genitori e maestra, in tanta agitazione per quella miserabile questione di dare
e d'avere. E, sopportando i loro rimproveri, avevamo un'idea vaga che vi fosse
più nobiltà nella nostra sprezzante noncuranza, che nella loro esattezza.
I fanciulli non possono farsi un'idea delle necessità materiali
dei maestri, che vedono vestire e trattarsi come i loro parenti. E, se
quell'idea se la facessero, il prestigio dei maestri sarebbe distrutto.
Tocca alle
mamme il conservarlo intatto non immischiando mai i loro figli nei rapporti
d'interesse coi loro superiori.
Se i figlioli
sono in collegio fuori di paese, la mamma supplirà con lettere e carte da
visita alle cortesie che dovrebbe fare personalmente ai maestri. Le lettere
dirette ai figli ed ai maestri non dovranno mai essere chiuse nella stessa
busta; e scrivendo ai fanciulli non si accennerà mai ai doni che si possono
aver fatti ai loro superiori.
Oltre
l'educazione della scuola e del collegio, le signorine hanno le lezioni di
musica, di disegno, di lingue straniere, che prendono a domicilio, e continuano
fino a tempo indeterminato.
Molte
signore, che escluderebbero con orrore dall'amicizia delle loro figliole una
signorina, di cui si dicesse che riceve visite di uomini quando sua madre non è
in casa, lasciano poi quelle figliuole impeccabili, sole durante un'ora col
maestro di pianoforte e di lingua inglese.
È troppo
spingere la fiducia ed il rispetto, signore mie. I maestri sono uomini come gli
altri, ed una madre per bene non deve mai mancare di assistere alle
lezioni delle sue figlie. Se è occupata, se ha una visita, si fa supplire
all'assistenza della lezione, o la differisce.
*
* *
Nei collegi
si fanno le conoscenze senza tante formalità, per cui accade spesso che due
giovinetti o due giovinette stringano una relazione intima sebbene le loro
famiglie non si conoscano.
In tal caso,
quando i ragazzi escono di collegio, prese le debite informazioni, toccherà
alla madre più attempata, o a quella che occupa una situazione più elevata, a
fare il primo passo, mandando la carta di visita con qualche parola d'invito
all'altra mamma, la quale risponderà subito con una visita; non mai con una
carta.
Se una
signora invita delle signorine a passar qualche tempo in casa sua, dovrà
esercitare su di loro la stessa sorveglianza che esercita sulle sue figlie:
assistere alle loro lezioni, accompagnarle; e se ha dei figli grandi, vigilarne
il contegno rigorosamente, in modo che le ospiti non abbiano a trovarsi, neppur
un momento, in una falsa situazione. La regola più sicura e migliore è di non
offrire ospitalità a signorine quando si hanno in casa giovinotti, e di non
offrire ospitalità a giovinotti quando si hanno in casa signorine.
Se poi è sua
figlia che accetta l'ospitalità in casa altrui, la mamma deve provvederla di
denaro, perchè possa largheggiare di mance colle persone di servizio. Su questo
punto, nessuna economia.
Non
dimenticherò mai un signore molto ricco, il quale venne a passare dieci giorni
in una villa dove ero ospite anch'io. Nel partire avvertì pomposamente la
cameriera, in modo che tutti potessero udire, che aveva lasciato in camera
qualche cosa per lei. Ed infatti trovò venti centesimi accuratamente
avvolti in una carta.
La padrona di
casa era una persona educatissima, che non si sarebbe mai immischiata di certi
particolari. Ma quella volta non seppe resistere. Quando la cameriera, sicura
del successo, osò venire nel salotto, dove stavamo lavorando, a dirci quella
novella, vi fu uno scoppio d'ilarità spontanea e generale, in barba alle
convenienze. Quell'ospite aveva fatto il primo passo, e le sconvenienze sono
come le ciliege, una tira l'altra, e non si sa più dove si va a finire.
*
* *
"Otez
de la vie le cœur qui vous aime, qu'en reste‑t‑il?"
Cosa ci
resta, mie signore, quando si perde lo sposo a cui eravamo unite per la vita, i
genitori che furono il primo dei nostri amori, i figli che furono l'ultimo?
Cosa ci resta? Nulla. Il dolore e null'altro. Eppure si lesina il tempo al
lutto dei più prossimi, de' più cari. Il lutto che si usa da noi è scarso.
Una vedova,
un vedovo, parlo della Lombardia, portano il lutto un anno. Un anno! Tutti gli
anni del nostro avvenire che avevamo promessi, giurati ad uno sposo, glieli
ritogliamo, perchè la sventura l'ha colpito, perchè non è più a pagarceli con
altrettanto del suo tempo, del suo amore.
Un anno solo!
e dopo un anno le vedove possono danzare, i vedovi possono vestire la casacca
d'arlecchino. Chi muor muore, e chi vive si fa cuore. Oh! chi mi rende
l'eroica poesia del rogo, e le vedove entusiaste che si bruciano sul cadavere
del marito? A patto ben inteso, che i vedovi si brucino un pochino anche loro
sul rogo delle mogli.
Ma per
tornare alle convenienze sociali, le vedove che non desiderano di bruciarsi,
possono farne a meno senza mancare di civiltà. E, quanto al lutto, possono
uniformarsi agli usi del paese dove vivono. Sono libere però di prolungarlo,
non di abbreviarlo.
In Francia,
ed anche in Piemonte, il lutto da vedova è di due anni. Il primo anno tutto in
lana nero, con gran velo vedovile che copre quasi tutta la persona. È sempre il
costume del rogo; nobile, pittoresco, solenne, senza gale, senza vetro nero
lucente; la tetra divisa del dolore. È così ch'io comprendo la sposa d'un
morto. Ma il secondo anno, anche in Francia e dappertutto, comincia un
crescendo di luce, di tinte: il velo scompare, le gramaglie cedono il posto
alla faglia di Lione, al taffetà di Napoli, neri, ma lucidi; e comincia a
fremere in fondo una gala e poi un'altra. Poi, dopo sei mesi, compare un solino
bianco, coi relativi polsini: e dopo tre mesi ancora, un abito bigio,
violetto.... E poi è finito. Ci si mette un anno di più, ma ci si arriva sempre
alla casacca d'arlecchino.
¾ Ma cosa
pretende, marchesa? Che si vesta di nero tutto il resto dei nostri giorni,
perchè s'è avuto la disgrazia....
¾ Io? Chi
lo ha detto? Nemmen per sogno. Io non ho opinioni. Cito le regole, e basta.
Da noi il
lutto da vedova è d'un anno. Si può fare il secondo semestre col mezzo lutto.
Ma non è più di moda. Dunque un anno di lutto; e non c'è morto per bene che
abbia diritto di lagnarsi della propria moglie.
Il lutto pel babbo, la mamma,
i nonni è pure d'un anno. Pei fratelli, le sorelle, gli zii, è di sei mesi. Pei
cugini, i cognati, tre mesi soltanto.
Per una
persona da cui si eredita si porta un lutto almeno di tre mesi. La servitù
d'una famiglia in lutto grave, deve pure essere in lutto. E questo si fa,
beninteso, a spese dei padroni.
¾ Scusi,
marchesa, non ha parlato della somma delle sventure: una madre a cui muore un
bimbo....
¾ Ebbene,
lo fa seppellire.
¾ Ma il
lutto?
¾ Il
lutto? Ma che, le pare? Non si usa. Se lei, signora lettrice, dovesse perdere
quel suo cherubino biondo, il giorno dopo si vestirebbe come il giorno prima. I
selvaggi, gli Esquimesi, ed anche i chimpansé, quando perdono i loro figli si
rotolano per terra, si coprono il capo di polvere. Sono i loro segni di lutto,
e, da veri barbari, li dànno pei figli come pei padri. Ma noi, gente civile,
abbiam trovato il pelo nell'ovo. Noi sappiamo che i genitori sono superiori ai
loro figli, ed i superiori non portano il lutto per gli inferiori.
Superiori?
Inferiori? Davanti ad un morto? Ed una madre potrà pensar questo? E non si
coprirà tutta di nero! e non si circonderà di un lutto rigoroso, lei che ha nel
cuore il più grande dei lutti umani, il più grande degli umani dolori?
"Oh mondo bello, tu sei pien d'orror!"
Ma mi
perdonino questa scappatina di sentimento. Il mio compito era soltanto di dire,
che le mamme ed i babbi non hanno nessun dovere di portare il lutto pei loro
figli; però, se arbitrariamente volessero portarlo, come molti fanno, i codici
non hanno pena speciale per questo delitto.
Oltre ai
lutti di famiglia vi sono lutti di circostanza. Una signora, invitata alle
esequie d'un conoscente, deve andarci tutta vestita di nero, e se la stagione
lo permette, col velo invece del cappello. Altrimenti coprirà il cappello con
un velo nero.
Quando si ha la
disgrazia di portare un lutto nazionale, la durata del lutto per una signora
dipende in gran parte dalla situazione del marito. Ad ogni modo però, non
essendovi una regola prestabilita per queste dolorose circostanze, sarà bene
uniformarsi alle disposizioni che sono prese al momento dalla generalità, e
peccare piuttosto per eccesso che per difetto.
Il lutto
quaresimale si porta rigorosamente soltanto nella settimana santa. Vi sono
alcune signore che vestono di nero tutta la quaresima. In tal caso però bisogna
astenersi dalle feste e dai balli, oppure deporre il lutto in quelle
circostanze. Il ballo non è certamente in nessuna epoca una mortificazione
quaresimale, e sarebbe assurdo portarvi un abito di penitenza e di divozione,
che vi figurerebbe come un arlecchino a servire la Messa.
*
* *
Per le mamme,
come pei confessori, vi sono dei casi riservati. Non per tutte, fortunatamente,
ma pur troppo per alcune. Cominciano sempre da una scoperta dalla mamma, a cui
tiene dietro la recitazione, a porte chiuse, di pochi versi di Molière:
"La mamma. Le deviez‑vous aimer, impertinente?
La figliola. .
. . .
. . .
. . .
. . .
. . .
Hélas!
Est‑ce que j'en puis mais? Lui seul en est la cause
Et je n'y songeais pas lorsque se fit la chose."
Ed intanto
una letterina della figliola, o magari la sua fotografia, sono nelle mani d'un
giovane che potrebbe essere imprudente, e che, ad ogni modo, se non la domanda
in isposa, non ha nessuna ragione di tenerle. E la ragazza ci pensa, e ne
soffre per quell'implacabile
"Amor che a nullo
amato amar perdona."
In tal caso
una madre veramente ammodo non ne parla a suo marito per non esporlo a
quistioni. Non ricorre a terze persone che, per quanto parenti od amiche, sono
sempre di troppo in un segreto, in cui è impegnato il decoro di sua figlia
"Io della
vita nella dubbia via
Il peso porterò delle tue pene."
È la santa
missione della madre. Tocca a lei sola quel peso. Deve scrivere al giovine,
parlargli a cuore aperto:
"Avete tolta
alla mia figliola la pace del cuore. Avete fatto male. E lei pure ha fatto male
scrivendovi. Ma voi avete più esperienza di lei. Voi sapete che, senza averla
domandata a suo padre, e senza esserle fidanzato non avete diritto a quella
corrispondenza. So che non abusereste dell'imprudenza d'una giovinetta per
comprometterla; ma una lettera si può perdere, è cosa troppo delicata. Siate
generoso. Rendetela a me...."
Non bisogna
incoraggiarlo (pregarlo sarebbe una enormità) a domandare la fanciulla in isposa.
Una madre non offre mai sua figlia a nessuno. Se n'è innamorato davvero, nel
restituire la corrispondenza clandestina alla madre, il giovinotto le scriverà
delle scuse, una confessione generale, e le chiederà il permesso di domandare a
suo marito la mano della figlia; o, se la signora è vedova, la domanderà a lei
stessa. Se è innamorato, ed ha cercato d'illudere una giovinetta senza scopo e
senza passione, è meglio che se ne vada: un uomo sleale non sarebbe mai un buon
marito.
Ad ogni modo,
il passo fatto dalla mamma non può essere infruttuoso, nè compromettente. Ho
conosciuto dei giovani che hanno abusato delle lettere d'una signorina. Non ne
ho conosciuto mai nessuno capace di abusare di quella di sua madre. E se un
simile essere, per una mostruosa eccezione, esistesse, per fortuna non viviamo
tra i barbari; alla prima parola troverebbe un gentiluomo per dargli una buona
lezione.
Io stessa ebbi qualche volta l'occasione di assumere
quel penoso incarico per giovinette amiche prive di madre, e, sia detto ad
onore dei nostri giovinotti, fui corrisposta sempre con cortesia, lealtà,
rispetto.
Dopo un fatto
simile, dovunque si scontri col giovine imprudente, una signora dovrà essere la
prima a fargli comprendere che è disposta a salutarlo.
Nel caso in
cui un matrimonio si sciogliesse dopo che la sposa ha già ricevuti i doni,
toccherà alla madre il rimandarli allo sposo, con tutti quelli che lui avesse
offerti agli altri membri della famiglia, e con un suo biglietto dignitoso, in
cui lo dispensa, per riguardi che deve comprendere, da qualunque visita o
saluto.
Cesserà pure
dalle visite alla famiglia ed ai parenti di lui; non manderà più a loro carte,
nè annunci in nessuna circostanza, finchè la fanciulla non sarà maritata; però,
scontrandoli, non eviterà di salutarli.
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