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Marchesa Colombi
La gente per bene

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  • PARTE SECONDA     LUCI ED OMBRE
    • CAPITOLO I.   La signorina.
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PARTE SECONDA

 

 

LUCI ED OMBRE

 

 

CAPITOLO I.

 

La signorina.

 

In casa ¾ Visite ¾ Pranzi ¾ Balli ¾ Ospiti in casa altrui ¾ Ai bagni ed in villa ¾ Corrispondenza.

 

Quando penso che questo capitolo, dedicato alle giovinette che sono tutte freschezza, tutte azzurro, tutte luce, debbo cominciarlo brontolando, m'indispettisco contro me stessa. Sono dunque tanto decrepita, da non saper più sorridere ai vent'anni sereni e biondi?

Ebbene no. Non voglio brontolare. C'è sempre modo di dire con garbo anche le cose più dispiacevoli. È una scoperta che hanno fatto i farmacisti quando hanno inventato di inargentare le pillole.

Io non posso inargentare la mia vecchia persona. Ma mi riparerò all'ombra d'un poeta moderno e simpatico. Traverso l'azzurro della sua leggenda, apparirà meno uggiosa la tinta grigia de'miei consigli.

¾ Sono state al teatro a sentire la Partita a scacchi, signorine?

¾ Il babbo dice che le signorine non debbono andare alla commedia.

¾ È vero. Allora l'avranno letta? Neppure? Ebbene, in quella Partita a scacchi c'è una fanciulla giovane come loro, bella come loro, bionda come le visioni dei poeti, placida come l'innocenza, serena come un lembo di cielo.

Si chiama Jolanda. È una figlia unica, ricca come una miniera, nobile come una regina. Ed elegante poi! N'hanno voglia loro, mie giovani lettrici, di studiare abbigliature e di mutarle? Jolanda non avrebbe che a comparire, per ecclissarle tutte. Portava in casa un abito lungo a strascico, di raso azzurro, guarnito d'ermellino, rialzato da un lato sopra una gonna di velluto; ed aveva le treccie cadenti; due lunghe treccie bionde, morbide, lucenti.... Oh le belle treccie di Jolanda! Non c'era partito così splendido, che fosse superiore a quella ricchezza di treccie.

E Jolanda viveva solitaria col suo babbo in un vecchio castello, dove i giorni erano tutti uguali, dove non c'era mai ricevimento, punto feste, punto teatri, e se capitava una visita, era un avvenimento.

Loro pensano di certo: ¾ Come doveva annoiarsi, poverina!

Ebbene no, signorine mie. E qui sta tutto il merito di Jolanda. Sapeva amare la sua casa, sapeva starci. È appunto l'argomento su cui ero disposta a brontolare in principio di questo capitolo.

Via. Una mano alla coscienza, belle fanciulle.

Nella situazione di Jolanda, in un completo isolamento dove, se un poeta non gliel'avesse condotto, non sarebbe capitato forse mai un giovine per apprezzare la sua bellezza, come sarebbero state tristi loro! Come avrebbero deplorata la loro miseria, e pensato giorno e notte al pericolo tremendo di rimaner zitellone! Ed il povero babbo, invece d'una compagna gioconda e serena, si sarebbe visto accanto un viso allungato, una fronte accigliata; ed in ogni atto della sua figliola avrebbe indovinata la noia della sua casa, della sua compagnia, ed il desiderio crudele d'essere altrove.

Eppure Jolanda non era insensibile nè senza aspirazioni. Lei stessa diceva una sera al suo babbo:

        "Anch'io,

Quando mi trovo sola meco stessa e con Dio,

Sogno talora i gaudi dell'amore, e mi sento

Addormentarmi l'anima tutta in un rapimento."

 

A quei tempi le signorine educate parlavano in versi. Ora però si può anche farne a meno.

 

E fingo che il mio fato conduca un forte e bello

A superar la fossa del mio patrio castello.

Lo ascolto in tuon sommesso mormorarmi parole

Più ardenti e più feconde che la luce del sole,

E lo sguardo negli occhi che divampano fuoco

E mi cullo in visioni celesti... e a poco a poco

Mi risveglio... e le sale del mio patrio castello

Non suonan mai dei passi di questo forte e bello.

 

Ebbene, cosa importa? Il forte e bello non compariva, e Jolanda era sempre lieta ugualmente come un raggio di sole. Non parlava mai di quando sarebbe maritata; il babbo le diceva:

¾ Bada, Jolanda, non si vive isolati. Se non accetti qualche partito fra quelli che ti sono offerti, corri il rischio di rimanere zitellona. Provvedi al tuo avvenire.

Jolanda rispondeva celiando:

 

 "Sì, fonderò un convento per farmene badessa."

 

E discorreva del tempo, dei boscaioli, delle vecchie piante che finiscono nel focolare, e s'interessava ai racconti del babbo, che le ripeteva le sue gesta giovanili o le narrava una certa fiaba di Aroldo e il suo corsiero; in fine stava là in quelle antiche stanze solitarie come un augello nel suo nido, il quale vi si trova bene, e vi si adagia come se dovesse rimanervi tutta l'eternità, salvo a volarne via l'indomani s'intende.

Loro invece, signorine... scusino, bisogna pur venirci a questa conclusione; ¾ le favole sarebbero pur belle se non avessero la morale in fondo, ma, poichè ce l'hanno inventata, lascino che io la metta come si faceva ai miei tempi, ¾ loro dunque, non s'adagiano punto nella loro casa, nè come l'augello nel nido, nè come nessun'altra immagine di cosa adagiata. Ci stanno, salvo il rispetto, come il diavolo in una ampolla. Sono irrequiete, impensierite. La loro mente non è lì. Ogni giorno si meravigliano, si impazientano di esserci ancora, come se la casa paterna fosse un albergo, o un ponte gettato tra il collegio e la casa coniugale, e da traversarsi in fretta, per paura che si rompa sotto i piedi.

Non saranno tutte così; ne convengo, almeno lo spero. Ma conobbi molte, moltissime fanciulle; ed, eccettuate ben poche, tutte dimostravano una tale impazienza di maritarsi, da dar ragione al signor Achille Torelli, nel ritratto poco lusinghiero che ha fatto della Fanciulla.

Sovente ho udito una giovinetta dire: ¾ Quando sarò a casa mia, farò questo o quell'altro; ed intendeva: quando sarò maritata.

Che impressione doveva fare al babbo, alla mamma, l'udire che la loro figliola non si sentiva a casa sua, in mezzo a loro e nella loro casa!

Se si tratta d'andare in campagna, dove non c'è altra compagnia che le persone di casa, si mostrano disgustate e non mancano di parlare di quella loro miseria, come vestali che stiano per essere sepolte vive. Ma i loro genitori cosa sono?

Per riguardo a loro, e per il rispetto a quel dolore che dovranno provare, staccandosi dalla loro figliola per darla ad uno sposo, una signorina educata non dovrà mai dimostrare che desidera appunto di dar loro quel dolore, e che non ci prende parte.

Lo sposo stesso, che un giorno la piglierà, è già implicitamente offeso da quella smania di maritarsi, che gli dice anticipatamente:

¾ Badi, ch'io lo sposo perchè non vedo l'ora di diventare una signora, e non per lei. Se un altro fosse capitato prima, avrei preso quello.

Senza contare poi il ridicolo che matura sul capo di quelle che, poverette, non trovano marito. Si sente ogni giorno dire dall'una o dall'altra:

¾ La signorina tale ha già trentacinque anni. E non ha ancora marito!

¾ Poveretta, dopo averlo desiderato tanto

¾ Si ricorda lei? Diceva sempre: Quando sarò maritata....

¾ Ed il corredo che preparava?

¾ E quando si ricamava quella bella pezzuola, quante volte ha detto:

"Per ora non lo porto; servirà per quando sarò, maritata."

¾ Ora può servirsene per asciugar le lagrime ogni volta che si marita qualcun'altra.

Una signorina non dovrebbe mai dire: "quando sarò maritata" se non dopo essere fidanzata. Allora è un fatto che si prepara; non è più una supposizione nè una speranza, e potrà parlarne liberamente. Prima no. E se taluno le dicesse quella parola, dovrebbe rispondere:

¾ Io non so se mi mariterò. Non ci penso. Sto tanto bene in casa mia....

E debbono procurare di starci bene davvero, e di buon umore come si conviene alla loro età. Credano a me, il mostrarsi desiderose di marito, annoiate della propria casa e della propria famiglia, ha fatto invecchiar nubili tante belle ragazze. E la giocondità, la pace, l'amore del nido paterno, non ha mai impedito ad un augello di scioglierne il volo, nè ad una bella Jolanda di udirsi dire da un paggio innamorato, davanti a testimoni però:

 

   "Ti guardavo negli occhi, che sono tanto belli."

 

 

*

*  *

 

Qualche volta i babbi, i nonni sono molto vecchi; e, si sa, i vecchi sono spesso noiosi. Ho io bisogno di dir loro, signorine mie, che sarebbe oltremodo scortese il lasciar trasparire, da un atto, dalla fisonomia, da un momento di distrazione, il tedio che ispirano? L'ho detto ai bambini, perchè, poverini, non sanno ancora cosa sia mondo. Ma loro, signorine, ad educazione finita, non possono aver bisogno di questi insegnamenti.

So bene che non si dimeneranno sulla sedia, nè si divertiranno a sciupare i nastri e le frangie dei vestiti per trastullarsi, mentre gli altri parlano di cose che non le interessano; però talora, me lo lascino dire, si permettono il ripiego che ho suggerito ai bambini: si distraggono. L'ho suggerito ai bambini, non per evitare i discorsi noiosi che vengono fatti direttamente a loro; ma pel caso in cui altri parlasse, loro presenti, di cose che non li riguardano e che non capiscono.

Invece accade spesso che un vecchio parente fa un lungo racconto ad una figlia, ad una nipote; il racconto della sua giornata, o di qualche suo malanno. Ed intanto la signorina pensa a quel forte e bello di là da venire, al quale Jolanda pensava soltanto quand'era sola con sè stessa e con Dio; ed il narratore domanda:

¾ Che te ne pare? Come ti regoleresti tu?

¾ Lo sposerei... Ah! scusi; sa, zio? ero distratta.

Per una signorina gentile, una simile confessione scortese ad un vecchio dev'essere talmente umiliante e penosa, da farle ascoltare con attenzione inalterata tutte le lamentazioni di Geremia, lasciando al piagnoloso profeta l'illusione di essere il più ameno narratore del mondo.

Questa indifferenza delle fanciulle, questa noncuranza per tutto quanto non riguarda il loro avvenire, si rivela in tutte le occasioni. Le grandi feste di famiglia, quando si raduna tutta la parentela a pranzo, i ricordi che vi si evocano, lo scambio dei doni, le occupazioni del babbo, i suoi studi, tutto questo le lascia fredde. Ho vedute delle fanciulle passare delle ore in famiglia senza parlare, con un fare svogliato, ed animarsi soltanto all'entrare di un giovine visitatore. Ne ho vedute altre ricevere senza nessuna dimostrazione di gioia i doni dei parenti a Natale o a capo d'anno, senza neppure scartocciarli, riservandosi a guardarli più tardi. Tutto questo è penoso a vedersi.

Sono i servitori a cui si dà la mancia, che non debbono osservarla subito per non aver l'aria di contare i quattrini; ma un dono bisogna vederlo ed ammirarlo molto, e dichiararlo magnifico, fosse pure miserabile e di cattivo gusto: e ringraziare con espansione.

Ai vecchi amici di casa, ai vecchi parenti ed a tutte le signorine della parentela o dell'intimità, le giovinette dovranno fare auguri o doni all'occasione dell'onomastico o del natalizio. Ammetto che è difficile trovare ogni anno, e tante volte qualche cosa di nuovo da dire nelle identiche circostanze. Ma il farlo con aria infastidita non facilita la cosa. Il borbottare, il lagnarsi di quel compito forzato, è quanto dire a chi sente:

¾ Vedete? Quando verrà la vostra festa mi costerà tanta noia così il farvi gli auguri...

E la causa è sempre la stessa. È il pensiero costante dell'avvenire, di un affetto più grande e più forte, che impedisce a quei giovani cuori di sentire l'amicizia, l'amicizia calma e serena, che dura anche dopo l'amore svanito, e ce ne consola.

Se un precedente stabilito non ci fa sapere che un amico festeggia un natalizio, sarà bene fargli gli auguri per l'onomastico, perchè questo non calcola l'età come il compleanno indiscreto, il quale pare studiato apposta per non lasciarci dimenticare le tristi verità: che il tempo passa, che s'invecchia, che la morte s'avanza.

 

*

*  *

 

A' miei tempi, ¾ tempi delle vecchie mamme, delle nonne, delle bisnonne, ¾ le donne non ricevevano l'istruzione che si dà ora alle fanciulle. Allora era generale l'opinione dell'Arnolphe di Molière circa le donne:

 

"C'est assez pour elle, à vous en bien parler,

De savoir prier Dieu, m'aimer, coudre et filer.

 

Ora le giovinette escono dalle scuole dotte come tanti piccoli professori. Guardano il mondo dall'alto della loro dottrina geografica, senza mai scambiare un punto per un altro. Sanno perchè il Vesuvio erutta vampe e lava, e perchè la luna splende d'una luce scialba; ed il sole abbaglia coi suoi raggi; e dove scalda più e dove meno; ed un mondo di cose alle quali, ai miei tempi, non si pensava nemmanco. E non hanno paura a parlar di storia, nè di letteratura, e neppur d'algebra. E se non parlano di politica, è perchè sanno che è cosa uggiosa; l'hanno imparato studiando gli uomini. E, per un vezzo grazioso, tutto femminile, dicono ad ogni tratto:

¾ Voi altri che sapete di politica.... Oh, io di politica non ne capisco nulla!... C'è ancora il sultano di Turchia?... Ed a San Marino hanno sempre la Repubblica?

Ma chi ci crede? Se volessero, con quelle piccole menti intelligenti ed erudite, terrebbero testa agli uomini anche in politica. Fanno bene a non tentarlo, del resto.

Ma dov'eravamo? Ah sì! All'uscir della scuola.

Le signorine con quel po' di coltura, non hanno difficoltà a trovare i lati deboli dell'istruzione delle mamme. Quanta delicatezza ci vuole per non mostrare di trovarli, e per fare che lei stessa, la buona mamma, non si avveda della superiorità intellettuale della figliola!

Ho conosciuto una signora allevata in provincia, maritata a sedici anni, e subito divenuta madre di bambini che aveva allattati tutti lei stessa, dal primo all'ottavo. Prima di maritarsi aveva fatte due classi elementari, e poi non ci aveva pensato più. Poco aveva trovato tempo di leggere con quel po' di maternità. Per cui di rado imbroccava, quando voleva fare un discorso, altrimenti che nel dialetto lombardo al quale era avvezza.

Un giorno, dopo aver letto non so che cronaca di giornale, disse: ¾ Si fabbrica una casa sul Corso che ha da essere una meraviglia. L'articolo che ne parlava cominciava: È delizia.

E di questi granchi ne pescava sovente!

Quella sera sua figlia, uscita allora allora di collegio, esclamò ridendo:

¾ Chi sa perchè le mamme, quando non parlano di cose casalinghe, dicono sempre spropositi?

Credeva di essere una fanciulla di spirito. Non abbiano mai dello spirito a questo prezzo, mie gentili lettrici: la mamma diceva spropositi, ma le figlie fanno uno sproposito ben più grave mancando di rispetto alla madre ed umiliandola.

Se la mamma non sa parlare perfettamente in buona lingua, la figlia deve sempre parlare il dialetto quand'è presente lei, per evitare che sia messa nella necessità di prendere qualche cantonata. E, se ci casca, la figlia deve mutar discorso, affinchè la sua serietà ed il suo rispetto, impediscano di ridere ed impongano il rispetto anche agli altri.

Ma per fortuna le signore tanto ignoranti si fanno sempre più rare. Le signore anche attempate, in generale, parlano bene, e suppliscono col buon senso naturale, a quella mancanza di coltura che è una conseguenza del tempo in cui furono educate.

Basterà che la figliola eviti di mettere il discorso su argomenti astrusi, li tronchi se altri li ha intavolati, o non vi prenda parte; e la mamma non sarà costretta ad astenersi da una conversazione alla quale prende parte sua figlia o a fare cattiva figura.

E badino che, quando dico conversazione, non intendo soltanto le conversazioni con estranei: ma anche quelle del focolare, dove importa più che mai di mantenere il prestigio della mamma presso i fratellini, e di frenare i figli giovinotti sulla via sdrucciola dell'irriverenza, sulla quale si avviano tanto presto ai nostri giorni.

Non posso credere che esista nel mondo incivilito una signorina che sieda al suo posto a tavola, prima che siano seduti il babbo e la mamma, e le altre persone vecchie, e signore maritate che fanno parte della famiglia. Ma dato il caso, tutto è possibile a questo mondo, che fra le mie lettrici vi fosse una piccola ostrogota, la quale si trovi una simile macchia sulla coscienza, non lo dica a nessuno per carità; e si sorvegli bene per l'avvenire. In nessuna circostanza, in nessuna età della vita, bisogna lasciar andare il proprio contegno sulle massime volgari ed egoistiche:

«In famiglia ci si deve trattare in confidenza. In famiglia non si fanno complimenti.»

È in famiglia che passiamo la massima parte della nostra vita, ed è là, più che altrove, che bisogna serbare inalterata quella reciprocità di riguardi, quella cortesia squisita di modi, che sono fra le migliori espressioni dell'affetto, e senza di cui non c'è gentilezza d'animo possibile.

Ho conosciuto una signorina bella come un amore, (non ne ho mai visti di veri, ma parlo di quelli dipinti), intelligente, onestissima. Ma aveva modi, se non affatto aspri, asciutti. Di rado diceva una parola espansiva; si alzava, si coricava, usciva di casa, rientrava, senza mai gettare le braccia al collo ai suoi genitori, nè dar loro un bacio; colle amiche era fredda, aveva l'aria di diffidarne, di star sempre in guardia. Malgrado la sua bellezza non ispirò mai nessuna simpatia, rimase senza marito, fece il vuoto intorno a sè.

Gentilezza continua, inalterata, colla propria famiglia; espansione, cordialità con tutti, sono le doti essenziali d'una signora, la vera base della civiltà; e sopratutto deve saper interessarsi anche delle cose che non la riguardano personalmente, delle occupazioni, delle gioie e dei dolori degli altri.

 

*

*  *

 

Vi sono paesi dove le signorine non prendono parte alle visite che riceve o che fa la loro mamma. Da noi quest'ostracismo per le fanciulle non è ammesso, e credo sia meglio. Dall'oggi al domani una signorina si marita: se è affatto nuova alle visite, come potrà disimpegnarsene?

In Francia le signorine prendono parte alle visite, ma non parlano mai, se non sono interrogate, ed anche allora si limitano ad una risposta. Tutto questo è artificioso, forzato, è una ipocrisia.

Fra persone educate non si tengono mai, presente una signorina, discorsi che lei non possa ascoltare e comprendere senza arrossire. Sarebbe una sconvenienza senza nome, e nessuna padrona di casa potrebbe tollerarla.

Quale è dunque la ragione per cui una signorina non potrebbe prender parte alla conversazione? Proprio non la vedo. Conosco molte signorine che discorrono, con moderazione, soltanto delle cose di cui sanno di poter parlare ¾ d'arte, di letteratura, di balli, di nuove della città ¾ senza mai scendere a pettegolezzi nè darsi arie dottorali, colla schiettezza e la giocondità che sono proprie della giovinezza, colla sua fede ed i suoi entusiasmi; e le trovo adorabili, e vedo che tutte le simpatie si raccolgono intorno a loro.

Questo non vuol dire che una signorina possa intavolare lei un discorso, dove ci sono delle signore per farlo. Se però fra le visitatrici vi sono altre fanciulle o qualche signora giovane di sua confidenza, potrà benissimo la signorina di casa prendere l'iniziativa d'un discorso.

Ricevendo visite in casa sua una giovinetta non prende mai posto nè sul divano, nè ai lati del camino. Si alzerà ad incontrare tutte le signore, e si collocherà accanto a loro all'ultimo posto; se c'è una signorina le starà accosto; se sono più d'una, siederà in mezzo a loro.

Quando una signora, o anche un visitatore, si alza per uscire, se la casa non è abbastanza ricca perchè vi sia sempre qualche servitore in anticamera, la signorina suonerà il campanello perchè una persona di servizio vi si trovi ad aprire l'uscio. Trattandosi d'un uomo però, dovrà lasciarsi salutare prima da seduta, e non alzarsi per suonare il campanello, se non quando lui sarà per uscir dalla sala.

Le convenzioni vogliono che una signorina non sia mai la prima ad osservare che una visita è stata breve, nè insista perchè si prolunghi. Questo riguarda sua madre. Non deve mai domandar conto alle visitatrici dei loro figli, dei fratelli, dei cognati, quando sono giovinotti. Si deve limitare ad informarsi, delle signore, dei vecchi, dei mariti, dei bambini. È una affettazione ipocrita, ed io non l'approvo. Ma l'uso ne ha fatta una legge, che ora però si va perdendo.

E badino di non dire a nessuno: Come sta il suo signor padre o la sua signora madre, ecc. Non si sono mai trovate a sentire le vecchie commedie in cui i personaggi parlano così! A noi fa un effetto strano; sembra uno scherzo. Se la situazione sociale della persona a cui parliamo non è differente della nostra, si dice semplicemente il suo babbo, la sua mamma. Se poi si tratta di persone di gran soggezione, invece di nominarle col titolo di parentela, si dirà: Come sta il conte? La contessa? Il commendatore? Il presidente? Il duca? ecc., ecc. Alle persone che ci sono superiori non si mandano saluti; sarebbe un atto di confidenza.

S'immagini un povero scrittorello, un professorello, un concertista ricevuto dalla Regina, il quale nel congedarsi dicesse: Maestà, mi saluti il Re!

Andando a far visite una signorina, sia a piedi che in carrozza, lascierà la destra alla mamma. Se è col babbo, accetterà lei la destra, se le è offerta. Non avrà carte da visita, s'intende. Se è figlia unica, può avere un biglietto collettivo colla mamma: Signora e signorina tale. È però un'usanza imitata affatto dai Francesi. Da noi nessuno si chiama signora signorina sulla carta di visita. Si mette soltanto nome, cognome e titolo, se c'è, e la figlia scrive a matita il proprio nome sotto quello della madre.

Entrando in una sala una signorina siede accanto alla sua mamma, o accanto alla signorina di casa, se c'è. Se la padrona di casa le accenna un posto, anche al suo fianco, lo deve accettare senza complimenti, in atto d'obbedienza. Questo genere di complimenti indicano un sentimento di eguaglianza, che una giovinetta non può arrogarsi con una signora. Cederà poi quel posto d'onore alla prima signora che entrerà. In tal caso dovrà evitare di impegnare una questione noiosa. Dovrà alzarsi, ed accennando in atto di offerta il sedile abbandonato, andar subito a sedere presso sua madre.

È affatto provinciale l'usanza di certe signorine, di offrire alle figlie delle visitatrici di passare in un'altra stanza, o di andare con loro al balcone. Questo fa supporre discorsi secreti, che offendono le mamme, e fanno torto alle signorine. L'uscire sul balcone poi, perchè sono signorine, mentre le signore rimangono in sala, vuol dire:

¾ "Dacchè non abbiamo ancora trovato un compratore, andiamo a metterci in mostra; chi sa?"

Se la signora di casa è una di quelle adorabili persone attempate, che amano la gioventù, e la trattano con quell'aria di dolce protezione che invita l'affetto, una signorina farà bene a porgere il volto in atto di domandare un bacio nel congedarsi. Altrimenti cercherà, nello stringerle la mano, di accentuar molto l'inchino, in modo di escludere quel che c'è di confidenziale in quell'atto.

Se una signorina non ha madre, e fa o riceve visite colla istitutrice, deve lasciare a lei il posto alla destra del camino o del divano, con quella deferenza che è sempre dovuta da una giovinetta ai superiori. Però sarà lei che osserverà che la visita fu breve quando una signora si alza per congedarsi, e che insisterà presso le persone intime, perchè si trattengano più a lungo. In tali circostanze, se c'è qualche invito affatto privato e confidenziale (non potrebbero essere differenti, perchè in una famiglia senza signore non si fanno inviti), toccherà alla signorina il farlo. Potrà benissimo pregare un'amica di rimanere a pranzo, o a passare la sera; o di andare in campagna con lei. Ma non mancherà mai di dire che farà molto piacere anche al babbo ed all'istitutrice; e pregherà questa di unire le sue insistenze alle proprie, affinchè la povera signora, condannata dalle circostanze a vivere in una casa che non è la sua, non se ne senta troppo estranea, e messa da parte. Gli stessi riguardi dovrà usare ad una zia, o ad una parente qualsiasi che vivesse con lei.

 

*

*  *

 

Una signorina potrà accettare di pranzare da un'amica, e rimanerci, anche sola, sotto la custodia della signora di casa. Ma ad un pranzo d'invito non andrà se non accompagnata da una signora.

Tutto quanto è bello, grazioso, rasserena lo spirito; e se c'è momento in cui tutti desideriamo di essere di buon umore, e di veder tutti allegri e contenti, è quando sediamo a tavola. Per questa ragione io non finirò mai di ammirare l'abitudine degli Inglesi, che, anche in famiglia, non mancano mai di abbigliarsi per andare a pranzo. E pure per questa ragione che le abbigliature da pranzo, parlo dei pranzi d'invito, anche tra noi si usa farle più ardite ed eleganti da quella da visita e da passeggio. Le signorine dovranno scegliere fra i loro vestiti della stagione il più fresco e gaio. O, se si mettono un abito scuro, lo rallegreranno con fiocchi di nastri azzurri, rosei o rossi o di quel colore che la moda favorisce, in modo da far iscomparire la severità della tinta. Del resto, non c'è signora nè signorina che non possieda qualche abito bianco, e quello sta sempre bene ed è sempre elegante.

Non dovrei supporre che una padrona di casa, dando un pranzo, possa commettere la sconvenienza di collocare una signorina accanto ad un giovinotto. Ma siccome:

 

"Tutto è possibile sotto il sole" ‑ ed

"Errare humanum est" ‑ ed

"Error non è frode" ‑ ed

"Il giusto cade sette volte al giorno"

 

e mille altri proverbi, che non ripeto (perchè il dirne parecchi è una inciviltà condannata dai vecchi galatei), potrebbe darsi che una padrona di casa un po' inesperta cadesse in quell'errore, tanto per dimostrare ancora una volta che "non tutte le ciambelle riescono col buco."

Per carità, signorine mie, se codesto accadesse, si guardino bene dal fare la menoma osservazione e neppure un segno di meraviglia. Sarebbe rivolgere un rimprovero crudele alla signora che le ha collocate così.

Quando io era giovane, in temporibus illis, fui invitata ad una sagra di villaggio in una famiglia di ricchi proprietarii. Dopo il pranzo e le feste del giorno, si doveva ballare, per cui c'erano invitate molte signorine e molti giovinotti. Quella buona padrona di casa provinciale, avvezza alla semplice verità della natura in mezzo alla quale viveva, doveva aver fatto questo ragionamento:

¾ Se fra due ore i giovinotti e le fanciulle che ho invitati dovranno prendersi per le mani, abbraccíarsi, e circolare appaíati a due a due come colombelle, non ci può essere una ragione al mondo perchè si scandolezzino di trovarsi seduti accanto a tavola.

Era una logica da dar dei punti ad Aristotile.

E lei agì come avea pensato, e collocò a tavola ogni signorina accanto ad un giovinotto.

Tutte fecero "a mauvais jeu bonne mine", e molte mi confessarono che non l'avevano trovato un troppo mauvais jeu. Ma una, una sola, una signorina di villaggio, che era uscita per l'appunto di collegio, cominciò a guardarsi intorno impaurita, come se i due che aveva ai lati fossero due leoni pronti a farla a brani, o due Don Giovanni venuti là per rapirla.

Uno, che non era punto Don Giovanni, ed ancora meno lion, si sentì tutto confuso, si fece rosso, e tirò in là la sedia, come se temesse di sporcare quella signorina; ma l'altro fece le viste di nulla, le offrì da bere, e tutti i piccoli servigi che un uomo non manca mai di offrire ad una vicina di tavola.

Bisognava vedere l'aria diffidente e l'esagerazione di riserbo di cui s'armò quella poveretta! Parlava a monosillabi. Rifiutava tutto, era tutta sulle difese, pareva che fino i fiocchi del suo vestito appuntassero le nocche ed i capi come armi difensive. Il suo babbo, dall'altro lato della tavola, fremeva, Finalmente, vedendo che era giunta al dessert respingendo ogni piatto, e stava per rifiutare le frutta che il suo vicino le porgeva, le gridò:

¾ Via, accetta una volta! Non è veleno.

¾ Ah! era di questo che aveva paura, signorina? ed io che mi lusingavo che avesse paura di me! le disse il suo vicino.

La lezione era meritata.

È appunto in tali circostanze eccezionali, che una signorina può mostrare di sapersi condurre dignitosamente senza darsi quell'aria di noli me tangere, che la rende antipatica, e senza incoraggiare una confidenza sconveniente.

Altre volte era di rigore che le signorine mangiassero pochissimo, e non bevessero vino affatto. Per cui riuscivano commensali punto piacevoli.

In qualunque modo si volesse interpretarla, quella continenza cenobitica, era una sciocchezza. Le fanciulle intendevano con quel mezzo di atteggiarsi ad un sentimentalismo ideale, non d'altro nudrito che di poesia e di sogni. Era un'idea da précieuses ridicules. Le mamme incoraggiavano quella manìa, ed all'occorrenza l'imponevano, volendo con quel mezzo dire ai giovinotti:

¾ Vedano come mangia pochino la mia figliola. E non beve punto. La sposino, via. Non costa nulla a mantenerla.

Era un calcolo da Arpagone.

Ora, se Dio vuole, il sentimentalismo è passato di moda. E, non fosse che per quest'unica riforma, benedetto il realismo! Le giovinette sono tornate ad esser loro stesse, col loro appetito giovanile: ed a tavola lavorano coi loro dentini, che è una benedizione, un'allegrezza guardarle.

Se qualcuna delle mie lettrici era rimasta in arretrato, ora lo sa. La civiltà vieta soltanto di trasmodare. Ma vieta altrettanto severamente di rifiutare ogni cosa, di mangiare a fior di labbra, di lasciare la roba nel piatto, di rifuggire dai vini, quasi si volesse dire ai padroni di casa:

‑ Io non so che farmene di tutto questo. Il vostro pranzo mi mette la nausea.

Quando si è a questi estremi bisogna non accettar l'invito. Se sapessero come è bella e come piace la gioventù robusta, e francamente allegra, che Dio la benedica!

Se la padrona di casa fa posare dal servitore il vassoio del caffè, dopo che i convitati sono passati in sala, ed offre lei stessa le tazze, le signorine debbono subito accorrere ad aiutarla. Dovranno però servire soltanto le signore ed i vecchi. Una signorina non porge mai la tazza ad un giovine, a meno che sia suo fratello. Ed ancora ha l'aria d'uno scherzo.

Dopo aver assistito ad un pranzo, una signorina è tenuta ad accompagnare la madre nella visita che rende, entro gli otto giorni, alla famiglia da cui ebbe l'invito: e dovrà anche lei lodare la compagnia che vi ha trovata, la disposizione della tavola, i fiori, l'allegrezza che si è goduta, infine quel che c'era da lodare.... ed anche un pochino quel che non c'era

 

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*  *

 

In teatro una signorina non va mai scollata. Se l'abito ha lo scollo, lo porta con una modestina dí tulle. È verissimo che ora molte giovinette vanno scollate come le signore; ma la questione è dì sapere se fanno bene. Ad ogni modo non sono in regola colle convenienze.

Una signorina mi osserva a questo proposito che. "È meglio errar con molti che esser savio solo." Ma io rispondo con un altro proverbio che dice: "L'uso serve di tetto a molti abusi." ‑ E con un altro ancora: "Cosa rara è la più cara."

Così, punto scollature. Pochissimi gioielli. I Francesi dicono: Les diamants sont faits pour les têtes brunes; les fleurs sont faites pour les têtes blondes.

Ma, finchè sono teste da fanciulla, anche le teste più brune debbono accontentarsi dei fiori. Per portare i diamanti ci vuole il permesso della Chiesa, ed anche del Municipio. Ma credano a me, signorine, non ci perdono nulla. Il diamante ha un pregio convenzionale: il fiore è una cosa bella davvero. Le arti belle hanno sempre imitati i fiori. Ma soltanto il commercio, che specula sulla vanità, ha imitato i brillanti.

Neppure la catenella dell'orologio è concessa ad una signorina che vuole osservare tutte le regole di convenienza. Ed infatti, dacchè quello è il primo dono che le deve offrire lo sposo, se l'ha già portata fin allora, non le fa più quell'impressione nuova; non è più un simbolo. Quando si domanda:

¾ Ma è ben sicuro che la signorina tale sia sposa?

Altri risponde:

¾ Pensi! Ha già la catena!

L'abbigliatura d'una giovinetta dev'essere semplice. Ma badino certe signorine e certe mamme che hanno l'abitudine di prender le parole a rigor di lettera, che semplice, quando si parla di vestiti, vuol dire appunto d'una stoffa di poco valore, adatta per fanciulle, senza trine antiche, senza ornamenti costosi. Ma la semplicità d'un abito da serata non ne esclude l'eleganza ed il gusto.

In teatro, la signorina (non scollata insisto), cederà sempre alla signora, che l'accompagna, il posto d'onore, che è quello di fronte al palco scenico.

Le signorine si trovano contentissime di questa combinazione, perchè, voltando il dorso al palco scenico, guardano meglio nella platea e nei palchi, e sono più in vista.

Vedono ch'io sono addentro nei loro piccoli segreti.

Ebbene credano a me che sono vecchia, non guardino mai fisso nessun giovine, checchè ne dica loro la simpatia. Non c'è cosa più sconveniente di quell'ostentare in pubblico una preferenza, che una fanciulla dovrebbe appena confessare, arrossendo, alla propria madre.

Per gl'indifferenti, poi, c'è la legge generale di elementare decoro, che una fanciulla non deve mai fissare in volto un uomo che sta discorrendo. Quelle che se ne emancipano appunto in teatro, dove cento occhi sono là per notare quella sconvenienza, e cento bocche per ripeterla, mi fanno ricordare un ladro che l'estate scorsa, rubò il soprabito di un avvocato nel tribunale criminale, mentre l'avvocato stesso stava perorando la causa d'un ladro. Aveva scelto male il posto per farla in barba alla Questura.

A questo proposito ricordo una letterina che ricevetti pochi mesi sono. Debbono sapere che la prima edizione di questo libro mi guadagnò ‑ se fosse meritata o no non saprei dire ‑ la fiducia di molte lettrici, le quali presero l'abitudine di rivolgersi a me, anche senza conoscermi, nei loro piccoli imbarazzi. Un giorno il mio editore mi mandò una lettera d'una signorina che doveva andare ad un ballo, e mi domandava: "come dovesse contenersi, sapendo che dovrebbe incontrar a quel ballo, e che le verrebbe presentato, un giovine il quale da un mese la guardava, e del quale ricambiava gli sguardi!"

Ah signorine mie! Non l'hanno capita che non ci deve essere mai un giovine di cui una signorina ricambia gli sguardi? E se quel giovine c'è, è un personaggio da romanzo, un errore; e la signorina pure, è un altro errore. Ed in tal caso, che esce dalla normalità, cerchino di tirar innanzi il romanzo in modo che lo possano leggere anche le signorine. Regole di convenienza pel loro contegno in quella circostanza non posso darne, perchè i personaggi da romanzo e le passioni da romanzo l'hanno sempre fatta in barba a tutti i galatei. Ed hanno fatto bene, ma, in mancanza di una regola di convenienza, posso dar loro un consiglio da amica. Vadano dalla loro mamma e le dicano la verità; confessino tutto:

"Che da un mese fanno quell'armeggio d'occhiate; ed ora si trovano imbarazzate all'idea di trovarsi in faccia a quel giovine...."

E se la mamma dirà, che in tal caso è bene rinunciare alla festa per evitare quell'incontro, si picchino il petto e dicano Mea culpa.

In teatro una signorina non porge mai la mano agli uomini che entrano a far visita in palco, e non dimostra mai di prestare più attenzione agli spettatori che allo spettacolo.

Certi atteggiamenti indifferenti ed annoiati, che affettano molte signorine sono di cattivo gusto. Oltre all'offendere le persone che stanno con loro, le fanno apparire disilluse e già incapacì di divertirsi. Oh giovinezza! Si può non divertirsi a vent'anni?

All'atto di ritirarsi le signorine debbono mettersi la sortita da sole, o farsi aìutare da una persona della famiglia; non mai da un giovine. E scendendo le scale, daranno il braccio al loro babbo, ad un fratello, oppure rimarranno accanto alla mamma.

Così è, signorine mie; i cavalieri serventi sono come i diamanti. Non li hanno che le signore. È ancora una privazione di cui non posso compiangerle. I diamanti hanno almeno un pregio convenzionale. Sono rarissimi e costano cari, quando sono veri brillanti. I cavalieri serventi, invece, spesseggiano come le mosche, e sovente, non valgono di più. Di brillantì poi, ce n'è uno su mille.

 

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*  *

 

Ed ora, signorine mie, le conduco in un luogo dove non sono mai state. Ed anche ora non vi possono entrare che in ispirito, e sotto la mia seria tutela di nonna centenaria; in un circolo di giovinotti.

Ben inteso che, entrando in ispirito, loro non sono vedute; e però non s'interromperanno i discorsi incominciati....

Oh! non s'inquietino, signore mamme, so press'a poco di cosa si parla; ed anzi, ci conduco le loro figliole per questo; è il domani d'un ballo, di che s'ha a discorrere?

Per quanto meritino poco di essere elevati a questa dignità, i giudici delle signorine, alle feste da ballo, sono i giovinotti. È vero che, in compenso, i giudici dei giovinotti sono le signorine; ma questo è un giurì non troppo accreditato perchè pecca d'indulgenza. Per ora ascoltiamo l'altro che non ha questa debolezza.

¾ Non c'era male la signorina Tizia, con quell'abito azzurro, sentenzia un piccolo Giove Ansuro, con l'esperienza dei suoi diciott'anni.

¾ Non c'era male? osserva un conoscitore più esperto. Ma hai a dire che era una bellezza addirittura. Soltanto che è una bambola col meccanismo; una ruota ed una cordicella per ogni monosillabo o bisillabo. La mamma l'aveva caricata prima d'uscire, e lei da brava bambola ha articolato uno dei suoi monosillabi o bisillabi per ogni domanda, che faceva da cordicella: "Sì. No. Grazie. Basta. Poco...." E così via.,

¾ Doveva avere delle rotelle anche ai piedi, perchè ballava diritta, stecchita come un fantoccio.

¾ Bambola, bambola.

¾ E le signorine Sempronie? entra a dire un terzo.

¾ Ah! quelle sono due berte. Non sanno tacere un minuto. E che tono confidenziale pigliano discorrendo col ballerino! Un vecchio gentiluomo mi disse:

"Quelle signorine devono avere una famiglia numerosissima.

"Perchè? domandai compiacentemente per fargli finire il suo motto.

"Perchè tutti i giovanotti con cui ballano mi sembrano loro fratelli."

Infatti andavano da una sala all'altra, ed al buffet con questo e con quello, e senza la loro mamma, e si dice che ballassero anche con qualcheduno che non era stato presentato.

¾ A te piaceva la signorina Caia, che ti si abbandonava mollemente nelle braccia, come se fosse al quarto atto d'un melodramma.... Avevi sulla spalla dell'abito la cipria delle sue guancie. .

¾ Il color della dama. Mi piaceva per una sera, però. Non la vorrei fra le concorrenti, quando mi decidessi a gettare la mia pezzuola per trovare una sposa.

¾ Io ho fatto un giro colla signorina Ipsilonne, che, ad ogni complimento che le facevo me ne rispondeva un altro, come se si giocasse di scherma.

¾ Pazienza, era ingenua.... Tu avessi udita la signorina Zeta, che, per far la spiritosa, canzonava le tolette ed i modi delle altre signorine e dei giovinotti!

¾ Ah! dev'essere stata curiosa. Cosa t'ha detto di me?

¾ E di me?

¾ E di me?

¾ Ha detto che le pareva d'essere una tazza di miele, perchè si vedeva ronzare intorno tanti mosconi.

¾ Oh Dio! Che barba!

¾ Caro quel miele!

¾ I mosconi volano anche intorno....

Via; la porta è chiusa e non si ode altro. Ma credo che basti.

Vedono, signorine mie, che ogni medaglia ha il suo rovescio; ogni festa il suo dimani.

 

"Ahi gioie umane, d'amarezza asperse!"

 

La civiltà francese fa della fanciulla una bambola muta, compassata, insignificante, tutta artificio. Le inglesi sono severe, fredde, vaporose. Le americane sono emancipate. Le tedesche sono libere.

Loro sono italiane; hanno lo spirito vivace, l'immaginazione pronta; sono entusiaste ed espansive. Volerle ridurre come automi modellati su figurine straniere, sarebbe una profanazione, una finzione. Siano loro stesse. Ma sappiano contenersi in modo da non meritarsi le censure che hanno udite. Si può essere amabili, schiette, allegre, anche senza staccarsi da quella dignità di contegno che s'addice ad una fanciulla. Il buon senso naturale, ed il naturale decoro, devono guidarle. Io domando soltanto di scrivere sul loro taccuino una massima di Victor Cherbullier. La leggano sempre prima di andare ad un ballo, dove la loro mamma non può udire tutte le parole che scambiano coi ballerini:

 

"Rien ne rafraîchit plus le sang, que le souvenir d'une sottise que l'on n'a pas dite."

 

 

¾ "Mi ricordo quand'era fanciulla" come la vecchia Pipelet di gioconda memoria, e nel carnovale, la mia zia, che mi teneva il posto della povera mamma che avevo perduta, invitava una mia cugina a tenermi compagnia.

Cara quella compagnia! Aveva l'abilità di sacrificarmi completamente. Non sapeva pettinarsi da sè; bisognava che ogni mattina la cameriera di casa perdesse ad acconciarle il capo un tempo tanto più prezioso, in ragione di quell'aumento di personale in famiglia. Noi si faceva colazione per solito alle nove, ma la Teresina era alla toletta a quell'ora, oppure veniva a tavola spettinata ed in abito da camera. E guai se la zia osservava, che le signorine non debbono farsi vedere in abito da camera: che è permesso appena di portarlo nella loro stanza da letto! Diceva che a quell'ora era materialmente impossibile d'essere in ordine. E bisognava che noi s'avesse pazienza e si differisse la colazione. Tutte le lezioni, che prendevamo insieme, dovevano pure spostarsi per fare il suo comodo; ed i miei maestri non le piacevano mai. Erano un branco di ignoranti.

E tutti i mobili della casa avevano qualche difetto o erano mal collocati. E le mie amiche le erano antipatiche. S'io doveva far delle visite, lei non poteva adattarsi a venire da quelle signorine pedanti, nè da quelle altre sguaiate. Quando s'andava in teatro o in compagnia, ipotecava addirittura la cameriera per farsi vestire, e la zia ed io dovevamo aiutarci a vicenda. In palco, poi, si metteva al posto di contro alla zia, ed io era relegata tutta la sera sullo sgabello in mezzo. Non c'era caso che mi offrisse una volta di cambiar posto. E, per ospitalità, non potevo domandarglielo, nè fare osservazioni.

Bisognava che le offrissi i fiori da scegliere prima. E se li provava tanto in capo, sul petto, e si serviva così bene, che a me rimanevano degli avanzi appassiti. In carrozza pure, prendeva posto accanto alla zia, senza che occorresse neppure dirglielo. Qualche volta le mie povere abbigliature si sciupavano tutte, strette così, accanto al babbo sulla panchetta dinanzi. Ma la Teresita si stendeva a suo agio, seppelliva la zia sotto le sue gonne e arrivava fresca come una rosa.

In casa, poi si prendeva l'incarico di studiare tutti i caratteri, come se ci fosse venuta con quella missione. Io aveva quel difetto, e quel pregio; e la zia era placida, e troppo indulgente; ed il babbo era avaro; e le persone di servizio ci derubavano come tanti briganti.

¾ Come! Voi spendete tanto per la carne? E tanto per le ova? E questo pollo è costato tanto Ma buona gente! A casa mia si mangia meglio assai, e si spende la metà. Quel pollo è magro, tíglioso. Si può avere per trenta soldi. Il resto se l'è tenuto la cuoca. Io non so come la sopportiate. Non sa cucinare. A casa mia le bistecche sono tutt'altro: queste sembrano suole di scarpe.

Ed ogni giorno aveva fatta una scoperta nuova sull'ordine della nostra casa, ed erano sempre indiscrezioni.

Quando poi veniva in campagna l'autunno, era un raddoppiamento di biasimo. Si trovava addirittura ad un bivacco. Tutto era incomodo, tutto rozzo. Quasi quasi si meravigliava che nei sentieri del giardino non si stendessero tappeti per farla camminare sul liscio. E combinava lei le gite, i píc‑nics. Ed entrava in confidenza coi vicini di villa, prima e più di noi; e passeggiava cogli altri ospiti, anche s'erano giovinotti, sola con loro per delle ore in giardino, ed usciva quando noi si stava in casa; e stava in casa quando noi s'usciva.

Mie giovani lettrici, se sono ospiti in casa altrui, badino, le prego, di non lasciarvi le tristi memorie che m'ha lasciate la Teresina. La persona ospitata deve fare una completa abnegazione della propria volontà, delle proprie abitudini, dei proprii gusti. È necessaria questa rinuncia assoluta, per bilanciare l'immensa deferenza della famiglia che la ospita, e metterci un limite, affinchè non abbia a diventare un sacrificio di tutte le ore. E qui mi viene a proposito di avvertirle, che nulla è più scortese di quell'abitudine tanto generale, pur troppo, di far esaurire tutte le formole di preghiere inventate da Adamo in poi, prima di aderire a sonare o a cantare, in compagnia. La padrona di casa, che per quella sera le ospita, è messa in grave imbarazzo. Deve unire le sue insistenze alle altre, ed aver l'aria di imporre un sacrificio? O deve astenersene, e dimostrare che non desidera di ascoltarle? Difficile alternativa.

 

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Non ho mai compreso perchè le signorine, che debbono rimanere sotto gelosa custodia nella loro città, dove sono note loro e la famiglia, ed hanno un mondo di amici e conoscenti intorno, debbano poi godere una libertà relativa, ma sicuramente soverchia, quando si trovano in viaggio o alle bagnature, ignote fra gl'ignoti; dove potrebbero anche essere prese in fallo.

Il nuoto è uno degli esercizi prediletti dagli Inglesi e dagli Americani. Ma non credo necessario, per adottare la loro abitudine delle bagnature, adottarne pure la flirtation insidiosa e sconveniente.

To flirt, coqueter, sono parole che in italiano non hanno riscontro. Le traduciamo: flirteggiare, civettare; ma le parole sono barbarismi nella nostra lingua, come la cosa è un barbarismo nei nostri costumi. Noi, espansivi e schietti, ci pieghiamo male a quella meschina scherma di parole, che giocano su sentimenti frivoli; e, quando riesciamo a scimiottare le signore straniere, lo facciamo a scapito del nostro carattere. Credano a me, signorine, non si lascino attirare da quello scoppiettìo di frasi leggere, brillanti e fuggevoli come fuochi d'artificio. Quando si disperdono e svaniscono nell'aria, portano sempre con sè qualche briciola del loro decoro. Briciole appena visibili, atomi, ma che importa?

 

"Gatta cavat lapidem."

 

In campagna come in città, ai bagni come altrove, una giovinetta non deve mai uscire da sola, a meno di trovarsi in un paese non frequentato da colonie di villeggianti avventizi. Nel contrarre nuove relazioni deve usare la massima prudenza e lasciarsi dirigere completamente da' suoi genitori. Alla tavola d'albergo, se non ha due persone della famiglia fra le quali sedere, ed il caso le colloca da un lato uno sconosciuto, non deve scambiare con lui che le parole strettamente necessarie, finchè non sia stato presentato alla signora che l'accompagna, e questa gli abbia accordata la sua relazione.

L'unico punto su cui in campagna ed ai bagni le signorine possono permettersi qualche libertà, è il vestire colori più vivaci, foggie più ardite, un cappellino un po' bizzarro o un po' sull'orecchio, fori naturali in capo a tutte le ore, ed anche passeggiare a capo scoperto... Tutto questo è concesso; ma quanto al contegno, deve essere tanto più riserbato in quanto che sono meno conosciute, e chi le osserva deve giudicare dall'apparenza.

 

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Se una signorina è stata ospite in una casa, appena ritornata in famiglia, dovrà scrivere una lettera espansiva alla signora od alla signorina che l'ha ospitata, ringraziandola delle cortesie ricevute.

Non scrivano a molte persone, signorine mie. Oltre le lettere di dovere ai parenti vecchi, alle maestre, possono tener corrispondenza con qualche amica. Ma siano vere amiche, di quelle a cui si scrive non per fare dello stile epistolare, ma per vero affetto, e col linguaggio dell'intimità. Non occorre dire che, in tutta la loro corrispondenza non ci deve essere una parola che la mamma non possa leggere.

Quanto a formole, non s'aspettino ch'io ne dia. Le lettere tengono luogo di discorsi. Scrivano come discorrerebbero e basta. L'introduzione, la chiusa, sono storie del tempo trapassato remoto. La lettera comincia con quello che s'ha a dire, e finisce quando non s'ha più nulla a dire. Ecco la sola regola ch'io ammetto. Non si firmino mai serva, perchè le signore non sono mai serve di nessuno. Non facciano litanie di saluti in fine nè sfoggio di aggettivi sulla soprascritta, a tutto beneficio del portalettere e dei portinai. Non usino carta colle iniziali, come non usano carte da visita; siano semplici, schiette; se hanno dello spirito, non ne privino le loro corrispondenti, e lascino andare i loro giovani pensieri come

 

"La rondine alla primavera e la preghiera al cielo."

 


 




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