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Marchesa Colombi La gente per bene IntraText CT - Lettura del testo |
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PARTE TERZA
UN LEMBO DI CIELO
CAPITOLO I.
La fidanzata.
Domanda di matrimonio ¾ Contegno coi parenti ¾ Colle amiche ¾ Col fidanzato.
¾ Signorina, il signor padrone la prega di favorire nel suo studio perchè deve parlarle. È così che, per bocca d'una cameriera o d'un servitore, hanno principio la massima parte delle proposte di matrimonio. La signorina, che è educata a saper morire sulla breccia anzichè commettere l'ombra d'una sconvenienza, si comprime vivamente il cuore per rischiuderne le orecchiette curiose, che vorrebbero interrogare la cameriera su quel che ne dicano gli usci di casa, che, nella sua qualità di cameriera perfetta, deve aver ascoltati; si limita a rispondere che andrà subito; e la congeda. Però i cuori delle signorine sono meno ingenui di quanto si crede. Quel signore che fu presentato alcune sere prima in palco, accompagnato dal babbo, o dallo zio o dal fratello maggiore, come un bimbo che si presenta alle scuole elementari, non è passato inosservato a quel cuoricino di fanciulla. Lei ha veduto che il signore accompagnato la guardava con certi occhi che parevano due punti interrogativi incaricati di domandarle "Sì! o no?" Ed ha veduto pure che gli occhi del signore accompagnante sembravano due unità di misura, intente a registrare quanto lei fosse lunga e larga; e quale fosse il suo peso specifico; e quali le proporzioni esatte di gas che componevano la sua graziosa personcina, e se il peso specifico della sua dote fosse sufficiente a bilanciare le irregolarità risultanti dall'inventario. ¾ Ma la signorina, educata con quella perfezione che non viene mai meno anche nelle circostanze solenni, ha fatto come se non avesse veduto nulla, e si è sempre mostrata intenta alle estasi melodiose di quel tenore innamorato, ed alle disperazioni di quella infelicissima prima donna (i tenori sono tutti innamorati, e le prime donne sono tutte infelici), come se quei due individui fossero la sola cura della sua anima giovinetta, e se alla possibilità d'una certa domanda, non ci pensasse più che all'eredità dell'imperatore della China. Così si comportano le signorine per bene. Ma ciò, non toglie che il giorno del grande invito, dato uno sguardo rapido alla propria coscienza per assicurarsi che non hanno commesso nessun errore da provocare quell'ambasciata paterna, vi accorrono perfettamente informate di quanto stanno per udire. ¾ Senti, bimba, dice il capo della famiglia. Ora hai finita la tua educazione. Gli abiti non ti si accorciano più ad ogni stagione. Il dente del giudizio ce l'hai; fa un po' vedere? Sì, è già completamente cresciuto. Sei una donna e bisogna pensare a collocarti. Qualunque sia la sua opinione in proposito, una signorina per bene si ricorderà che i genitori ci penano a mandarla fuori di casa; e non mancherà di dar loro una dimostrazione d'affetto, assicurandoli che si trova tanto bene con loro, che è felice, e non desidera punto punto di maritarsi, e sarebbe dispiacentissima di lasciarli. ¾ Hai veduto quel signore che venne in palco l'altra sera? riprende il capo di casa. Oh! se l'ha veduto! Ma ad ogni modo si limita a rispondere freddamente di sì, che lo ricorda. ¾ E che ne dici? Ti piace? Quel signore ti converrebbe perfettamente dal lato dell'interesse e delle qualità morali, e domanda la tua mano. Le alternative sono tre. Il signore può piacere, può dispiacere, e può essere indifferente. La signorina deve esprimere francamente in quale di questi tre casi si trova. E se le piace, deve dirlo senza enfasi. E, se le dispiace, senza disprezzo, e sopra tutto senza fare mai la caricatura d'un suo difetto o della sua professione. Uscendo dallo studio del babbo, dopo avere rifiutata una domanda di matrimonio, deve fare come se la memoria di quel fatto non avesse passata con lei la soglia dello studio, e non deve tenerne parola con anima viva, neppure colla più intima amica. Incontrandosi con quel signore dovrà trattarlo come qualunque altro che le sia stato presentato; non attingere nessuna falsa vanità della sua domanda, e non attribuirgli la menoma umiliazione pel rifiuto patito. Sono tanto vecchia, ho tanto vissuto, che per ogni circostanza, mi torna a mente un avvenimento che calza appuntino. Era una fanciulla di provincia, che non aveva genitori. Non era abbastanza agiata per avere una istitutrice addetta alla sua persona. Viveva sola con uno zio vecchio e severo. Per una delle tante licenze poetiche rigorosamente vietate da tutti i codici delle convenienze, s'era fidanzata di sua testa con un compagno d'infanzia; e con un coraggio degno di miglior causa, ed una fede idem, rifiutava tutte le proposte di matrimonio per aspettare che quel suo fidanzato minuscolo raggiungesse una situazione non ancora determinata, che si smarriva nel più lontano avvenire. Un giorno una conoscente di fuori città le mandò un bel giovine, un vero giovine con baffi e basette, munito d'una lettera di presentazione. Andava a stabilirsi in quella provincia, e la signora, amica della madre di lui, voleva procurargli qualche conoscenza. Un'altra sconvenienza. ¾ Alle signorine senza mamma non si presentano giovinotti. Ma quella signora sperava di veder combinarsi un matrimonio, ed aveva presa la sola via che le era aperta. I due giovani si rividero in società, in teatro, e, per farla breve, perchè mi accorgo d'essermi impegnata in una storia lunga, s'innamorarono come due eroi da romanzo, malgrado quel fidanzatino più da romanzo ancora. Un bel giorno il giovine si presentò in casa della signorina portandole una lettera della signora che lo aveva presentato a lei, e che aveva riveduta in una sua gita a Torino. Lasciò la lettera ed uscì. Lo zio era presente, ma udendo che si trattava semplicemente d'un'epistola da signora, si risparmiò la briga di leggerla. Era quello appunto su cui il giovine aveva contato. La lettera era sua, e, confessando sentimenti che i suoi occhi ed il suo contegno avevano già rivelati, offriva la sua mano ed il suo cuore, e domandava alla signorina il consenso per chiederla in isposa allo zio. Precisamente il contrario di quello che avrebbe dovuto fare. Ma erano eroi da romanzo e dovevano passare di sconvenienza in sconvenienza. Infatti, la fanciulla non disse nulla allo zio, e, lottando col proprio cuore, innamorato del bel giovinotto coi baffi, e stemperandosi in lacrime, rispose segretamente nella prossima visita, che era fidanzata, e spinse l'eroismo donchisciottesco, fino a dirsi innamorata di quell'ombra di fidanzatino col quale giocava alla sposa. Il bel giovine fu desolato, pianse, prese atteggiamenti sentimentali,.... poi si fece sposo con un'altra. Ma la signorina, che s'era imposto un vero eroismo per rifiutarlo mentre ne era innamorata, pensò che l'eroismo di cui nessuno è informato non ottiene il compenso d'ammirazione che gli è dovuto. E narrò la sua grande azione ad un'amica in tutta confidenza, tanto che vi fosse almeno una voce al mondo, per rimandare ai posteri la notizia di quel gran sacrifizio che si era compiuto in quel piccolo cuore. Il segreto fu così ben custodito che si seppe in anticamera ed anche in cucina. Uno di quei casi, che sembrano fatti apposta per gli eroi da romanzo, portò, poco tempo dopo, una cameriera che era allora in casa della signorina eroica, a servire la nuova sposa del giovinotto. Quella cameriera era una giovine invidiosa e pettegola. E però, appena ebbe veduto lo sposo, profittò di quanto sapeva per informare la sposa del precedente amore, della precedente domanda e del precedente rifiuto, tacendo, con malizia crudele, le lacrime che quel rifiuto aveva fatte spargere, e che erano a tutta gloria del giovine. Narrata così, la cosa era d'una trivialità.... La povera sposa si vide nel pericolo di accettare un uomo rifiutato, disprezzato da un'altra. (Oh! disprezzato!) E, con quell'amor proprio che distingue, o per dir meglio, accomuna tutti gli esseri umani, dichiarò che: visto e considerato che il tale giorno del tale anno, nella casa tale, il signorino aveva patito un rifiuto, la sua dignità la obbligava a dargliene un altro. Ma i parenti della sposa non potevano lasciar andare a rotoli un matrimonio ben assortito, per quella inezia; si misero intorno al povero giovine, e lo indussero a scrivere alla infelice eroina del gran rifiuto, invitandola a dichiarare per iscritto, che lui non le aveva mai fatta domanda formale di matrimonio. "Da questo, scriveva, dipende per me una questione vitale." La domanda che egli aveva fatta, in realtà, era tutt'altro che formale, ma era una domanda di matrimonio bella e buona. Ad ogni modo però, quella povera fanciulla aveva troppo decoro, malgrado il suo curioso fidanzamento, per non mostrare di aver dimenticata tutta l'importanza che lui aveva data a quel passo extralegale. E dichiarò che mai in eterno lui aveva pensato a lei, che la conosceva appena, ecc. E l'altro matrimonio si fece. Morale. Una parola imprudente, suggerita dalla vanità di farsi vedere desiderata, può offendere l'amor proprio di un uomo, e far nascere un ginepraio di guai, in cui la meno umiliata e ferita non è certo la signorina imprudente.
* * *
Se invece il partito proposto riesce simpatico, la risposta è favorevole; e si fissa un giorno per presentare il pretendente sotto questo aspetto. Quello è il momento più difficile della vita d'una fanciulla. Non sa che viso fare, nè che contegno tenere. Il mostrarsi allegra e contenta è sconveniente. Il mostrarsi dolente è assurdo, perchè è lei che l'ha voluto. Il mostrarsi indifferente è scortese. Ma tutte le difficoltà scompaiono, quando una signorina si rassegna a non curarsi affatto del come deve mostrarsi, ed a lasciarsi vedere nello stato in cui si trova realmente: commossa, confusa, intimidita. Così è naturalmente, e così dev'essere. Tutto quello che può far per dissimulare il suo imbarazzo riescirà artificioso e sguaiato. Allora sì, è il caso di non parlare se non è interrogata. E se lo sposo è un po' ardito, e si fa coraggio a dirle: "Spero di non averla afflitta colla mia domanda" oppure: "Mi lusingo che non sarà pentita del favore che mi ha accordato" o qualunque altra cosa di questo genere, la sposa non deve mai tornire una frase da commedia per rispondere in modo lusinghiero. Risponda come le suggerisce il cuore, il quale in quelle circostanze non le suggerisce altro che un monosillabo, una breve risposta. "Ma no." "Sa pure di no." Ma glieli suggerisce uniti ad una confusione, ad un rossore, ad una peritanza dello guardo intenerito, che quel monosillabo, quella risposta breve riescono più lusinghieri di qualunque discorso. Da quel momento lo sposo ottiene l'accesso in casa, e, se è in altra città, è autorizzato a scrivere ogni giorno alla sposa; che è pure autorizzata a rispondergli. Molte volte, invece d'essere simpatico, lo sposo è indifferente. E tuttavia, per qualche considerazione, che qui non è il caso di discutere, viene accettato. Questa sfumatura di sentimento però non cambia nulla al seguito delle cose. E dopo il consenso della signorina, i due fidanzati, che ieri non si conoscevano affatto, sono obbligati a vedersi o scriversi periodicamente e con intimità. Quasi tutte le signorine si credono in dovere, da quel momento, di mostrare una passione da Desdemona, di persuadere anche l'infelice, accettato per cento ragioni che non hanno nulla a che fare col cuore, che l'adorano addirittura,
"Fra quanti figli della terra il sole Veggon, e il cielo degli Dei stellato."
È un errore che una signorina di tatto deve evitare. Le sue lettere ed i suoi discorsi possono parlar d'altro che d'un amore che non ha nel cuore, e che le espressioni forzate non faranno nascere. Al di sopra di tutte le regole di civiltà, di tutte le cortesie, di tutte le virtù, si deve metter sempre la verità. Si può (almeno è una cosa che accade) accettare uno sposo senza esserne innamorata; ma non si deve fingere, per ingannarlo colle apparenze d'una passione che egli non ispira. Anzi, una signorina veramente per bene, dovrebbe in coscienza rivelare allo sposo che lo accetta, lo stima, non ama un altro, ma non è innamorata di lui. Ma tratto tratto mi accorgo che è difficile tracciare una linea di demarcazione tra le regole di cortesia e quelle dell'onestà, ed invado un campo estraneo al mio lavoro. Torniamo alle inezie: La fidanzata non accetta nessun dono; tutt'al più, se i genitori si tengono sicuri che tutto procederà bene, possono permettere fra i due giovani lo scambio delle fotografie. E la gioia di poter vedere il fidanzato in casa sua, una signorina dovrà pagarla con una rinuncia assoluta ai balli, ai teatri, alle conversazioni numerose. Ben inteso che non si lagnerà mai di questa privazione. Non sarebbe più quella signorina educata che s'è mostrata sempre, se facesse sentire al fidanzato il sacrifizio che le costa. E quello è il minore degli atti d'eroismo che la perfetta convenienza richiede dal suo giovine cuore. Supponiamo che un giorno la mamma sia fuori di casa, oppure non sentendosi bene, sia rimasta a letto. Ed il fidanzato ha avvisato che a quell'ora farebbe la sua visita. (Un fidanzato ammodo avvisa sempre, e non arriva, come una tegola sul capo, quando meno lo si aspetta). Eccolo. La signorina conosce il suo modo di sonare. È lui. La cameriera lo annuncia. Quel povero cuoricino balza di gioia. Avrebbe una cosa da dirgli, proprio a lui solo, e tornerebbe tanto a proposito cogliere quell'occasione... Ebbene no. Deve avere il coraggio di rinunciarvi. Una signorina non deve ricevere il fidanzato quando è sola. E dice alla cameriera: ¾ Marietta, digli che la mamma non c'è; non posso riceverlo. E, quando lo rivede, le pare di volergli più bene dopo quella privazione che gli ha imposta. Poveretto, come deve averne sofferto! Vorrebbe compensarlo con un po' d'espansione, chiamarlo semplicemente col suo nome. E neppure questo le è concesso, dicono le regole di convenienza. Il loro modo di trattarsi dev'essere affettuoso, amichevole, ma non mai confidenziale. Bisogna darsi del lei, e non anticipare le espansioni reciproche, nè i nomi di parentela alle future suocere, ai cognati. Un matrimonio può andare a monte, ed allora tutte quelle famigliarità anticipate rendono più difficile la situazione. Come si fa ad incontrare come un indifferente, senza arrossire, senza confondersi, un uomo a cui si è dato del tu? Non anticipi nulla, signorina. Lasci che il tempo maturi gli avvenimenti. I frutti acerbi hanno sempre un fondo di asprezza, mentre sono tanto buoni e dolci i frutti maturi.
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