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Olindo Guerrini
Canzoniere di Lorenzo Stecchetti

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  • POSTUMA
    • XXXVIII.   MEMORIE BOLOGNESI.
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XXXVIII.

 

MEMORIE BOLOGNESI*.

 

A Giovanni Vigna Dal Ferro.

 

Vigna, nel mio cortil nereggia un fico

L’albero sarto del gran padre Adamo:

Io pranzo all’ombra de’ suoi rami e dico:

- Vecchia Bologna, t’amo!

 

T’amo, del senno antico antica madre,

E un tesoro d’affetti in cor rinchiudo

Per le tue donne dalle occhiate ladre

Pel tuo gigante nudo.

 

O San Michele, anch’io ci son passato

Per le tue strade solitarie e belle

E mi scorgeva un luccicar velato

Di lucciole e di stelle,

 

Nell’ora queta in cui l’odor de’ prati

Umido sal da’ tuoi valloni foschi,

Nell’ora in cui le serve ed i soldati

Spariscon ne’ tuoi boschi.

 

Sul tuo monte tessei romanzi anch’io,

Profumati di cinnamo e di mirra

E il salario pagai dell’amor mio

Con un bicchier di birra.

 

Fu all’ombra de’ tuoi viali, o San Michele,

Ch’io la trovai la donna del mio core,

La giovinetta che mi fu fedele

Quasi ventiquattr’ore!

 

Coi gomiti sul ponte ella volgea,

Come una santa, al ciel le luci belle,

Ed io, poichè l’amor già mi tenea,

Chiesi - guarda le stelle ? –

 

Ella chinando gli occhi di colomba,

Gli occhioni di colomba innamorata,

Rispose - no: sto qui a sentir la tromba

Suonar la ritirata. -

 

Era bionda e pareva un’angioletta,

Una cosa di ciel che non ha nome

E come un casto odor di mammoletta

Uscìa dalle sue chiome.

 

Io le dissi - fanciulla, Iddio ci sente:

La gran parola in faccia a lui diciamo!

Di’, giovinetta bionda ed innocente,

Di’, vuoi tu amarmi? Io t’amo. -

 

Ella rispose - come sei gentile!

Stiamo in Sant’Isaia, numero tale

La porticina in fondo del cortile,

Su due rami di scale. -

 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

 

Basta così. - Non posso più badarvi,

Care memorie del mio tempo antico:

Ci leggono le mamme e per velarvi

Dovrei sfogliare il fico.

 

- - - - -

E tacerei - ma tu, Vigna, mi scrivi:

- Mercutio, a che ti duoli?

Lascia strillare noi bruciati vivi

Da questi atroci soli:

 

Noi che cuociamo, noi dobbiam strillare

Diventati frittura;

Tu vivi al fresco, in faccia al cielo, al mare,

All’immensa natura! -

 

Tu dici ben, Giovanni mio, fedele

E poliglotto amico:

Veggo nel glauco mar le bianche vele

Pranzando sotto al fico,

 

M’allegran gli occhi la marina azzurra

E le campagne opime:

Freddo un ruscel nel bosco mio sussurra:

La natura è sublime!

 

Ma questa carne di somaro infame

La pago per vitella,

Questo carton lo pago per salame...

Oh, cara mortadella!

 

D’acqua e di poesia gonfio il ruscello

Fugge laggiù nei boschi,

Ma il rigagnolo mio com’è più bello

Che passa per via Toschi!

 

E come cambierei questa ficaia,

Questa vista divina,

Col Caffè delle Scienze e la fioraia

Degli Etruschi regina!

 

Canta sul fico mio la capinera,

Ma se non ti dispiace

Io preferisco un bel venerdì sera

In piazza della Pace,

 

Quando Antonelli col cheppì alla sgherra

E lo spadon sui tacchi

Cava gli applausi e i bis di sotto terra

Coi Goti del... Panzacchi.

 

O bei venerdì sera! Il biondo Ottone

Versa birra gelata,

Gli zerbinotti vanno in processione

Dietro la fidanzata.

 

E le ragazze van dove c’è chiaro

Per mostrare il vestito

E pescar colle occhiate il pesce raro

Che chiamano marito.

 

Questa è la poesia, la vita, il moto

Che le mia mente sogna...

È pieno il mio bicchier - senti? - Lo vuoto

Per te, vecchia Bologna!

 

- - - -

Per te, Bologna mia! Canti chi vuole

La natura, le pecore, i pastori,

Questo feroce sole

E questo bosco pien di raffreddori.

 

Venga l’arcadia a strimpellar canzoni

All’infinito mare, al ciel turchino,

Ai naufraghi mosconi

Cascati ad annegar dentro al mio vino.

 

Io nato ai gaudi del consorzio umano,

Alle battaglie dell’intelligenza,

Del robusto villano

Non invidio le spalle e l’innocenza:

 

Ma invidio voi che per le arroventate

Vie cittadine a lavorar movete,

Voi che m’invïdiate,

Voi che siete felici e nol sapete.

 

Non gridate cogli Arcadi e coi preti:

- Lungi dalle città, lungi dal vizio. –

Son ciarle di poeti:

L’innocenza dei campi è un pregiudizio.

 

Ecco una donna , sull’erba verde

Laggiù lungo la via che al bosco adduce,

E il suo profil si perde

Sfumato nell’azzurro e nella luce.

 

Chi sarà? dove va? La chioma bionda

Saettata dal sol da qui si vede:

Ella guata sull’onda,

Guata pei campi, origlia e poi procede.

 

È la più bella bimba del villaggio,

La più cara di tutte e la conosco;

Perchè questo viaggio?

Che diavol cercherà laggiù nel bosco?

 

Che si tratti d’amor? No certamente:

Troppo il pudor sul volto suo si vede,

Ella è troppo innocente...

No, no, mi sbaglio!.. Oh Dio, che mai succede?

 

Esce un uomo dal bosco... è un uom davvero!..

Io che nel fuoco avrei messo la mano!

Madonna, come è nero!

Ah... corpo d’una bomba!... è il cappellano!

 

.  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .  .

 

Basta, basta così - Non è più al trotto.

È alla carriera che si va - Fermiamo -

E tu mio bel strambotto

Vanne a Bologna e per me dille: - Io t’amo,

 

T’amo ed affretto il del mio ritorno,

T’amo, t’adoro, t’idolatro e dico:

S’io ti scordassi un giorno

Ch’io dondoli appiccato a questo fico! -




* Questa poesia diretta a G. Vigna Dal Ferro, ora nell’America del Nord, è la sola di argomento esclusivamente bolognese che ci permettiamo di inserire in questa raccolta. Ai non bolognesi che non conoscono il Nettuno del Giambologna che il popolino chiama il gigante ed ignorano le ombre della Villa Reale di San Michele in Bosco, non sarà inutile dire che Sant’Isaia e Via Toschi sono due strade bolognesi: che il Caffè delle Scienze possedeva una fioraia arrivata alla celebrità per aver rappresentato la moglie di un Lucumone Etrusco in una mascherata; che in piazza della Pace nei venerdì sera d’estate la banda musicale cittadina rallegrava il numeroso pubblico coi suoi concerti. In quell’epoca fanatizzavano i brani dell’opera I Goti del Gobatti, così ingegnosamente difesi dall’illustre critico Enrico Panzacchi. Quanto al biondo Ottone è un buon birraio vürtemburghese, biondo così così, poichè l’emistichio è rubato al Carducci, e che vende la birra di Vienna appunto in piazza della Pace. Le spiegazioni sono lunghe, ma volendo inserire la poesia già stampata nel giornale bolognese La Patria, allora diretto dal Vigna Dal Ferro, erano troppo necessarie.

O. G.






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